Durata della procedura fallimentare: le modifiche alla legge Pinto apportate dal Decreto Sviluppo non sono retroattive

La Redazione
14 Maggio 2015

In tema di ragionevole durata dei processi e di equa riparazione del danno, le disposizioni introdotte dal Decreto Sviluppo per modificare la c.d. Legge Pinto non sono retroattive: per le controversie iniziate prima dell'entrata in vigore della legge di conversione continua dunque ad applicarsi la disciplina previgente. Lo ha ribadito al Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9452 dell'11 maggio scorso.

In tema di ragionevole durata dei processi e di equa riparazione del danno, le disposizioni introdotte dal Decreto Sviluppo per modificare la c.d. Legge Pinto non sono retroattive: per le controversie iniziate prima dell'entrata in vigore della legge di conversione continua dunque ad applicarsi la disciplina previgente. Lo ha ribadito al Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9452 dell'11 maggio scorso.

Il caso. A quasi vent'anni dall'apertura di una procedura fallimentare, i creditori chiedevano la condanna del Ministero della giustizia all'equa riparazione, per l'irragionevole durata del fallimento. La Corte d'Appello accoglieva la domanda e liquidava il danno, ma i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione, lamentando l'errata applicazione della nuova disciplina introdotta dal c.d. Decreto Sviluppo.

L'irragionevole durata del processo e l'equa riparazione del danno. L'art. 2 della legge n. 89 del 2001 (c.d. Legge Pinto) stabiliva che chi ha subito un danno, derivante dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata dei procedimenti, ha diritto al risarcimento – ad un'equa riparazione.
Il principio della ragionevole durata del processo, sancito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha trovato una puntuale applicazione da parte della giurisprudenza comunitaria e nazionale, che ha contribuito a definirne i contenuti.
Con specifico riferimento a quale debba essere la durata ragionevole di un processo, le pronunce di legittimità si sono, negli anni, assestate su un termine di cinque anni per le procedure concorsuali di particolare complessità, elevabili a sette anni in casi di particolari complessità.

Le modifiche alla legge Pinto del 2012. Il c.d. Decreto Sviluppo, art. 55 d.l. n. 83/12, convertito in l. n. 134/12, ha modificato la legge Pinto, fissando normativamente i termini di durata ragionevole dei processi: si legge, infatti, all'art. 2, comma 2-bis, che “si considera rispettato il termine ragionevole se […] la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni”.

Le nuove norme non sono retroattive. Queste nuove norme si applicano ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione; non sono, invece, applicabili ratione temporis alla controversia in esame: la Cassazione, accogliendo il ricorso, afferma che ha errato il giudice di merito a fondare la propria decisione sul Decreto Sviluppo, invece di fare applicazione della norma previgente e, dunque, del termine di durata ragionevole fissato dalla giurisprudenza.
D'altronde, precisa la S.C., alle disposizioni introdotte nel 2012 non può riconoscersi “natura di norme di interpretazione autentica” e, dunque, esse non possono essere applicate retroattivamente.

Sul quantum. Anche con riferimento alla quantificazione del danno le modifiche introdotte dal Decreto Sviluppo non sono applicabili retroattivamente. Se il nuovo art. 2-bis stabilisce che “i giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro, per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo”, precisando che la misura dell'indennizzo non può comunque “essere superiore al valore della causa”, per le cause anteriori alla sua entrata in vigore la liquidazione dell'indennizzo continua ad avvenire sulla base della disciplina previgente: per pacifica giurisprudenza, il giudice nazionale è tenuto a uniformarsi ai parametri di liquidazione elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. La quantificazione del danno non patrimoniale, dunque, di regola consiste in € 750 per ogni anno di ritardo, peri primi tre anni, e in € 1000 per quelli successivi. Tuttavia, al giudice è consentito, in caso particolari, discostarsi dai criteri ordinari di liquidazione dell'indennizzo.

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