Fallimento, IVA per cassa e fatture emesse, ma non incassate

16 Settembre 2015

Nel caso in cui la società fallita adottava l'IVA per cassa, come bisogna comportarsi per il versamento dell'IVA sulle fatture emesse prima della data di fallimento e non incassate e sulle fatture di acquisto registrate alla data di fallimento non ancora pagate? L'IVA sulle fatture emesse, ma non incassate sono da considerare debiti concorsuali o decorso un anno dall'emissione o prima in caso di incasso va in ogni caso versata?

Nel caso in cui la società fallita adottava l'IVA per cassa, come bisogna comportarsi per il versamento dell'IVA sulle fatture emesse prima della data di fallimento e non incassate e sulle fatture di acquisto registrate alla data di fallimento non ancora pagate? L'IVA sulle fatture emesse, ma non incassate sono da considerare debiti concorsuali o decorso un anno dall'emissione o prima in caso di incasso va in ogni caso versata?

RIFERIMENTI NORMATIVI – L'art. 32-bis, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, rubricato “Liquidazione dell'IVA secondo la contabilità di cassa” dispone che “In esecuzione della facoltà accordata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi con volume d'affari non superiore a 2 milioni di euro, nei confronti di cessionari o di committenti che agiscono nell'esercizio di impresa, arte o professione, l'imposta sul valore aggiunto diviene esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi. Per i medesimi soggetti l'esercizio del diritto alla detrazione dell'imposta relativa agli acquisti dei beni o dei servizi sorge al momento del pagamento dei relativi corrispettivi. In ogni caso, il diritto alla detrazione dell'imposta in capo al cessionario o al committente sorge al momento di effettuazione dell'operazione, ancorchè il corrispettivo non sia stato ancora pagato. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle operazioni effettuate dai soggetti che si avvalgono di regimi speciali di applicazione dell'imposta, nè a quelle poste in essere nei confronti di cessionari o di committenti che assolvono l'imposta mediante l'applicazione dell'inversione contabile. L'imposta diviene, comunque, esigibile dopo il decorso del termine di un anno dal momento di effettuazione dell'operazione. Il limite annuale non si applica nel caso in cui il cessionario o il committente, prima del decorso del termine, sia stato assoggettato a procedure concorsuali.
Il regime di cui al comma 1 si rende applicabile previa opzione da parte del contribuente, da esercitare secondo le modalità individuate con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.
Sulle fatture emesse in applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 deve essere apposta specifica annotazione.
Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le disposizioni di attuazione del presente articolo.
Dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente articolo, individuata con il decreto di cui al comma 4 del presente articolo, è abrogato l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (…)”.
L'art. 55 l. fall., rubricato “Effetti del fallimento sui debiti pecuniari”, enuncia che “La dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'articolo precedente.
I debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento.
I crediti condizionali partecipano al concorso a norma degli artt. 96, 113 e 113-bis. Sono compresi tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale”.

OSSERVAZIONI – I quesiti posti concernono, in sostanza, l'esigibilità dell'imposta sul valore aggiunto per le fatture emesse e ricevute da una società dichiarata fallita che aderiva alla c.d. contabilità per cassa.
Anzitutto, è necessario interrogarsi sulla natura del debito i.v.a, ovvero se sia da considerarsi concorsuale o meno, poiché la sua qualificazione inciderà sul versamento dell'imposta stessa.
A tal fine, occorre esaminare la disciplina giuridica applicabile al caso di specie e, in particolare, l'art. 32-bis del D.L. 22 giugno 2012, n. 83.
La norma in esame, disciplinando la contabilità per cassa, chiarisce che l'imposta sul valore aggiunto diviene esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi, sicché l'esercizio del diritto alla detrazione dell'imposta relativa agli acquisti dei beni o dei servizi sorge al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.
In buona sostanza, all'emissione della fattura consegue un debito verso l'erario e l'esigibilità dello stesso viene differito, ex art. 32-bis del riferito Decreto Legge, al momento dell'incasso della fattura.
La statuizione, seppur banale, è propedeutica a comprendere la sorte del debito i.v.a. che, ancorché differito per effetto della norma citata, sussiste ed è quindi soggetto al principio enunciato dall'art. 55, comma II, l. fall., a mente del quale “i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento”.
Ne consegue che l'imposta sul valore aggiunto risulta dovuta dalla dichiarazione di fallimento ed è quindi debito concorsuale a tutti gli effetti, il cui pagamento sarà subordinato alle normali regole della procedura (istanza di ammissione al passivo e successivo riparto).
Esiste, poi, una diversa linea interpretativa, che tuttavia giunge alle medesime conclusioni. La teoria prende le mosse da una pronuncia della Suprema Corte, a mente della quale “la disposizione dell'art. 6 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l'evento generatore del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Il medesimo credito di rivalsa può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all'art. 2758, secondo comma, cod. civ. Nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, non è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell'IVA di cui alla fattura, poiché tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale” (Cass. 3 febbraio 2006, n. 2438).
Orbene, secondo il Supremo Collegio, il fatto che in base all'art. 32-bis, D.L. n. 83/2012 (già l'art. 6 del D.P.R. n. 633/1972) possa essere differita la fatturazione e il versamento dell'i.v.a., non muta in alcun modo la natura dell'imposta, “che rimane debito concorsuale” e ciò in quanto il momento in cui tale debito viene ad esistere coincide con l'esecuzione della prestazione, anteriore al fallimento, e non con la fatturazione o con il pagamento.
In altri termini, poiché l'evento generatore dell'imposta sul valore aggiunto è la prestazione effettuata dalla società in bonis, si ritiene che detto debito debba essere ritenuto concorsuale con ogni conseguenza di legge.
Allo stesso principio, in senso contrapposto, soggiacciono le fatture di acquisto registrate prima della data di fallimento e non pagate.
Da ultimo, quanto alla posizione in cui la società fallita non sia l'emittente, ma la ricevente delle fatture con regime d'i.v.a. per cassa, non si ravvede alcun problema, in quanto il comma I dell'art. 32-bis, D.L. n. 83/2012, è chiaro, disponendo che “in ogni caso, il diritto alla detrazione dell'imposta in capo al cessionario o al committente sorge al momento dell'effettuazione dell'operazione, ancorché il corrispettivo non sia stato ancora pagato”.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto è possibile sostenere che:
- nel caso di specie trova applicazione il disposto di cui al secondo comma dell'art. 32-bis, D.L. n. 83/2012;
- il debito i.v.a. per le fatture emesse e/o registrate prima della data di fallimento e non incassate è di natura concorsuale e, pertanto, la sua liquidazione seguirà le usuali regole della procedura fallimentare.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.