Corte dei Conti, 28 ottobre 2013, n. 3161. sent.
Se l'eccessiva durata della procedura fallimentare è dovuta alla negligenza del curatore questi, quale organo deputato alla gestione del fallimento, ne dovrà rispondere personalmente.
È questo il principio di diritto sancito dalla Sezione giurisdizionale Sicilia della Corte dei Conti nella sentenza n. 3161 depositata il 28 ottobre 2013.
In primis, la Corte dei Conti afferma la sua giurisdizione nella causa in ragione del rapporto di servizio tra il curatore fallimentare e l'Amministrazione della Giustizia all'interno di una procedura fortemente connotata da profili pubblicistici.
Il giudizio sull'equa riparazione costituisce, infatti, il presupposto, qualora vi sia accoglimento, per un diverso e autonomo giudizio di responsabilità amministrativo – contabile, materia che appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti.
Nel caso di specie, la Corte rileva come l'inerzia del curatore ha protratto la procedura fallimentare per undici anni, quando questa, data la presenza in attivo solamente di pochi beni mobili e la mancanza di aspetti problematici, avrebbe potuto concludersi in un termine di cinque anni se solo il curatore avesse svolto le più elementari attività prescritte dalla legge al fine di liquidare l'attivo e pagare i creditori.
Come si legge chiaramente nella sentenza “le inerzie operative e le condotte poste in essere, conseguenza di un inescusabile difetto di diligenza, hanno avuto una decisiva incidenza sulla produzione del danno, integrando una concausa efficiente e determinante” .
Pertanto il curatore deve rispondere, a titolo di colpa grave, per la sua condotta omissiva non avendo egli adempiuto ai compiti lui spettanti, secondo le disposizioni contenute nella legge fallimentare, tenendo, inoltre, presente che il trascorre del tempo senza alcuna attività da parte dell'organo a ciò preposto ha portato ad un deperimento dei beni mobili presenti nell'attivo fallimentare tale da cagionare danno patrimoniale al fallimento.
La condanna inflitta al curatore consiste nella somma di euro 10.000 da versare in favore del Ministero della Giustizia: a suo carico, infatti, è stato riconosciuto un danno erariale indiretto riconducibile agli esborsi sostenuti dal Ministero della Giustizia per ottemperare alla condanna inflitta, da parte della Corte d'Appello, a favore del fallito, ai sensi della l. 89/2001 (c.d. Legge Pinto) per la non ragionevole durata della procedura fallimentare.