Questioni in terma di CIGS e imprese in crisi che chiedono l'ammissione a concordato preventivo

27 Settembre 2012

La recente normativa modifica l'art. 3 L. 223/91, facendo venir meno la discussione circa l'”obbligatorietà” o meno dell'intervento del Curatore per la richiesta di intervento CIGS, ma lascia aperti interrogativi per i Commissari e per i Professionisti che assistono le aziende che chiedono l'ammissione alla procedura concordataria.

La recente normativa modifica l'art. 3 L. 223/91, facendo venir meno la discussione circa l'”obbligatorietà” o meno dell'intervento del Curatore per la richiesta di intervento CIGS, ma lascia aperti interrogativi per i Commissari e per i Professionisti che assistono le aziende che chiedono l'ammissione alla procedura concordataria.

Il recente intervento normativo che ha modificato l'art. 3 della L. 223/91 chiarisce - speriamo definitivamente - la vexata quaestio dell'obbligatorietà o meno della richiesta di intervento CIGS da parte della Curatela.
Sin dall'entrata in vigore della predetta normativa, la dottrina si era divisa tra chi sosteneva l'obbligatorietà della richiesta (Caiafa, Chieco, Tagliagambe) e chi sosteneva, viceversa, la tesi della non obbligatorietà (Liebman, De Luca, Mazzotti).
(Si veda in questo stesso portale per un'esauriente illustrazione delle problematiche il recentissimo intervento di Girotto, La conversione del decreto sviluppo non salva la CIGS per le aziende in stato di decozione).
Il tema, peraltro, non era mai stato in grande evidenza, atteso che gli Organi delle procedure, in linea generale, chiedevano costantemente l'intervento della CIGS, quantomeno per un interessato profilo di pace sindacale, nell'imminenza della dichiarazione di fallimento.
La questione era peraltro tornata alla ribalta nell'estate del 2011, quando il Tribunale di Milano aveva accolto un reclamo, avverso la decisione di un Giudice Delegato che, inopinatamente, aveva autorizzato il Curatore a risolvere i rapporti (sul punto, si veda in questo portale il decreto 11 luglio 2011 del Tribunale di Milano).
La nuova formulazione, introdotta in sede di conversione del c.d. “Decreto sviluppo”, recita così: «All'articolo 3, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, le parole: “qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata” sono sostituite con le seguenti: “quando sussistano prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali”. L'articolo 3 della citata legge n. 223 del 1991, come da ultimo modificato dal presente comma, è abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2016».
Tale decreto avrà valore per tale parte sino al 31 dicembre 2015, atteso che la L. 92 del 28 giugno 2012 prevede, comunque, l'abrogazione dell'art. 3 e l'intervento della CIGS a far data dal 1° gennaio 2016.
È del tutto evidente che la norma, così come riscritta, impone al Curatore, nell'attesa di emanazione dei “parametri oggettivi”, scelte precise: sin dal momento della nomina il Curatore dovrà dire se l'azienda “potrà ripartire”, perché solo a queste condizioni potrà chiedere l'intervento della CIGS.
Ciò, almeno, sino a quando saranno resi noti i “parametri oggettivi” che saranno emanati dal Ministero.
Ove il Curatore ritenesse sin da subito che l'azienda non possa proseguire la sua attività, allo stesso non resterà che esperire, immediatamente, la procedura di licenziamento collettivo: in particolare il Curatore procederà al licenziamento collettivo con riconoscimento dell'indennità sostitutiva del preavviso, fors'anche in prededuzione, atteso che non sarà possibile intimare il licenziamento in costanza di CIGS.
Così operando, peraltro, si perderanno anche know-how importanti, perché i lavoratori dotati di maggior professionalità se ne andranno immediatamente: si arriverà al paradosso che la vendita dell'azienda non si potrà fare perché si saranno disperse le migliori competenze?
Inoltre, nell'ipotesi del ricorso alla procedura di licenziamento collettivo, il Curatore dovrebbe/potrebbe operare la sospensione del rapporto di lavoro ex art. 72 l. fall., con ovvie problematiche sotto il profilo sindacale e gestionale, atteso che i lavoratori resterebbero per qualche mese senza alcuna provvidenza economica, anche in conseguenza dei tempi necessari per esperire l'intera procedura di licenziamento collettivo, come prevista agli artt. 4 e 24 della L. 223/91.
Se si pensa che gli interventi modificativi sono stati voluti da una maggioranza parlamentare che manifestava la volontà di rendere meno dura la c.d. riforma Fornero, ci pare che il rammendo sia peggio …. del buco…
Infatti, senza l'intervento correttivo, la riforma avrebbe spiegato i suoi effetti solo a far data dal 1° gennaio 2016, così da consentire l'utilizzo dell'ammortizzatore sociale (CIGS) nel corso del prossimo triennio, che, a giudicare dall'andamento economico, vedrà senz'altro l'aumento delle dichiarazioni di fallimento.
L'intervento riformatore apre altresì nuove ed interessanti problematiche in relazione ai concordati preventivi.
La norma, infatti, fa espresso ed esclusivo riferimento al concordato preventivo consistente nella cessione dei beni.
Pare quindi allo scrivente che, in ipotesi di concordato ex art. 186-bis l. fall. (ovviamente per imprese aventi diritto al trattamento di CIGS per requisiti oggettivi e soggettivi) l'eventuale necessità di ricorso alla CIGS possa essere attivata ai sensi dell'art. 1 della L. 223/91 e dei decreti attuativi, attualmente in vigore.
In concreto, quindi, si dovrà procedere con la predisposizione del piano di gestione degli esuberi, che sarà vagliato dai competenti Organi Ministeriali, introducendo, in questo modo, delle variabili non di poco conto:
a) per i Professionisti che assisteranno le società nella fase di ammissione alle procedure concorsuali;
b) per il Commissario e per il Giudice Delegato;
c) per i creditori che dovranno esprimersi in sede di votazione.

P.S. Una domanda per il Governo “tecnico”: l'abolizione dell'art. 3 comporterà il pagamento per le procedure fallimentari del contributo ASPI come per i normali datori di lavoro?

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