Compenso da restituire al soggetto fallito: l’assicurazione non deve risarcire l’avvocato
02 Settembre 2015
Il rischio assicurato deve essere inteso come il danno che il professionista può cagionare a terzi o al proprio cliente per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività forense, o ad essa connessi. Pertanto, l'obbligazione di restituzione del compenso percepito – conseguente all'accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali e della responsabilità per questo danno – non può ritenersi coperta dall'assicurazione professionale dell'avvocato. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17346/15, depositata il 31 agosto. Il caso - Un avvocato, convenuto in giudizio con azione revocatoria fallimentare da una s.r.l. in amministrazione straordinaria - che chiedeva di veder dichiarati inefficaci i pagamenti eseguiti in suo favore per prestazioni professionali -, oltre a chiedere il rigetto della domanda attrice, chiamava in garanzia la propria compagnia assicurativa, chiedendone la condanna a tenerlo indenne dell'eventuale debito di restituzione in favore dell'attrice. Il rischio assicurato è solo quello connesso all'esercizio dell'attività professionale La decisione degli Ermellini si fonda sull'analisi del primo motivo di censura proposto dal ricorrente, con il quale il professionista lamentava che i giudici di merito avevano omesso di considerare come coperto dall'assicurazione il pregiudizio derivante dal sopravvenuto obbligo di restituzione del compenso percepito per prestazioni professionali. Secondo il legale, infatti, l'obbligazione di restituzione del compenso percepito - conseguente all'accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali e della responsabilità per questo danno - deve ritenersi coperta dall'assicurazione, dal momento che la percezione del compenso è un momento essenziale dell'attività professionale. La ricezione del pagamento non dà luogo a responsabilità professionale - Non solo: il Supremo Collegio ha ulteriormente precisato che il comportamento di chi riceve un pagamento, a qualsiasi titolo, è del tutto generico, e non può essere considerato prestazione d'opera intellettuale né dar luogo a una responsabilità professionale. Nel caso di specie, infatti, il ricorrente è stato chiamato alla restituzione in quanto creditore, e non in quanto professionista, mentre il rischio assicurato dalla compagnia è solo quello derivante dall'esercizio dell'attività professionale. Pertanto, poiché l'infondatezza del primo motivo di ricorso sollevato dal ricorrente rende del tutto irrilevanti le altre censure mosse, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal legale. (Fonte: www.dirittoegiustizia.it) |