Codice di Procedura Penale art. 63 - Dichiarazioni indizianti.Dichiarazioni indizianti. 1. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata [60] ovvero una persona non sottoposta alle indagini [61] rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore [96]. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese [191]. 2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate [191]. InquadramentoCon l'art. 63 , il legislatore ha riconosciuto, infatti, che tale tutela si estenda anche ad una fase antecedente l'assunzione della relativa qualità da parte dello stesso soggetto, nella quale non sono stati ancora acquisiti elementi a suo carico (comma 1), ovvero non ne abbia conoscenza (comma 2). Dichiarazioni autoindiziantiLe dichiarazioni autoindizianti sono quelle il cui contenuto integra l'esistenza di elementi di accusa nei confronti di chi le rende. La disciplina dell'assunzione di dette dichiarazioni (potenzialmente) indizianti contenuta nell'art. 63 contempla due diverse ipotesi: a) della persona escussa dall'autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria come persona informata dei fatti (nella fase delle indagini preliminari) o come teste (nel dibattimento) dalle cui dichiarazioni emergano indizi di reità a suo carico (comma 1); b) di colui che invece nella stessa veste renda dichiarazioni, mentre la sua posizione, in relazione alle risultanze al momento acquisite, era già quella di indagato o imputato, pur non avendo assunto formalmente tale qualità (comma 2). Nella prima ipotesi l'autorità alla quale le dichiarazioni sono rese — inquirente o giudice — ignora gli elementi che inducono a ritenere il soggetto indagato o imputato, venendone a conoscenza solo durante l'esame e attraverso il suo contenuto. Nella seconda, viceversa, è consapevole di ciò (o ha comunque «ab initio» gli elementi per stabilirlo) e tuttavia procede all'escussione in qualità di persona informata o di teste (Cass. S.U., n. 21832/2007). Ambito applicativoDal tenore letterale della norma si desume che l’oggetto della tutela sia relativo alle sole dichiarazioni autoindizianti rese nel corso di un esame che il soggetto stia rendendo all'interno di un procedimento già sorto. Deve, pertanto, ritenersi che sia già in svolgimento una attività di indagine e che, in tale ambito, si stiano assumendo informazioni nelle forme necessariamente previste dalla legge e dalle persone qualificate ad assumerle. Così circoscritto l'ambito applicativo della disposizione, va dapprima evidenziato che le norme in oggetto si riferiscono esclusivamente all'esistenza di un procedimento penale, onde le sanzioni contenute nell'art. 63, seppur attuative del principio del «nemo tenetur se detegere», non possono essere estese al di fuori dei confini applicativi del processo penale (Cass. VI, n. 24653/2014). DichiarazioneGli elementi a carico del soggetto devono necessariamente emergere dal contenuto di una dichiarazione, resa nell'ambito di una attività di verbalizzazione collocata all'interno di un procedimento già sorto. Solo in presenza di tutti questi presupposti insorge nei confronti dell'autorità procedente l'obbligo di sospensione dell'esame. In questo senso, va anche limitata la portata della norma in questione con riferimento all'oggetto della tutela, ovvero al concetto di dichiarazione. La norma, infatti, non estende detta tutela alle dichiarazioni confessorie o alle ammissioni contenute in un documento proveniente dall'imputato (Cass. IV, n. 27173/2015). In base a tale principio, le dichiarazioni contenute in un memoriale proveniente dall'imputato acquisito agli atti del processo sono utilizzabili "erga alios" senza limiti, anche in assenza degli avvisi di cui agli artt. 63 e 64, c.p.p., salvo l'obbligo del giudice di verificarne l'attendibilità, atteso che dette dichiarazioni, rese dal propalante per iscritto, senza ricevere immediate sollecitazioni e disponendo del tempo ritenuto necessario in ordine alla rappresentazione del relativo contenuto, sono irriducibili alle risposte orali fornite nel corso di un interrogatorio (Cass. VI, n. 37601/2018). Saranno, pertanto, acquisibili ed utilizzabili le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società. Ne consegue che possono essere veicolate attraverso lo scritto del curatore anche i contributi di conoscenza forniti dalle persone che lo stesso ha avuto modo di ascoltare e le cui parole ha verbalizzato (Cass. V, n. 20090/2015). Non rientra nel concetto di dichiarazione anche il rilascio di saggio grafico che non può essere equiparato alle dichiarazioni autoindizianti e, pertanto, non è affetto da nullità il provvedimento con cui il giudice disponga la raccolta di essi, al fine di sottoporli al perito quali scritture di comparazione senza averne dato avviso alle parti ed in mancanza dell'intervento dei difensori (Cass. II, n. 16400/2013). Sul punto, nel solco della sentenza n. 111 del 2023 della Corte Costituzionale in tema di illegittimità degli artt. 64 comma 3 e 495 comma 1 c.p.p., la Suprema Corte ha di recente ribadito, che l'omesso avviso all'interessato della facoltà di non sottoporsi al rilascio di scritture di comparazione non ne determina l'inutilizzabilità (Cass. II, n. 20751/2024). L'asserita necessità della preesistenza di un procedimento crea un'inscindibile connessione tra la dichiarazione ed i fatti oggetto di investigazione. Di talché, le dichiarazioni «indizianti» vanno limitate a quelle dalle quali emerga una responsabilità penale del soggetto per i fatti pregressi oggetto di investigazione e non quelle attraverso le quali il medesimo soggetto realizzi il fatto tipico di una ulteriore figura di reato. Ciò in quanto la predetta norma di garanzia è ispirata al principio «nemo tenetur se detegere», che salvaguarda la persona che abbia commesso un reato — e non quella che debba ancora commetterlo (Cass. S.U., n. 33583/2015). Occorre che si tratti di un fatto privo di connessioni con quello per cui si procede, atteso che rientrano certamente nei casi previsti le dichiarazioni che evidenzino indizi per un reato connesso o collegato. Deve, pertanto, ritenersi che anche nel caso in cui le dichiarazioni evidenzino indizi della commissione di reati diversi rispetto a quello oggetto del procedimento, ma a questo connesso — come nel caso della persona offesa di un reato che sia anche imputata di altro reato commesso in danno dell'offensore —, l'Autorità procedente sarà obbligata ad applicare le disposizioni dell'art. 63 con le conseguenze ivi previste in tema di utilizzabilità. Viceversa, restano al di fuori della sanzione di inutilizzabilità comminata dall'art. 63, comma 2, le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi o collegati, poiché rispetto a questi egli si trova in una posizione di estraneità ed assume la veste di testimone (Cass. S.U., n. 1282/1996) Soggetto che rende le dichiarazioniDal punto di vista del soggetto attivo non sono previste limitazioni o particolari previsioni, dovendosi ritenere che chiunque sia chiamato a rendere dichiarazioni possa essere soggetto attivo della fattispecie in esame. Nel caso in cui il dichiarante sia stato legittimamente escusso quale persona informata sui fatti e gli elementi a suo carico, atti a determinare un mutamento della qualità di teste, siano emersi solo nel prosieguo dell'attività, deve sostenersi che quanto precedentemente riferito resti valido ed utilizzabile in quanto reso in maniera spontanea, con la consapevolezza di rivestire la qualità di testimone e, dunque, senza condizionamenti legati al timore di un proprio coinvolgimento nella vicenda ed all'inevitabile preoccupazione di autodifendersi (Cass. II, n. 25958/2013). Soggetto che riceve le dichiarazioniL'ambito di applicabilità della norma è circoscritto esclusivamente alle dichiarazioni rese all'A.G. o alla P.G. in quanto sono le uniche atte a ricevere le dichiarazioni nell'ambito di una attività investigativa e dotate del potere di certificazione necessario per la redazione degli atti. Ne consegue che non può in essa essere ricompresa l'attività posta in essere dal giudice civile, il quale — pure ove in sede di interrogatorio formale vengano ammessi dalla parte fatti costituenti reato — non può certo fare ricorso al regime previsto dalla sopra menzionata disposizione processuale, essendo, semmai, tenuto a redigere ed a trasmettere senza ritardo la denuncia al Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 331, comma 4 — come, del resto, in ogni altra ipotesi in cui risulti un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio (Cass. VI, n. 24653/2014). L'inestensibilità del dettato normativo dell'art. 63 al di fuori del suo ambito di applicazione e, nella specie, al giudice civile, è stata ribadita anche dalla Corte Costituzionale, la quale ha evidenziato che non è ricavabile da alcuna norma del rito civile un principio che imponga al giudice civile di sospendere l'acquisizione di un atto dell'istruzione probatoria in funzione di esigenze teleologiche esclusive del processo penale (Corte cost. n. 136/1995). La qualifica soggettiva richiesta dalla norma, inoltre, va certamente estesa anche all'ispettore del lavoro allorquando, nel compimento di un'attività ispettiva, assuma dichiarazioni da persona nei cui confronti siano emersi, nel corso, anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato. Ciò alla stregua della norma di cui all'art. 220 disp. att., la quale impone l'applicazione delle disposizioni del codice «quando...emergano indizi di reato». In tal caso, qualora le dichiarazioni siano state assunte in violazione delle norme poste a garanzia del diritto di difesa, le stesse saranno inutilizzabili (Cass. S.U., n. 45477/2001). Diversamente le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all'art. 63, comma 2, in quanto ovviamente il curatore non rientra nelle categorie previste e la sua attività non può neanche farsi rientrare nella previsione di cui all'art. 220 delle norme di coordinamento, che concerne le attività ispettive e di vigilanza (Cass. V, n. 46422/2013). Di conseguenza, sono utilizzabili come prova a carico dell'imputato le dichiarazioni rese al curatore fallimentare e da questi trasfuse a dibattimento attraverso una propria relazione o l'escussione nel contraddittorio. Allo stesso modo deve essere considerata utilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, anche la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell'art. 33 r.d. n. 267/1942, trattandosi di conclusione conforme al principio secondo cui sono vietate solo le prove espressamente dichiarate tali dalla legge (Cass. V, n. 3885/2014). Nondimeno, se le persone che il curatore ha esaminato rivestano il ruolo di indagati o imputati nel medesimo procedimento e nel procedimento connesso o collegato, tali dichiarazioni vanno valutate alla luce dell'art. 192, comma 3, in quanto non può certo essere il «filtro» consistente nell'intervento del curatore quel che può valere a far derogare dalla predetta regola di valutazione (Cass. V, n. 20090/2015). Tale orientamento è altresì avvalorato dall'insegnamento della Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto che, non potendosi ritenere che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di una “notitia criminis” e non avendo il giudice a quo discriminato l'ipotesi in cui il fallito rivesta la qualità di indagato da quella in cui, invece, tale qualità non abbia ancora assunto, si rivela infondata la dedotta censura di violazione del diritto di difesa, in quanto soltanto nel primo caso possono profilarsi ostacoli all'utilizzazione delle dichiarazioni (Corte cost. n. 136/1995). Anche alle dichiarazioni rese ad agente «infiltrato» da soggetti poi qualificati come indagati o imputati non si applica, come già è stato evidenziato, né il divieto posto dall'art. 62, né il limite di utilizzabilità previsto dall'art. 63, comma 2, quando le stesse non possono considerarsi rese nel corso di un esame o di sommarie informazioni in senso proprio, ma si inseriscono in un contesto commissivo in atto di svolgimento, sì da integrare esse stesse le condotte materiali del reato (Cass. VI, n. 39216/2013). Per quanto attiene le dichiarazioni rese dal venditore di sostanze stupefacenti all'agente di polizia giudiziaria che funga da simulato acquirente di sostanze stupefacenti nella veste di agente provocatore, che devono essere collocate all'interno del procedimento, poiché costui deve considerarsi di fatto indagato non appena si stabilisce il contatto con l'apparente acquirente. Tuttavia, non può trovare neanche applicazione il limite di utilizzabilità previsto dal comma 2 dell'art. 63, poiché non si tratta di dichiarazioni rese nel corso di un esame o di assunzione di informazioni in senso proprio e tali dichiarazioni non costituiscono la rappresentazione di eventi già accaduti o la descrizione di una precedente condotta delittuosa, ma si inseriscono, invece, in un contesto commissivo, realizzando con esse la stessa condotta materiale del reato (Cass. IV, n. 41799/2009). Indizi emersi nel corso delle dichiarazioniLa possibilità che gli elementi a carico di una persona possano provenire per la prima volta direttamente dal soggetto interessato può verificarsi sia nel corso del giudizio che durante lo svolgimento dell'attività investigativa, anche se sarà nel corso di quest'ultima che ne sarà maggiormente frequente l'applicabilità. Obblighi gravanti sull'autorità procedenteNel caso in cui le dichiarazioni integrino indizi a carico del dichiarante, il legislatore impone all’autorità procedente tre obblighi che rappresentano una diretta conseguenza del mutamento di status del dichiarante che da teste diventa indagato e ne assume diritti e garanzie. Il primo, ovvio, obbligo è quello relativo alla interruzione dell’esame o dell’assunzione delle dichiarazioni (a seconda della fase processuale). E ciò al fine di tutelare il diritto al silenzio che è assicurato all'imputato ed all'indagato e della quale non può che essere titolare sin dall'inizio il teste, ormai non più tale. Il secondo obbligo è di avvertimento, ovvero nell'obbligo per l’Autorità procedente di avvisare il dichiarante che da quel momento potranno essere svolte indagini nei suoi confronti. Con riferimento agli indizi, l'uso dell'indicativo va posto in rapporto alla certezza dell'indizio stesso. In altri termini la dichiarazione, in sé per sé considerata, deve avere un contenuto autoaccusatorio certo. L'idoneità di quanto riferito a determinare lo svolgimento di indagini nei confronti della persona, viceversa, è frutto di un successivo vaglio che non sarà più limitato alle sole dichiarazioni della parte, ma avrà ad oggetto tutte le risultanze in atti le quali ben potranno avallare o svilire quanto oggetto di dichiarazione. Nel primo caso l'A.G. proseguirà l'attività investigativa nei confronti del soggetto; nel secondo, viceversa, ben potrà astenersi dal compierle. Va, comunque, rilevato che la determinazione assunta in sede di interruzione dell'esame resta in ogni caso idonea a far sorgere nei confronti del dichiarante lo status di indagato, con conseguente acquisizione dei diritti connessi. Ciò comporterà l'obbligo per l'A.G. di provvedere anche all'iscrizione del nominativo del dichiarante nel registro delle notizie di reato (art. 335). Il terzo obbligo è una diretta conseguenza del secondo, ovvero l’invito a nominare un difensore. Tale obbligo rappresenta un’ulteriore esemplificazione della concreta tutela che l’ordinamento riconosce in caso di mutamento di status (da teste ad indagato). Conclusivamente si può quindi sostenere che le garanzie riconosciute alla persona realizzano una sorta di tutela anticipata anche da future incompatibilità con l'ufficio di testimone del dichiarante poi imputato di reati connessi o collegati (art. 197, comma 1 lett. a e b). Nel caso di assunzione di informazioni da parte della difesa nello svolgimento di attività difensive, sul difensore grava un unico obbligo: quello dell'immediata interruzione dell'atto in conseguenza del mutamento di qualifica personale del dichiarante. Preesistenza degli indiziNel caso in cui gli elementi a carico della persona preesistano al suo esame e siano conosciuti dall'Autorità precedente, è stata prevista una più rigorosa sanzione, determinata da una inutilizzabilità non più limitata al solo dichiarante, ma estesa anche a terzi. La ragione di una tale distinzione va ravvisata nell'ulteriore finalità perseguita dalla norma, che introduce un deterrente contro ipotesi patologiche, in cui deliberatamente o colpevolmente si ignorano i già preesistenti indizi di reità nei riguardi dell'escusso, con periodo di dichiarazioni accusatorie, compiacenti e negoziate, a carico di terzi (Cass. V, n. 1892/1996). Pertanto, la conseguenza diretta è quella della inutilizzabilità erga omnesdelle dichiarazioni che siano state raccolte senza che al dichiarante sia stata data contezza della sua posizione processuale e senza che questa sua posizione venga formalizzata in atti. Quanto all'entità degli indizi necessari per l'applicazione della norma di cui all'art. 63, comma 2, qualsiasi circostanza idonea a far orientare le indagini nei confronti del soggetto è sufficiente a far applicare tale garanzia, e ciò in linea con la realizzazione delle esigenze garantiste che impongono una vasta applicazione delle garanzie previste della norma pur affermandosi la loro non equivocità (Cass. V, n. 305/2001). In ogni caso non può trovare applicazione la norma in caso di indizi derivante da fonte anonima o di contenuto generico, ovvero non relativo ad ipotesi di reato. Il potere di verificare la corretta qualifica da attribuirsi al «dichiarante» è propria del giudice, il quale può e deve comunque «autonomamente» valutarla indipendentemente dal momento in cui stessa si sia verificata — quindi anche in momenti precedenti e sempre che, naturalmente, egli possa disporre di elementi di fatto idonei a consentirgli un tale giudizio. In tale valutazione non è vincolato da quanto precedentemente ritenuto e, pertanto, ben può modificare le valutazioni e le conclusioni a suo tempo effettuate dal giudice del procedimento in cui tali dichiarazioni furono rese. Nell'esercizio di tale potere il giudice deve operare analizzando la sostanza della questione e non deve limitarsi a riscontrare la sola sussistenza di indici formali, quali la già intervenuta o meno iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato o l'attribuibilità, al dichiarante, della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese. Ove si subordinasse, infatti, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 63, comma 2, alla iniziativa del pubblico ministero di iscrizione del dichiarante nel registro ex art. 335, si finirebbe col fare assurgere la condotta del pubblico ministero a requisito positivo di operatività della disposizione, quando sarebbe invece proprio la omissione antidoverosa di quest'ultimo ad essere oggetto del sindacato in vista della dichiarazione di inutilizzabilità. Nel suo accertamento, pertanto, il giudice deve ricercare e valutare i soli indizi non equivoci di reità, sussistenti già prima dell'escussione del soggetto e conosciuti dall'autorità procedente (Cass. S.U. n. 23868/2009). L'originaria esistenza di gravi indizi di reità, inoltre, non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall'autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l'esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi (Cass. I, n. 8099/2002). Resta fermo, comunque, che la questione relativa alla sussistenza ab initio di indizi di reità a carico dell'interessato costituisce accertamento in punto di fatto che, in caso di congrua motivazione da parte del giudice di merito, è sottratto al sindacato di legittimità (Cass. S.U., n. 15208/2010). Sempre con riferimento all'accertamento della condizione di fatto ostativa all'assunzione delle dichiarazioni senza le prescritte garanzie, anche se prescinde da una formale imputazione, non può mai colpire le dichiarazioni rese dal soggetto che non abbia mai assunto la qualità di imputato o quella equiparata di persona sottoposta ad indagini, dal momento che il giudice, a differenza del pubblico ministero, non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la suddetta qualità, ma può — e deve —soltanto verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, sì che sussista incompatibilità con l'ufficio di testimone, ai sensi dell'art. 197, comma 1, lett. a) e b). Ne consegue che il riferimento alla «posizione sostanziale» del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell'art. 63 la quale si estende anche alla necessità della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico (Cass. V, n. 43232/2008). InutilizzabilitàLa violazione dei commi 1 e 2 dell'art. 63 comporta l'inutilizzabilità dell'atto. Non dubitandosi della inutilizzabilità contra se del contenuto delle dichiarazioni, si era discusso sulla loro valenza contra alios, atteso che si era formato un indirizzo giurisprudenziale che sosteneva la utilizzabilità nei confronti dei terzi sia in caso di violazione del primo sia del secondo comma dell'art. 63. Il citato orientamento, oggi superato, si fondava sulla tutela che entrambe le disposizioni assicuravano ai diritti della difesa del dichiarante, al di fuori della quale non v'era ostacolo derivante dall'inutilizzabilità ivi sancita. Di talché, si riteneva che «il secondo comma non fosse altro che il completamento del precedente cui va collegato». La seconda, viceversa, distingueva tra una inutilizzabilità relativa, contro il solo dichiarante — prevista dal primo comma — e una assoluta, ossia anche contro i terzi — disciplinata dal secondo comma. Il contrasto è stato risolto dalle S.U. della Cassazione che hanno ritenuto di fare proprio quest'ultimo indirizzo giurisprudenziale per ragioni: letterali (il secondo comma non ricomprende la dizione “contro la persona che le ha rese”), logiche (inutile sarebbe stata la previsione in quanto ricompresa nel primo comma), ma soprattutto interpretative. Si precisa infatti che la norma rende operante il principio del diritto al silenzio in un momento antecedente a quello dell'assunzione formale della qualità di indagato o imputato dalla quale scaturisce il diritto stesso, costituendo in tal modo un fronte avanzato di tutela. L'incapacità a testimoniare di tali soggetti e la correlativa disciplina del loro esame con le garanzie difensive e la facoltà di non sottoporvisi, riguardano, com'è ovvio, l'intero contenuto dei temi oggetto di esame, quindi sia ciò che attiene alla propria posizione, sia i fatti che riguardano quei terzi che assumono la veste di coimputato dello stesso reato o di imputato di reato connesso o collegato. E ciò in quanto taluno di questi soggetti, nel momento in cui renda dichiarazioni accusatorie nei confronti degli altri che si trovano in una posizione processuale in vario modo legata alla propria (concorso nel reato, attribuzione di reato connesso o collegato), può riferire circostanze che, in ragione della connessione esistente tra il fatto proprio e quello altrui, possono coinvolgere la sua responsabilità ed indurlo, anche per questo solo motivo, ad esercitare il diritto al silenzio, che gli viene riconosciuto per il principio « nemo tenetur se detegere ». Il che non si verifica nell'ipotesi in cui il soggetto sia imputato, nello stesso o in altro processo, per un reato o per reati che non abbiano alcun legame processuale con quelli per cui si procede, perché in questi casi la sua posizione è di totale estraneità e il suo ruolo è quello di testimone. Da ciò discende che intanto può intervenire il regime di inutilizzabilità assoluta di cui all'art. 63 comma 2, in quanto le dichiarazioni provengano da persona a carico della quale sussistevano indizi in ordine allo stesso reato o a reato connesso o collegato attribuito al terzo in quanto in questo caso la persona escussa avrebbe avuto il diritto di non rendere alcuna dichiarazione se fosse stato sentito come indagato o imputato. Restano, quindi, escluse dal divieto sia le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi o non collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano indizi a carico del dichiarante, sia quelle favorevoli al soggetto che le rende e a terzi, quali che essi siano, non essendovi ragione alcuna di escludere dal materiale probatorio elementi che con quel diritto non collidono (Cass. S.U., n. 1282/1996). Qualora l'inutilizzabilità non derivi dalla violazione di un divieto probatorio ex art. 191, ma di regole attinenti alla assunzione della prova, la stessa sarà rinnovabile dal giudice di appello, il quale ha il potere (art. 603, comma 3) di disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, allo scopo di assumere detta prova nel pieno rispetto delle forme stabilite dal codice di rito (Cass. V, n. 24033/2010). Rilevabilità dell'inutilizzabilitàL'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi sin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentito come indagato può essere dedotta e rilevata in ogni stato e grado del procedimento, in quanto si tratta di una inutilizzabilità patologica che, in quanto tale, può essere fatta valere anche se è stato disposto il giudizio abbreviato, ed ivi compresa la fase di rinvio. La natura e il grado dei diritti che la norma tutela sono tali da non poter essere oggetto della negoziazione abdicativa nella quale si concreta la scelta del rito abbreviato, che possiede efficacia sanante solo rispetto alle inutilizzabilità fisiologiche e a quelle relative, ma non comporta affatto la generale sanatoria delle violazioni di norme di processuali ad efficacia generale, né l'eliminazione delle illegalità intrinseche della prova per la violazione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti. (Cass. II, n. 34512/2009). Costituisce, quindi, onere del ricorrente, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, non solo di allegare e specificamente indicare gli atti asseritamente inutilizzabili, ma anche di specificare l'incidenza da essi avuta sul complessivo compendio probatorio valutato ed apprezzato dal giudice del merito, sì da potersene inferire la decisività in riguardo al provvedimento impugnato (c.d. prova di resistenza) (Cass. S.U., n. 15208/2010). Inutilizzabilità relativaÈ la sanzione prevista in caso di dichiarazioni rese da persona nei cui confronti non sussistevano indizi di reità che emergono per la prima volta proprio seguito delle dichiarazioni rese. In tal caso, il contenuto dell'atto non sarà utilizzabile nei confronti del dichiarante, ma conserva la propria valenza nei riguardi dei terzi. Il possibile utilizzo nei confronti dei terzi, invero, si pone in linea con quanto oggetto della tutela che deve ritenersi essere il solo dichiarante, l'unico nella fattispecie a poter essere leso dal contenuto delle sue stesse affermazioni. Il regime di inutilizzabilità di cui all'art. 63, comma 1, si riferisce alla ipotesi «fisiologica» nella quale vengono, comunque, rispettate le norme di garanzia (Cass. VI, n. 12174/2004). Le successive dichiarazioni non potranno che essere assunte ai sensi dell'art. 210, con le garanzie apprestate dalla legge. La sanzione, pertanto, non può che avere ad oggetto le dichiarazioni sino a quel momento rese, ossia rese sino al momento della sospensione, le quali, come detto, continueranno a poter essere utilizzate nei confronti di terzi. Segue . CasisticaLa preesistenza degli indizi non è stata ritenuta nel caso dell'intercettazione di una conversazione telefonica svolta nel corso di una indagine per un episodio di corruzione, durante la quale due persone avevano fissato un appuntamento «sospetto», nel corso del quale, era stata constatata solamente la consegna dì una busta dai privato al pubblico ufficiale. L'attività percepita, invero, non costituisce indizio certo per poter sostenere l'esistenza in quel momento di univoci indizi di reità, per cui correttamente si è proceduto all'esame come persona informata dei fatti, con successiva interruzione del suo ascolto, a norma dell'art. 63, comma 1, allorquando aveva iniziato a fare della ammissioni in ordine all'esistenza di un accordo corruttivo (Cass. VI, n. 29535/2013). In tema di stupefacenti, poiché la destinazione ad uso di terzi costituisce elemento essenziale del reato, la persona trovata in possesso di sostanza stupefacente va considerata, almeno fino a che nei suoi confronti non siano emersi concreti elementi indicativi della finalità di spaccio o non sia stata effettuata l'iscrizione nel registro degli indagati, persona informata sui fatti, le cui dichiarazioni pertanto possono essere utilizzabili contro i terzi ai sensi dell'art. 63, comma 1, né l'imputato non può sindacare la scelta del P.M. di non esercitare l'azione penale nei confronti di chi sia stato escusso in qualità di teste (Cass. II, n. 6380/2005). Inutilizzabilità assolutaPrevista dall'art. 63, comma 2, ha ad oggetto le dichiarazioni rese da coloro che sin dall'inizio dovevano essere sentiti con le garanzie previste per l’indagato in quanto erano già emersi nei loro confronti concreti indizi in ordine alla commissione del reato per cui si procede ovvero di altro delitto a questo connesso o collegato. La norma costituisce una sorta di «deterrente» contro ipotesi «patologiche» in cui deliberatamente sia intenda “ignorare” i già preesistenti indizi di reità a carico dell'escusso, con il conseguente pericolo, devastante per la garanzia della valutazione della prova, di dichiarazioni accusatorie compiacenti o «negoziate» a carico di terzi. Da tale principio ne deriva come diretta conseguenza un regime di inutilizzabilità erga alios. Dal tenore letterale e dalla «ratio» del capoverso dell'art. 63, come dal suo necessario coordinamento con gli artt. 62 e 350, si desume che la preclusione all'utilizzazione dibattimentale, diretta o indiretta, delle dichiarazioni rese senza assistenza difensiva dall'indiziato alla polizia giudiziaria ha carattere assoluto e generale. L’oggetto della tutela è infatti rappresentato da tutti i tipi di dichiarazioni, siano esse sollecitate o spontanee, dell’imputato o dell’indagato interessato o a dell’imputato o indagato in reato connesso. Inoltre la tutela non si limita alle sole dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di imputato o di indagato e dichiarazioni di chi, pur trovandosi sostanzialmente in tale condizione, non ne abbia ancora assunto la qualità (Cass. VI, n. 12174/2004). In ogni caso, l'inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni rese in violazione dell’art. 63 comma 2, non si estende agli atti successivi e dipendenti; sicché deve ritenersi pienamente utilizzabile l'atto, ritualmente assunto, che dalle dichiarazioni raccolte in violazione della legge derivi o mutui il contenuto, anche attraverso una generica conferma di esse (Cass. VI, n. 24/1998). Con riferimento al profilo strettamente temporale, va evidenziato che il richiamo operato dall'art. 63 comma 2, per individuare il momento in cui il testimone perde tale sua qualità per assumere quella di indagato o imputato di reato connesso («sin dall'inizio»), va individuato non nell'inizio del procedimento in cui egli rende le dichiarazioni ma in quello dell'inizio dell'assunzione di quelle dichiarazioni. L'inutilizzabilità di tali dichiarazioni è, invero, circoscritta al singolo atto dichiarativo in cui esse vengono contenute (Cass. VI, n. 40512/2007). Analoga sanzione è prevista in caso di dichiarazioni rese al difensore nello svolgimento delle attività di investigazioni difensive. Segue. CasisticaLe dichiarazioni rese da colui che si presentava come soggetto che aveva acquistato quantità non esigue di sostanze stupefacenti destinate a terzi, se assunte senza in violazione del principio di garanzia espresso dall'art. 63, sono affette da “inutilizzabilità patologica”. Né il vizio può essere sanato neanche a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, in quanto tale manifestazione di consenso porta ad attribuire valore a elementi di prova non formatisi nel contraddittorio delle parti, ma non ad ovviare a vizi di essi che si radicano nel fondamentale principio di garanzia espresso dall'art. 63 (Cass. VI, n. 25456/2009). Analogamente, sono affette da inutilizzabilità assoluta, se non assunte con le garanzie di legge, le dichiarazioni di colui che si era spontaneamente attribuito la proprietà della sostanza stupefacente, rinvenuta poco prima in una intercapedine della propria abitazione nel corso di una perquisizione di P.G., in quanto rese in presenza di un quadro indiziario tale da far ritenere che lo stesso dovesse sin dall'inizio essere sentito in qualità di imputato (Cass. III, n. 24944/2015). Per altro verso la necessità della preesistenza del quadro indiziario esclude l'inutilizzabilità può delle dichiarazioni rese da soggetti nei cui confronti si profilino, in corso di escussione, indizi non già per fatti pregressi ma in relazione ad ipotesi di reato — quali il favoreggiamento, la calunnia o la falsa testimonianza — realizzantisi proprio attraverso le dichiarazioni rese, peraltro ancora suscettibili di ritrattazione, modifica o chiarimento e ciò in quanto la norma è ispirata al principio del nemo tenetur se detegere, che salvaguarda solo la persona che abbia già commesso un reato (Cass. S.U., n. 33583/2015). Il carattere assoluto e generale del regime della non utilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni rese spontaneamente dall'indagato, senza l'assistenza del difensore, si estende anche a quelle trasfuse nel verbale di sequestro, che, se pur atto formalmente autonomo e legittimo, si pone in realtà, nella parte in cui riporta le dichiarazioni della parte, in rapporto di dipendenza effettiva e di derivazione logico-giuridica rispetto alle dichiarazioni spontanee nulle, costituendo queste ultime la ineliminabile premessa logico-giuridica rispetto al successivo verbale di sequestro (Cass. II, n. 19647/2008). Per la configurabilità della sanzione di inutilizzabilità ex art. 63, comma 2, in riferimento alle dichiarazioni rese da una parte offesa, indagata per favoreggiamento personale a causa della sua renitenza a collaborare con la giustizia, deve essere verificato il collegamento tra il reato di favoreggiamento ipotizzato e quello precedentemente commesso da altri in danno del dichiarante. Tale collegamento sussiste solo se risulta, in concreto, che la condotta di favoreggiamento personale è stata caratterizzata non solo dal dolo generico, ossia dalla volontà di aiutare taluno ad eludere le investigazioni relative al reato presupposto, ma anche dal dolo specifico, espressamente indicato dall'art. 371, comma 2, lett. b), di assicurare l'impunità al colpevole di quel reato (Cass. I, n. 21828/2006). BibliografiaConso-Illuminati, Commentario breve al c.p.p., Padova, 2015; Di Palma, Inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti ed invalidità derivata, in Cass. pen. 1996, 179; Grifantini, Sull'inutilizzabilità contra alios delle dichiarazioni indizianti di cui all'art. 63, comma 2, in Cass. pen. 1996, 2647; Majoli, Nullità delle dichiarazioni rese dall'imputato o dall'indagato su fatto altrui: limiti di utilizzabilità nei confonti dei terzi, in Cass. pen. 1996, 2257; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2011. |