Qual è la sorte di un bene immobile oggetto di un contratto di leasing risolto prima del fallimento, che sia stato oggetto di rivendica ultratardiva dichiarata inammissibile? Deve essere comunque restituito al proprietario (non essendo contestato il diritto di proprietà, rendendo implicitamente priva di alcuna rilevanza la inammissibilità della rivendica) o può essere venduto come bene del fallito? Ma in questo caso come è ottenibile l'intestazione del bene in capo al fallito? Oppure il terzo proprietario deve agire con un giudizio ordinario?
PREMESSA – Come noto, l'art. 101, comma 1, l. fall., considera tardive le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni antecedente all'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Sono comunque considerate ammissibili le domande tardive trasmesse successivamente al predetto termine di dodici mesi (definite “ultratardive”), a condizione che l'istante provi che il ritardo e' dipeso da causa a lui non imputabile, fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare (art. 101, quarto comma). Al riguardo, il terzo comma del citato art. 101 consente al titolare di diritti su beni mobili o immobili, ove provi che il ritardo sia dipeso da causa non imputabile, di chiedere che siano sospese le attività di liquidazione del bene sino all'accertamento del diritto.
LA SOLUZIONE – Tanto premesso, è opportuno evidenziare che, in presenza di domande “ultratardive”, si possono presentare le seguenti due alternative:
a) il giudice decide separatamente con decreto sull'ammissibilità di tale domanda, sentiti o meno il curatore ed il creditore istante/titolare di diritti su beni, con la conseguenza che contro il provvedimento di inammissibilità sarà possibile il reclamo ex art. 26 l. fall.;
b) il giudice delegato decide sull'ammissibilità della domanda unitamente al merito, fissando l'udienza di verifica ed invitando il curatore a depositare il progetto di stato passivo. Tale procedimento dovrebbe concludersi con un decreto di inammissibilità, di ammissione o di rigetto, impugnabile nelle forme della opposizione allo stato passivo ai sensi dell'art. 98 l. fall. (sul tema, cfr. F. Lamanna, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, Milano, 2006, 595; M. Vitiello, Lo stato passivo, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di S. Ambrosini, Bologna, 2008, 177).
Quanto al contenuto della domanda, occorre però precisare che la società di leasing non propone in realtà una rivendica, giacché non è in discussione la proprietà del bene, ma solo una domanda di restituzione connessa alla circostanza che il bene risulta detenuto dal fallito. In ogni caso, dunque, il bene immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria non rientra nella massa attiva fallimentare, in quanto di proprietà della società di leasing, e non può essere alienato dalla procedura, ponendosi solo un problema di restituzione (e dei suoi tempi) e di regolamentazione dei rapporti dare-avere.
A questo riguardo, occorre altresì tenere in considerazione che, per i contratti di leasing di natura traslativa risolti anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento (come nella fattispecie prospettata), alla luce del prevalente indirizzo giurisprudenziale (cfr., per tutte, Trib. S.M. Capua Vetere 30 gennaio 2014, in IlFallimentarista.it; Trib. Busto Arsizio 7 aprile 2014, Trib. Mantova 26 settembre 2013; Trib. Milano 14 maggio 2013; Trib. Milano 12 dicembre 2012. Contra, Trib. Vicenza 18 settembre 2012; Trib. Udine 17 agosto 2012, in unijuris.it; Trib. Perugia 5 giugno 2012) non risulta applicabile l'art. 72 quater l. fall., bensì o il regolamento contrattuale (non vertendesi quasi mai in una lacuna da colmare in via analogica) o l'art. 1526 c.c., che regola la modalità operativa del meccanismo risolutorio sul contratto di compravendita con riserva di proprietà prevedendone lo scioglimento con effetto ex tunc. In base a tale disposizione, il concedente ha diritto ad un equo compenso per l'uso dei beni oggetto del contratto, che costituisce la remunerazione del godimento dei beni medesimi e del deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo ed al logoramento per l'uso, oltre al risarcimento del danno; mentre l'utilizzatore inadempiente, restituito il bene, ha diritto alla restituzione dei canoni pagati.
E' chiaro tuttavia che la declaratoria di inammissibilità della domanda preclude di esaminare nel merito questi aspetti. Di fatto, il bene o verrà restituito bonariamente sulla base di accordi transattivi extra-verifica, o verrà derelitto, o resterà nella detenzione del fallimento fino alla chiusura (momento a partire dal quale potranno farsi nuovamente valere le pretese creditorie verso il fallito)