Revocatoria di rimesse bancarie: lo scoperto del conto non basta per provare la scientia decoctionis della Banca

La Redazione
20 Novembre 2013

Ai fini della revocatoria di rimesse bancarie ex art. 67, comma 2, l. fall., la prova della scientia decoctionis della Banca, incombente sul curatore, non può considerarsi raggiunta solo sulla base della costante scopertura del conto corrente della fallita, perché si tratta di circostanza equivoca, che potrebbe indicare una fiducia della banca nelle capacità economiche del proprio cliente. È il principio espresso dall'ordinanza n. 25952 della Cassazione, depositata il 19 novembre.

Ai fini della revocatoria di rimesse bancarie ex art. 67, comma 2, l. fall., la prova della scientia decoctionis della Banca, incombente sul curatore, non può considerarsi raggiunta solo sulla base della costante scopertura del conto corrente della fallita, perché si tratta di circostanza equivoca, che potrebbe indicare una fiducia della banca nelle capacità economiche del proprio cliente. È il principio espresso dall'ordinanza n. 25952 della Cassazione, depositata il 19 novembre.

Il caso. La curatela di una società fallita proponeva azione revocatoria, ex art. 67, comma 2, l. fall., per far dichiarare inefficaci, nei confronti della massa dei creditori, alcune rimesse solutorie affluite sul conto corrente della società, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava la Banca a restituire l'importo oggetto di revocatoria e la Corte d'Appello confermava la decisione. L'istituto proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

Revocatoria e prova della scientia decoctionis. Presupposto della revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, comma 2, l.fall., è la prova, incombente sul curatore, della conoscenza, da parte della Banca che ha effettuato le rimesse, dello stato di insolvenza della debitrice. La Corte d'Appello ha ritenuto provata questa scientia decoctionis, in via presuntiva, dall'andamento del conto corrente, caratterizzato da costante scopertura, e dal cospicuo indebitamento della società, oltre che da informazioni ricavabili dai sistemi di controllo, quali la Centrale Rischi, di cui dispongono gli istituti di credito.
Per la Cassazione, però, si tratta di argomentazioni astratte e generiche e fondate su elementi probatori privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c. La Corte di merito, insomma, ha tratto la prova del fatto ignorato (la scientia decoctionis), da un fatto ignoto (l'acquisizione, non dimostrata, da parte della Banca di ipotetiche segnalazioni di grave sofferenza del cliente provenienti dalla Centrale Rischi, non provate in corso di causa e di cui pertanto “si ignora non solo il contenuto ma persino l'esistenza”).

La scopertura del conto non prova che la Banca sapeva. La Cassazione precisa anche che la costante scopertura del conto rappresenta, di per sé, una circostanza equivoca che può anche essere “indicativa della fiducia riposta dalla banca nelle capacità economiche del proprio cliente, e che non può costituire elemento presuntivo così grave da fondare da solo la prova della ricorrenza del presupposto soggettivo dell'azione”.
La generica e astratta considerazione della Corte d'Appello, secondo cui la scopertura del conto non può essere considerata espressione di una normale attività commerciale, è inidonea a giustificare la decisione assunta.
Sul tema della prova della scientia decoctionis, in questo portale: Cordopatri, Ancora sulle azioni revocatorie aventi ad oggetto rimesse bancarie in conto corrente; Terenghi, La revocatoria di rimesse bancarie: le questioni controverse tra Curatele e Banche.

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