Il curatore, per promuovere il procedimento di fallimento in estensione nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art. 147, comma 4, l. fall., non è obbligato a munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato. Peraltro, la mera attestazione del giudice della mancanza di fondi, a seguito dell'istanza con cui il curatore gli rappresenta che il fallimento non dispone della liquidità necessaria a sostenere le spese del processo, deve essere intesa come contestuale, implicita autorizzazione alla costituzione in quel processo. E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12947, depositata lo scorso 9 giugno.
Il curatore, per promuovere il procedimento di fallimento in estensione nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art. 147, comma 4, l. fall., non è obbligato a munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato. Peraltro, la mera attestazione del giudice della mancanza di fondi, a seguito dell'istanza con cui il curatore gli rappresenta che il fallimento non dispone della liquidità necessaria a sostenere le spese del processo, deve essere intesa come contestuale, implicita autorizzazione alla costituzione in quel processo. E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12947, depositata lo scorso 9 giugno.
Il caso. Due soci illimitatamente responsabili di una società di fatto impugnano la sentenza del Tribunale con la quale sono stati dichiarati falliti, ex art. 147 l. fall. La Corte d'Appello accoglie il reclamo, ritenendo fondata l'eccezione di difetto di legittimazione processuale del curatore a domandare il fallimento in estensione, non avendo ottenuto l'autorizzazione del giudice delegato. La sentenza d'appello veniva, quindi, impugnata dai due soci. L'autorizzazione è implicita nell'attestazione del giudice alla mancanza di fondi. La Cassazione accoglie il ricorso, rilevando, in primo luogo, come la corte territoriale abbia errato nel ritenere il decreto emesso dal G.D., ex art. 144 d.p.r. n. 115/2002 quale provvedimento fine a se stesso, non implicante alcuna valutazione della legittimità del procedimento promosso dal curatore. Al contrario, ritiene la S.C., “la mera attestazione del G.D. della mancanza di fondi, che fa seguito all'istanza con cui il curatore gli rappresenta che il fallimento non dispone della liquidità necessaria a sostenere le spese del processo, va interpretata quale contestuale, implicita autorizzazione alla costituzione in quel processo”. La mancanza dell'autorizzazione del giudice è un vizio sanabile. In ogni caso, la mancanza dell'autorizzazione del giudice delegato si risolve in un difetto di legittimazione processuale del curatore, sanabile in ogni momento, con efficacia retroattiva anche per i precedenti gradi di giudizio: il giudice che rilevi tale vizio ha l'obbligo di assegnare un termine al curatore per la sanatoria e non può emettere una pronuncia di rigetto, se non allo spirare di tale termine perentorio. Il curatore può richiedere il fallimento in estensione anche senza autorizzazione del G.D. Ma il nucleo centrale della pronuncia è l'obiter dictum in cui la Corte rileva come il curatore, per promuovere il procedimento ex art. 147, comma 4, l. fall. relativo al fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili, non è obbligato a munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato: questa, infatti, costituisce un controllo della legittimità, e non anche del merito, dell'iniziativa del curatore, ed è evidente come tale controllo non sia necessario allorchè l'iniziativa sia doverosa e la legittimazione del curatore sia prevista dalla legge. Inoltre, la superfluità dell'autorizzazione deriva anche dalla lettera della legge, laddove l'art. 25, n. 6) l. fall. la prevede espressamente quando il curatore debba stare in giudizio “come attore o convenuto”, mentre il procedimento per la dichiarazione di fallimento in estensione non è riducibile ad un processo contenzioso, tra parti contrapposte.
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