Prime riflessioni sulla composizione della crisi per sovraindebitamento e sugli organismi per la composizione della crisi
04 Gennaio 2012
Con il D.L. 22 dicembre 2011 n. 212, pubblicato lo stesso giorno sulla G.U., il governo ha introdotto una nuova disciplina per la soluzione - mediante ristrutturazione dei debiti - delle crisi da sovraindebitamento a favore anche dei soggetti non fallibili, demandando ad appositi organismi l'ausilio per la composizione della crisi.
I soggetti interessati sono tutte le persone fisiche e giuridiche escluse dal fallimento, quindi tutti coloro che non esercitano attività d'impresa, o che non svolgano attività d'impresa commerciale o che, pur svolgendola, non abbiano raggiunto nell'ultimo triennio uno dei seguenti parametri: trecento mila euro di attivo patrimoniale, duecento mila euro di ricavi o cinquecentomila euro di debiti. Il decreto consente l'accesso alla ristrutturazione anche al consumatore, rinviando per la sua definizione al “codice del consumo” di cui al d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206. Con questo provvedimento l'ordinamento italiano si adegua a quanto già esiste da tempo in molti Paesi esteri, ove è ammessa la possibilità di una soluzione concordata della crisi per i soggetti non imprenditori, con riferimento in particolare ai consumatori e ai piccoli imprenditori non soggetti al fallimento. Nell'ordinamento italiano, la mancata previsione di una “procedura concorsuale” o “concordata” per tali soggetti penalizzava di fatto queste categorie, poiché rimanevano esposte ad azioni individuali senza limiti temporali, e senza la possibilità di fruire - secondo determinate condizioni - di una totale esdebitazione. Il provvedimento legislativo, quindi, non ha solo la finalità di deflazione delle liti giudiziarie, ma rende anche giustizia a categorie di debitori che, successivamente alla riforma della legge fallimentare, risultavano penalizzate da una non più comprensibile disparità di trattamento rispetto ai soggetti fallibili, essendo prevista dopo la chiusura del fallimento, solo per il fallito meritevole, la procedura di esdebitazione. Si era quindi determinata la situazione paradossale per cui il soggetto fallibile aveva una prospettiva di definizione tombale delle proprie pendenze con i creditori, anche se non completamente soddisfatti, mentre questo risultato non si rendeva praticabile in alcun modo per i soggetti non fallibili, la cui unica soluzione rimaneva la piena soddisfazione dei creditori o la rinuncia di questi a far valere i propri diritti di credito. Lo strumento tecnico previsto per la soluzione della crisi è un accordo di ristrutturazione dei debiti che accolga il consenso di creditori rappresentanti almeno il 70% dei crediti (o il solo 50% per i casi di sovraindebitamento del consumatore). Lo schema, a grandi linee, ricalca le previsioni indicate nell'art. 182-bis l. fall., secondo le quali il piano di ristrutturazione deve accogliere il consenso di creditori titolari almeno del 60% dei crediti e consentire il regolare pagamento dei creditori estranei agli accordi. Pertanto il piano non necessariamente dovrà essere rivolto a tutti i creditori, ma potrà riguardare solo una parte - purché consistente - di essi. Il decreto prevede inoltre, diversamente che per l'accordo di cui all'art. 182-bis, che per i creditori estranei possa essere prevista una moratoria dei pagamenti fino ad un anno. Novità assoluta è poi l'entrata in scena degli “organismi di composizione della crisi”, che aiuteranno il debitore nella predisposizione di una proposta di accordo da depositare presso il Tribunale competente. Gli organismi potranno essere costituiti da Enti pubblici (che comunque per operare dovranno attendere il regolamento ministeriale attuativo), da organismi di mediazione già esistenti presso le Camere di commercio, dagli ordini professionali degli Avvocati, dei Commercialisti ed esperti contabili e dei Notai, che potranno essere iscritti di diritto nell'apposito albo, a semplice richiesta. La norma transitoria prevede inoltre che potranno svolgere le funzioni dell'organismo i professionisti, nominati dal Presidente del Tribunale, che abbiano i requisiti di cui all'art. 28 l. fall. (coloro che possono assumere la funzione di curatore fallimentare) e notai. Il legislatore, con la previsione dell'organismo, ha di fatto imposto un “ausilio” tanto al debitore, quanto alla procedura stessa, non avendo il debitore quei requisiti di “professionalità” propri invece dell'imprenditore, come definito all'art. 2082 c.c., che gli consentano di poter di svolgere in autonomia le funzioni previste nella legge fallimentare senza la necessità di un aiuto professionale. L'altra figura che il decreto ha previsto è quella del liquidatore dei beni sottoposti al pignoramento, al fine di garantire la regolare esecuzione sui beni per la soddisfazione dei creditori. Quanto alle funzioni dell'organismo, a una prima lettura della norma sembrano essere tre: 1) quella professionale “necessaria”, nuova nel panorama delle procedure concorsuali, di ausiliatore per la predisposizione del piano; 2) quella di attestatore della veridicità dei dati contenuti nella proposta e della fattibilità del piano; 3) quella di interlocutore del giudice, funzione similare a quella del commissario giudiziale nel concordato preventivo. In sostanza, il legislatore ha voluto economizzare i costi della procedura supponendo che le dimensioni patrimoniali del debitore siano in questo caso più modeste rispetto a quelle dell'imprenditore. Prima facie non si ravvedono i presupposti di una possibile incompatibilità nella triplice funzione, in quanto i soggetti qualificati a svolgere la funzione di “organismo” sono di emanazione pubblica e quindi appaiono geneticamente indipendenti dal debitore proponente. Escludendo i singoli professionisti (fatta eccezione per quelli nominati transitoriamente dal Presidente del Tribunale) e gli organismi di mediazione che non siano quelli già esistenti presso le Camere di commercio, il legislatore ha voluto rivestire del carattere di terzietà assoluta la funzione dell'organismo. Quindi anche la funzione ausiliatrice per la predisposizione del piano si dovrà limitare ad una mera funzione tecnica, non fiduciaria. Si ritiene, tuttavia, che l'organismo possa svolgere, nell'interesse del piano, anche una funzione preliminare di mediazione tra gli interessi dei creditori e quelli del debitore, nel contesto patrimoniale in cui versa, essendo l'organismo di mediazione, e quindi il mediatore, figura terza rispetto anche alla parte che lo designa. L'organismo va quindi considerato una figura che svolge pubbliche funzioni? Dalle prime indicazioni normative parrebbe proprio di sì. Tuttavia sarebbe opportuno che il legislatore, in sede di conversione in legge, precisasse meglio la circostanza, anche in considerazione degli obblighi che derivano al pubblico ufficiale dal venire a conoscenza di eventuali fatti di rilievo penale. |