Compensazione debiti - crediti tra fallito e creditori

24 Aprile 2014

Il fallimento A è creditore di B di una somma di cui chiede il pagamento. B, ricevuta l'intimazione di pagamento, acquista pro soluto da C un credito scaduto (ad un prezzo irrisorio) che C vanta nei confronti del fallito e B quale cessionario del credito (dopo aver notificato la cessione) eccepisce al fallimento la compensazione del proprio debito con il credito acquistato da C. Non operando la censura prevista dall'art. 56, comma 2, l. fall. (che riguarda i crediti non scaduti) ci si chiede se il curatore può eccepire a B che la cessione del credito operata tra B e C possa configurarsi rientrante, stante la violazione della par condicio creditorum, nella fattispecie prevista dagli artt. 1343 ss. c.c. e se sì in quale delle tre fattispecie e se il contratto può ritenersi nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c. Nel caso non rientrasse nella fattispecie di cui sopra, il Curatore potrebbe esperire azione revocatoria ordinaria ex art. 66 l. fall. qualificando il contratto di cessione del credito e la pretesa compensazione tra gli atti "dispositivi" previsti dall'art. 2901 c.c.?

Il fallimento A è creditore di B di una somma di cui chiede il pagamento. B, ricevuta l'intimazione di pagamento, acquista pro soluto da C un credito scaduto (ad un prezzo irrisorio) che C vanta nei confronti del fallito e B quale cessionario del credito (dopo aver notificato la cessione) eccepisce al fallimento la compensazione del proprio debito con il credito acquistato da C. Non operando la censura prevista dall'art. 56, comma 2, l. fall. (che riguarda i crediti non scaduti) ci si chiede se il curatore può eccepire a B che la cessione del credito operata tra B e C possa configurarsi rientrante, stante la violazione della par condicio creditorum, nella fattispecie prevista dagli artt. 1343 ss. c.c. e se sì in quale delle tre fattispecie e se il contratto può ritenersi nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c. Nel caso non rientrasse nella fattispecie di cui sopra, il Curatore potrebbe esperire azione revocatoria ordinaria ex art. 66 l. fall. qualificando il contratto di cessione del credito e la pretesa compensazione tra gli atti "dispositivi" previsti dall'art. 2901 c.c.?

RIFERIMENTI NORMATIVI – L'art. 56 l.fall. rubricato “compensazione in sede di fallimento” stabilisce che “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore”.
L'art. 66 l.fall., rubricato “Azione revocatoria ordinaria” a sua volta dispone che “il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. L'azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro”.
Infine l'art. 2901 c.c. rubricato “condizioni, modalità ed effetti”, stabilisce che “il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni quando concorrono le seguenti condizioni (…)”.

OSSERVAZIONI – Nel caso di specie il debitore B verso il fallimento A ha acquistato, nell'anno anteriore al fallimento, un credito che C vantava verso lo stesso fallimento A ed ha eccepito poi la compensazione tra le poste debitorie e creditorie.
Ebbene, come sopra illustrato, il secondo comma dell'art. 56 l.fall., al fine di evitare che la compensazione possa essere utilizzata in modo da frodare le ragioni di credito del fallimento e l'interesse della massa dei creditori prevede espressamente che “per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore”.
Tale disposizione è stata prevista allo scopo di evitare che l'acquisto dopo il fallimento o nell'imminenza dello stesso (entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento), da parte del debitore di un credito non scaduto sia effettuato ad un prezzo inferiore a quello nominale ed allo scopo programmato di evitare, attraverso il meccanismo della compensazione, il pagamento da parte del cessionario di un suo debito.
Perciò il secondo comma dell'art. 56 l.fall. prevede espressamente che il diritto alla compensazione è escluso quando il credito acquistato non sia scaduto alla data di dichiarazione del fallimento e se detto credito sia stato acquistato dopo il fallimento o nell'anno anteriore ad esso.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che sia possibile effettuare la compensazione con i crediti scaduti acquistati nel periodo dell'anno anteriore al fallimento.
Avverso tale ipotesi la Curatela non potrà eccepire nulla, non disponendo di mezzi di difesa avverso la compensazione, che è un effetto legale determinato dalla coesistenza tra rapporti creditori e debitori, avverso il quale non potrà agire neppure in revocatoria, né fallimentare, né ordinaria, atteso che la cessione del credito è un atto posto in essere dal creditore e non dal fallito, il quale, al pari di ogni altro debitore ceduto, ne subisce le conseguenze.
La Suprema Corte di cassazione, infatti, in un caso analogo a quello in esame ha stabilito che “Non è soggetto a revocatoria fallimentare, a norma dell'art. 67, comma 2, l. fall., il pagamento del corrispettivo della cessione di un credito stipulata nell'anno antecedente alla dichiarazione di insolvenza (o di fallimento), tra il creditore dell'insolvente ed un terzo - a sua volta debitore dell'insolvente - che abbia, per l'effetto, opposto in compensazione al fallimento il credito cedutogli, non potendosi legittimamente qualificare il predetto pagamento come "atto estintivo" del debito dell'insolvente. L'effetto (legale) di compensazione è, difatti, ricollegabile non al momento del concreto versamento del corrispettivo al cedente da parte del cessionario, ma a quello (logicamente e cronologicamente anteriore) della stipula del negozio di cessione, per effetto del quale il terzo debitore dell'insolvente acquista, ipso facto, anche lo "status" di creditore di quest'ultimo (in tale momento realizzandosi la coesistenza tra rispettivo debito e credito), e senza che, ancora, il corrispettivo versato al cedente possa in alcun modo qualificarsi come "pagamento (quand'anche indiretto) del debito dell'insolvente", onde inquadrarlo, ai fini dell'esperibilità dell'azione ex art. 67, comma 2, l. fall., nello schema del (revocabile) pagamento del terzo” (Cass. 2 luglio 1998, n. 6474).
Neppure è possibile ritenere che l'atto compensativo e il previo acquisto del credito siano atti compiuti in frode alla legge e quindi nulli. In giurisprudenza si è infatti evidenziato che l'intento del cedente di alienare il proprio credito dietro versamento da parte del cessionario del corrispettivo, e l'interesse di quest'ultimo al perfezionamento del contratto onde avvalersi successivamente del disposto di cui al citato art. 56, comma 2°, non sono illeciti; deve escludersi dunque che le parti abbiano inteso eludere l'applicazione di una norma imperativa, posto che utilizzano un contratto lecito non per realizzare un risultato equivalente ad uno vietato, ma proprio per realizzare quanto sarà effetto della cessione (per il cedente, come visto, l'incasso del corrispettivo, per il cessionario, l'acquisto della titolarità del credito onde beneficiare successivamente di quanto consentito dall'art. 56 l. fall.)(cfr. PONTI, FERRARI, in nota a Tribunale Genova 7/2/2002, Nuova giur. civ. commentata 2003, I, 536).
D'altra parte anche la Corte Costituzionale con ordinanza 20.10.2000, n. 431 ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56 nella parte in cui tale norma non prevede che la compensazione non abbia luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi nell'anno anteriore al fallimento anche se il credito è scaduto, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore – col solo limite della manifesta illogicità o arbitrarietà – la scelta degli strumenti normativi idonei ad evitare una artificiosa compensazione operata in danno della massa fallimentare attraverso l'acquisto, nel cosiddetto periodo sospetto, di crediti verso il fallito; ed in quanto tale limite non appare, nella specie, travalicato posto che la distinzione operata, con riguardo ai crediti acquistati per atto tra vivi nel medesimo periodo di tempo, tra crediti non scaduti (espressamente esclusi dalla compensazione) e crediti scaduti, ancorché censurabile sul piano dell'opportunità e dell'efficacia pratica (rispetto al raggiungimento dell'obiettivo di preservare in modo completo la "par condicio creditorum" dalle manovre fraudolente sempre possibili in tutti i casi di reciprocità di posizioni attive e passive derivanti dall'acquisto di crediti verso il fallito), non dà luogo ad una incongruenza dal punto di vista logico giuridico, atteso che la suddetta differenza di trattamento trova, da tale punto di vista, plausibile spiegazione nel fatto che solo con riguardo ai creduti scaduti prima del fallimento l'effetto estintivo proprio della compensazione deve intendersi realizzato anteriormente alla dichiarazione di fallimento".

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