Fallimento del condòmino, crediti condominali e attività dell’amministratore di condominio

Maria Grazia Sirna
12 Gennaio 2015

Nell'ipotesi in cui a fallire sia un condòmino, il recupero delle spese condominiali maturate anteriormente alla dichiarazione di fallimento dovrà avvenire mediante una domanda di insinuazione al passivo e secondo quanto dispone la legge fallimentare. I crediti condominiali però, continuano a formarsi anche dopo la dichiarazione di fallimento, trattandosi di spese per la gestione dell'immobile nel periodo in cui questo si trova nella disponibilità della massa fallimentare. In riferimento a tali ultimi crediti, quale è la loro natura? Quale trattamento viene loro applicato? Cosa accade in caso di inerzia dell'amministratore rispetto alla presentazione della domanda di ammissione al passivo? Il singolo condòmino può presentare egli da solo domanda di insinuazione? E nel caso, per il credito dell'intero condomino o per la sua sola parte? Infine, l'amministratore inerte incorre in qualche responsabilità?

Nell'ipotesi in cui a fallire sia un condòmino, il recupero delle spese condominiali maturate anteriormente alla dichiarazione di fallimento dovrà avvenire mediante una domanda di insinuazione al passivo e secondo quanto dispone la legge fallimentare. I crediti condominiali però, continuano a formarsi anche dopo la dichiarazione di fallimento, trattandosi di spese per la gestione dell'immobile nel periodo in cui questo si trova nella disponibilità della massa fallimentare. In riferimento a tali ultimi crediti, quale è la loro natura? Quale trattamento viene loro applicato? Cosa accade in caso di inerzia dell'amministratore rispetto alla presentazione della domanda di ammissione al passivo? Il singolo condòmino può presentare egli da solo domanda di insinuazione? E nel caso, per il credito dell'intero condomino o per la sua sola parte? Infine, l'amministratore inerte incorre in qualche responsabilità?

In caso di fallimento del condòmino, l'amministratore del condominio avrà come suo interlocutore il curatore fallimentare, il quale in forza dell'incarico ricevuto dal Tribunale subentra - in luogo del fallito - nel rapporto condominiale (sia di dare che di avere).
Ne discende che - ad esclusione dell'ipotesi in cui il condòmino sia conduttore dell'immobile ed il curatore eserciti il diritto di recesso dal relativo contratto - i crediti maturati ante fallimento nei confronti del condòmino non potranno essere soddisfatti immediatamente dalla curatela fallimentare, che è tenuta al rispetto della par condicio creditorum; piuttosto, e diversamente, essi, secondo il combinato disposto degli art. 52 e 93 l. fall., dovranno essere riconosciuti nell'ambito della verifica dello stato passivo a cui il condominio parteciperà presentando domanda di ammissione.
Ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 3 c.c., il condominio è rappresentato dall'amministratore nominato secondo legge dall'assemblea dei condòmini, e a lui compete la riscossione dei contributi, sì che, nella sua qualità di mandatario, dovrà presentare istanza di ammissione al passivo relativamente ai crediti sorti ante fallimento, i quali hanno natura chirografaria in mancanza di disciplina di legge che attribuisca ad essi un diritto di prelazione.
Circa, invece, gli oneri condominiali che maturano successivamente alla data di dichiarazione di fallimento, è recente la legge che, espressamente, ne ha affermato la natura prededucibile.
L'art. 30 della legge n. 220/2012 (“Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici, pubblicata nella G.U. n. 293 del 17 dicembre 2012) così recita: “I contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, e successive modificazioni, se divenuti esigibili ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, come sostituito dall'articolo 18 della presente legge, durante le procedure concorsuali”; l'art. 63 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile stabilisce, a sua volta, che “Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed e' tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”.
Dunque l'attività di recupero del credito relativo agli oneri condominiali successivi alla data di dichiarazione di fallimento del condòmino, trattandosi di credito prededucibile, dovrà realizzarsi mediante presentazione di istanza di pagamento ex art. 111 l. fall., avendo la soddisfazione di tale credito preferenza per effetto di specifica previsione di legge ovvero in forza dell'art. 30 legge n. 220/2012, che richiama l'art. 111 della legge fallimentare.
Tale istanza dovrà essere presentata dall'amministratore del condominio, nella sua qualità di legale rappresentante, cui è conferito dai condòmini il mandato per la gestione della cosa comune, ivi incluso il recupero del credito.
Sulla scorta dei principi in materia sembra potersi escludere l'azione “in solitudine” da parte del singolo condòmino.
Presiede, infatti, alla disciplina condominiale, da un lato, il principio secondo cui le scelte relative all'amministrazione del condominio sono riservate alla collettività dei condòmini, e sono compiute dagli organi preposti e nelle forme determinate dalla legge; dall'altro quello in virtù del quale la titolarità del credito relativo agli oneri condominiali è in capo al condominio, che tramite il suo rappresentate ex lege può farla valere; e non appartiene pro quota a ciascun condòmino, avendo causa, l'obbligo di pagamento degli oneri condominiali (discendente dalla ripartizione delle spese come approvata dall'assemblea dei condòmini) nella disciplina del condominio e non in un rapporto contrattuale che obblighi ognuna delle parti alla prestazione (sul punto cfr. Cass. SS.UU. n. 10492/96; Cass. n. 12956/2006).
Da qui la legittimazione esclusiva dell'amministratore; al quale, in ragione del rapporto di mandato, spetta in via esclusiva la tutela del credito e ogni relativa azione di recupero.
L'inerzia dell'amministratore, traducendosi all'evidenza nella mala gestio della cosa comune, lo esporrà alla revoca dell'incarico da parte dell'assemblea dei condòmini nonché al risarcimento dei danni procurati al condominio.

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