Licenziamento collettivo

23 Luglio 2014

Le regole, nel caso di licenziamento individuale plurimo, sono quelle contenute nella legge 15 luglio 1966, n.604, qualora ci si trovi di fronte ad un licenziamento collettivo, invece, le regole sono quelle della legge 23 luglio 1991, n.223.
Inquadramento

Per la risoluzione dei rapporti di lavoro determinata da motivi economici, le procedure da seguire non sono sempre analoghe per tutti i datori di lavoro.

Infatti, nonostante le cause che determinano l'esubero dei lavoratori siano analoghe, ovvero licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (es. per chiusura di un'unità produttiva), non sempre le regole applicabili è detto siano uguali in tutti i casi.

In particolare, la disciplina regolatoria e soprattutto le procedure da seguire risultano profondamente differenti a seconda che ci si trovi di fronte ad un licenziamento individuale di più lavoratori (cd. plurimo), ovvero nel caso di licenziamento collettivo.

Determinante ai fini dell'individuazione delle regole applicabili risulta l'organico in forza presso il datore di lavoro ed il numero dei lavoratori interessati dal recesso per giustificato motivo oggettivo.

Le regole, nel caso di licenziamento individuale plurimo, sono quelle contenute nella legge 15 luglio 1966, n.604, qualora ci si trovi di fronte ad un licenziamento collettivo, invece, le regole sono quelle della legge 23 luglio 1991, n.223.

Due le novità intervenute recentemente: la prima riguarda i dirigenti per i quali vengono estese le stesse regole previste per le altre categorie di lavoratori, la seconda le tutele previste per il nuovo contratto a tutele crescenti che estende i suoi effetti anche relativamente ai licenziamenti collettivi.

La disciplina del licenziamento economico

Parlare di licenziamento collettivo significa evidentemente parlare della risoluzione di più rapporti di lavoro per motivi di natura economica.

Tuttavia, non sempre un licenziamento determinato da motivi economici significa in senso tecnico licenziamento collettivo.

Infatti, per licenziamenti collettivi si intende utilizzo di specifiche regole da applicare alle risoluzioni e soprattutto specifiche procedure da seguire nella fase di avvio, di gestione ed infine, quale extrema ratio, di risoluzione dei rapporto.

Comune denominatore è il coinvolgimento di altri soggetti nella procedura. Si tratta delle organizzazioni sindacali e degli organi amministrativi preposti i quali, pertanto, assumono un ruolo aggiuntivo e rilevante in un rapporto negoziale che si è costituito tra datore di lavoro e lavoratore.

Licenziamenti economici

Preliminarmente va evidenziato che il licenziamento per motivi economici è quello definito all'art. 3 della legge n. 604/1966, secondo il quale è tale la risoluzione del rapporto di lavoro su iniziativa del datore il quale comunica al lavoratore, con preavviso, tale decisione di recedere dal contratto.

Si tratta nello specifico di un licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Ai sensi del successivo art. 5, l'onere probatorio circa la fondatezza delle ragioni che hanno portato alla decisione, incombe sul datore di lavoro.

Va peraltro ricordato che, dopo la legge 28 giugno 2012, n. 92, sono stati introdotti due importanti novità rispetto alla disciplina previgente:

1) nella comunicazione al lavoratore con la quale il datore di lavoro assume la decisione, vanno sempre indicate le ragioni. Fino al 17 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge Fornero, le specifiche ragioni potevano non essere presenti nella lettera ma dovevano essere puntualizzate solo laddove fossero state richieste dal lavoratore;

2) laddove la risoluzione riguarda datori di lavoro che ricadono nel regime di tutela reale (in genere datori di lavoro che occupano più di 15 lavoratori), la comunicazione del recesso va preceduta da una comunicazione alla Direzione Territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. A seguito di tale comunicazione, si attiva una procedura che prevede un incontro tra le parti finalizzata a verificare la possibilità di scongiurare il licenziamento ovvero a giungere ad un accordo consensuale per la risoluzione del rapporto di lavoro. In caso contrario, comunque il rapporto di lavoro cessa con effetto dalla data di avvio della procedura.

L'articolo 11 della legge n.604/1966 prevede espressamente, tuttavia che tali regole non si applicano alla materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale.

La disciplina del licenziamento collettivo

Le regole dei licenziamenti collettivi sono state disciplinate dal legislatore con la legge n. 223/1991 che ha recepito nel nostro Paese la direttiva comunitaria n. 75/129 del 17 febbraio 1975.

In particolare, è l'art. 24 a rappresentare la norma di riferimento, che prevede l'applicabilità delle regole dei licenziamenti collettivi e dunque l'esclusione della disciplina dei licenziamenti individuali, alle imprese che occupano più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia.

Dunque due requisiti devono ricorrere congiuntamente:

1) soglia dimensionale dell'impresa. Essa deve occupare più di 15 dipendenti. Il limite va individuato sulla base del principio più volte ribadito dalla corte di cassazione della "normale occupazione" con riguardo al periodo di tempo antecedente al licenziamento e non anche a quello successivo di preavviso senza dare rilevanza alle contingenti e occasionali contrazioni o anche espansioni del livello occupazionale aziendale. Tale criterio, inoltre, deve essere riferito ai lavoratori dipendenti e non semplicemente agli addetti o agli occupati, non potendosi considerare dipendenti tutti coloro che prestino la propria attività per l'azienda, ma solo quelli ad essa legati da rapporto di subordinazione (ex plurimis Cass. n. 13274/2003 n. 2460/2014). Quindi non va tenuto conto del momento nel quale la procedura viene avviata ma del numero dei lavoratori normalmente occupati.

In caso di variabilità del livello occupazionale strutturale al carattere dell'attività produttiva trova conferma il criterio medio statistico della normale occupazione e, per l'individuazione dell'arco di tempo in cui calcolare tale media, il periodo temporale utilizzabile più appropriato è quello riferito all'anno (cfr. Cass. Sent. n. 2546/2004, Cass. n. 4394/1974).

Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 3 del 16 gennaio 2013 si è soffermato su tale aspetto ricordando che, generalmente, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto applicabile la media dei lavoratori occupati negli ultimi sei mesi, anche se nelle aziende ove, per motivi di mercato o di attività svolta in periodi predeterminati, l'occupazione è “fluttuante”, la giurisprudenza oscilla tra un concetto di “media” (Cass. Sent. n. 2546/2004) ed uno di “normalità” della forza lavoro riferita all'organico necessario in quello specifico momento dell'anno (Cass. sent. n. 2241/1987; Cass. sent. n. 2371/1986).

2) numero di licenziamenti. Almeno 5 nell'arco temporale di 120 giorni. Tale periodo potrebbe anche risultare più lungo nel caso in cui ciò derivi dalla procedura di confronto sindacale.

In presenza di tali condizioni, conseguentemente, tutti i licenziamenti di natura economica relativi alla medesima riduzione o trasformazione vengono ricondotti ad un'unica procedura. Non si tiene conto delle cessazioni dei contratti di lavoro a tempo determinato per scadenza del termine.

Dal 25 novembre 2014, a seguito dell'entrata in vigore della legge 30 ottobre 2014, n. 161, nel computo dei dipendenti occorre considerare anche i dirigenti.
Tale scelta è stata determinata dalla necessità di dar seguito alla decisione della Corte di Giustizia europea che aveva censurato la disciplina italiana nella misura in cui aveva escluso i lavoratori con qualifica di dirigente (causa C-596/2012 che, ha dichiarato l'illegittimità della normativa italiana in materia di licenziamenti collettivi nella parte in cui esclude dalla procedura e dal conseguente trattamento di mobilità la categoria dei dirigenti).

La procedura: criteri di scelta, comunicazioni, esclusioni

Quando un datore di lavoro deve procedere alla riduzione di personale e ricade nell'ambito delle citate regole che riconducono le ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro nella disciplina dei licenziamenti collettivi, deve preventivamente effettuare una comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite ai sensi dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. Nel caso nel luogo di lavoro non risultino rappresentanze sindacali la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato.
L'avvio della procedura va destinata anche all'organo amministrativo competente da individuarsi in relazione alle regole specifiche del territorio considerando che la materia è di competenza regionale che potranno aver delegato le singole province.

La comunicazione deve contenere:

  • motivi che determinano la situazione di eccedenza;
  • motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo;
  • numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato;
  • tempi di attuazione del programma di riduzione del personale;
  • eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.

Nel caso il datore di lavoro sia ammesso alle procedure di mobilità, alla comunicazione va allegata copia della ricevuta del versamento all'INPS dovuta a titolo di anticipazione della somma sul trattamento mensile iniziale di mobilità secondo quanto previsto dall'art. 5, comma 4 della legge n. 223/1991.

Le rappresentanze sindacali dei lavoratori possono richiedere entro sette giorni un esame congiunto allo scopo di valutare le cause che costituiscono la cause che determina l'eccedenza e le possibilità di evitate i licenziamenti attraverso una ricollocazione dei lavoratori o comunque una utilizzazione diversa, anche col ricorso ai contratti di solidarietà o a forme di flessibilità per la gestione del lavoro. Tale procedura deve concludersi entro quarantacinque giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell'impresa.

Le consultazioni si possono protrarre per un periodo massimo di 45 giorni salvo la riduzione a 30 giorni nei casi previsti dall'art. 3, comma 3, della legge n. 223/1991 in caso di procedure concorsuali.

I termini sono in ogni caso dimezzati ai sensi dell'art. 4, comma 8, qualora il numero dei lavoratori interessati alla procedura di mobilità sia inferiore a 10.

Esaurita la fase di consultazione sindacale, a prescindere dall'esito, il datore di lavoro ha l'obbligo di comunicare l'esito delle consultazioni alla Regione o alla Provincia competente delegata dalla Regione.

L'ufficio competente, nel caso di mancato accordo convoca le parti al fine di tentare l'intesa tra le parti.

Tale fase può durare al massimo 30 giorni (anche in questo caso opera la riduzione a metà nel caso i lavoratori interessati siamo meno di dieci) che decorrono dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dell'ufficio. Conclusa la procedura l'impresa ha facoltà di procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro intimando il licenziamento individualmente ai singoli lavoratori.

I criteri di scelta

Molto importante nell'ambito dei licenziamenti da intimare risulta la scelta dei lavoratori interessati dalla procedura di riduzione del personale.

Le regole sono fissate dall'art. 5 della legge n. 223/1991.

È previsto che l'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti in sede di accordo sindacale ovvero in caso di mancato accordo sulla base di quanto previsto dai CCNL, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

a) carichi di famiglia;

b) anzianità;

c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

La violazione di tali criteri comporta l'inefficacia del licenziamento.

La comunicazione finale

Una volta intimati i licenziamenti, entro sette giorni il datore di lavoro deve effettuare una comunicazione alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria interessate dalla procedura iniziale, contenente l'elenco dei lavoratori licenziati, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta.

Quello delle comunicazioni, sia iniziale che finale, rappresenta un onere molto importante sanzionato con l'inefficacia del licenziamento (Cass. n. 22825/2009).

Per quanto concerne quello iniziale, invero il comma 45 dell'art. 1 della legge n. 92/2012 ha previsto che gli eventuali vizi della comunicazione iniziale possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

Diverso invece il caso che la procedura si sia conclusa con un accordo sindacale se il vizio riguarda invece la comunicazione finale.

La recente sentenza della Cassazione del 15 luglio 2014, n.16134, ha ribadito che il licenziamento collettivo può essere dichiarato inefficace dal giudice del lavoro per un vizio di forma (nel caso, la mancata comunicazione agli uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali delle modalità di applicazione dei criteri di scelta) che non è stato invocato in maniera specifica dal lavoratore nel ricorso introduttivo, qualora nel ricorso fosse comunque contenuta una qualche doglianza in merito alla violazione delle procedure previste dalla legge.

Esclusioni e specificità

Sono previste regole specifiche per alcune ipotesi.

Intanto le procedure dei licenziamenti collettivi non si applicano al recesso intimato da datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di cultentemente, occorre riferirsi alle regole contenute nella legge n. 604/1966.
Inoltre, sono esclusi altresì i casi di fine lavoro nelle costruzioni edili, attività stagionali o saltuarie.

In caso di cessazione di rapporti di lavoro per fine appalto, invece, ai sensi dell'articolo 7, comma 4 bis, della legge 28 febbraio 2008, n.31, l'acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Sanzioni

Il regime sanzionatorio relativo ai licenziamenti collettivi già stato rivisitato dalla citata legge n. 92/2012 risulta interessato dalla nuova disciplina in materia di contratto di lavoro a tutela crescenti.
In particolare, il decreto legislativo adottato in attuazione della legge delega 10 dicembre 2014, n.183, ha previsto un nuovo regime di tutela relativamente ai lavoratori assunti a far data dalla data di entrata in vigore del decreto.

Per coloro che risultano invece già assunti precedentemente, continuano ad applicare le regole esistenti.

Nello specifico la regolamentazione delle varie ipotesi è contenuta per quanto concerne i lavoratori già in forza all'articolo 1, comma 46 della legge n. 92/2012.

Le ipotesi sono le seguenti:

- nel caso di licenziamento privo della forma scritta, il licenziamento è nullo e si applica il regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti discriminatori e quindi la reintegra ed il risarcimento del danno determinato in misura pari alle retribuzioni perdute per tutto il periodo sin dalla data del licenziamento sino alla effettiva reintegra dedotte esclusivamente le somme percepite eventualmente per altre attività lavorative (cd. aliunde perceptum) con un minimo di cinque mensilità. Sono dovuti altresì i contributi previdenziali del periodo interessato. Rimane la possibilità per il lavoratore di optare, al posto della reintegra, per un'indennità pari a 15 mensilità.

- per la violazione delle procedure relative alle comunicazioni, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro ad un'indennità risarcitoria omnicomprensiva da 12 a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto determinata in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti. Gli eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

- se risultano vizi relativi ai criteri di scelta, si applica il regime della reintegrazione nel posto del lavoro nonché il pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (cd. aliunde perceptum), nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (cd. aliunde percipiendum).
In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro.

Per quelli che invece risultano assunti dalla data di entrata in vigore del decreto legislativa a tutele crescenti non è prevista in alcun caso la reintegra.
Il regime di tutela è infatti esclusivamente quello indennitario.
In particolare, nel caso in cui il giudice accerta l'illegittimità del licenziamento, dichiara estinto il licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a due mensilità per ogni anno di anzianità da calcolarsi tenendo conto dell'ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.
In ogni caso, l'indennità non potrà essere inferiore a due mensilità nè superare quattro mensilità. Il calcolo va effettuato tenendo conto delle frazioni d'anno.

Va ricordato, infine, che il lavoratore potrà contestare stragiudizialmente il licenziamento a pena di decadenza entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione. Osservato tale termine, dovrà proporre ricorso al giudice del lavoro, a pena di inefficacia dell'impugnazione, entro i successivi 180 giorni.

Riferimenti

Normativa

  • Legge 10 dicembre 2014, n. 183
  • Legge 30 ottobre 2014, n. 161
  • Legge 28 giugno 2012, n. 92
  • Legge 28 febbraio 2008, n. 31
  • Legge 23 luglio 1991, n. 223
  • Legge 20 maggio 1970, n. 300
  • Legge 15 luglio 1966, n. 604

Prassi

  • Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Circolare 16 gennaio 2013, n. 3

Giurisprudenza

  • Cass. Civ., sentenza 15 luglio 2014, n. 16134
  • Cass. Civ., sentenza 4 febbraio 2014, n. 2460
  • Cass. Civ., sentenza 28 ottobre 2009, n. 22825
  • Cass. Civ., sentenza 10 febbraio 2004, n. 2546
  • Cass. Civ., sentenza 10 settembre 2003, n. 13274
  • Cass. Civ., sentenza 3 marzo 1987, n. 2241
  • Cass. Civ., sentenza 5 aprile 1986, n. 2371

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