Rapporti tra procedure concorsuali volontarie

Sergio Nadin
11 Marzo 2016

In pendenza di un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ma non eseguito se non in minima parte, alcuni dei creditori non aderenti, non soddisfatti nei termini di legge, depositano istanza di fallimento. Il debitore, all'ultimo, prima dello scioglimento della riserva assunta in sede prefallimentare, deposita proposta di concordato preventivo liquidatorio. Il tribunale dichiara l'inammissibilità della proposta di concordato, stante la pendenza di altra procedura volontaria di soluzione della crisi (accordi di ristrutturazione omologati) e dichiara il fallimento.

In pendenza di un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ma non eseguito se non in minima parte, alcuni dei creditori non aderenti, non soddisfatti nei termini di legge, depositano istanza di fallimento. Il debitore, all'ultimo, prima dello scioglimento della riserva assunta in sede prefallimentare, deposita proposta di concordato preventivo liquidatorio. Il tribunale dichiara l'inammissibilità della proposta di concordato, stante la pendenza di altra procedura volontaria di soluzione della crisi (accordi di ristrutturazione omologati) e dichiara il fallimento. La Corte di appello, però, sostiene: “La decisione del Tribunale (che ha ritenuto inammissibile la domanda di ammissione al concordato preventivo proposta dopo l'intervenuta omologa della procedura di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis LF in ragione di una preclusione automatica) non appare condivisibile perché, ai fini del giudizio di inammissibilità, non può prescindersi comunque dalla verifica in concreto se la domanda di concordato preventivo sia stata proposta non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento”. Nessun cenno alla pendenza di svariate istanze di fallimento depositate poco dopo lo scadere dei 120 giorni in cui il debitore avrebbe dovuto saldare i non aderenti. Ritengo che una procedura volontaria quale quella degli accordi di ristrutturazione dei debiti sia preclusiva di ulteriori proposte concorsuali volontarie quale è il concordato preventivo. Cosa ne pensate?

RIFERIMENTI NORMATIVI – L'art. 182-bis della legge fallimentare (rubricato “Accordi di ristrutturazione dei debiti”) prevede che “L'imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all'articolo 161, l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini: a) entro centoventi giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione”.

OSSERVAZIONI - Nel caso in questione, il debitore rimaneva inadempiente agli obblighi previsti dal piano previsto dall'accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis l. fall., non avendo pagato i creditori non aderenti nei termini di legge. I creditori, conseguentemente, ritenevano che la procedura fallimentare potesse tutelare meglio le loro ragioni di credito, e depositavano un'apposita istanza volta alla declaratoria di fallimento del debitore inadempiente al piano.
L'istanza di fallimento determinava l'inizio della fase prefallimentare, volta ad accertare la sussistenza dei presupposti di fallibilità e le condizioni previste dalla normativa per la declaratoria di fallimento, fase in cui il debitore presentava domanda di concordato.
Ci si interroga, quindi, se l'ammissibilità del concordato proposto possa essere compromessa dal contesto in cui è stata presentata la domanda stessa.
Va, innanzitutto, premesso come l'accordo di ristrutturazione sia considerato dalla giurisprudenza e dalla maggior parte della dottrina uno strumento di composizione della crisi distinto rispetto al concordato, avendo natura negoziale alternativa ed autonoma (cfr. tra gli altri Tribunale Bari 21/11/2005, Tribunale Milano 24 gennaio 2007).
L'accordo di ristrutturazione, previsto dall'art. 182-bis l. fall., consiste in un vero e proprio contratto che il debitore raggiunge con i propri creditori (o almeno con parte di essi), in assenza di qualsivoglia interferenza da parte di organi giudiziari e senza il necessario rispetto del principio della par conditio creditorum.
La normativa fallimentare non pone alcun limite ai possibili contenuti dell'accordo in questione, potendo l'autonomia negoziale delle parti spingersi sino a dilazionare l'adempimento dell'obbligazione in modo diverso rispetto a quello previsto dal contratto originario, ovvero pattuendo una soddisfazione parziale dei crediti originariamente previsti.
Secondo la dottrina maggioritaria, l'accordo ex art. 182-bis l. fall. non rientra nel novero delle procedure concorsuali, stante le sue specifiche caratteristiche che lo contraddistinguono rispetto agli altri istituti previsti dalla normativa fallimentare, quali: 1) l'assenza di una procedimentalizzazione ovvero di un provvedimento di apertura; 2) l'assenza di organi preposti a sorvegliare la procedura, come ad esempio il giudice delegato, il comitato dei creditori ecc.; 3) la mancata regolamentazione del dissento, dal momento che non tutti i creditori devono necessariamente essere coinvolti nell'accordo; 4) non si verifica alcuna forma di spossessamento, neppure attenuato del patrimonio dell'imprenditore, dal momento che i suoi atti non subiscono alcun vincolo e nessun controllo (in questo senso, anche la giurisprudenza di merito, v. Corte Appello Torino, Sentenza 3/08/2015).
Approfondendo il tema della causa dell'accordo di ristrutturazione, essa si ritrova nello scopo di governare il conflitto generato dal concorrere di diverse e spesso numerose pretese creditorie nei confronti di un unico patrimonio, il quale ultimo, dato lo stato di crisi, non è sufficientemente capiente. Mentre tale conflitto, nelle procedure concorsuali, viene risolto privando il debitore dell'autonomia decisionale in merito alle scelte d'impresa, che, in caso di fallimento, viene ad essere liquidata fino alla soddisfazione delle pretese creditorie secondo il principio della par conditio, nell'accordo di ristrutturazione sono i patti conclusi tra il debitore ed i creditori a regolare la composizione della crisi.
All'interno di tale contesto, il ruolo dell'omologazione dell'accordo da parte del tribunale competente ha il precipuo fine di assegnare una peculiare stabilità agli atti eseguiti in funzione dello stesso, nel senso che gli effetti dei patti raggiunti ai fini della regolamentazione del dissesto non potranno essere posti nel nulla a seguito di un'azione revocatoria (ex art. 67 l. fall.), né potranno essere considerati quali atti integranti ipotesi di bancarotta.
Affinché l'accordo possa essere omologato è necessario che trovi l'assenso dei creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, nonché l'attestazione da parte di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) in merito alla veridicità dei dati aziendali e all'attuabilità dell'accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei all'accordo medesimo entro 120 giorni dall'omologazione (nel caso di crediti già scaduti a quella data) ovvero entro 120 giorni dalla scadenza (nel caso in cui il termine per il pagamento sia successivo all'omologazione).
Nel caso in cui il debitore si mostri inadempiente agli impegni assunti con l'accordo ex art. 182-bis l. fall., i creditori non aderenti hanno a disposizione tutto l'armamentario previsto dal diritto comune a tutela dell'inadempimento delle obbligazioni, potendo certamente, nel caso si manifesti l'insolvenza, chiedere anche il fallimento del debitore. In merito, la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito come il divieto previsto dall'art. 182-bis l. fall. per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari in fase di accordo, non implica la sospensione della procedura prefallimentare, stante il fatto che, da un lato, il procedimento prefallimentare non ha natura esecutiva e cautelare, ma natura cognitiva piena, e, dall'altro, la menzionata interpretazione non sarebbe coerente con il sistema, che non consente la sospensione ex art. 295 c.p.c. della procedura prefallimentare a seguito della presentazione di una domanda di concordato preventivo (Cassazione Civile, Sez. I, 06/11/2013, n. 24969).
Così interpretata la natura dell'accordo di ristrutturazione e il suo ruolo rispetto alle procedure concorsuali, nonché lo scopo a cui risponde il giudizio di omologazione, pare potersi condividere la decisione della Corte d'Appello, laddove, in disaccordo con il giudice di prime cure, ha escluso che l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione possa precludere l'ammissione di una domanda di concordato proposta in fase prefallimentare.
Dal momento, infatti, che l'accordo di ristrutturazione deve essere considerato quale regolamento negoziale volto al componimento della crisi e, come tale, non rientrante tra le procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare, non vi sono ragioni implicanti l'inammissibilità di un concordato proposto dopo la conclusione di patti intercorsi tra debitore e creditori. Il naufragio di tali accordi, in cui i creditori aderenti riconsiderano le proprie pretese creditorie per permettere all'impresa di scongiurare il dissesto, come può determinare l'apertura della procedura fallimentare, può anche innescare il meccanismo concordatario, anch'esso volto alla soddisfazione concorsuale di tutti i creditori.
Va, ad ogni modo, rilevato che, qualora in fase prefallimentare venga proposta una domanda di ammissione alla procedura per concordato, il giudice ha il compito di escludere l'ammissibilità dell'istanza laddove essa esprima un proposito meramente dilatorio e manifesti un abuso del diritto del debitore (Cassazione Civile, Sez. I, 24/10/2012, n. 18190; ma cfr. soprattutto la recente Cass. SSUU, 15 maggio 2015, n. 9935).
Conseguentemente, sebbene non vi siano ragioni per escludere l'ammissibilità di una proposta di concordato avanzata in fase prefallimentare, il giudizio del tribunale in merito all'abuso del concordato preventivo non potrà non tenere conto del fatto che la strada della composizione della crisi tramite una procedura negoziale è già stata tentata, dovendo, quindi, il decidente trarre le proprie conclusioni considerando anche l'inadempimento del debitore in tale circostanza.

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