L’esaustività della relazione esclude l’imputazione del commissario giudiziale

La Redazione
22 Marzo 2016

I reati di omessa denunzia e favoreggiamento non possono essere configurati in capo al commissario giudiziale in relazione alle condotte distrattive poste in essere dagli amministratori della società, laddove la relazione redatta ai sensi dell'art. 172 l. fall. contenga un'esaustiva valutazione dei potenziali rischi derivanti dai comportamenti di questi ultimi, la cui rilevanza penale sia emersa in un secondo momento.

I reati di omessa denunzia e favoreggiamento non possono essere configurati in capo al commissario giudiziale in relazione alle condotte distrattive poste in essere dagli amministratori della società, laddove la relazione redatta ai sensi dell'art. 172 l. fall. contenga un'esaustiva valutazione dei potenziali rischi derivanti dai comportamenti di questi ultimi, la cui rilevanza penale sia emersa in un secondo momento. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11921/2016.

Il caso - Il gup del Tribunale di Roma, nell'ambito di un processo riguardante la bancarotta fraudolenta contestata agli amministratori una s.p.a. dichiarata fallita, assolveva il commissario giudiziale nominato nella precedente procedura di concordato preventivo dalle imputazioni di omessa denunzia di reato ex art. 361 c.p. e di favoreggiamento reale “perché il fatto non costituisce reato”.
Nel dettaglio, al commissario veniva rimproverata l'omissione di ogni riferimento alle condotte distrattive degli amministratori nella relazione redatta ai sensi dell'art. 172 l. fall., condotta che avrebbe consentito agli stessi di assicurarsi il profitto dell'illecito.
Per la cassazione della pronuncia ricorreva il p.m. deducendo la violazione dell'art. 236, comma 2, nonché degli artt. 172, 173 e 175 l. fall.

La rilevanza delle condotte distrattive - Il Collegio rileva l'infondatezza delle censure confermando le argomentazioni addotte dalla sentenza impugnata. Il gup aveva infatti correttamente escluso la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di omessa denunzia, in quanto la rilevanza penale delle condotte degli amministratori della società era emersa solo in un momento successivo alla relazione redatta dal commissario giudiziale. La S. Corte ha sottolineato inoltre come la costante giurisprudenza affermi che, nel caso in cui all'ammissione alla procedura concordataria segua la dichiarazione di fallimento, la diversità tra le due procedure impedisce di attribuire alle stesse la medesima connotazione e di configurare un assorbimento cronologico del fallimento nel concordato. Nessun dubbio sussiste dunque sulla rilevanza ex art. 236, comma 2, l. fall. delle condotte distrattive poste in essere prima dell'ammissione al concordato preventivo, circostanza difatti non trascurata dall'imputato che, nella propria relazione, dava atto della complessità delle operazioni poste in essere dagli organi direttivi e dei potenziali rischi conseguenti.
L'art. 172 l. fall. impone infatti al commissario la redazione dell'inventario e della relazione sulla condotta del debitore, sulle cause del dissesto, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, ad esclusione dunque di una prognosi circa la rilevanza penale delle condotte poste in essere dal debitore stesso.

Escluso il favoreggiamento - Le medesime argomentazioni escludono la fondatezza della censura relativa all'imputazione per il reato di favoreggiamento reale. Il pm ricorrente sosteneva che l'imputato avrebbe aiutato gli amministratori ad assicurarsi il profitto della distrazione omettendo nella propria relazione la menzione dei cespiti attivi.
Premettendo che l'elemento soggettivo del reato di favoreggiamento si sostanzia in qualsiasi comportamento idoneo a far definitivamente conseguire al favorito il provento dell'attività criminosa, il gup ne aveva correttamente escluso la sussistenza in quanto, come già affermato per la precedente censura, i fatti distrattivi si sono rivelati solo successivamente alla redazione della relazione del commissario giudiziale, escludendone ogni responsabilità.
In conclusione, la Corte di Cassazione nega ogni censura alla motivazione della sentenza impugnata e rigetta il ricorso.

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