L’indisponibilità del credito tributario fra principio di legalità e convenienza della proposta concordataria

30 Settembre 2015

La Suprema Corte, con le sentenze n. 22931 e 22932 del 2011, ha escluso la falcidia dell'Iva e delle ritenute nel contesto del concordato preventivo.

La Suprema Corte, con le sentenze n. 22931 e 22932 del 2011, ha escluso la falcidia dell'Iva e delle ritenute nel contesto del concordato preventivo.
La predetta impostazione è stata fatta propria anche dalla Cassazione penale che ha ritenuto sussistere il reato di omesso versamento dei tributi anche per l'imprenditore in concordato preventivo, dal momento che la falcidia dell'IVA (e, correlativamente delle ritenute) non può mai aversi, nemmeno nel caso in cui il concordato preventivo non preveda la transazione fiscale (cfr. sentenza n. 44283/2013). Quando l'imprenditore omette il pagamento dell'IVA o delle ritenute, in realtà si appropria di risorse non sue, ma proprie dell'Erario, “addebitate al cessionario della prestazione in caso di IVA e che avrebbe dovuto versare in luogo del dipendente/collaboratore sostituito in caso di ritenute. Così facendo, l'imprenditore, anziché gestire transitoriamente e provvisoriamente dette somme, se ne è indebitamente appropriato, quando - al momento in cui si verificava il presupposto impositivo - dette somme andavano riversate tempestivamente all'Erario”.
Il summenzionato orientamento non è stato unanimemente recepito dalla giurisprudenza di merito. Ad esempio, i Tribunali di Como, Sondrio e Varese hanno ammesso la falcidia, ma la Corte d'Appello di Milano ha riformato, in sede di reclamo, le decisioni dei primi giudici, richiamandosi all'insegnamento della Suprema Corte (cfr. le pronunzie R.G.V.G. n. 664/13, depositata il 16.1.2014; R.G.V.G. n. 1/14, depositata il 17.4.2014, R.G.V.G. 523/2014 depositata il 20.11.2014).
Lo spunto più interessante, proveniente dalla giurisprudenza di merito dissenziente, è legato alla convenienza della proposta concordataria, ritenuta più favorevole dell'alternativa fallimentare. Si sostiene che l'Amministrazione erariale sarebbe sostanzialmente priva di interesse laddove contestasse la falcidia con il rischio di riscuotere di meno in sede fallimentare.
Sul punto emerge l'annosa questione che potremmo sintetizzare nella relazione fra la convenienza della proposta concordataria e l'indisponibilità del credito tributario.
Giova partire dall'art. 53 Cost.
La norma “dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. L'obbligo di concorrere alle spese pubbliche è dettato dalla fondamentale esigenza di reperire i mezzi necessari per consentire allo Stato ed agli altri enti pubblici di poter assolvere i loro compiti istituzionali. Tale esigenza fondamentale richiede che detti enti possano fare affidamento in tempi brevi su una consistente entità di risorse finanziarie la cui riscossione quindi deve essere certa” (Cass. civ., sez. I, 1.3.2010, n. 4861).
A dispetto dell'intento originario del legislatore, il concordato preventivo ha assunto, nella maggior parte dei casi, una funzione solutoria, volta a soddisfare celermente i creditori evitando una defatigante procedura fallimentare. Si tratta di una soluzione vantaggiosa per l'impresa privata che chiude, per i creditori che vengono (più o meno) soddisfatti sollecitamente, ma non necessariamente per l'erario.
L'Amministrazione non ha alcuna disponibilità sull'an e sul quantum dell'accertamento del credito erariale. Inoltre, se il legislatore ha escluso dalla falcidia l'Iva e le ritenute, la parte pubblica non può che adeguarsi, essendo tenuta, nell'azione amministrativa, al rispetto del principio di legalità.

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