Nel caso in cui, a seguito di reclamo avverso la sentenza di fallimento, la Corte di Appello sospenda la liquidazione dell'attivo ai sensi dell'art. 19 l. fall., il curatore è ancora legittimato (e quindi onerato delle relative iniziative) a proseguire/riassumere i giudizi interrotti in applicazione dell'art. 43 l. fall.?
La sospensione delle operazioni di liquidazione dell'attivo, che sia disposta dalla corte di appello, a norma dell'art. 19 l. fall., in pendenza del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, non pare possa incidere sul potere/dovere del curatore di coltivare i processi pendenti alla data di dichiarazione del fallimento ed interrotti per effetto della stessa.
Tanto, nella misura in cui l'attività liquidatoria è, in senso proprio, solo quella che attui la “conversione” di beni e/o diritti in denaro: sicché, ad esempio, tendenzialmente ha carattere liquidatorio la stipulazione di una eventuale transazione da parte del curatore rispetto ad una causa pendente.
Al contrario, la semplice prosecuzione dei processi parrebbe avere sempre e soltanto finalità “conservativa” del patrimonio del fallito, sicché in presenza di un provvedimento ex art. 19 l. fall., detta prosecuzione dovrebbe ipotizzarsi addirittura (quasi sempre) come doverosa in capo al curatore, il quale deve assicurare che una eventuale sentenza di revoca del fallimento faccia ritrovare, al fallito tornato in bonis, del tutto integre le posizioni giuridiche (anche processuali) di cui egli sia stato temporaneamente “spossessato” per effetto della dichiarazione di fallimento.
Tale “doverosità” della prosecuzione probabilmente può escludersi con riguardo a quei processi in cui il curatore valuti che il fallito abbia agito o resistito con dolo o colpa grave, sicché la prosecuzione di essi esporrebbe addirittura ad una responsabilità processuale aggravata.