Affitto di azienda e contratto di lavoro dipendente

18 Luglio 2013

Una newco ed una società in concordato preventivo, poi fallita, sottoscrivono un contratto d'affitto d'azienda. Le maestranze in occasione della presentazione della domanda di concordato preventivo vengono poste in mobilità e poi le stesse vengono riassunte dalla affittuaria.A seguito del fallimento, il Curatore risolve il contratto d'affitto d'azienda ai sensi dell'art. 79 l. fall. Che fine fanno le maestranze?

Una newco ed una società in concordato preventivo, poi fallita, sottoscrivono un contratto d'affitto d'azienda. Le maestranze in occasione della presentazione della domanda di concordato preventivo vengono poste in mobilità e poi le stesse vengono riassunte dalla affittuaria.
A seguito del fallimento, il Curatore risolve il contratto d'affitto d'azienda ai sensi dell'art. 79 l. fall.
Che fine fanno le maestranze?

I RIFERIMENTI NORMATIVI - Per la soluzione del quesito in oggetto rilevano le seguenti norme: l'art. 2555 c.c. (definizione di azienda), l'art. 2082 c.c. (definizione di impresa), l'art. 2112 c.c. (trasferimento d'azienda e personale dipendente) unitamente alla L. 428/90, al D. Lgs. 18/01, al D. Lgs. 276/03 e al D. Lgs. 251/04.

LA DOTTRINA - Il trasferimento d'azienda da un imprenditore ad un altro è oggetto non solo di norme civilistiche, ma anche di una complessa normativa lavoristica volta a tutelare i lavoratori dell'azienda ceduta.
Per trasferimento d'azienda si intende ogni operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata esistente prima del trasferimento e che conservi nel trasferimento la propria identità a prescindere da quale atto giuridico sia posto in essere per l'operazione. In altre parole le cessioni e i trasferimenti dell'azienda altro non sono che una cessione di un'attività con passaggio dei dipendenti ivi impegnati, analogamente a quanto avviene nei cosiddetti passaggi diretti. L'art. 2112 c.c., infatti, così dispone: “ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento di parte dell'azienda e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sul quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda”.
E prosegue al comma 6: “le diposizioni si applicano anche al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionale autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
Siamo quindi in presenza di un trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. ogniqualvolta si verifichi la sostituzione del titolare, a patto che l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'impresa non risulti compromessa.
Quando in un'azienda trasferita o in un ramo di essa sia incluso il personale dipendente, le parti, in ottemperanza agli adempimenti comunitari circa il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, devono rispettare quanto previsto all'art. 2112 c.c. e dall'art. 47 L. 29/12/1990, n. 428, così come successivamente modificato dal D. Lgs. n. 18/2001 per l'osservanza e la garanzia dell'informazione e la consultazione sindacale circa il programma di trasferimento.
La giurisprudenza prevalente è del parere che non sia obbligatorio il consenso del lavoratore ceduto sebbene allo stesso sia data facoltà di risolvere il rapporto con il nuovo datore di lavoro.
L'impresa cedente, peraltro, ha facoltà di trattenere i dipendenti dislocandoli in altre unità produttive purché siano tutelati i loro diritti, relativamente alle aspettative professionali; in questo caso non è necessario il consenso del lavoratore e la disciplina dell'art. 2112 c.c. non li coinvolge in quanto non trasferiti al nuovo imprenditore verso il quale non potranno vantare alcun diritto.
Nella lettura del comma 1 dell'art. 2112 c.c. osserviamo che: “In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”.
Il trasferimento d'azienda quindi, non costituisce di per sé un giustificato motivo di licenziamento e tutti i rapporti continuano con il soggetto acquirente con la conseguente conservazione di tutti i diritti in precedenza acquisiti.
Ad avvalorare questo concetto interviene il comma 2 dello stesso articolo che dispone: "Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro".
Resta ferma, dunque, la responsabilità in via solidale del cessionario per tutti i crediti che il lavoratore abbia maturato prima del trasferimento, a prescindere dal fatto che il cessionario ne abbia avuto o meno conoscenza diretta o possibilità di desumerli dalle scritture dei libri aziendali. Nell'obbligazione solidale sono compresi anche i crediti non risultanti dalle scritture contabili dell'azienda ceduta, quali ad esempio quelli inerenti prestazioni rese in nero con il sistema del "fuoribusta".
Il codice civile riconosce al solo cedente la possibilità di liberarsi dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, purché vi sia un accordo con il cessionario formalizzato con atto scritto e stipulato in una sede istituzionale ovvero in sede sindacale, con l'osservanza di quanto disposto dagli artt. 410 e 411 c.p.c.
I debiti relativi ai contributi obbligatori omessi costituiscono debiti inerenti all'esercizio dell'azienda e rimangono soggetti alla disciplina dettata dall'art. 2560 c.c., senza necessità che si attui l'automatica estensione di responsabilità al cessionario ai sensi dell'art. 2112 c.c. (Cass. 16/06/2001, n. 8179).
Nel caso in esame: se nel contratto d'affitto d'azienda è stato ricompreso anche il personale dipendente, ed il curatore del fallimento dell'affittante recede dal contratto, il personale dipendente torna in capo alla società fallita, ferma restando la responsabilità solidale dell'affittuaria per il periodo di tempo trascorso tra la data di inizio dell'affitto del ramo d'azienda e la data di recesso del curatore. Il debito per Tfr maturato nel periodo del contratto d'affitto d'azienda verrà richiesto dal fallimento direttamente all'affittuario ed il dipendente riceverà il TFR e le altre spettanze dalla società fallita.
Nel caso in cui il contratto d'affitto d'azienda non avesse ricompreso il personale dipendente (licenziato e poi assunto a nuovo dall'affittuario), per le spettanze maturate nel periodo di lavoro trascorso nella società fallita il dipendente dovrà insinuarsi al passivo fallimentare; per la parte post licenziamento sarà direttamente l'affittuaria a dover riconoscere il pagamento di quanto dovuto sia per TFR che per altri oneri, al dipendente stesso. Si tratta infatti a tutti gli effetti di una nuova assunzione che è intercorsa tra il dipendente e la società affittuaria.
In questo caso però, se il personale dipendente fosse passato all'affittuaria in assenza di un accordo sindacale si sarebbe posto in essere un contratto d'affitto d'azienda contrario alle norme di legge.
Il licenziamento del personale da parte dell'affittante poi fallita sarebbe da ritenersi illegittimo ed i singoli lavoratori potrebbero invocare a garanzia del pagamento delle loro spettanze, la solidarietà di entrambe le società.

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