Le novità della riforma estiva in tema di rapporti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari
28 Gennaio 2016
Premessa. La nozione di pendenza contrattuale La miniriforma estiva della legge fallimentaredi cui al D.L. 27 giugno 2015 n. 83 (conv. nellal.6 agosto 2015 n. 132) è intervenuta, tra l'altro, sul tema dei contratti pendenti nel concordato preventivo, apportando significative modifiche all'art.169-bis L. Fall., che disciplina la facoltà del debitore concordatario di chiedere lo scioglimento ovvero la sospensione dei contratti in corso di esecuzione al momento di avvio della procedura. Come noto, la disposizione è stata introdotta dalD.L. 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto “Decreto sviluppo”, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134) al fine di sovvertire la regola preesistente della continuità dei rapporti giuridici nella procedura di concordato preventivo, non espressamente contemplata, ma desumibile dalla mancata previsione dello spossessamento dei beni del debitore nonché dalla conservazione dell'amministrazione e dell'esercizio dell'impresa in capo a questi. Nella formulazione originaria, la rubrica e il primo comma della disposizione facevano riferimento ai “contratti in corso di esecuzione”, attribuendo al debitore la facoltà di chiederne lo scioglimento alla data di presentazione del ricorso. La difformità dell'espressione rispetto a quella impiegata nella rubrica dell'art. 72 L.Fall. - di disciplina degli effetti del fallimento sui contratti preesistenti - ha animato il dibattito in ordine alla possibile diversità degli ambiti di applicazione delle due disposizioni. Una parte della dottrina e della giurisprudenza, indiscussa la portata dell'art. 72 L. Fall. - comprensiva dei soli contratti ineseguiti o, comunque, eseguiti solo parzialmente da entrambi i contraenti al momento della dichiarazione di fallimento - riteneva che l'art. 169-bis L. Fall., nella prima formulazione, consentisse al debitore di chiedere l'autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione dei contratti relativamente ai quali una delle prestazioni fosse stata compiutamente eseguita. Tale orientamento ha tratto origine proprio da controversie aventi ad oggetto contratti bancari e, nello specifico, anticipazioni concesse a fronte di cessione di crediti o mandato all'incasso, ipotesi in cui si è ritenuto che il debitore potesse chiedere lo scioglimento dei contratti pur se la banca avesse provveduto alla erogazione della somma ma non alla riscossione dei crediti (Tribunale di Treviso, 2 febbraio 2015; Corte d'appello di Genova, 10 febbraio 2014). Gli argomenti a favore di suddetta tesi erano molteplici. In primis, facendo leva sulla lettera della legge, si sottolineava come la locuzione “contratti in corso di esecuzione” (di cui all'art. 169-bis L. Fall. ante D.L. 83/2015) esprimesse un concetto diverso da quello cui fa tuttora riferimento la disposizione dettata in tema di fallimento, giacché si limitava a richiedere che almeno una delle prestazioni fosse incompiuta al momento della presentazione dell'istanza di accesso alla procedura e non che entrambe le parti dovessero ancora adempiere; inoltre, si sosteneva che il dato testuale individuasse in via autonoma l'ambito di applicazione della disposizione, prevedendo espressamente i contratti che ne erano fuori. In terzo luogo, dal momento che l'art. 169 L. Fall. non richiama(va), fra le norme applicabili al concordato preventivo, l'art. 72 L. Fall., tale omissione avrebbe precluso all'interprete il riferimento alla disposizione dettata in tema di fallimento al fine di individuare le fattispecie oggetto dell'art. 169-bis L. Fall. Sulla base di queste premesse, secondo il più risalente tra gli orientamenti giurisprudenziali che si sono formati sull'argomento, lo scioglimento del rapportoex art. 169-bis L. Fall. poteva essere richiesto per tutti i contratti non espressamente esclusi dalla norma in cui almeno una parte dovesse ancora porre in essere la propria prestazione ed in tale prospettiva ermeneutica si è sostenuto che non fosse possibile negare la facoltà per il debitore di sciogliersi da un contratto bancario di anticipo su fatture o su ricevute bancarie sulla base della considerazione che la banca avesse già erogato il credito, pur non avendo ancora provveduto all'incasso (Tribunale di Genova, 4 novembre 2013). Secondo altra e opposta tesi, per “contratti in corso di esecuzione” ex art. 169-bis L. Fall. il legislatore del 2012 ha inteso, con nozione identica a quella contenuta nell'art. 72, c. 1, L. Fall. in relazione al fallimento, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data di presentazione del ricorso, ossia i contratti a prestazioni corrispettive bilateralmente ineseguiti; ciò sulla base della considerazione per cui la locuzione “contratti in corso di esecuzione” è sempre stata utilizzata quale sinonimo di contratti pendenti; inoltre, il mancato richiamo da parte dell'art. 169 L. Fall. all' art. 72 L. Fall., in uno con l'introduzione dell'art. 169-bis ad opera del legislatore del 2012 hanno indotto a ritenere che detta ultima norma coprisse giustappunto la medesima area di operatività della disposizione di disciplina dei contratti pendenti nel fallimento (Tribunale di Venezia, 20 gennaio 2015; Tribunale di Ravenna, 22 ottobre 2014; Tribunale di Milano, 28 maggio 2014). Si è rilevato, poi, che, ove si fosse attribuita all'art. 169-bis L. Fall. portata “universale”, si sarebbe accordato al debitore “il potere di sciogliersi da tutti i contratti che avevano dato luogo ai debiti non pagati con attribuzione alla parte in bonis, ex art. 169-bis, secondo comma, l. fall., di un indennizzo concorsuale per forza di cose chirografario, con l'ulteriore e paradossale conseguenza di consentire al debitore che lo volesse di provocare il venir meno di tutte le cause di prelazione sui crediti anteriori alla domanda” (E. Staunovo-Polacco, Speciale decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: i contratti pendenti nel concordato preventivo (art. 169-bis l. fall.), in ilFallimentarista.it, 24.07.2015). Da ultimo, è stato evidenziato come, anche dopo l'introduzione della norma di disciplina dello scioglimento dei contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo ad opera del legislatore del 2012, l'art. 169 L. Fall. continui a richiamare gli artt. 55 e 59 L. Fall., ai quali soltanto è devoluto il regime dei contratti in cui, dopo la stipula, residuino obbligazioni a carico di una sola parte contraente, mediante la previsione dell'anticipata scadenza delle obbligazioni pecuniarie e non pecuniarie del debitore proponente (per contro, qualora l'obbligo residuo sia a carico della controparte, le norma in questione non avranno ragione di operare, trovando applicazione l'ordinaria disciplina civilistica) (F. Lamanna,La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, in ilFallimentarista.it, 07/11/2013). L'adozione della descritta impostazione, ha condotto alla conclusione per cui i rapporti di anticipazione bancaria non potessero rientrare nell'alveo di operatività dell'art. 169-bis L. Fall. allorquando una delle contrapposte prestazioni venisse adempiuta prima del deposito del ricorso per concordato (generalmente quella della banca per l'anticipo effettuato) (Tribunale di Padova, 7 gennaio 2014), in modo da precludere il configurarsi della pendenza contrattuale. Il recente intervento riformatore ha inequivocabilmente accolto l'orientamento da ultimo descritto, precisando che l'art. 169-bis L. Fall. si riferisce proprio (e solo) ai contratti pendenti, cioè ai rapporti che non abbiano avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti contraenti al momento della presentazione del ricorso per l'accesso alla procedura. Per tale via, dunque, si è ricondotta ad unità la nozione di pendenza del rapporto nel fallimento e nel concordato preventivo, a tutela della coerenza ed omogeneità dell'ordinamento concorsuale. Lo scioglimento dei contratti di anticipazione bancaria Veniamo ora, più nel dettaglio, alla specifica questione relativa all'applicabilità dell'art. 169-bis L. Fall. ai contratti di anticipazione bancaria su crediti del debitore verso terzi pendenti al momento della domanda di concordato o di pre-concordato. Come si è avuto modo di anticipare, è dibattuto se suddette operazioni siano suscettibili di sospensione o scioglimento ai sensi della norma citata pur se non si siano ancora concluse con la riscossione dei crediti anticipati e, quindi, con il fisiologico rientro della banca; il problema si pone perché tali contratti, sebbene strutturalmente bilaterali, dal punto di vista funzionale operano alla stregua di fattispecie unilaterali, sul rilievo che la banca, con l'erogazione dell'anticipo, ha esaurito la propria prestazione, talché residua il solo credito relativo alla controprestazione del debitore concordatario. Può il rapporto essere considerato “pendente” ove l'erogazione sia posta in essere prima della presentazione del ricorso ma l'ente finanziatore non abbia ancora proceduto all'incasso? Per rispondere al quesito, in via preliminare, pare opportuno soffermarsi sulle peculiarità che connotano le fattispecie di cui trattasi. Il contratto di anticipazione bancaria, come noto, è un contratto d'apertura di credito in cui la banca anticipa al cliente l'importo di crediti non ancora scaduti che questi vanta nei confronti di terzi. L'anticipo generalmente avviene mediante cessione pro solvendo di crediti - in funzione solutoria o di garanzia, a seconda del concreto assetto regolamentare stabilito dalle parti - ovvero tramite mandato irrevocabile all'incasso: in tal caso, il cliente (mandante) conferisce alla banca (mandatario) un mandato irrevocabile ad incassare il proprio credito vantato verso un terzo; diversamente da quanto accade nella prima ipotesi, qui non viene trasferita al mandatario la titolarità del credito, ma solo la legittimazione a riscuoterlo. In entrambi casi si è dinanzi ad un collegamento negoziale tra un'apertura di credito e un contratto di mandato in rem propriam o di cessione del credito, cui generalmente si accompagna un patto di compensazione tra il credito restitutorio derivante dalle anticipazioni e il debito che trova titolo nelle riscossioni. La cessione o il mandato costituiscono la controprestazione dell'apertura di credito, giacché garantiscono alla banca il rientro dell'anticipazione. L'individuazione dell'ambito di operatività dell'art. 169-bis L. Fall. con riferimento a tali contratti richiede, in via prioritaria, l'analisi del concreto assetto che assumono le operazioni de quibus nella prassi bancaria. Generalmente la pattuizione consta di un contratto-quadro nell'ambito del quale trovano titolo e disciplina le singole operazioni di anticipazione in conto corrente contro cessione o mandato all'incasso di crediti che il cliente vanti verso terzi, a tempo determinato o indeterminato e fino ad un tetto massimo convenuto. L'affidato che richieda l'ammissione ad una procedura di concordato preventivo potrà senza dubbio rivolgersi al giudice per ottenere la sospensione o lo scioglimentoex art. 169-bis L. Fall. del contratto-quadro che sia ancora in piedi e l'eventuale accoglimento della suddetta istanza comporterà il venir meno (temporaneamente o in via definitiva) della possibilità di chiedere alla banca l'anticipazione di crediti a fronte del conferimento del mandato all'incasso ovvero alla cessione degli stessi (Tribunale di Reggio Emilia, 8 luglio 2015). Ferma tale evenienza, il vero punctum dolens attiene alla possibilità - nonché agli effetti - della richiesta di scioglimento o di sospensione delle singole operazioni di anticipazione bancaria in corso, relativamente alle quali l'erogazione creditizia da parte della banca abbia avuto luogo prima del deposito del ricorso, mentre la riscossione del credito a copertura delle anticipazioni sia successiva a tale momento. La questione merita approfondimento sotto due diversi profili: in primo luogo, ci si chiede se i rapporti di cui trattasi possano essere oggetto di scioglimento o sospensione ai sensi dell'art. 169-bis L. Fall . in ragione del peculiare atteggiarsi della nozione di pendenza con riguardo ai contratti bancari che prevedano linee di credito autoliquidanti; in secondo luogo, il tema si lega indissolubilmente al divieto di pagamento dei debiti anteriori in sede concordataria, giacché il mantenimento del rapporto - e, in particolare, del patto di compensazione che generalmente è incluso in tali contratti - è suscettibile di determinare la soddisfazione preferenziale del credito derivante dall'anticipazione erogata al debitore concordatario ancora in bonis. A tale ultimo proposito, in via preliminare, è bene chiarire che, con riferimento al concordato preventivo, il divieto di pagamento dei debiti anteriori alla data di deposito del ricorso, pur non espressamente previsto dalla legge, si evince dalla disciplina dei relativi effetti: l'art. 167 L. Fall. limita il potere dispositivo del debitore durante la procedura in un'ottica di tutela delle ragioni creditorie; la disposizione successiva prevede che, dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore: tale preclusione sottende il divieto di pagamento di debiti anteriori, atteso che sarebbe irragionevole che il creditore possa ottenere spontaneamente dal debitore ciò che il principio della par condicio creditorum gli preclude di conseguire in via coattiva. Ancora, l'art. 184 nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dal sistema (Cass. n. 578/2007). Da ultimo, con riferimento al concordato in continuità, l'art. 182-quinquiesL. Fall. configura il pagamento dei crediti sorti prima del deposito del ricorso alla stregua di evenienza del tutto eccezionale, possibile solo in presenza di determinate condizioni e, comunque, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria (.M. Zappa, Il pagamento di crediti nell'imminenza del deposito del ricorso di concordato preventivo, in ilFallimentarista.it). Alla luce delle considerazioni svolte, ci si può domandare se, in ipotesi di anticipazione bancaria su crediti regolata in conto corrente contro cessione o mandato all'incasso, sia legittima la condotta della banca che, pur dopo il deposito del ricorso per l'accesso al concordato, trattenga le somme versate da terzi e le annoti sul conto ad attivo del debitore correntista, ma in compensazione delle partite di segno opposto, oppure se sia tenuta a consegnare dette somme all'imprenditore in concordato preventivo. Ciò perché, come s'è osservato, l'incameramento di dette somme da parte della banca è suscettibile di infrangere il divieto di pagamento dei debiti anteriori nella misura in cui determina una soddisfazione preferenziale del credito avente titolo nelle anticipazioni concesse al debitore ante concordato, credito che si riduce per effetto dell'incasso delle somme corrisposte dai terzi debitori. La questione si pone allorquando esista una pattuizione che - in deroga al principio della cristallizzazione della massa debitoria e della inesigibilità dei crediti vantati da terzi nei confronti del debitore concordatario posta a tutela della par condicio creditorum - attribuisca alla banca il diritto di soddisfare, anche dopo l'accesso alla procedura, il credito sorto in virtù dell'anticipazione erogata prima di tale momento, attraverso l'incameramento delle somme riscosse durante il concordato. In proposito, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, al fine di individuare l'ambito di applicazione del divieto di pagamento dei debiti anteriori nella procedura di concordato preventivo, occorre distinguere a seconda che la pattuizione relativa all'operazione di anticipazione di ricevute bancarie regolata in conto preveda o meno una clausola che attribuisca alla banca il diritto di ritenere le somme riscosse, ossia il c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto, in virtù del quale la banca ha diritto di “compensare” il debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito avente titolo nelle operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che il credito sia anteriore all'accesso alla procedura ed il debito posteriore (cfr., di recente, Cass. n. 17999/2011; più risalenti Cass. n. 7194/1997e Cass. n. 6870/1994; con riguardo alla giurisprudenza di merito v.Trib. Monza, 27 novembre 2013, secondo cui “si deve ritenere che il menzionato patto [di compensazione, n.d.r.] specificamente correlato all'anticipazione non ponga problemi di opponibilità alla procedura concorsuale dal momento che quando il rapporto bancario nel suo complesso prosegue in corso di procedura […] con piena efficacia di tutte le clausole pattizie ad esso riconducibili, è necessariamente antecedente all'apertura della procedura, con la conseguenza che il patto di compensazione inscindibilmente interdipendente all'operazione creditizia è destinato ad operare in corso di procedura, finché non intervenga una causa di scioglimento del rapporto, e ciò in deroga al principio di parità di trattamento dei creditori che impedisce il pagamento (e, tantomeno, “l'autopagamento”) dei crediti anteriori”) (Tribunale di Cuneo, 14 novembre 2013). Dal momento che l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non determina lo scioglimento del rapporto di conto corrente bancario e di quelli che ad esso accedono, la prosecuzione riguarda la convenzione nel suo complesso e si estende, perciò, a tutte le clausole che la compongono, incluso suddetto patto di compensazione; esso è indissolubilmente connesso al negozio di credito bancario ed è strutturalmente collegato al potere attribuito alla banca (in forza di un mandato o per effetto di una cessione di credito) di riscuotere il credito del correntista (Cass. n. 2539/1998). Tale correlazione, che impone una speciale regolamentazione delle modalità di soddisfazione del credito della banca, conforma la causa del complessivo assetto regolamentare e, perciò, determina un vincolo inscindibile tra il contratto e la clausola specifica, talché, in assenza del patto di compensazione, l'operazione non sarebbe stata posta in essere. La reciproca dipendenza delle pattuizioni fa sì chenel programma convenuto fra il debitore concordatario e la banca la riscossione dei crediti costituisca una mera modalità di rientro del finanziatore dall'anticipazione concessa. In altri termini, la banca viene legittimata dal debitore ad incassare i crediti di quest'ultimo verso terzi esclusivamente ai fini dell'estinzione dell'obbligazione che funge da controprestazione all'anticipazione, talché non vi è alterità ontologica tra la residua prestazione di rimborso cui è tenuto il debitore ed il negozio di cessione o di mandato all'incasso dei crediti di quest'ultimo, né si può considerare la riscossione quale prestazione ulteriore della banca piuttosto che modalità di pagamento del cliente (Corte d'appello di Venezia, 23 dicembre 2014). Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza di legittimità ritiene “inammissibile, prima ancora sul piano logico che su quello giuridico, qualsiasi costruzione giuridica incentrata sulla prosecuzione - nel corso di una procedura concorsuale minore - del complesso unitario rapporto di conto corrente bancario, compresa l'obbligazione di dare esecuzione all'incarico di incassare le ricevute, ma con esclusione del patto (va ribadito, inscindibile rispetto a quel rapporto) di “compensazione” attraverso il mezzo tecnico della annotazione in conto delle somme riscosse ad elisione delle partite di debito verso la banca”. Traendo le fila del discorso, quindi, è possibile affermare che la fuoriuscita dal concorso delle somme incassate dalla banca nel contesto di un'operazione di anticipazione che contempli, altresì, il patto di compensazione richiede la pendenza, al momento dell'avvio della procedura concordataria, della regolamentazione contrattuale nel suo complesso. Per contro, l'eventuale scioglimento del rapporto di credito investirà anche le pattuizioni che ad esso accedono e, quindi, il patto di compensazione, se previsto, precludendo alla banca la possibilità di operare la compensazione tra debiti e crediti con obbligo di riversare alla procedura le somme incassate dopo (l'avvio della procedura e) lo scioglimento del contratto. Segue. Problemi applicativi e soluzioni interpretative Come si è avuto modo di anticipare, l'operatività del patto di compensazione si pone in stridente contrasto con il divieto di pagamento dei debiti anteriori in sede concordataria in quanto consente, in sostanza, la collocazione fuori concorso del credito della banca traente titolo dalle anticipazioni concesse al debitore concordatario in bonis: detto credito, difatti, può ridursi o estinguersi per effetto dell'incasso dei crediti del debitore che la banca è legittimata a riscuotere in virtù nel negozio di cessione o di mandato all'incasso. È stato correttamente rilevato (Palladino, Alcune considerazioni in tema di pagamento di crediti anteriori nel concordato preventivo, in IlFallimentarista.it ) che tale circostanza, pur lesiva della par condicio creditorum, potrebbe collimare con l'interesse dei creditori nelle ipotesi in cui il mantenimento del rapporto con l'istituto di credito sia funzionale alla realizzazione del piano concordatario e, quindi, al miglior soddisfacimento del loro interesse. Difatti, ove l'erogazione di liquidità da parte della banca abbia rilevanza strategica ai fini del buon esito della procedura concordataria in continuità aziendale - sia, cioè, essenziale alla prosecuzione dell'attività di impresa nonché funzionale alla realizzazione del piano concordatario e al miglior soddisfacimento degli altri creditori - si potrebbe scorgere la medesima ratio giustificativa della deroga al principio della cristallizzazione del patrimonio del debitore di cui all'art. 182-quinquies c. 5, secondo cui “il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell'articolo 161 sesto comma può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti, anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”. Tuttavia, i profili di analogia tra la previsione da ultimo citata e il modus operandi del patto di compensazione nell'ambito della procedura concordataria si risolvono in aspetti di natura esclusivamente fattuale atteso che la disciplina dettata dall'art. 185-quinquies per il pagamento dei creditori cosiddetti “strategici” è estremamente rigorosa ed esige che l'atto dispositivo sia sottoposto al vaglio giudiziale e suffragato dall'attestazione del professionista. Tali requisiti, come si è avuto modo di notare, non sono richiesti ai fini della soddisfazione preferenziale del credito della banca, per la quale è sufficiente la sola anteriorità del patto di compensazione al deposito del riscorso. La diversità di trattamento si giustifica, verosimilmente, in virtù dell'esigenza di agevolare il mantenimento di rapporti che sono ritenuti, in via generale ed astratta - e, quindi, anche a prescindere dalle specificità del caso -, essenziali ai fini della realizzazione del piano concordatario e funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori. Ciò nondimeno, è possibile - e di fatto frequente - che la banca che abbia percepito lo stato di difficoltà del proprio cliente sospenda l'erogazione e tenga in piedi il rapporto al fine esclusivo di rientrare dell'anticipazione tramite l'incasso dei crediti relativi ai titoli ancora a scadere, al di fuori del concorso con gli altri creditori. Proprio in tale ipotesi verrebbe in rilievo la necessità per il debitore di ricorrere all'applicazione dell'art. 169-bis L. Fall. e, quindi, di domandare – al tribunale o, dopo il decreto di ammissione ex art. 163 L. Fall., al giudice delegato - l'autorizzazione a sciogliersi dal contratto di anticipazione in corso alla data di presentazione della domanda quale possibile espediente al fine di paralizzare l'efficacia pregiudizievole del patto di compensazione sulla par condicio creditorum. In effetti, “la possibilità di evitare la prosecuzione a vantaggio della banca dell'operatività del patto di compensazione collegato ad un'operazione creditizia e di ripristinare il criterio della par condicio creditorum a tutela della consistenza della massa patrimoniale destinata dipende esclusivamente dalla scelta del debitore di porre termine al rapporto negoziale pendente, opzione che sarà frutto di ponderata comparazione tra vantaggi e svantaggi che ne conseguono” (Tribunale di Monza, 27 novembre 2013); ove il rapporto di anticipazione si sciolga, anche il patto di compensazione verrà meno e la banca sarà obbligata a riversare alla procedura le somme riscosse successivamente allo scioglimento del contratto. Questo, quindi, il quadro di sintesi: nell'ambito della procedura concordataria, la regola rimane quella della ordinaria prosecuzione dei contratti pendenti, anche al fine di favorire la prosecuzione dell'attività ove sia stata presentata istanza di accesso al concordato in continuità; la preservazione del valore aziendale è rimessa alla discrezionalità del debitore, cui spetta la determinazione in ordine alla conformazione degli effetti della procedura sui contratti in esecuzione in ragione della strumentalità alla prosecuzione dell'attività. Siffatta facoltà tecnicamente costituisce un diritto potestativo il cui esercizio è, però, sottoposto al vaglio giudiziale, sicché “la possibilità di beneficiare, in deroga alla regola della prosecuzione dei rapporti in essere, del peculiare vantaggio di liberarsi dai contratti reputati economicamente pregiudizievoli si riconnette, tuttavia, all'onere posto a carico dell'imprenditore di attivarsi al fine di provocarne lo svincolo attraverso il meccanismo dell'autorizzazione da parte del tribunale allo scioglimento od alla sospensione dello specifico rapporto pendente” (Tribunale di Monza, 27 novembre 2013). Siffatta impostazione, pur condivisibile nella misura in cui consente al debitore di scongiurare manovre “egoistiche” da parte delle banche, presenta non pochi tratti di asperità per ciò che concerne il raccordo con quanto disposto dall'art. 169-bis L. Fall. e, in particolare, la configurabilità della pendenza del rapporto nei casi concreti (G.Tarzia, Anticipazioni bancarie e art. 169-bis l.fall., in ilFallimentarista.it). In proposito, si rimanda a quanto detto supra in relazione al dibattito che ha diviso dottrina e giurisprudenza in merito alla possibilità di sciogliere i contratti di anticipazione bancaria anche laddove la banca abbia già adempiuto alla sua prestazione - l'erogazione del credito - in un'unica soluzione e, pertanto, il contratto non possa più ritenersi pendente ai sensi dell'art. 169-bis L. Fall. A ben vedere, l'eventuale scioglimento di simili rapporti a seguito dell'anticipo si risolverebbe in una operazione di finanziamento del piano concordatario di dubbia legittimità, realizzata tramite l'indebita duplicazione delle erogazioni finanziarie a favore del debitore (alla liquidità anticipata dalla banca si aggiungerebbe quella ricavata dall'incasso dei crediti ceduti a garanzia dell'operazione). Quale la linea da seguire, allora, al fine di evitare condotte di dubbia correttezza e/o legittimità sia da parte del debitore che della banca? La risposta al quesito richiede una riflessione sulla ratio sottesa al meccanismo disegnato dall'art. 169-bis L. Fall. La disposizione mira a contemperare le esigenze della procedura di interruzione dei rapporti ritenuti pregiudizievoli o, quantomeno, privi di funzionalità per il miglior soddisfacimento dei creditori, con la tutela dell'affidamento del contraente in bonis, cui è riconosciuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. A suggello del rispetto del generale canone di buona fede che deve conformare l'operato delle parti contraenti e, quindi, del carattere “equo” della soluzione è prevista la necessità del provvedimento giudiziale di autorizzazione allo scioglimento - o alla sospensione - del rapporto, con conseguente caducazione dei patti principali ed accessori assunti in precedenza. Siffatto bilanciamento, però, può essere in concreto considerato equo solo se l'effetto caducatorio sia reciproco, cioè se vi sia il contestuale venir meno anche dei vantaggi che sarebbero derivati dalla vigenza degli accordi contrattuali. Nella pratica, ciò può accadere ove alla stipula del contratto di anticipazione non sia ancora seguita l'effettiva corresponsione delle somme, oppure quando l'erogazione non avvenga una tantum, ma consti di tranches dilazionate nel tempo, come nei casi in cui il credito oggetto di anticipazione sia quello che derivi dall'esecuzione di un contratto (per esempio, nel campo delle opere pubbliche) che preveda una pluralità di scadenze per l'erogazione del corrispettivo. In entrambe le descritte ipotesi, difatti, pur se l'autorità giudiziaria autorizzasse lo scioglimento del rapporto, l'inesecuzione ovvero la solo parziale esecuzione della prestazione bancaria scongiurerebbe il rischio di un utilizzo abusivo del meccanismo disegnato dall'art. 169-bis L. Fall. che miri, sostanzialmente, a finanziare la procedura concordataria tramite le entrate derivanti e dall'anticipazione e dall'incasso dei crediti posti a garanzia della stessa (In proposito L.Martino, Lo scioglimento dei contratti bancari pendenti: linee guida, tipologie negoziali e condizioni di autorizzazione ex art. 169-bis l. fall., in ilFallimentarista.it). Naturalmente, potrà procedersi allo scioglimento del contratto anche nelle ipotesi in cui il finanziamento avvenga secondo modalità diverse dalla linea autoliquidante e ci si trovi, quindi, dinanzi ad operazioni a revoca o a scadenza. Ciò purché il rapporto conservi il sinallagma funzionale che, come si è avuto modo di vedere, costituisce il presupposto operativo del meccanismo previsto dall'art. 169-bis L.Fall. Ciò significa che, ad esempio, un contratto di mutuo potrà effettivamente essere sciolto ove il mutuante non abbia provveduto ad erogare per intero la somma prima del deposito del ricorso di avvio della procedura, ma l'operazione consti di rate dilazionate nel tempo. Solo in tale evenienza, difatti, quel contratto sarebbe ancora pendente, non così se il finanziamento fosse già stato ultimato. Peraltro, nelle linee di credito che non siano autoliquidanti è tecnicamente impossibile contemplare meccanismi assimilabili al patto di compensazione che può accompagnare i contratti di anticipazione contro cessione di crediti o mandato all'incasso, giacché in tali ipotesi difetta la fonte di rimborso predeterminata che consente di elidere le partite di segno opposto all'erogazione. Ne consegue che nelle linee di credito a scadenza o a revoca, così come nelle linee autoliquidanti che non contemplino la clausola di annotazione ed elisione delle partite di segno opposto, qualsiasi corresponsione ad opera del debitore successiva all'avvio della procedura concordataria, pur relativa al pagamento di una rata scaduta anteriormente a tale momento, si infrangerebbe contro il divieto di pagamento dei debiti anteriori, obbligando la banca alla restituzione della somma alla procedura. Al fine di meglio comprendere la questione, pare opportuno soffermarsi su quanto statuito dall'art. 56 L. Fall., operante anche nella procedura di concordato preventivo in ragione del richiamo di cui all'art. 169 L. Fall. La disposizione attribuisce ai creditori il diritto di compensare i loro crediti nei confronti del debitore proponente con eventuali posizioni debitorie verso il medesimo, pur se non sussistano tutti i requisiti che la disciplina ordinaria pone ai fini dell'operatività della compensazione e, in particolare, pur se tali crediti non siano ancora esigibili al momento dell'avvio della procedura. Il carattere derogatorio che l'istituto assume in ambito concorsuale rileva anche secondo un ulteriore profilo: il meccanismo descritto dall'art. 56 L. Fall., difatti, costituisce una visibile eccezione al principio della par condicio creditorum, in quanto consente la soddisfazione fuori concorso delle ragioni dei creditori che si trovino ad essere, contestualmente, debitori dell'istante (D. Fico, Concordato preventivo e legittimità della compensazione operata dalla banca, in ilFallimentarista.it). Secondo la giurisprudenza di legittimità la compensazione delle opposte ragioni di credito presuppone la preesistenza del momento genetico dei rispettivi crediti rispetto alla procedura concorsuale ( Cass. n. 10548/2009). In tale prospettiva ermeneutica, l'istituto disegnato dall'art. 56 L. Fall. “rappresenta una deroga al concorso, a favore di soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l'effetto compensativo si produce e ferma restando l'esigenza dell'anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte” ( Cass. S.U., n. 775/1999;Cass. n. 10025/2010). È proprio in virtù di tale considerazione che si giustifica l'assunto per cui, nelle operazioni autoliquidanti che non contemplino il patto di compensazione (Tribunale di Monza, 27 novembre 2013; Cass. n. 17999/2011), così come nelle linee di credito a revoca o a scadenza, eventuali pagamenti posti in essere dal proponente devono essere restituiti dalla banca alla procedura, pur se il relativo titolo sia anteriore. In tali ipotesi, difatti, non sussistono i presupposti giustificativi dell'operatività del regime derogatorio dettato dall'art. 56 L. Fall., atteso che la banca è titolare, nei confronti del proponente, solo ed esclusivamente di una posizione di credito avente ad oggetto, la restituzione della somma erogata ovvero dei crediti riscossi in virtù del mandato all'incasso cui non sia stato affiancato il patto di compensazione o di cessione con mera funzione di garanzia. |