Retrocessione dell’azienda: quali conseguenze sui rapporti di lavoro?

Adelio Riva
21 Marzo 2016

Il tema della retrocessione dell'azienda, oggetto di un contratto di affitto pendente al momento della dichiarazione di fallimento del locatore, assume rilevanza sia (i) nell'ipotesi in cui le parti del contratto, ossia il curatore fallimentare o l'affittuario in bonis, abbiano deciso di non subentrare nel contratto, esercitando, ex art. 79 l. fall., il proprio diritto di recesso entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento; sia (ii) nel caso in cui, non versando nell'ipotesi precedente, le parti abbiano deciso di mantenere in vita il contratto, ma questo si sciolga successivamente per scadenza del termine o perché risolto dalle parti medesime.

Il tema della retrocessione dell'azienda, oggetto di un contratto di affitto pendente al momento della dichiarazione di fallimento del locatore, assume rilevanza sia (i) nell'ipotesi in cui le parti del contratto, ossia il curatore fallimentare o l'affittuario in bonis, abbiano deciso di non subentrare nel contratto, esercitando, ex art. 79 l. fall., il proprio diritto di recesso entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento; sia (ii) nel caso in cui, non versando nell'ipotesi precedente, le parti abbiano deciso di mantenere in vita il contratto, ma questo si sciolga successivamente per scadenza del termine o perché risolto dalle parti medesime.
In tali circostanze si pone quindi la necessità di ri-trasferire l'azienda dall'affittuario in bonis al patrimonio fallimentare. A tal proposito, il primo problema che si presenta all'interprete è quello di identificare i beni e i rapporti giuridici costituenti l'azienda, che devono essere retrocessi al fallimento. Le soluzioni astrattamente percorribili per dare risposta al quesito sono due: la prima farebbe propendere per trasferire l'azienda nello stato in cui si trovava nel momento in cui la dichiarazione di fallimento fu pronunciata, mentre la seconda indurrebbe ad operare il trasferimento dell'azienda nello stato in cui essa si trova al momento in cui la retrocessione è attuata.
Tale seconda soluzione (in base alla quale l'azienda deve essere trasferita nello stato e consistenza sussistente al momento della retrocessione), è stata recentemente affermata anche in una pronuncia del Tribunale di Monza, tra le rare emesse sul punto, che ha osservato come nel caso di retrocessione di azienda dall'affittuario al locatore trovi applicazione la normativa generale ex art. 2558 c.c., dettata in materia di trasferimento d'azienda e "pertanto, in mancanza di una regolamentazione pattizia circa la sorte dei contratti al momento della costituzione dell'affitto, quelli già facenti parte dell'azienda ed ancora ineseguiti da entrambe le parti al momento della retrocessione si trasferiscono al concedente, al pari di quelli nuovi costituiti dall'affittuario per l'organizzazione ed il funzionamento dell'azienda" (Trib. Monza 5 dicembre 2013).
Il principio affermato trova giustificazione anche sul piano logico. A tal proposito si è soliti ritenere che il curatore fallimentare, nel valutare la convenienza della prosecuzione del contratto di affitto, debba tenere in considerazione le utilità perseguibili attraverso la prosecuzione del rapporto, che consistono soprattutto, oltre all'ottenimento dei canoni d'affitto pattuiti, nella conservazione e nell'aumento del valore dell'azienda nell'interesse dei creditori fallimentari. Tuttavia la ratio di tale valutazione verrebbe frustrata nel caso in cui si ritenesse che l'azienda debba essere ritrasferita nel suo status quo ante, perché in tal modo i benefici ottenibili, e ottenuti, dalla prosecuzione del contratto d'affitto verrebbero "persi" e non potrebbero essere trasferiti alla massa fallimentare.
Si deve inoltre evidenziare che il sesto comma dell'art. 104-bis l. fall., nel disciplinare il contratto d'affitto stipulato dal curatore (ossia il cd. contratto d'affitto endofallimentare), prevede un'importante deroga alle norme generali sul trasferimento d'azienda. Tale norma, dettata dal timore del legislatore che una gestione non diligente e inefficiente dell'azienda determini conseguenze pregiudizievoli per i creditori fallimentari, prevede che "la retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 e 2560 del codice civile. Ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del Capo III del titolo II".
In altre parole, la disciplina della retrocessione consente (i) di impedire effetti dannosi derivanti dai debiti facenti capo all'affittuario e (ii) di rimettere al curatore ogni decisione circa la sorte dei rapporti giuridici pendenti retrocessi, con riferimento ai quali egli detiene la facoltà di sciogliersi secondo le regole generali ex artt. 72 e seguenti della legge fallimentare.
Ci si chiede: il sopra menzionato comma 6 dell'art. 104-bis ha valenza di clausola generale, e quindi vale anche nell'ipotesi di affitto esofallimentare, sebbene sia inserito tra le disposizioni concernenti gli affitti endofallimentati? A tal proposito il Tribunale di Monza ha ritenuto, nella sopra citata sentenza, che tale articolo sia l'unica soluzione "ragionevolmente percorribile anche in relazione ai contratti preesistenti alla dichiarazione di fallimento per i quali gli organi della procedura abbiano manifestato la decisione di continuare il rapporto ex art. 72 l.f.". A sostegno di tale tesi viene, a fortiori, affermato che, nel caso di retrocessione dell'azienda affittata, "la regola della responsabilità tra cedente (l'originario affittuario) e cessionario (il concedente iniziale) circa i crediti dei lavoratori non sarebbe comunque applicabile, anche in assenza della specifica deroga di cui all'art. 104-bis, sesto comma, l.f.". Ciò in quanto si ritiene che, sulla base delle norme generali disciplinanti il trasferimento d'azienda (si veda in particolare l'art. 2560 c.c.) l'acquirente dell'azienda debba rispondere dei debiti esclusivamente nei casi in cui si realizzi una fuoriuscita dell'azienda dal patrimonio del titolare. Tuttavia ciò non si verificherebbe nell'eventualità di una retrocessione di azienda "in quanto (..) il soggetto a cui viene restituita l'azienda non è tecnicamente acquirente, poiché non vi è alcun riacquisto della proprietà dell'azienda, che è sempre rimasta in capo alla procedura, mentre l'originario affittuario ne ha avuto soltanto il godimento".
L'applicazione di tale indirizzo fa conseguentemente ritenere che la retrocessione dell'azienda al fallimento determini la pendenza dei rapporti di lavoro in essere, rispetto ai quali il curatore ha la possibilità di non subentrare ai sensi dell'art. 72 l. fall. Conseguentemente, è necessario ritenere che l'azienda debba essere retrocessa nello status in cui versa al momento in cui la retrocessione stessa viene attuata, mentre i rapporti di lavoro ad essa afferenti dovranno essere, alternativamente, sciolti o proseguiti sulla base di una decisione rimessa alla discrezionalità del curatore fallimentare.
Pertanto, qualora la curatela fallimentare dovesse optare per la prosecuzione dei rapporti di lavoro, con riferimento ad essi troveranno applicazione le garanzie dettate dall'art. 2112 c.c., ad eccezione della responsabilità del fallimento per i debiti maturati sino alla retrocessione, che resteranno in capo all'affittuario. Inoltre si deve ritenere, come è stato affermato da autorevole dottrina, che nel caso in esame non possano trovare applicazione le deroghe pattizie all'art. 2112 ai sensi dell'art. 47, comma 5, L. n. 428/1990, in quanto adottabili esclusivamente sul presupposto di un trasferimento d'azienda, operato dal curatore, da un'impresa già sottoposta a fallimento, e non invece, al contrario, nel caso di retrocessione operata da un'impresa in bonis verso il fallimento (F. Aprile e R. Bellè, Diritto concorsuale del lavoro – Istituti giuridici del lavoro subordinato e profili aziendalistici delle procedure concorsuali, Milano, 2013, 78).
Da ultimo, per quanto attiene all'obbligo di esperire la procedura di consultazione ex art. 47 L. n. 428/1990, è stato correttamente osservato che, in caso di retrocessione conseguente ad affitto endofallimentare, le parti non sono gravate da tale obbligo. A seguito della retrocessione non sussiste infatti l'esigenza di informare le OO.SS., in quanto non sarebbe ipotizzabile con riferimento ai rapporti di lavoro “alcuna modifica sia del numero di occupati, sia delle condizioni economiche contrattuali, nonché delle relative conseguenze economiche e sociali”. Tuttavia si potrebbe ipotizzare una soluzione diversa nell'eventualità di una retrocessione a seguito di affitto esofallimentare “perché in tal caso indubbiamente sono mutate le condizioni economiche e normative dei rapporti di lavoro” (P. Bonetti e F. Scaini, I rapporti di lavoro nel fallimento, Milano, 2013, 60 e ss.), in quanto questi, ove non sciolti ex art. 72, proseguirebbero con il fallimento e, di conseguenza, si potrebbe porre l'esigenza di vagliare l'adozione dei conseguenti provvedimenti opportuni (i.e., inter alia, licenziamenti collettivi o il ricorso alla CIGS).
In concreto, il curatore, al di là dei principi sopra richiamati, potrà fare ricorso alla procedura di cui all'art. 47, così da poter informare le OO.SS. circa la concreta situazione venutasi a creare con la retrocessione dell'azienda.

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