Codice di Procedura Penale art. 28 - Casi di conflitto.Casi di conflitto. 1. Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo: a) uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona; b) due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. 2. Le norme sui conflitti si applicano anche nei casi analoghi a quelli previsti dal comma 1. Tuttavia, qualora il contrasto sia tra giudice dell'udienza preliminare [416 s.] e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo. 3. Nel corso delle indagini preliminari [326 s.], non può essere proposto conflitto positivo [54] fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione [16]. InquadramentoQuando due giudici, speciali o ordinari, ricusino contemporaneamente di conoscere lo stesso fatto ovvero procedano contemporaneamente alla sua cognizione, l'intollerabile situazione di stallo (nel primo caso) ovvero di esercizio sovrapposto dell'unica azione penale (nel secondo) trova rimedio mediante il procedimento regolato dagli artt. 28 e ss. I presupposti di applicabilità della norma. I casi tipizzati del “conflitto proprio”Il conflitto (positivo o negativo) di giurisdizione e di competenza di cui agli artt. 28 e ss., presuppone: a) la contestuale pendenza di due procedimenti davanti a uffici giudiziari diversi nei confronti della medesima persona e per il medesimo fatto (e non per il medesimo reato) a prescindere dalla diversa qualificazione giuridica che ad esso possa esser data o dalla contestazione o meno di circostanze (si veda anche l'art. 649); sulla necessaria “attualità” del conflitto, cfr. Cass. I, n. 38522/2017, secondo cui è necessario che i vari procedimenti siano tutti pendenti e non sia intervenuta alcuna pronuncia irrevocabile nel merito); b) la declinazione o l'affermazione della competenza a conoscere del medesimo fatto da parte di due uffici giudiziari diversi. La diversità degli uffici giudiziari costituisce un presupposto necessario per la risoluzione del conflitto (Cass. V, n. 4143/1998, secondo cui non è configurabile il conflitto di competenza nell'ipotesi di contemporanea pendenza di procedimenti presso distinte sezioni dello stesso ufficio giudiziario, pendenza che, non mettendo in discussione la competenza per materia e per territorio di un determinato giudice e investendo la ripartizione degli affari penali tra le varie sezioni dello stesso giudice, può determinare soltanto questioni sulla riunione dei procedimenti. Peraltro, in difetto di una espressa previsione e in forza del principio della tassatività dei mezzi e dei provvedimenti impugnabili, è inoppugnabile l'ordinanza che dispone o denega la riunione o la separazione dei procedimenti; nello stesso senso Cass. I, n. 2721/1994). La conclusione non cambia se il conflitto insorge tra sezioni penali e civili dello stesso ufficio giudiziario. Secondo Cass. civ. S.U. n. 38596/2021, infatti, l'ordinanza del giudice civile che abbia reputato competente un giudice penale del medesimo ufficio non è impugnabile con regolamento di competenza ai sensi dell'art. 42 c.p.c., atteso che la distinzione tra le varie sezioni – anche civili e penali – del medesimo tribunale si riferisce a mere articolazioni interne di un unico ufficio, con la conseguente esclusione della possibilità di qualificare le rispettive attribuzioni come "questione di competenza" nel processo civile, dovendosi altresì escludere l'applicazione, sia in via diretta che in via analogica, delle soluzioni normative sancite dall'art. 28 c.p.p.(Nel caso scrutinato dalle Sezioni unite, si controverteva sulla competenza a decidere sulla domanda di restituzione di somme confluite nel Fondo Unico Giustizia a seguito di sequestro penale e successivamente dissequestrate dal giudice per le indagini preliminari. Sia il giudice penale che il giudice civile del medesimo ufficio giudiziario avevano declinato la propria competenza a decidere. Nell'affermare il principio di diritto, la Corte di cassazione ha escluso che potesse applicarsi al caso di specie, nemmeno in via analogica, l'art. 28 c.p.p.) La soluzione non è condivisa dalle sezioni penali semplici della Corte di cassazione secondo le quali, invece, è ammissibile il conflitto tra giudice penale e giudice civile del medesimo ufficio. Cass. I, n. 31843/2019, in particolare, aveva affermato il principio secondo il quale Il giudice penale che, dopo avere declinato la competenza a favore del giudice civile, si veda restituiti da quest'ultimo gli atti sul presupposto che la competenza spetti al giudice penale, ha l'obbligo di trasmettere gli atti alla Corte di cassazione per la decisione del conflitto, vertendosi in una delle ipotesi di cui all'art. 28, comma 2, c.p.p. (in senso conforme, Cass. I, n. 19547/2004). Se dunque il conflitto è sollevato dal giudice penale trova applicazione l'art. 28 c.p.p.; diversamente, se il conflitto viene sollevato dal giudice civile la soluzione è affidata al dirigente dell'ufficio secondo le regole stabilite dalle tabelle di organizzazione interna di ogni ufficio giudiziario. Per medesimo fatto si deve intendere la corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. S.U., n. 34655/2005; ; nonché Corte cost.,n. 200/2016, con richiamo anche all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU; nello stesso senso, più recentemente, Cass. III, n. 21994/2018). Per quanto la norma in commento faccia riferimento al processo, il conflitto può essere sollevato anche nel corso delle indagini preliminari, con l'unico limite, in quest'ultimo caso, che non può essere sollevato conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione (art. 28, comma 3). Il conflitto, risolvibile ai sensi degli artt. 28 e ss., sussiste solo quando i giudici ricusano di prendere conoscenza del medesimo fatto ascritto alla medesima persona per ragioni di competenza, non sulla base di altre ragioni legate a temporanee disfunzioni degli organi giurisdizionali (Cass. VI, n. 5501/1996). Il conflitto di competenza è configurabile solo tra organi giurisdizionali e, pertanto, una situazione di conflittualità tra il pubblico ministero, che è una parte anche se pubblica del processo e il giudice, non è inquadrabile neppure sotto il profilo dei «casi analoghi» previsti dall'art. 28 (Cass. S.U., n. 9605/2013). Il pubblico ministero può perciò solo denunziare il conflitto nei termini di cui all'art. 30. Va chiarito, però, che nel caso di dichiarazione di incompetenza adottata dal giudice ai sensi dell'art. 22, il pubblico ministero rimane libero di proseguire le indagini preliminari, non essendo vincolato alla pronuncia. Qualora però il pubblico ministero procedente si trovi di fronte al diniego, per ragioni di competenza, dell'adozione di un provvedimento da parte del giudice, che egli ritenga irrinunciabile e necessario, è allora legittimato - anche in deroga alla designazione da parte dell'ufficio sovraordinato ai sensi dell'art. 54 - a rimettere gli atti all'ufficio del pubblico ministero ritenuto competente, perché richieda al giudice presso il quale svolge le sue funzioni il provvedimento ritenuto necessario, non potendosi, infatti, non ravvisare in tale situazione una ragione legittima di deroga all'efficacia vincolante della designazione da parte del P.m. sovraordinato. L'accoglimento della richiesta del provvedimento da parte del diverso giudice investito risolverà, almeno nella fase dello svolgimento delle indagini preliminari, il problema, mentre il diniego in conseguenza di una dichiarazione di incompetenza, determinerà invece una situazione evidente di conflitto, la quale sarà rilevata dal giudice stesso oppure denunciata dal pubblico ministero per essere rimessa alla cognizione della Cassazione; adempimento al quale il giudice è certamente obbligato (Cass. I, n. 406/1990; Cass. I, n. 2828/1999). La giurisprudenza assolutamente prevalente e consolidata esclude la sussistenza del conflitto positivo di competenza nel caso in cui una misura cautelare sia disposta nei confronti della stessa persona in ordine al medesimo fatto, da giudici per le indagini preliminari appartenenti ad uffici giudiziari diversi, dovendosi ritenere, in tal caso, applicabile la disciplina relativa alle modalità di computo di decorrenza delle misure cautelari, ai sensi dell'art. 297, comma 3 (Cass. I, n. 34547/2015). Un'ipotesi particolare di conflitto di competenza ricorre nel caso di procedimenti pendenti in fasi diverse contro lo stesso imputato per lo stesso fatto-reato . In tal caso, la competenza spetta, anche per la parte della fattispecie particolare non coincidente, a quello di essi che si trova nella fase processuale più avanzata, stante il principio dell'impossibilità giuridica di regressione del processo a una fase precedente, salvo i casi eccezionali di annullamento (Cass. I, n, 32707/2020). E' necessario precisare che tale principio si applica solo se i procedimenti pendono dinanzi a uffici giudiziari diversi, operando, in caso contrario, la preclusione del ne bis in idem processuale di cui all'art. 649 (Cass. S.U. n. 34655/2005 ). Segue . I casi analoghi (il conflitto “improprio”). Il secondo comma estende l'applicazione delle norme sui conflitti ai “casi analoghi” a quelli previsti nel primo comma. Poiché è impossibile prevedere a priori ogni situazione di contrasto tra i vari organi giudiziari la norma lascia all'interprete, con l'unico limite di cui all'ultima parte del secondo comma, il compito di indicare quali essi siano, sicché l'elaborazione dei “casi analoghi” è di derivazione squisitamente giurisprudenziale. Come detto, il legislatore ha posto un limite all'applicazione delle norme in caso di contrasto tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento, appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, attribuendo prevalenza alle decisioni di quest'ultimo. Sicché é inammissibile il conflitto sollevato dal giudice dell'udienza preliminare nei confronti del giudice dibattimentale che abbia dichiarato una nullità (nella specie della notificazione di avviso dell'udienza preliminare) determinante regressione del procedimento dinanzi al primo per la rinnovazione degli atti nulli (Cass. I, n. 2171/1990). La norma fa testuale riferimento al giudice dell'udienza preliminare e non al giudice per le indagini preliminari. Secondo parte della giurisprudenza, poiché la disposizione si configura come derogatoria rispetto alla regola generale dettata dalla prima parte del secondo comma, va interpretata restrittivamente (e dunque alla lettera) con conseguente ipotizzabilità del conflitto tra g.i.p. e giudice del dibattimento (tra le prime, Cass. I, n. 2761/1990 secondo cui è necessario che il contrasto insorga fra una decisione conclusiva del giudice della fase preliminare e cioè fra il giudice dell'udienza preliminare ed il giudice del dibattimento, non fra il giudice delle indagini preliminari ante udienza e quello del dibattimento. Non potendosi equiparare ai fini della competenza, data la diversità ontologica delle rispettive funzioni nonché la ratio sottesa alla disciplina contenuta nella suddetta disposizione, il giudice per le indagini preliminari a quello dell'udienza preliminare). Un diverso indirizzo ermeneutico, allarga al possibilità del conflitto anche ai casi di contrasto tra il giudice del dibattimento ed il giudice per le indagini preliminari, anche quando questi provveda a disporre il giudizio senza il tramite dell'udienza preliminare (Cass. I, n. 886/1991; si veda anche Cass. S.U. n. 22/1991; nello stesso senso, da ultimo, Cass. I, n. 37339/2015 secondo cui è ammissibile, quale «caso analogo», il conflitto tra G.i.p. e Tribunale avente ad oggetto la decisione, emessa da quest'ultimo, di annullare il decreto di giudizio immediato per l'erronea indicazione del difensore dell'imputato contenuta nel provvedimento, e di restituire gli atti al primo, reinvestendolo di una competenza esaurita perché non si verte in ipotesi di contrasto tra Tribunale e G.u.p. su un atto meramente propulsivo, ma tra Tribunale e G.i.p. su profili di cognizione di merito). È stato autorevolmente precisato che la prevalenza del provvedimento del giudice del dibattimento su quello del giudice per le indagini preliminari che ha disposto il giudizio trova applicazione anche nel caso in cui quest'ultimo provvedimento non sia stato emesso nell'udienza preliminare, ma vale solo per i provvedimenti che il codice riserva al giudice del dibattimento e non per quelli non previsti e non consentiti, come nel caso in cui gli atti siano restituiti al G.i.p. ritenendo illegittimo il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato fatta dopo che era stato disposto il giudizio immediato (Cass. S.U. , n. 22/1991). La disposizione in questione non opera però allorché i giudici in conflitto, appartenenti a diversi uffici, siano stati investiti, mediante esercizio dell'azione penale, da parte dei rispettivi organi del pubblico ministero, della cognizione dei medesimi fatti, ricorrendo, in tale ipotesi, un conflitto di competenza vero e proprio. Sicché integra un conflitto negativo di competenza vero e proprio il caso del giudice delle indagini preliminari che, investito dal pubblico ministero di richiesta di emissione di misura cautelare a norma dell'art. 27, declina la propria competenza sulla base della diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto per il quale il tribunale di diverso ufficio, in sede di giudizio direttissimo promosso ai sensi dell'art. 449, ha, a sua volta, dichiarato la propria incompetenza ai sensi dell'art. 23, comma 1 (Cass. I, n. 20928/2015). Fra i «casi analoghi» considerati dal comma secondo dell'art. 28 del nuovo codice di procedura penale sono ricompresi i contrasti insorti nella fase dell'esecuzione (chiara sul punto la Relazione preliminare al codice di procedura penale); ne consegue che il conflitto è configurabile nella fase dell'esecuzione penale, ma solamente tra organi giurisdizionali, cioè fra giudici dell'esecuzione (Cass. I, n. 5734/2014; Cass. I, n. 429/1990; cfr. altresì Cass. I, n. 6701/2013, secondo cui è abnorme, sotto il profilo funzionale, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che, investito di un'istanza di sostituzione di un bene già oggetto di confisca per equivalente con altro cespite, dichiari la competenza dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Gestione dei beni sequestrati e confiscati, poiché quest'ultima è soggetto estraneo all'ordine giudiziario né può sollevare, avverso tale provvedimento, ai sensi dell'art. 28, un conflitto negativo di competenza). Con decisione assunta all'udienza Cass I, 20 novembre 2020, ha affermato che è ammissibile il conflitto di competenza ex art. 28, comma 2 sollevato dall'autorità destinataria degli atti in caso di decisione incidentale in tema di sequestro di prevenzione che abbia accolto una eccezione di incompetenza per territorio (decisione emessa dalla Corte di appello investita quale giudice dell'impugnazione del provvedimento di sequestro), in ragione della attribuzione di natura vincolante alle sole statuizioni in punto di competenza emesse dalla Corte di cassazione. CasisticaNon è configurabile conflitto negativo di competenza qualora il giudice ordinario, investito della cognizione del procedimento a seguito di declinatoria di incompetenza funzionale resa dal g.i.p. presso il Tribunale per i minorenni, ritenga, a sua volta, competente quest'ultimo, in quanto il g.i.p. è giudice del singolo atto e non anche del processo, onde l'ordinanza di incompetenza dallo stesso pronunciata produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto (Cass. I, n. 39605/2018). In tema di determinazione della competenza per territorio, qualora un primo giudice declini la competenza in favore di un secondo, che a sua volta ritenga la competenza di un terzo, quest'ultimo, al quale siano trasmessi gli atti, se ricusa la competenza affermandone la sussistenza in capo ad uno dei primi due, è tenuto a sollevare conflitto, atteso che la situazione di stasi processuale conseguente al rifiuto di conoscere della causa già manifestato dal giudice indicato come competente non può essere superata senza l'intervento risolutore della Corte di cassazione (Cass. I, n. 3836/2018). Nel procedimento di esecuzione, non spetta al presidente del collegio, investito a seguito della declinatoria di competenza da parte di altro giudice, di promuovere con decreto il conflitto di competenza ai sensi dell'art. 28 c.p.p., essendo tale questione riservata al collegio, non trattandosi di un'ipotesi di manifesta infondatezza ovvero della mera riproposizione di una richiesta già rigettata a norma dell'art. 666, secondo 2, c.p.p. (Cass. I, n. 49/2017) E' impugnabile per abnormità anche la decisione di incompetenza allorché essa si ponga al di fuori del sistema processuale e non consenta, per carenza del necessario presupposto (insorgenza di un conflitto tra giudici a norma dell'art. 28), l'accesso alla procedura prevista dagli artt. 30 e seguenti stesso codice (fattispecie relativa a declaratoria di incompetenza per materia del giudice di pace, per il quale le lesioni contestate andavano ricondotte nel più grave reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., peraltro già archiviato dal G.i.p.. In applicazione del principio, la S.C. ha escluso l'abnormità, osservando che il giudice competente a decidere del reato di maltrattamenti, dopo l'esercizio dell'azione penale conseguente alla trasmissione degli atti disposta con la sentenza di incompetenza, ben avrebbe potuto sollevare il conflitto, ove non avesse condiviso la tesi del giudice di pace) (Cass. VI, n. 44600/2015). Integra «caso analogo» di conflitto di competenza previsto dall'art. 28, comma 2, nel quale prevale il decisum del giudice del dibattimento, la divergenza tra la decisione del tribunale in composizione monocratica che, investito di un procedimento da decreto di citazione diretta a giudizio per un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare (nella specie, riciclaggio), restituisce gli atti al pubblico ministero per la celebrazione di questa, e la decisione del G.U.P. che, ricevuta la conseguente richiesta di rinvio a giudizio, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per la citazione diretta a giudizio, previa riqualificazione del fatto a norma di una delle fattispecie previste dall'art. 550 (nella specie, ricettazione) (Cass. I, n. 32389/2014). Perché si abbia conflitto negativo di competenza, anche in materia di rimessione ai sensi dell'art. 43 comma 2, non basta una mera e reciproca ricusazione di prendere cognizione del medesimo fatto da parte di due giudici, ma è necessaria l'adozione di formali provvedimenti che esprimano la decisione dei giudici confliggenti di non provvedere nel merito sul presupposto della propria incompetenza, e non sulla base di altre ragioni legate a temporanee disfunzioni degli organi giurisdizionali. Non può perciò considerarsi abnorme il provvedimento con cui un tribunale restituisce gli atti a quello che li aveva rimessi asserendo l'impossibilità di formare un collegio a seguito delle numerose astensioni, segnalando i possibili rimedi per addivenire alla sua composizione (Cass. VI, n. 5501/1996; Cass. I, n. 4354/1994: cfr. altresì, più di recente, Cass. I, n. 39972/2014, secondo cui è inammissibile la denuncia di un conflitto negativo di competenza in assenza di due formali provvedimenti declinatori di competenza, non essendo sufficiente la semplice missiva di trasmissione, o restituzione, degli atti con l'indicazione della dicitura "per competenza”). I provvedimenti negativi di competenza non possono essere impugnati per cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 2, ovvero per abnormità, in quanto, non essendo attributivi di competenza, comportano - qualora anche il secondo giudice si dichiari incompetente - l'elevazione del conflitto ai sensi dell'art. 28 (Cass. VI, n. 9729/2013). La regola dettata dall'art. 28, comma 2, secondo cui, in caso di contrasto fra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo, non trova applicazione quando detta decisione si concretizzi in un provvedimento abnorme, giacché provvedimenti di tal genere, esulando dal sistema processuale in quanto non consentiti e non previsti, legittimano le parti al ricorso per cassazione e non hanno mai modo d'imporsi al giudice dell'udienza preliminare (Cass. I, n. 43563/2013). BibliografiaCampilongo, Sub art. 28, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, I, 347 e ss.; Cappuccio, Inammissibilità dei conflitti di competenza tra pubblico ministero e giudice, in Cass. pen. 2014, 2786; Grosso, Rapporti tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento e tutela del principio di precostituzione del giudice naturale, in Giust. pen. 1990, 701; Marafioti, Contrasti tra uffici del pubblico ministero, in Giur. it 1990, 398; Peroni, Sul dissenso tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari come fattispecie di conflitto analogo, in Cass. pen. 1991, 154; Seghetti, Dissenso tra P.M. e G.I.P. sulla competenza e conflitto analogo, in Riv. It. dir. e proc. pen 1991, 296. |