“Definitività” della degradazione al chirografo dei crediti privilegiati incapienti
Filippo Lamanna
12 Maggio 2014
Com'è noto, secondo l'attuale testo dell'art. 160, comma 2, l. fall., la proposta di concordato preventivo può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca siano soddisfatti solo nei limiti di capienza dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, avuto riguardo al loro valore liquidativo di mercato, indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d).
Com'è noto, secondo l'attuale testo dell'art. 160, comma 2, l. fall., la proposta di concordato preventivo può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca siano soddisfatti solo nei limiti di capienza dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, avuto riguardo al loro valore liquidativo di mercato, indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d). La suddetta norma si coordina poi con l'art. 177, comma 3, secondo cui i creditori muniti di diritto di prelazione, di cui la proposta di concordato preveda, ai sensi dell'articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito. La funzione di questa seconda disposizione sembrerebbe a prima vista circoscritta a regolare il diritto di voto dei creditori privilegiati “degradati”. Concordo però con l'idea che essa, dovendosi coordinare con l'art. 160, trascenda inevitabilmente questa sola funzione, indicando per implicito, ed in via definitiva, alla luce di una ricostruzione logica della nuova disciplina, anche quale debba essere il trattamento riservato ai predetti crediti nella fase esecutiva del concordato (cfr. per un acuto spunto a tale riguardo Galletti, Il soddisfacimento dei creditori privilegiati e falcidiati nel concordato preventivo, in ilFallimentarista.it). In altri termini: una volta acquisita, quale allegato alla domanda di concordato che preveda la degradazione totale o parziale al chirografo di un credito munito di prelazione, la relazione dell'esperto prevista dall'art. 160, comma 2, credo sia inevitabile considerare definitiva la degradazione al chirografo, con la conseguenza che, qualunque sia l'esito dell'eventuale liquidazione dei beni sui quali sussisteva in origine la causa di prelazione, ossia anche quando per ipotesi il realizzo fosse maggiore o minore rispetto a quello previsto da quella relazione, il creditore non possa ricevere né di più, e neppure di meno, di quanto la proposta e la relazione medesima abbiano indicato (salvo - forse - che la proposta stessa, con apposita clausola, preveda alternativamente ed eventualmente, per il caso in cui si verifichi una vendita per importo maggiore di quello stimato, il pagamento del surplus in favore del creditore prelazionario; e fatta salva la possibilità di risolvere il concordato qualora la vendita avvenga per importo minore di quello stimato e l'attivo residuo non basti a soddisfare il creditore prelazionario per la parte non coperta dal prezzo di vendita). Mi rendo ben conto di come tale conclusione possa considerarsi apparentemente contraria all'interpretazione tradizionale, secondo la quale le modalità di ammissione disposte dal giudice delegato ai fini del voto non possono mai pregiudicare il successivo accertamento, da svolgersi in sede giudiziale ordinaria, sull'an, sul quantum e sul rango del credito concorsuale. Tale interpretazione, però, sebbene ancor oggi valida in via generale, deve secondo me necessariamente deflettere nel caso della degradazione al chirografo di un credito munito di prelazione prevista in origine nella proposta e nel piano, secondo le indicazioni contenute nella relazione peritale ex art. 160, comma 2. Tale norma, infatti, non può considerarsi compatibile con la suddetta tradizionale interpretazione in parte de qua, poiché presuppone un immediato vaglio critico sul rango del credito che non può non avere carattere necessariamente definitivo sulla degradazione al chirografo del credito originariamente (ed astrattamente) privilegiato. Anzitutto perché l'art. 160, comma 2, autorizza appunto la degradazione al chirografo, sia pure alla condizione che sia presentata la suddetta relazione peritale ad hoc, come parte costituiva della proposta e del piano su cui i creditori sono chiamati a votare. La natura privilegiata o chirografaria del credito non è, cioè, in tal caso, un mero elemento soggetto a valutazione provvisoria del giudice delegato ai soli fini del voto, come negli altri casi in cui si tratti di stabilire, a questo fine, il rango di un credito concorsuale, ma è un elemento fondante della proposta e del piano, con riflessi immediati sulla fattibilità di quest'ultimo, su cui i creditori sono chiamati ad esprimersi con il proprio voto, accettando o meno – tra l'altro – anche tale previsione. Del resto, una volta scardinato il principio che anteriormente rendeva obbligatorio il pagamento integrale di tutti i crediti muniti di prelazione, ed introdotto il principio per cui già la stessa proposta – senza quindi alcun rinvio all'esito della fase esecutiva post-omologa - può prevedere un pagamento non integrale dei crediti prelazionari, la conclusione s'impone in via logica. Non avrebbe senso, infatti, chiamare a votare i creditori sul presupposto di una certa ipotesi satisfattiva basata, tra l'altro, sulla degradazione al chirografo di alcuni crediti originariamente privilegiati, se poi i risultati potessero essere sovvertiti in tale ambito a causa di un esito liquidativo diverso da quello prospettato dall'esperto stimatore. Se fosse solo la liquidazione a dover decidere ex post della sorte del credito originariamente munito di prelazione, la necessità di produrre ex ante la relazione di cui all'art. 160, comma 2, non avrebbe del resto alcun senso. Ma soprattutto resterebbe impossibile applicare la facoltà/possibilità, prevista da tale norma, di un pagamento non integrale del credito munito di prelazione, nei casi in cui una liquidazione non fosse affatto prevista, come è a dirsi, in particolare, dei vari casi in cui il concordato sia di tipo promissorio, o con garanzia, compreso il caso in cui abbia la veste di un concordato con continuità aziendale che non preveda la liquidazione di tutti o di parte dei beni aziendali. In tal caso, infatti, mancando una liquidazione, come potrebbe stabilirsi ex post l'effettiva capienza dei beni oggetto di prelazione? Proprio per tale motivo, d'altra parte, l'art. 186-bis, comma 2, lettera c), l. fall., nel consentire, per il concordato con continuità aziendale, che il piano possa prevedere una moratoria fino a un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ha espressamente inserito l'inciso “fermo quanto disposto dall'articolo 160, secondo comma”, inciso che sta proprio a significare che anche in tal caso il pagamento dei crediti prelazionari, pur dilazionato, può essere effettuato comunque non integralmente se venga prodotta la relazione giurata del professionista prevista dall'art. 160, comma 2 che attesti l'incapienza dei beni oggetto di garanzia. Ma se, allora, in siffatta ipotesi, basta soltanto tale relazione a fare stato sulla degradazione al chirografo (né potrebbe essere diversamente, mancando un'attività liquidativa), per quale motivo la medesima relazione non dovrebbe avere la stessa efficacia anche nel caso in cui di quei beni sia prevista la liquidazione? Se la sua efficacia fosse diversa nei due casi, ne risulterebbe infatti chiaramente compromessa la logica del sistema normativo speciale, risultando trattate in maniera ingiustificabilmente diversa situazioni creditorie del tutto identiche. Conferma, infine, la conclusione, il fatto che nel medesimo contesto normativo l'art. 177 statuisca che i creditori privilegiati “non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto o in parte al diritto di prelazione” e che “per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari”. In questo caso, senza dubbio, la rinuncia al diritto di prelazione è definitiva, e quindi la prelazione non può rivivere ex post a seconda dell'eventuale esito liquidativo. Vero è che la creditori dipende in tal caso da un atto abdicativo/dispositivo del creditore, ma nulla esclude evidentemente che lo stesso effetto di immediata (e definitiva) degradazione segua ad una condizione legale, come quella della incapienza dei beni oggetto di garanzia attestata nella relazione peritale prevista dall'art. 160, comma 2, ipotesi non a caso affiancata e parificata a quella della rinuncia del creditore alla prelazione nel richiamo fattone dall'art. 177 (infatti nel medesimo contesto i creditori privilegiati di cui si propone un pagamento non integrale sono appunto “equiparati ai chirografari per la parte residua del credito” allo stesso modo dei creditori privilegiati che rinuncino alla prelazione).
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