Conseguenze della mancata approvazione della proposta di concordato preventivo

Mauro Vitiello
06 Giugno 2012

La mancata approvazione della proposta rappresenta una delle cause tipiche di arresto della procedura concordataria, cui non consegue più l'automatica declaratoria di fallimento ma, a seconda dei casi, il ritorno in bonis del debitore in crisi o l'attivazione del procedimento prefallimentare.

La mancata approvazione della proposta rappresenta una delle cause tipiche di arresto della procedura concordataria, cui non consegue più l'automatica declaratoria di fallimento ma, a seconda dei casi, il ritorno in bonis del debitore in crisi o l'attivazione del procedimento prefallimentare.
Solo in quest'ultimo caso, sussistendo i presupposti del fallimento, l'interruzione del concordato coinciderà con la dichiarazione di fallimento.

Nell'ipotesi di omesso raggiungimento della maggioranza o, in caso di concordato con classi, delle maggioranze previste per l'approvazione della proposta concordataria, il giudice delegato deve farne immediata relazione al tribunale, perché quest'ultimo provveda secondo quanto previsto dall'art. 162, comma 2, l. fall.
Il tribunale mantiene peraltro uno spatium deliberandi per l'accertamento dell'effettivo mancato raggiungimento della maggioranza richiesta per l'approvazione della proposta concordataria, spettandogli la verifica della regolarità delle operazioni di svolgimento della votazione, dell'esattezza dei calcoli, dell'effettiva esistenza dei crediti considerati dal commissario giudiziale ai fini della votazione.
Nei concordati con classi distinte di creditori, il tribunale deve controllare altresì se il mancato raggiungimento delle maggioranze dipenda, eventualmente, dall'inserimento di uno o più creditori in classi diverse da quelle in cui avrebbero dovuto essere ricompresi, tenuto conto del criterio di aggregazione utilizzato dal debitore in concordato.
Dalla mancata approvazione della proposta concordataria a causa del mancato raggiungimento della maggioranza dei crediti può discendere, specie in mancanza di ricorsi di fallimento presentati dai creditori prima del deposito della domanda di concordato, la necessità, per il tribunale, di trasmettere gli atti al P.M., perché quest'ultimo valuti se presentare richiesta di fallimento.
Tale necessità si verifica nel caso in cui il tribunale stesso ritenga che lo stato di crisi della società debitrice coincida con lo stato di insolvenza, donde la possibilità di segnalare quest'ultimo, secondo quanto previsto dall'art. 7, n. 2, l. fall.
Nel caso in cui l'arresto della procedura di concordato determini la dichiarazione di fallimento, il decreto d'improcedibilità per mancata approvazione della proposta deve essere emesso contestualmente alla sentenza di fallimento, all'esito del procedimento disciplinato dall'art. 15 l. fall., come desumibile dall'espresso richiamo che l'art. 179 opera all'art. 162, comma 2, l. fall.
Da tale necessaria contestualità dei due distinti provvedimenti discende quindi che, una volta recepita la relazione del giudice delegato in merito al mancato raggiungimento della maggioranza, il tribunale debba emettere un provvedimento, di natura interlocutoria, di semplice accertamento della causa di improcedibilità (non quindi il decreto di improcedibilità del concordato) e contestualmente disporre la fissazione di un'udienza di comparizione del debitore, così introducendo il procedimento, disciplinato dall'art. 15 l. fall., per l'accertamento dei presupposti del fallimento.
Poichè tra i presupposti della dichiarazione di fallimento c'è anche quello processuale dell'iniziativa di una parte, il fallimento non può essere dichiarato in mancanza di ricorsi da parte di creditori, del ricorso in proprio dello stesso debitore o della richiesta del P.M.
Fino alla pronuncia della sentenza di fallimento, che per le ragioni esposte resta un'eventualità, la procedura di concordato resta aperta, con le logiche conseguenze quanto alla permanenza dei poteri del commissario giudiziale e all'impossibilità, per l'imprenditore, di disporre del patrimonio e amministrare l'impresa al di fuori dei limiti dettati dall'art. 167 l. fall.
Per ragioni di speditezza, deve considerarsi opportuno che l'udienza per l'apertura dell'istruttoria prefallimentare venga fissata nel decreto stesso che accerta il verificarsi della mancata approvazione della proposta concordataria.
Nel caso di mancata presentazione di ricorsi o della richiesta del P.M. diretti ad ottenere il fallimento, il tribunale deve limitarsi ad emettere il decreto di improcedibilità, con conseguente ritorno in bonis del debitore in concordato, che da quel momento perde l'effetto protettivo previsto dall'art. 168 l. fall. e, per contro, riacquista la piena libertà di disporre del suo patrimonio e di esercitare l'impresa senza la vigilanza del commissario giudiziale.
Verificatasi tale situazione, i creditori possono quindi nuovamente aggredire il suo patrimonio con azioni esecutive individuali o con richieste dirette ad ottenere misure cautelari patrimoniali; il debitore, a sua volta, ha facoltà di proporre una nuova e diversa proposta di concordato.
Nulla esclude che sopravvengano ricorsi di fallimento e che intervenga quindi, in caso di loro accoglimento, una nuova apertura del concorso dei creditori, ma lo iato esistente, in tal caso, tra l'arresto della procedura di concordato e la dichiarazione di fallimento esclude che sia ravvisabile il fenomeno della consecuzione delle procedure, utile per la retrodatazione del termine iniziale del c.d. periodo sospetto e per il riconoscimento della prededuzione ai crediti sorti in occasione o in funzione della precedente procedura di concordato interrotta.

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