Codice di Procedura Penale art. 106 - Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento.Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento. 1. Salva la disposizione del comma 4-bis la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili1. 2. L'autorità giudiziaria, se rileva una situazione di incompatibilità, la indica e ne espone i motivi, fissando un termine per rimuoverla. 3. Qualora l'incompatibilità non sia rimossa, il giudice la dichiara con ordinanza provvedendo alle necessarie sostituzioni a norma dell'articolo 97. 4. Se l'incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero o di taluna delle parti private e sentite le parti interessate, provvede a norma del comma 32. 4-bis. Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lettera b). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 2, 3 e 43.
[1] Comma modificato dall'art. 16 1 lett. a) l. 13 febbraio 2001, n. 45. InquadramentoL'articolo in esame esclude la possibilità per un difensore di assumere la difesa di più imputati le cui posizioni siano incompatibili e prevede un procedimento per la rimozione delle situazioni di incompatibilità. Attraverso la previsione in commento si vuole, da un lato, garantire la libertà del professionista che, assumendo contemporaneamente la difesa tecnica di più soggetti con posizioni contrastanti, verrebbe condizionato nelle sue scelte e, dall'altro, garantire al singolo imputato una difesa effettiva e non compromessa dalla condizione di incompatibilità (Frigo, in Amodio-Dominioni. I, 609; Ricci, Il difensore, in Dean (a cura di), Soggetti e atti, t. I, in Spangher, 747). IncompatibilitàIl legislatore non fornisce una definizione di incompatibilità, lasciando all'interprete la valutazione del singolo caso concreto. La giurisprudenza ritiene che per aversi incompatibilità non sia sufficiente una diversità di posizioni giuridiche o di linee di difesa tra più imputati, ma occorre che la versione difensiva di uno di essi sia assolutamente inconciliabile con la versione fornita dagli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro (Cass. II, n. 10757/2017; Cass. I, n. 41305/2009). Si ritiene che, oltre alla inconciliabilità delle difese, vi debba essere anche l'attualità del contrasto. Argomentando sulla mancanza di tale condizione, si è infatti esclusa l'esistenza di una situazione di incompatibilità nella condotta di un difensore che, dopo aver assunto la difesa di un minore in un procedimento conclusosi con l'archiviazione, aveva assunto la difesa del padre accusato dello stesso reato (Cass. I, n. 11837/1992). Come chiarito dalla Corte costituzionale, l'incompatibilità ex art. 106 deve ritenersi sussistente sia ove investa la posizione di più imputati rispetto al difensore comune, sia ove riguardi la posizione di più imputati dei quali uno, avendo la qualità di avvocato, sia stato nominato difensore dall'altro, dal momento che l'assunzione della difesa di un coimputato da parte di un imputato che sia con il primo in posizione di conflitto di interessi equivarrebbe all'assunzione, in violazione del divieto espressamente posto nella norma in esame, della difesa (difesa di se medesimo e difesa tecnica del coimputato) di più imputati in posizioni tra loro incompatibili (Corte cost. n. 522/1992). Una causa di incompatibilità è stata ravvisata anche nel caso in cui sia stato nominato d'ufficio, in sostituzione del difensore di fiducia, un avvocato che nelle udienze dibattimentali precedenti, nonché in quelle successive, abbia assistito e rappresentato la parte civile costituita nel medesimo procedimento, anche se l'udienza dibattimentale in cui sia stata disposta la sostituzione si sia conclusa con un mero rinvio (Cass. VI, n. 36004/2004, che ha precisato che il giudice, con l'atto di nomina del difensore di ufficio, è tenuto anche a verificare le eventuali ragioni di incompatibilità che possono pregiudicare la natura e il contenuto della difesa tecnica). Procedimento di rimozioneI commi 1 e 2 dell'art. 106 prevedono un iter procedurale volto a superare la situazione di incompatibilità rilevata dal giudice. Si ritiene che tale procedimento riguardi solo l'ipotesi in cui il difensore sia stato nominato dall'imputato, giacché per quello designato d'ufficio è sufficiente l'ordinanza motivata ex art. 97, comma 4, c.p., trattandosi di una ipotesi di giustificato motivo (Cordero, 295). Il controllo sulle situazioni di incompatibilità spetta all'autorità giudiziaria che, qualora ne rilevi la sussistenza, lo segnala alle parti coinvolte, anche in forma orale, indicandone i motivi e fissando un termine affinché l'imputato provveda a formalizzare la nomina di un nuovo difensore. Se alla scadenza del termine la situazione di incompatibilità non è stata rimossa, gli imputati vengono considerati privi di assistenza tecnica e il giudice, dopo aver sentito le parti, provvede d'ufficio alla sostituzione del difensore con ordinanza motivata. Nel corso delle indagini preliminari, l'intervento del giudice è sollecitato dal pubblico ministero o da taluna delle parti private e anche in questo caso, sentite le parti, si deve procedere alla necessaria designazione del difensore d'ufficio. Alcuna sanzione è prevista a presidio del procedimento appena descritto. Da ciò la giurisprudenza ha dedotto la legittimità dell'operato del giudice che, dopo aver rilevato la incompatibilità, non abbia provveduto a indicarla, esponendone i motivi, e a fissare un termine per rimuoverla, avendo invece sostituito direttamente il difensore incompatibile con uno d'ufficio (Cass. I, n. 30472/2011, che ha escluso la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), se alcun pregiudizio concreto alla difesa dell'imputato è derivato dalla inosservanza della procedura prevista dall'art. 106). Il provvedimento con il quale il giudice dichiara che un difensore si trova in una situazione di incompatibilità rispetto all'incarico conferitogli dal cliente non è autonomamente impugnabile (Cass. VI, n. 88/1993). Effetti della incompatibilitàL'esistenza di una situazione di incompatibilità comporta un'assistenza tecnica menomata, inefficiente o apparante. Ne consegue che gli atti posti in essere dal difensore rimosso dovrebbero considerarsi affetti da nullità per violazione del diritto di difesa ex art. 178, comma 1, lett. c). Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che l'incompatibilità sia causa di nullità della decisione soltanto se il contrasto di interessi tra coimputati è effettivo, concreto ed attuale, nel senso, cioè, che sussiste un conflitto che rende impossibile la proposizione di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili, implica una posizione processuale che rende concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa ed è riscontrabile in relazione a specifici atti del procedimento (Cass. V, n. 39449/2018). Proprio perché la rilevata incompatibilità non determina automaticamente una nullità, è onere del difensore nominato nel corso del giudizio in sostituzione di altro incompatibile dedurre l'effettivo e concreto pregiudizio difensivo che si sia eventualmente verificato ai danni del soggetto assistito dal difensore incompatibile, richiedendo, se del caso, i mezzi di prova atti a sanarlo (Cass. V, n. 33132/2018). In merito alla tipologia di nullità si registra un contrasto giurisprudenziale. Infatti, a fronte di decisioni che la qualificano come assoluta ritenendo che la situazione di incompatibilità incida sull'intervento obbligatorio della difesa (Cass. VI, n. 36004/2004), ve ne sono altre che la qualificano a regime intermedio escludendo che la situazione di incompatibilità sia qualificabile come "assenza" del difensore, incidendo piuttosto sull'assistenza prestata dal difensore (Cass. III, n. 10102/2015). Naturalmente, aderendo alla seconda soluzione la nullità in esame sarà soggetta al regime stabilito dall'art. 182, comma 2, dunque la parte che assiste all'atto deve eccepirla prima del suo compimento o, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, altrimenti la nullità é sanata. Tuttavia, se l'imputato è assistito da due difensori, e solo uno si trova in situazione di incompatibilità, si ritiene che la sua rimozione non comporti necessariamente la nullità degli atti compiuti, dovendo il giudice verificare l'agire dell'altro difensore per controllare se egli ha effettivamente prestato la sua difesa tecnica, così da escludere che l'incompatibilità dell'altro abbia prodotto conseguenze negative per l'assistito (Cordero, 295). Il vizio non colpisce tutti gli atti compiuti dal difensore rimosso, ma soltanto quelli posti in essere quando era in atto la situazione di incompatibilità. Il giudice deve quindi stabilire il momento nel quale il conflitto ha avuto inizio, tenendo conto che il dies a quo non sempre coincide col momento in cui l'incompatibilità diviene manifesta (Procaccianti, 334). Incompatibilità del difensore testimoneIl codice non prevede un divieto per il difensore di assumere la veste di testimone, ma solo la facoltà di astenersi dal deporre su circostanze conosciute per ragione della propria professione (art. 200, comma1, lett. b) e l'incompatibilità a testimoniare qualora abbia svolto attività di investigazione difensiva (art. 197, comma 1, lett. d). Tuttavia, è innegabile che ricorre una incompatibilità logica fra l'interesse della parte che egli è tenuto a rappresentare e l'obbligo di dire la verità (Gazzaniga, 270; Grifantini, 763). La giurisprudenza esclude la possibilità che il difensore assuma simultaneamente anche la veste di testimone nell'ambito dello stesso procedimento, essendo la relativa sovrapposizione inconciliabile con la natura dialettica dell'accertamento processuale, e quindi in antitesi con il principio del contraddittorio (Cass. I, n. 26861/2010). Tuttavia, nulla vieta che il legale, dopo aver dismesso l'ufficio di difensore dell'imputato, assuma poi, nello stesso procedimento, quello di teste e, in tale veste, sia escusso dal giudice, in quanto, nel vigente ordinamento, l'incompatibilità del difensore sussiste solo nel caso di contestuale esercizio delle due funzioni in questione, potendo tale ipotesi assumere rilevanza soltanto sul piano della deontologia forense (Cass. V, n. 16255/2010). In dottrina si propone di distinguere a seconda che i fatti su cui debba deporre l'avvocato siano stati appresi prima o dopo il conferimento dell'incarico: nel primo caso il professionista dovrebbe scegliere il ruolo di testimone rinunciando al mandato, mentre nel secondo caso dovrebbe prevalere l'impegno assunto con il mandato difensivo e il legale dovrebbe astenersi dal deporre (Bargis, 167; Grifantini, 763). Difensore di più imputati e dichiarazioni contra aliosIl comma 4-bis dell'art. 106, introdotto dalla l. n. 45/2001, prevede il divieto per il difensore di assumere la difesa di più imputati che rendano dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato nell'ambito del medesimo giudizio. In questo caso siamo fuori dalla logica dell'incompatibilità, perché ciò che si vuole evitare non è la menomazione della difesa derivante dalla posizione conflittuale delle parti rappresentate, bensì che il comune difensore diventi veicolo di comunicazione fra più imputati che intendano coordinare le proprie dichiarazioni accusatorie contro un altro imputato nel medesimo procedimento o in un procedimento connesso ex art. 12 o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b). L'ambito elettivo di applicazione della disposizione in commento è evidentemente quello dei procedimenti penali aventi ad oggetto reati di criminalità organizzata, ossia procedimenti oggettivamente e soggettivamente cumulativi, nei quali la fonte di prova principale è data dal contributo dichiarativo dei c.d. collaboratori di giustizia. Poiché la ratio della disciplina in commento è quella di evitare che una eventuale concertazione delle dichiarazioni possa “inquinare” la ricostruzione dei fatti, la situazione di incompatibilità prevista dall'art. 106, comma 4-bis, non è configurabile nel giudizio di legittimità (Cass. I, 14 ottobre 2002). Sul piano procedurale, la disposizione in analisi richiama i commi precedenti con una clausola di compatibilità. Per quanto riguarda gli effetti invalidanti, le Sezioni Unite hanno chiarito che l'inosservanza dell'art. 106, comma 4-bis, non costituisce causa di nullità o di inutilizzabilità delle dichiarazioni, comportando essa (oltre la eventuale responsabilità disciplinare del difensore) soltanto la necessità, da parte del giudice, di una verifica particolarmente incisiva relativamente alla loro attendibilità (Cass. S.U., n. 21834/2007). Occorre rilevare che la disposizione è stata sottoposta ad un duplice vaglio di legittimità costituzionale, sia sotto il profilo della disparità di trattamento fra imputati che rilasciano dichiarazioni favorevoli e sfavorevoli ad altro imputato (art. 3 Cost.), sia sotto il profilo della violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). La Corte, nel rigettare entrambe le censure, ha osservato, da un lato, che il legislatore non richiede che le dichiarazioni sulla responsabilità altrui siano di natura accusatoria e, dall'altro, che la libertà di scelta del difensore può subire limitazioni dettate dall'esigenza di garantire la “trasparenza” e la “genuinità” della formazione della prova (Corte cost. n. 214/2002; Corte cost. n. 55/2003). Alla luce delle considerazioni svolte dal giudice delle leggi, una parte della dottrina ritiene che la violazione della norma in commento non possa che incidere negativamente sull'efficacia probatoria della dichiarazione, da ritenersi prova inutilizzabile in quanto formatasi con un procedimento che si discosta dall'iter normativo (Astarita, 575). La giurisprudenza successiva all'intervento delle Sezioni Unite ha ritenuto che la violazione del divieto di assumere da parte di uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nello stesso procedimento o in procedimento connesso o collegato, in quanto preordinata ad evitare che la comunanza delle posizioni difensive influisca sulla genuinità ed indipendenza delle dichiarazioni stesse, può comportare la nullità delle dichiarazioni, ancorché non espressamente prevista, solo in presenza di un effettivo e concreto pregiudizio difensivo dell'imputato accusato (Cass. I, n. 29479/2012). BibliografiaAstarita, Art. 106, in Gaito (a cura di), Codice di procedura penale commentato, Torino, 2012, 575; Bargis, Incompatibilità a testimoniare e connessioni di reati, Milano, 1984; Dipaola, La violazione del divieto di assunzione da parte di uno stesso difensore della difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni eteroaccusatorie, in Cass. pen. 2007, 4073; Gazzaniga, Sull'ammissibilità della deposizione testimoniale del difensore, in Cass. pen. 1990, 269; Grifantini, L'incompatibilità a testimoniare del difensore nel nuovo sistema processuale penale, in Giur. it. 1992, 756; Procaccianti, Art. 106, in Conso-Illuminati (diretto da), Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2015, 334. |