Il promissario acquirente può insinuarsi al passivo del promittente venditore per l'esecuzione del contratto?

Maria Grazia Sirna
09 Luglio 2014

In caso di fallimento del promittente venditore, il promissario acquirente può presentare domanda di ammissione al passivo al fine di ottenere la restituzione di caparra confirmatoria ed acconto prezzo, proseguendo al contempo l'azione promossa ex art. 2932 c.c.?

In caso di fallimento del promittente venditore, il promissario acquirente può presentare domanda di ammissione al passivo al fine di ottenere la restituzione di caparra confirmatoria ed acconto prezzo, proseguendo al contempo l'azione promossa ex art. 2932 c.c.?

La risposta al quesito in merito alla possibile coesistenza tra esercizio del diritto a restituzione della caparra e domanda di adempimento si ritrae dall'esame sia dell'art. 72 della legge fallimentare, che regola i rapporti pendenti alla data di dichiarazione di fallimento, sia della recente giurisprudenza.
Secondo la citata norma, la dichiarazione di fallimento di una delle parti del contratto - ineseguito o non compiutamente eseguito - produce l'effetto di sospenderne l'esecuzione sino a quando il curatore si determini, in alternativa, o a subentrarvi (in luogo della parte dichiarata fallita) o a scioglierlo.
La scelta circa la prosecuzione o meno del rapporto inter partes spetta, dunque, esclusivamente al curatore; in caso di inerzia di quest'ultimo, il contraente potrà metterlo in mora provocando l'intervento del giudice delegato, che assegnerà (al curatore) un termine, decorso il quale -in assenza di manifestazione di volontà- il contratto si considererà sciolto.
E' dallo scioglimento del contratto preliminare di compravendita che nasce “il diritto del contraente di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che sia dovuto risarcimento del danno” (art. 72,comma 4, l. fall.)
Le ipotesi in concreto verificabili sono, quindi, le seguenti:
– il curatore si scioglie tempestivamente dal contratto pendente;
– il curatore comunica di volere proseguire il contratto pendente;
– il curatore rimane inerte ed il contraente - tramite l'intervento del giudice delegato - provoca la decisione.
In tale ultimo caso, potrà accadere che:
– il curatore nel termine assegnato dal giudice manifesti l'intendimento di proseguire il contratto pendente;
– il curatore non manifesti la sua volontà, cosicchè, decorso il termine assegnato dal giudice, il contratto si intenderà risolto di diritto.
Se alla scadenza del termine di presentazione della domanda di ammissione al passivo il curatore può ancora determinarsi nel senso del subentro o dello scioglimento (non essendosi ancora espresso o non essendo ancora decorso il termine eventualmente assegnato allo scopo dal giudice), è verosimile che la decisione venga assunta in sede di verifica dello stato passivo e contemplata nella proposta (o di accoglimento o di rigetto della istanza) formulata al giudice.
L'esercizio del potere di scelta spettante al curatore ex art. 72 l. fall. è impedito, secondo un orientamento della Corte di cassazione (cfr. Cass., Civ., SSUU 12505/04; Cass. Civ. Sez. I 15218/2010; Cass. Civ. 16160/2010), solo nel caso in cui il promissario acquirente abbia trascritto la domanda proposta ex art. 2932 c.c. prima della dichiarazione di fallimento anche se la relativa sentenza sia stata trascritta successivamente.
In particolare, secondo le Sezioni Unite “Quando la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l'apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall'art. 72 l. fall.”
Ne discende che il promissario acquirente – il quale, ante fallimento del promittente venditore, ha trascritto domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. - potrà decidere di riassumere il relativo giudizio pendente, interrottosi ex art. 43 l. fall., volto ad ottenere l'adempimento del contratto o, diversamente, di non proseguirlo.
La scelta di non portare avanti il giudizio (già promosso) si coglie attraverso comportamenti contrari ed opposti rispetto alla sua riassunzione, quali il mancato deposito del ricorso ex art. 303 c.p.c. o, appunto, la presentazione di domanda di ammissione al passivo avente ad oggetto la restituzione della caparra confirmatoria versata in occasione della stipula del contratto preliminare.
In materia di obbligazioni e contratti, infatti, sulla scorta dell'art. 1385 c.c. è stato affermato in giurisprudenza il principio di diritto secondo cui “qualora un contraente comunichi la dichiarazione di recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di anticipo (o caparra) e di rimborso delle spese sostenute ed il contraente asserito inadempiente comunichi anch'esso la volontà di recedere - pur attribuendo l'inadempimento all'altra parte - e la disponibilità alla restituzione delle somme richieste, si verifica la risoluzione del contratto, atteso che le due dichiarazioni di recesso - pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell'ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti - sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del contratto e della restituzione delle somme versate, con la conseguenza che resta preclusa la domanda di adempimento successivamente proposta da uno dei contraenti (Cass. Sez. 2, 14-3-1988 n. 2435)“ (Cass. Civ. 16317/2011). Quindi, la scelta di chiedere la restituzione della caparra confirmatoria è manifestazione di volontà nel senso di caducazione degli effetti negoziali e di recisione del vincolo contrattuale, certamente incompatibile con quella di ottenere l'esecuzione forzata dell'obbligo di concludere il contratto.
Vi è da precisare peraltro che di recente la Suprema Corte ha escluso che la pronuncia nei confronti del curatore di sentenza costitutiva sia produttiva degli effetti del contratto non concluso “sia perchè il fallimento immobilizza il patrimonio, sia perchè il curatore è terzo rispetto alle parti ”; stabilendo che “La sopravvenienza del fallimento consente al curatore di ottenere una pronunzia di rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica e di optare per lo scioglimento del contratto anche in presenza della trascrizione della domanda e dell'avvenuto pagamento del prezzo” (cfr. Cass. Civ. 5 maggio 2014, n. 9619).
La Suprema Corte, dichiarando di non ignorare le pronunce “circa l'opponibilità alla massa dei creditori della trascrizione - prima della dichiarazione del fallimento - della domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica di concludere il contratto con esclusione del potere di scioglimento previsto in generale dalla legge fallimentare, art. 72” afferma che si tratta di principio riferibile ad ipotesi specifiche poste all'esame del giudice (S.U. 7.7.2004 n. 12505 e da Cass. 8.7.2010 n. 16160).
Quindi, in mancanza di principio generale, deve dedursi che la dichiarazione di fallimento del promittente venditore ben possa precludere la prosecuzione di azione ex art. 2932 c.c. da parte del promissario acquirente, anche in presenza di domanda giudiziale precedentemente trascritta.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.