Codice di Procedura Penale art. 74 - Legittimazione all'azione civile.Legittimazione all'azione civile. 1. L'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale [76; 10 min.] dal soggetto al quale il reato ha recato danno [212 coord.] ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell'imputato [60] e del responsabile civile [83 s.] (1). (1) Per legittimazioni specifiche, v. l'art. 36 2 l. 5 febbraio 1992, n. 104; l'art. 10 l. 7 marzo 1996, n. 108 e artt. 311 ss. d.lg. 3 aprile 2006, n. 152. InquadramentoL’art. 74 afferma un principio di estrema rilevanza ovvero quello della legittimità dell’esercizio dell’azione civile all'interno del giudizio penale, finalizzato alla restituzione ovvero al risarcimento dei danni conseguenti da reato. L'esercizio dell'azione civile nel processo penaleLa possibilità di far valere direttamente nel processo penale le pretese risarcitorie connesse all'avvenuto accertamento della responsabilità penale, affonda le sue radici nel periodo napoleonico. Da allora ad oggi, ma, più brevemente, nel passaggio dal codice previgente a quello attuale, l'istituto ha subito sostanziali trasformazioni. Basti pensare che è stato quasi del tutto abbandonato il principio di unità di giurisdizione e prevalenza del processo penale — che erano vigenti sotto il vigore dell'abrogato codice. Il legislatore dell'88, viceversa, ha posto al centro il principio dell'autonomia del processo penale rispetto ad ogni altro giudizio, compreso quello civile; il che comporta per il titolare della pretesa creditoria il riconoscimento del potere di scegliere liberamente se far valere il proprio diritto all'interno del giudizio penale o nella sua naturale sede civile. Nel primo caso si avrà l’introduzione nel giudizio penale della domanda di restituzione o risarcimento, che l’oggetto comporterà un raddoppiamento del processo, affiancando all'accertamento della responsabilità penale, quello relativo alla sussistenza del diritto al risarcimento del danno civile. Le due res iudicandae, pur obiettivamente connesse, non collimano e possono avere esiti diversi: può l'imputato soccombere penalmente ma prevalere su tema civile ovvero può essere assolto dall'accusa con varie formule, quali ad es. la mancanza di dolo o l'assenza di punibilità, ed essere condannato al risarcimento dei danni. L'esercizio dell'azione civile nel processo penale, pertanto, si caratterizza per la sua mera eventualità. Nonostante il disfavore con il quale l'attuale legislatore abbia previsto la possibilità della celebrazione del giudizio civile all'interno del processo penale, è innegabile che l'intervento della parte civile trovi giustificazione — oltre che nella necessità di tutelare un legittimo interesse della persona offesa dal reato — nell'unicità del fatto storico, valutabile sotto il duplice profilo dell'illiceità penale e dell'illiceità civile, realizzando così non solo un'esigenza di economia dei giudizi, ma anche evitando un possibile contrasto di pronunce (Corte cost. n. 532/1995). Il danno risarcibileLa regola fondamentale in tema di obbligazioni derivanti da reato va rinvenuta nell'art. 185 c.p., che richiama le leggi civili per le restituzioni, per il risarcimento, per l'individuazione delle persone obbligate e di quelle cui è dovuto. L'esplicito richiamo operato alla norma civilistica lascia comprendere la scelta di fondo del legislatore, il quale non ha inteso introdurre una specifica ed autonoma disciplina ma, semplicemente, affermare la valenza delle norme e dei principi vigenti in campo civilistico anche sul terreno del processo penale. In tale visione, quindi, l'art. 185 c.p. finisce per svolgere una duplice essenziale funzione. Da un lato, legittima l’applicazione delle norme civilistiche ai fini delle determinazioni in tema di restituzione e/o risarcimento del danno; dall'altro, lascia invariata la competenza strettamente penalistica finalizzata ad individuare il fatto-reato, ovvero l’autore e la sua responsabilità. L'art. 185 c.p. non ha, pertanto, alcuna efficacia costitutiva del diritto alle restituzioni ed al risarcimento, il quale ha e mantiene la sua natura civilistica. In altri termini, le disposizioni contenute nella norma in esame svolgono una mera funzione di integrazione dei generali principi civilistici di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c. — che non limitano il diritto al risarcimento al solo diritto soggettivo perfetto, ma lo estendono alla lesione di qualsiasi posizione giuridica qualificata. Sulla base dei suesposti principi, deve pertanto ritenersi che il danneggiato, cui ai sensi degli artt. 185 c.p. e 74 spetta il risarcimento, non si debba necessariamente identificare col soggetto passivo del reato in senso stretto, ma in chiunque, titolare di una situazione soggettiva protetta abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione o all'omissione del soggetto attivo del reato (Cass. V, n. 5613/2000). In tale ottica, quindi, non assume neanche rilievo la natura dell’interesse, in quanto il danno risarcibile sarà quello conseguente alle accertate lesioni sia di diritti soggettivi ,sia degli interessi legittimi. L'estensione del diritto al risarcimento anche a seguito della lesione di interessi legittimi è stata per lungo tempo negata dalla giurisprudenza, sia in sede civile sia, conseguentemente, in quella penale nonostante un sempre crescente dissenso manifestato sia dalla dottrina che di parte della giurisprudenza. Solo una diversa interpretazione del concetto “danno ingiusto”, come quello arrecato in assenza di una qualsiasi causa giustificativa e che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua formale qualificazione, ha consentito di ricomprendere anche le posizioni diverse dal diritto soggettivo perfetto nel concetto di danno ingiusto e di estendere la tutela risarcitoria anche a posizioni soggettive diverse rispetto al diritto soggettivo perfetto e che da quest'ultimo si differenziano solo per la diversità delle forme di tutela (Cass. civ. S.U., n. 500/1999). Riconosciuta la risarcibilità della lesione anche all'interesse legittimo si è posta la necessità di individuare quando sia configurabile un tal tipo di interesse, ossia quando un interesse di fatto possa assurgere ad interesse legittimo e trovare adeguata tutela giurisdizionale. L'impossibilità di addivenire ad una individuazione preventiva di tali interessi ha fatto ritenere alle Sezioni Unite citate che sia una competenza del giudice quella di accertare se, e con quale intensità, l'ordinamento appresta tutela risarcitoria all'interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prenda in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di protezione (Cass. civ. S.U., n. 500/1999). Requisiti del danno risarcibileAffinché la lesione di un interesse giuridicamente tutelato sia risarcibile è necessario che lo stesso sia collegato al fatto-reato oggetto dell'imputazione, ossia che ne sia la conseguenza. Tra il comportamento dell'agente e la lesione dell'interesse deve sussistere, quindi, un rapporto di causalità. L'esigenza fortemente sentita — soprattutto a seguito dell'interpretazione dell'art. 2043 c.c., che aveva ampliato la sfera di interessi ricompresi dalla norma e, quindi, oggetto di risarcimento —, aveva determinato l'affermarsi di un criterio interpretativo estremamente rigoroso in ordine alla sussistenza del nesso causale, secondo il quale oggetto di risarcimento poteva ritenersi esclusivamente il danno conseguenza diretta ed immediata del fatto criminoso, e quindi solo quello che derivasse da una lesione di un interesse tutelato in via diretta ed immediata dalla norma giuridica. Ed invero, si riteneva che in tema di azione risarcitoria e di costituzione di parte civile, perché il fatto illecito fosse fonte di obbligazione ai sensi dell'art. 2043 c.c., occorreva che il danno derivasse dalla lesione di un interesse tutelato in via diretta ed immediata da una norma giuridica, che avesse attribuito a tale interesse natura di diritto soggettivo. Si richiedeva, inoltre, che il danno fosse la conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, mentre il fatto che avesse cagionato danno, oltre che al soggetto titolare del diritto, anche — indirettamente — a soggetti portatori di mero interesse, privo di situazione giuridica soggettiva, non è fonte di obbligazione nei confronti di costoro (Cass. IV, n. 16823/1990). Siffatto principio era stato ritenuto applicabile anche ai reati di natura colposa ed aveva portato a ritenere che il consiglio di fabbrica non avesse titolo a pretendere il risarcimento del danno da parte di chi, mediante l'inosservanza della norma di prevenzione, aveva cagionato lesioni al lavoratore — perché, in tal caso, il diritto violato è stato ritenuto essere solo quello della propria integrità fisica, spettante esclusivamente al singolo lavoratore, e non quello, spettante alla collettività dei lavoratori, al controllo della applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e alla promozione di ricerca, elaborazione e attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori (Cass. S.U., n. 6168/1988). Più recentemente, si è sviluppato un orientamento che, sulla base di una interpretazione del nesso causale più puntuale e conforme alla ratio della norma, ha inteso ritenere oggetto di risarcimento tutti i danni che si pongono in rapporto di causalità con l’azione. In particolare, si è affermato che nel campo penale non deve essere considerato necessario delimitare la sfera del danno risarcibile, come disposto in sede civile, in quanto in ambito penale il danno è sempre risarcibile allorquando sia conseguenza del reato il quale, a sua volta, costituisce un fatto tipico e ben determinato in tutti i suoi elementi essenziali e costitutivi tra cui vi è il nesso di causalità. Ne consegue che l'esistenza del nesso causale rende i danni conseguenza del reato e, pertanto, oggetto di risarcimento (Cass. IV, n. 22558/2010). In tal senso, si è anche sostento che per la pronuncia di una condanna generica al risarcimento dei danni in favore della vittima del reato non si richiede alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile, sufficiente essendo accertare la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e l'esistenza di un nesso di causalità fra questo e il pregiudizio lamentato (Cass. V, n. 36657/2008). Su tali basi devono, quindi, escludersi, dalla portata del danno risarcibile, solo quei danni che risultano occasionalmente legati al fatto-reato i quali, pur derivando da una catena causale indotta dal reato, siano conseguenza di ulteriori eventi rispetto all'atto illecito (Cass. fer., n. 27372/2006). In altri termini, va asserito che la responsabilità civile derivante da reato ha ad oggetto ogni danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato, e che tale rapporto di causalità sussiste anche quando il fatto reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia tuttavia prodotto uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato (Cass. VI, n. 11295/2014); di talché, anche il danno mediato, purché iscritto in una regolare serie causale è sicuramente risarcibile ai sensi dell'art. 185 c.p., che, si ribadisce, non contempla il solo danno criminale (quello coincidente cioè con l'offesa l'evento o l'offesa) bensì qualsiasi danno, patrimoniale e non patrimoniale derivante dal reato (Cass. V, n. 29342/2007). Permanenza del dannoAltro profilo controverso è la necessità della sussistenza del danno anche in corso di processo e, quindi, se la costituita parte civile, in caso di avvenuto risarcimento in corso di giudizio, debba essere esclusa o meno. A fronte di chi sostiene la necessità dell'esclusione — in quanto sarebbe venuta meno la attualità e concretezza dell'interesse necessario per poter validamente proporre una domanda o contraddire alla stessa —, vi è chi ritiene che la persistenza del danno attenga al merito dell'azione e non alla legittimazione a stare in giudizio. La possibilità di mantenere la costituzione di parte civile, anche in presenza di una integrale risarcimento del danno ad opera del responsabile civile è stata ritenuta legittima in quanto: a) il criterio di solidarietà fra gli imputati fa permanere un interesse delle parti civili ad agire; b) la presenza della clausola «salvi e impregiudicati i reciproci diritti» condiziona l’avvenuto risarcimento; c) la parte civile conserva un «diritto di parola» anche in caso di avvenuto risarcimento. Contrariamente, si è ritenuto che la costituzione in sede penale per il risarcimento dei danni conseguenti il reato abbia ad oggetto l'unica pretesa e la medesima azione esercitatile in sede civile; di talché, la parte civile può avere interesse a partecipare al giudizio penale solo nel caso in cui gli accertamenti possano avere influenza sull'affermazione di responsabilità e sull'entità del risarcimento. Qualora tale finalità venga meno, come nel caso di integrale risarcimento già conseguito, viene meno ogni interesse della parte civile alla partecipazione al processo penale, di talché la stessa deve essere esclusa (Cass. III, n. 42383/07) Contenuto del danno risarcibileLa norma di riferimento per la determinazione del danno risarcibile, come evidenziato in precedenza, va certamente individuata nell'art. 185 c.p., che obbliga da un lato alla restituzione, ossia alla reintegrazione in forma specifica avente ad oggetto la materiale resa del bene oggetto di sottrazione, dall'altro al risarcimento del danno, qualora la reintegra in forma specifica non sia possibile. Il contenuto risarcitorio ricomprende sia il danno avente un contenuto patrimoniale che non patrimoniale a sottolineare che il dato rilevante non è la natura del danno ma la sua connessione al fatto reato. Danno patrimonialeRappresenta la lesione di un interesse patrimonialmente valutabile, una lesione che è da sempre stata valutata e disciplinata nel campo del diritto. Risulta composto, come è noto, dal cd. danno emergente e lucro cessante ed entrambi devono ritenersi rientranti nell'ambito del risarcimento conseguente alla commissione di un reato. In ogni caso, la condanna generica al risarcimento del danno postula per il suo accoglimento l'accertamento di un fatto da ritenersi, alla stregua di un giudizio di probabilità, anche solo potenzialmente produttivo di conseguenze dannose (Cass. III, n. 45295/2009); il che esclude che il giudice penale debba svolgere alcun concreto accertamento in ordine alla sua reale consistenza ed alla sua concreta quantificazione. Non vi è dubbio che il danno patrimoniale ha una sua maggiore visibilità e, pertanto, risulta molto di agevole il suo accertamento e la sua quantificazione, in caso di impossibilità di restituzioni. Danno non patrimonialePer la sua stessa natura, appare molto più complessa la problematica avente ad oggetto la delimitazione del danno non patrimoniale. Tradizionalmente, infatti, i danni non patrimoniali erano ritenuti risarcibili esclusivamente nei ristretti limiti previsti dall'art. 2059 c.c. che, prevedendone il ristoro nei soli casi previsti dalla legge, limitava la loro risarcibilità alla sola ipotesi in cui il danno fosse stato cagionato da un reato (art. 185, comma 2, c.p.) perché questo era l'unico caso previsto dalla legge. La problematica nel tempo ha subito una profonda rivisitazione, che ha portato le Sezioni Unite Civili a ritenere legittima una interpretazione più estensiva e ad affermare che certamente è risarcibile il danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione di danno determinato da lesioni di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Rientrano, alla luce di tale principio, nel concetto di danno non patrimoniale risarcibile tutte le conseguenze dell'illecito che non sono suscettibili di una valutazione pecuniaria. L'ampliamento della nozione di danno non patrimoniale ha consentito di estendere la risarcibilità del danno non patrimoniale anche a soggetti diversi dalle persone fisiche (Cass. civ. III, n. 2367/2000). In tale ottica, la categoria del danno non patrimoniale va costruita in maniera unitaria anche se al suo interno appare possibile collocare sub articolazioni (Cass. IV, n. 2050/2004). Danno morale Si tratta di una tipologia di danno non patrimoniale. Pertanto con la definizione di danno morale non si individua una autonoma sottocategoria di danno, ma si descrive — tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali — quello costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé, la cui intensità e durata nel tempo non assume rilevanza ai fini dell'esistenza del danno ma solo della sua quantificazione. Danno biologico E’ un tipo di danno configurabile allorquando siano ravvisabili delle vere e proprie degenerazioni patologiche della sofferenza. Pertanto presuppone l’esistenza di una sofferenza, fisica o psichica, con la conseguenza, in queste ipotesi, di determinare duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale. Danno esistenziale Frutto di un'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, rientra anch'esso nell'ambito dell'ampia accezione del danno non patrimoniale e si sostanzia nella sofferenza morale determinata dal non “poter fare”; esso è risarcibile nei casi in cui il pregiudizio sia conseguenza della lesione di almeno un interesse giuridicamente protetto, di cui la tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza. È ricollegato ad un peggioramento non temporaneo della qualità della vita del danneggiato, con un conseguente mutamento radicale delle sue abitudini, dei suoi rapporti personali e familiari. Risarcibilità danno non patrimoniale La natura non patrimoniale e areddituale del danno biologico non consente una ricostruzione dell'entità, in termini monetari, del danno risarcibile; per cui, in mancanza di precisi parametri liquidativi, tale danno deve essere liquidato in via equitativa. . Tuttavia, per evitare possibili sperequazioni e disparità di trattamento sono stati elaborati dei cd. criteri tabellari, che costituiscono un orientamento per il giudice che non può essere considerato obbligatorio perché nessuna norma ne impone l'adozione per i danni da responsabilità aquiliana e quindi deve ritenersi ammissibile una liquidazione meramente equitativa purché il giudice abbia dato conto dei criteri equitativi seguiti nella liquidazione, questi criteri non appaiano illogici e la liquidazione non si discosti clamorosamente e immotivatamente (in più o in meno) dai criteri tabellari (Cass. IV, n. 2050/2004). CasisticaIl danno non patrimoniale nei confronti di enti pubblici si rinviene nella caduta di immagine e nel conseguente discredito derivante dalla commissione del reato che legittima la costituzione per l'ottenimento del relativo risarcimento (Cass. I, n. 3098/1993); sussiste il danno morale nei confronti di chi, consapevole di essere oggetto di concrete minacce nella propria integrità fisica, circostanza accertata a seguito di attività di indagine, sia costretto a vivere sotto scorta ed a subire una compressione della propria autonomia nella libertà di movimento e nella vita professionale e di relazione (Cass. fer., n. 45002/2012); i danni non patrimoniali conseguenti alla commissione di crimini di guerra e che hanno determinato turbamenti morali della collettività, sono risarcibili a favore degli enti pubblici esponenziali di essa (Cass. I, n. 4060/2007); in tema di risarcimento danni nei confronti del minore vittima di abusi sessuali, la quantificazione equitativa del danno morale deve tener conto dell'intensità della violazione della libertà morale e fisica in una sfera quale quella sessuale in rapporto anche all'età della minore, del turbamento psichico cagionato e delle sue conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi, degli effetti proiettati nel tempo, dell'incidenza del fatto criminoso sulla personalità della vittima (Cass. III, n. 13686/2011); deve ritenersi che anche il concepito non ancora nato acquisti un autonomo e proprio diritto al risarcimento a seguito dell'omicidio del genitore. Il danno morale, in tal caso, si riterrà prodotto nel momento in cui acquisti consapevolezza della mancanza della figura genitoriale. Allo stesso dovrà essere riconosciuto anche il danno biologico se interverrà anche un'ulteriore compromissione della salute psico-fisica del minore (Cass. IV, n. 11625/2000). SpeseLe spese processuali sostenute dalle parti per far valere le proprie ragioni — il cui riconoscimento va regolato secondo il criterio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. — rientrano senza dubbio alcuno nel concetto di danno risarcibile. L'onere delle stesse va valutato, pertanto, nelle ipotesi di alterne vicende nei diversi gradi di giudizio, con riferimento all'esito finale, nulla rilevando che una parte sia stata vittoriosa in qualche fase o grado (Cass. IV, n. 4497/2000). Deve, inoltre, precisarsi che il parziale accoglimento dell’impugnazione non elimina la condanna dell’imputato, e pertanto è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. S.U., n. 6402/1997). In sintesi, quindi, il concetto di soccombenza va valutato in concreto e non in astratto, con esplicito riferimento al vantaggio pratico derivante da una soluzione sfavorevole all'imputato; conseguentemente, è stato riconosciuto alla parte civile il diritto alla rifusione delle spese anche nel procedimento che si svolge innanzi alla Corte di Cassazione in camera di consiglio qualora lo stesso sia stato dichiarato inammissibile e sia stata concretamente svolta attività defensionale finalizzata a tutela dei propri interessi (Cass. S.U., n. 5466/2004). Parte civile e persona offesaLa nozione di persona offesa dal reato differisce da quella di danneggiato. La persona offesa dal reato è il soggetto passivo, il titolare dello specifico interesse e bene giuridico considerato dalla singola fattispecie, mentre il danneggiato è colui al quale il reato ha cagionato direttamente un danno di indole civile e ben può essere diverso dal soggetto passivo (Cass. III, n. 1470/1969). Si tratta, pertanto, di due figure ontologicamente diverse, che non possono essere confuse o sovrapposte tra loro. Né l’eventuale convergenza sulla medesima persona, che si verifica molto spesso nella pratica, può inficiare la loro diversità. La differenza dei due istituti, ben nota sotto il vigore del codice abrogato, è stata pienamente confermata dal legislatore dell’88. Sul punto, si evidenzia infatti che solo la persona offesa — e non il danneggiato — potrà partecipare all'attività di indagine preliminare ed avrà il diritto di essere informata, sempre che l'abbia espressamente richiesto. La qualità di parte, propria della parte civile, viceversa, è necessaria per poter accedere alla richiesta di indennizzo per violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui alla l. n. 89/2001; pertanto, non saranno legittimati a presentare il ricorso previsto dalla citata disciplina la persona offesa ed il querelante che, nell'ambito dei procedimenti di cui lamentano l'eccessiva durata, non si siano costituiti parte civile. La legitimatio ad causamRappresenta il presupposto per la costituzione di parte civile ed è connessa alla titolarità del diritto sostanziale leso in capo alla persona che ha subito un pregiudizio dalla sua lesione. La norma di cui all'art. 74, identificando quale titolare del diritto il soggetto, in sostituzione della persona cui si riferiva la norma del codice abrogato, ha di fatto ampliato l’ambito di applicazione della norma, estendendolo anche ad enti, pur non riconosciuti, qualora titolari di un interesse leso in qualità di soggetti di diritto diversi dalle persone. Legitimatio ad processumLa costituzione di parte civile nel processo penale presuppone la legittimatio ad processum del danneggiato, ossia la capacità processuale a stare in giudizio per la tutela del proprio interesse ed impone la necessità, per chi ne sia privo, della nomina di un soggetto che rappresenti e tuteli la persona priva della suddetta capacità (es. minore non emancipato, inabilitato). In ogni caso, presupposto essenziale resta sempre quello dell’interesse ad agire, comprensivo dell’interesse della parte civile a vedere affermata la responsabilità dell’imputato, essendo evidente che da tale affermazione consegue il diritto al risarcimento del danno e sulla sua entità. La rappresentanza processuale, che deve essere tenuta distinta dalla capacità processuale, è obbligatoriamente prevista per la parte civile, come per tutte le altre parti private, e si traduce nella necessità di essere rappresentata nel giudizio da un difensore minuto di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata (art. 100). Soggetti legitimati alla costituzioneLa titolarità della situazione tutelata, come è stato più volte evidenziato, non è rinvenibile solo in capo alla persona offesa ma anche ad altri soggetti, di talché deve ritenersi che il danneggiato cui spetta il risarcimento, non debba necessariamente essere identificato col soggetto passivo del reato in senso stretto, ma con chiunque abbia riportato un danno dall'azione o omissione del soggetto attivo del reato. A fronte di una singola persona offesa, pertanto, possono esservi più soggetti danneggiati, ciascuno dei quali è titolare di una propria legittimazione ad agire contro la persona che ha cagionato il danno e l'esperimento di tale azione prescinde dalle eventuali azioni proposte o proponibili dalla persona offesa (Cass. I, n. 13408/2005). Secondo il disposto dell'art. 74, inoltre, l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno, di cui all'art. 185 c.p., può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell'imputato e del responsabile civile. Con riferimento alle persone fisiche, quindi, la legge distingue tra il diritto al risarcimento iure proprio, ovvero quello proprio del soggetto al quale il reato ha direttamente recato danno, ed il diritto al risarcimento iure successionis, che spetta solo ai successori universali e che sorge quando si sia verificato un depauperamento del patrimonio della vittima in conseguenza dell’accadimento. Ne discende che i successibili, che non siano, in concreto, anche eredi, non possono agire iure successionis, non escludendosi però, per i successibili che siano prossimi congiunti della vittima, la legittimazione ad agire «iure proprio» per il ristoro dei danni patrimoniali e soprattutto non patrimoniali sofferti a causa della morte del congiunto (Cass. IV, n. 38809/2005). Gli enti esponenzialiCome evidenziato in precedenza, la legittimazione a costituirsi parte civile e, quindi, la capacità di essere titolari in proprio di un interesse giuridicamente rilevante oggetto di lesione da parte di enti, giuridici e non, già consentita sotto la vigenza del vecchio codice, è stata ulteriormente specificata con la riforma del 1988, la quale ha esplicitamente distinto la parte civile — identificata nel titolare della pretesa risarcitoria — e gli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato — che possono affiancare, a determinate condizioni, l’offeso (art. 91). Nella visione originaria del legislatore, infatti, all'ente doveva essere demandata solo una funzione di supporto ed integrativa di quella della persona offesa. Ed invero, si riteneva che gli enti e le associazioni fossero legittimati all'azione risarcitoria, anche in sede penale, mediante costituzione di parte civile, ove dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, sempreché l'interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l'interesse perseguito in riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da esso sodalizio preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell'ente. Ciò sia a causa dell'immedesimazione fra l'ente stesso e l'interesse perseguito, sia a causa dell'incorporazione fra i soci ed il sodalizio medesimo, sicché questo, per l'affectio societatis verso l'interesse prescelto e per il pregiudizio a questo arrecato, patisce un'offesa e perciò anche un danno non patrimoniale dal reato (Cass. VI, n. 59/1989). L’intento iniziale, tuttavia, non è stato perseguito in maniera costante atteso che lo stesso legislatore ha successivamente previsto una serie di specifiche legittimazioni. Sul punto, si evidenzia il disposto dell'art. 2 della l. n. 123/2007, che ha imposto al pubblico ministero di informare a tal fine l'Inail dell'avvenuto esercizio dell'azione penale per i reati d'omicidio colposo e lesioni colpose commessi con violazione delle norme antinfortunistiche, ritenuto funzionale a consentire all'ente la costituzione di parte civile e l'esercizio nel procedimento penale dell'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro eventualmente imputato (Cass. IV, n. 47374/2008). Diversamente dalle persone fisiche che agiscono a tutela dell'interesse proprio leso dall'azione delittuosa e che, in quanto tale, assumono la qualifica di persona offesa, gli enti collettivi sono organismi sono rappresentativi di interessi diffusi — ossia senza un titolare (adespoti) — ovvero collettivi, che riguardano un insieme di persone associatesi in un’organizzazione stabile, senza scopo di lucro, con regole interne e riconoscimento legale ante delictum. Il legislatore aveva previsto (art. 91) la possibilità che enti esponenziali potessero entrare nel processo ma non con veste autonoma ma in affiancamento alle persona titolare del diritto leso dall'azione di reato. L'esistenza di una serie di condizioni previste dalla legge, rafforzava, quindi, la volontà di circoscrivere al massimo la portata della partecipazione degli enti. Tuttavia, un'interpretazione giurisprudenziale ha inteso circoscrivere l'ambito di applicazione dell'art. 91 ai soli casi in cui l'ente non possa o voglia costituirsi parte civile, finendo così col ritenere il disposto della norma citata solo come norma di chiusura di un sistema che tende a privilegiare la partecipazione degli enti al processo come parti titolari di un proprio autonomo interesse oggetto di lesione da parte dell'imputato. Nonostante la suddetta interpretazione, il riconoscimento alla costituzione di parte civile degli enti esponenziali è comunque subordinato alla sussistenza di alcuni presupposti. In primis, lo scopo dell'ente deve essere quello dell'interesse oggetto di lesione, atteso che solo in tal maniera è possibile addivenire alla configurazione della violazione di un interesse proprio dell'ente, ciò implica anche che l'ente debba svolgere in concreto attività finalizzate alla tutela di tale interesse e che tale attività sia radicata su un determinato ambito territoriale, più o meno vasto ma certamente determinato. Pertanto, non può trattarsi di un generico interesse non proprio del sodalizio e non risarcibile, ma deve trattarsi di uno specifico interesse che si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo. In tal caso, esso cessa di essere comune alla generalità dei consociati e legittima la costituzione di parte civile delle associazioni che sono centri di tutela e di imputazione di quell'interesse collettivo che, in tale modo, cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato. Pertanto, è necessario che l’associazione abbia come fine statutario essenziale la tutela dell’ambiente che diviene la ragione dell’ente, sia radicata sul territorio anche attraverso sedi locali, sia rappresentativa di un gruppo significativo di consociati, abbia dato prova di continuità della sua azione e rilevanza del suo contributo a difesa del territorio. CasisticaLa società italiana autori e editori (Siae) ha natura di ente pubblico che attende alla tutela economica e giuridica delle opere dell'ingegno e dei diritti connessi; deve pertanto ritenersi, ai sensi degli artt. 91 ss., ente esponenziale di detti interessi e quindi legittimata, come tale, a costituirsi parte civile in un processo penale e, comunque, ad operare a sollecitazione di un giudizio per violazione della normativa sul diritto di autore, giacché a tali violazioni segue spesso un danno economico diretto (Cass. II, n. 3886/1995); è ammissibile la costituzione di parte civile, in un processo per tentata usura, dell'Associazione Antiracket che avanzi iure proprio la pretesa risarcitoria in quanto assuma di avere subito per effetto del reato un danno diretto ed autonomo rispetto a quello della vittima, patrimoniale o non patrimoniale, e che può anche consistere nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio posto nello statuto a ragione istituzionale della propria esistenza ed azione. (Cass. I, n. 29700/2011); è ammissibile la costituzione di parte civile dell'associazione «Cittadinanza attiva-Tribunale dei Diritti del Malato», ente a diffusione nazionale, dotato di rappresentatività esponenziale degli interessi del singolo alla salute e alla tutela della dignità del malato, nel procedimento penale inerente la responsabilità medica per omicidio colposo del paziente, in quanto titolare di un interesse per la cui protezione è stata delegata dai suoi associati, indipendentemente dalla natura della posizione giuridica tutelata, la quale può avere anche carattere di interesse diffuso (Cass. IV, n. 7597/2014). Tutela ambientaleÈ certamente l'ambito sul quale maggiormente si è sviluppata la problematica della tutela degli interessi attraverso enti esponenziali. L'affermazione che la risarcibilità del danno ambientale presenti una triplice dimensione ha certamente contribuito ad affermare l'esistenza di un proprio interesse in capo agli enti. In particolare, la Cassazione ha ritenuto che il danno ambientale risarcibile presenta una triplice dimensione: personale quale lesione del fondamentale diritto all'ambiente salubre da parte di ogni individuo; sociale quale lesione del diritto all'ambiente nelle articolazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità umana; pubblica quale lesione del diritto-dovere pubblico spettante alle Istituzioni centrali e periferiche (Cass. III, n. 22539/2002). Questa affermazione, peraltro, ha consentito di legittimare la costituzione di parte civile di enti oltre che quella degli organi amministrativi (Regioni, Comuni), cui è demandata la suddetta tutela. CasisticaLa costituzione delle associazioni ambientaliste è possibile anche per reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell'ambiente e del territorio, finalità che costituiscono la ragione sociale delle predette associazioni. In tale ottica si deve riconoscere il diritto delle predette associazioni di costituirsi parti civili in processi per delitti di abuso in atti di ufficio, falso e truffa ecc. ecc. connessi a violazioni edilizie allorquando detti reati sono stati commessi al fine di rendere possibile l'abuso edilizio (Cass. I, n. 4060/2007); in tema di reati ambientali compete al Comune, quale ente territoriale, il diritto al risarcimento del danno ambientale derivante dalla inosservanza delle disposizioni in tema di gestione di rifiuti, atteso che questo non consiste soltanto in una compromissione dell'ambiente, ma altresì in una offesa alla personalità umana nella sua dimensione individuale e sociale; inoltre tale risarcimento grava su tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di produzione e smaltimento dei rifiuti, responsabili in solido tra loro (Cass. III, n. 19505/2004); le associazioni ecologiste sono legittimate alla costituzione di parte civile nei procedimenti per reati che offendono l'ambiente, anche se non riconosciute ai sensi dell'art. 13 l. n. 349/1986, a condizione che abbiano direttamente subito un danno di natura patrimoniale (come può avvenire per i costi di attività finalizzate a prevenire il pregiudizio ambientale) o non patrimoniale (che può connettersi al discredito derivante dalla frustrazione dei fini istituzionali), e non si atteggino semplicemente a soggetti portatori di un interesse diffuso (Cass. III, n. 46746/2004). Costituzione parte civile e procedimenti specialiLa possibilità di costituzione di parte civile può essere limitata soprattutto nel caso in cui il giudizio venga celebrato con riti alternativi o speciali. Procedimento per decreto penale Il procedimento per decreto penale non consente la costituzione di parte civile — come esplicitamente previsto dall'art. 460, comma 5 —, che non riconosce efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo al decreto penale anche se divenuto esecutivo. L'assetto normativo delineato dal legislatore, peraltro, ha trovato anche l'avallo della Corte Costituzionale,la quale ha confermato che l’impossibilità di operare una costituzione di parte civile non caso di specie non si pone in contrasto con i principi supremi in quanto il danneggiato può comunque adire il giudice civile per vedere tutelati il proprio diritto leso. Inoltre, l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, deve ritenersi prevalente rispetto all'interesse del soggetto danneggiato ad esperire la propria azione nel processo medesimo. Ciò, secondo la Consulta, rende compatibile la definizione del giudizio penale anche in assenza della partecipazione del danneggiato. non va, peraltro, dimenticato, come ha ulteriormente evidenziato il giudice delle leggi, che il nuovo processo è ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale e civile, di talché non ogni «separazione dell'azione civile dall'ambito del processo penale non può essere considerata come una menomazione o una esclusione del diritto alla tutela giurisdizionale», essendo affidata al legislatore la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista delle esigenze proprie del processo penale (Corte cost., ord. n. 124/1999). Procedimento per l'applicazione della pena su richiesta delle parti Nel procedimento per l’applicazione della pena su richiesta delle parti, pur non essendo preclusa la possibilità di costituzione della parte civile, al giudice è inibita qualsiasi statuizione (od anche delibazione) sulla fondatezza della domanda risarcitoria avanzata dal danneggiato dal reato — essendo a ciò di ostacolo lo stesso disposto del secondo comma dell'art. 444. Ciò nonostante, è comunque tenuto a valutare la legittimazione della costituzione sia al fine di evitare di disporre l’automatica liquidazione delle spese processuali di un soggetto costituitosi parte civile che sia del tutto privo di legittimazione, sia perché al giudice è demandato di regola il compito di verificare, nel corso di tutto il processo, la legittimazione delle parti in causa. Anche la Corte costituzionale, peraltro, ha finito con l'istituzionalizzare la legittimazione al processo della persona offesa-danneggiato/parte civile nel momento in cui ha riconosciuto l'impegno da questa profuso anche al fine di determinare l'indagato alla definizione del giudizio attraverso l'applicazione di una pena concordata ed a tal fine ne ha giustificato l'ottenimento delle spese sostenute per il raggiungimento di un risultato che è nell'interesse del celere svolgimento dell'attività giudiziaria (Corte cost. n. 443/1990). Sarebbe giuridicamente ma prima ancora logicamente impossibile sostenere che quella utilità processuale, riconosciuta alla parte civile, ed assunta come ragione della rifusione delle spese processuali, possa essere riferita ad un soggetto privo della legittimazione ad essere presente nel processo. In conclusione, va affermato che nel giudizio di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice, se non può apprezzare la fondatezza della domanda della parte civile, ha, invece, il potere-dovere di valutare la legittimazione della costituzione, (anche) ai fini della condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali in favore di questa. Giudizio abbreviato Nel giudizio abbreviato è certamente ammessa la costituzione della parte civile. Per espresso disposto dell'art. 441, comma 1, si applicano le medesime regole previste per l'udienza preliminare. Pertanto anche in caso di celebrazione del giudizio con le forme del giudizio abbreviato, la costituzione di parte civile può avvenire sino al compimento delle formalità ex artt. 420 e 484. Questo termine, a ben vedere, risulta solo apparentemente in contrasto col disposto del comma 3 del medesimo articolo, atteso che, a norma di tale articolo, la costituzione di parte civile intervenuta dopo la “conoscenza” dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, equivale ad accettazione del rito. Secondo una interpretazione giurisprudenziale, dopo la riforma introdotta dalla l. n. 479/1999 il giudizio abbreviato in fase dibattimentale può esser chiesto (ex art. 555, comma 2) fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento e non rileva la norma ex art. 441, comma 2, che risale alla originaria formulazione dell'istituto del giudizio abbreviato, come regolamentato in origine (quando poteva esser chiesto fino a 5 gg. prima della data fissata per il dibattimento) (Cass. V, n. 33356/2008). Secondo altro orientamento, invece il legislatore ha fatto riferimento, nell'art. 441, comma 2, non alla costituzione di parte civile avvenuta dopo l'emissione dell'ordinanza di rito abbreviato ma a quella avvenuta dopo la «conoscenza» dell'ordinanza stessa. Il ricorso a tale terminologia non è stato ritenuto casuale in quanto la richiesta di giudizio abbreviato può intervenire anche in una fase precedente ed al di fuori dell'udienza preliminare stessa come è il caso disciplinato dall'art. 458 che a sua volta fa espresso richiamo, tra gli altri, anche al disposto dell'art. 441. In sostanza il disposto dell'art. 441, comma 2, assume uno specifico significato nel momento in cui la persona offesa, venuta a conoscenza dell'ordinanza di ammissione del giudizio abbreviato e del decreto di fissazione della relativa udienza ai sensi dell'art. 458, comma 2, decide di costituirsi parte civile alla predetta udienza (ovviamente nella fase della costituzione delle parti) così accettando il rito stesso ed i suoi effetti anche in ordine alle questioni di natura civilistica. Quando, invece, la richiesta di giudizio abbreviato viene formulata nel corso dell'udienza preliminare prima delle conclusioni delle parti è evidente che la conseguente ordinanza di ammissione al rito viene pronunciata in un momento in cui la fase di costituzione delle parti in udienza si è già conclusa e la «conoscenza» della stessa è in re ipsa essendo le parti presenti all'atto della sua pronuncia. Quanto affermato pocanzi è senz'altro conforme non solo ai criteri di regolare ed ordinato svolgimento dell’udienza, ma anche alla volontà del legislatore come ulteriormente confermato dal dettato di cui al comma 4 dell’art. 441, che testualmente dispone: «Se la parte civile non accetta il rito abbreviato non si applica la disposizione di cui all'art. 75, comma 3» (Cass. II, n. 12608/2015). In sostanza, secondo questa più recente interpretazione, l'art. 441, comma 2 appare ragionevolmente applicabile nelle sole ipotesi in cui l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato sia stata emessa fuori udienza e quindi prima che la parte civile si sia costituita ex art. 79, comma 1, mentre per quanto riguarda l'udienza preliminare la costituzione di parte civile deve avvenire nella fase di cui all'art. 420, salva la possibilità per la stessa, qualora venga emessa in udienza l'ordinanza di ammissione al rito abbreviato, di «uscire» dal procedimento ex art. 441, comma 4. Giudizio immediato e giudizio direttissimo Il giudizio immediato ed il giudizio direttissimo non presentano particolari differenze rispetto al procedimento ordinario, onde anche nessuna particolarità presenta la costituzione di parte civile. Processo penale minorile Il procedimento penale davanti al tribunale per i minorenni rappresenta la più importante deroga alla disciplina dettata in tema di costituzione di parte civile. E ciò in quanto non è ammesso l’esercizio dell’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. Il divieto è espressamente previsto dall'art. 10 d.P.R. n. 448/1988 ed è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dal giudice delle leggi, il quale ha dapprima evidenziato che le esigenze che hanno indotto il legislatore a vietare la costituzione di parte civile nel processo penale a carico di imputati minorenni assumono ragionevolmente un risalto preminente rispetto alla tutela degli interessi del danneggiato dal reato all'interno del procedimento penale minorile. Quest'ultimo, peraltro, non risulta neanche concretamente penalizzato dalla scelta del legislatore atteso che l'autonomo esercizio dell'azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile (Corte cost. n. 433/1997). Tribunali penali militari È ammessa la costituzione di parte civile, inizialmente non consentita in quanto era ostativa la norma di cui all'art. 270 c.p. mil. p., per il quale l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno non può essere proposta davanti ai tribunali militari. La Corte Costituzione, infatti, ha ritenuto costituzionalmente illegittima la suddetta norma in quanto in aperta violazione degli artt. 3 e 24 Cost. per disparità di trattamento rispetto ai giudizi celebrati innanzi ai giudici ordinari e per l'impossibilità di tutelare un legittimo interesse della persona danneggiata dal reato, nell'unicità del fatto storico valutabile sotto il duplice profilo dell'illiceità penale e dell'illiceità civile, non trovano valide ragioni giustificative in assenza delle quali deve ritenersi che la disposizione in esame si ponga in contrasto col dettato costituzionale (Corte cost. n. 60/1996). BibliografiaCantone, Sub art. 74, in Lattanzi - Lupo, Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Milano, 2007; Canzio-Tranchina, Codice di procedura penale, Milano, 2012; Chiliberti, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 2006; Conso, Capacità processuale penale (diritto processuale penale), in Enc. dir., Milano, VI, 1960; Ferrero, Il risarcimento dei danni subiti dallo Stato a seguito di reato, in Cass. pen. 1996, 691; Giampietro, La costituzione di parte civile delle associazioni ambientalistiche e la riforma dell'art. 18 della L. 349/1986, in Cass. pen. 1991, 2017; Leone, L'azione civile nel processo penale, in Enc. dir., Milano, IV, 1959; Li Vecchi, Enti esponenziali e tutela degli “interessi diffusi” nel processo penale, in Riv. pen. 1995, 871; Morlacchini, Danno ambientale e costituzione di parte civile iure proprio delle associazioni ambientalistiche: un passo indietro nella labirintica giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Cass. pen. 2004, 1714; Pennisi, Parte civile, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981; Pinelli, Enti esponenziali e parte civile: la Cassazione apre alla legittimazione dei sindacati nel caso di omicidio colposo correlato all'inosservanza della normativa antinfortunistica, in Cass. pen. 2011, 1135. |