Codice di Procedura Penale art. 107 - Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore 1 .

Alessandro Trinci

Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore1.

1. Il difensore [96] che non accetta l'incarico conferitogli o vi rinuncia ne dà subito comunicazione all'autorità procedente e a chi lo ha nominato.

2. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata all'autorità procedente.

3. La rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia [96] o da un difensore di ufficio [97] e non sia decorso il termine eventualmente concesso a norma dell'articolo 108.

4. La disposizione del comma 3 si applica anche nel caso di revoca.

Inquadramento

L'articolo in esame disciplina gli atti con i quali può essere evitata l'instaurazione o la prosecuzione di un rapporto professionale che non è basato (o non è più basato) sulla reciproca fiducia delle parti negoziali (assistito e difensore).

La norma è espressione del diritto, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), di scegliere liberamente il proprio difensore, diritto che tuttavia non può essere esercitato per scopi diversi da quelli per i quali l'ordinamento processuale astrattamente lo riconosce all'imputato, in quanto il reiterato avvicendamento di difensori in chiusura del dibattimento, compiuto con il solo obiettivo di ottenere una reiterazione tendenzialmente infinita delle attività processuali (anche in vista di una possibile estinzione del reato per prescrizione), costituisce una forma di “abuso del diritto” censurabile (Cass. S.U., n. 155/2011).

Sebbene la norma non lo specifichi, deve ritenersi che le disposizioni ivi contenute, che regolano tempi ed effetti degli atti, siano applicabili con riferimento esclusivo al difensore dell'indagato-imputato e non anche al difensore delle altre parti processuali (Frigo, Art. 107, in Amodio-Dominioni, I, 713; contra Astarita, 577).

Non accettazione

Il difensore di fiducia, a differenza di quello d'ufficio (art. 97, comma 5), non ha l'obbligo di accettare l'incarico difensivo, di talché può rifiutarsi di prestare la propria opera professionale senza dover motivare la propria decisione.

Poiché la nomina è un atto unilaterale e autonomo che produce effetto dal momento in cui viene ricevuta dall'autorità giudiziaria, a prescindere dall'accettazione del professionista, il difensore che non intenda accettarla deve darne comunicazione all'autorità giudiziaria (oltre che, ovviamente, al potenziale cliente). Quanto alle forme, si ritengono applicabili quelle previste per la nomina dall'art. 96, comma 2, c.p.: dichiarazione orale resa alla stessa autorità procedente o alla stessa consegnata o trasmessa per raccomandata.

Compatibilmente con i tempi necessari a prendere visione del caso e decidere (Curtotti, 106; Frigo, in Amodio-Dominioni, I, 709), la comunicazione della non accettazione deve essere tempestiva (“ne dà subito comunicazione” recita la norma), di modo che l'interessato non rimanga per troppo tempo esposto ad una difesa solo formale da parte di un legale che non ha ancora deciso.

La Suprema Corte ha chiarito che è tempestiva la comunicazione che non provoca alcun ritardo nella definizione del processo, ovvero che non determina rinvii dell'udienza già fissata né rinnovazione delle notificazioni già effettuate (Cass. III, n. 47441/2008).

Rinuncia

A differenza della non accettazione, la rinuncia implica che la difesa sia stata assunta, esplicitamente o implicitamente, con il compimento di almeno un atto tipico dell'attività difensiva. Venendo meno le condizioni che lo avevano indotto ad accettare l'incarico, il professionista può sempre recedere dal negozio difensivo, ma tale condotta non deve ledere il diritto alla difesa del cliente, di talché la rinuncia non ha effetto fino a quando la parte non risulta assistita da altro difensore e non è decorso il termine a difesa eventualmente richiesto dal nuovo difensore.

In giurisprudenza si è formato un contrasto in ordine all'obbligo del giudice di provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio a seguito di rinuncia di quello fiduciario e della mancata nomina di un nuovo difensore da parte dell'imputato. Infatti, a fronte di pronunce secondo le quali il giudice non deve provvedervi, essendo il difensore rinunciante onerato della difesa fino all'intervento di una nuova nomina (Cass. I, n. 46435/2019, per la quale la mancata nomina del difensore d'ufficio, nella pendenza del termine per appellare la sentenza di primo grado, non comporta alcuna nullità, essendo il difensore di fiducia - oltre che l'imputato - nella piena facoltà di proporre l'impugnazione fino all'intervento della nuova nomina), si registrano decisioni di segno opposto, secondo le quali la rinuncia al mandato difensivo comporta l'obbligo per il giudice - a pena di nullità, salva l'insussistenza di alcun concreto pregiudizio per la difesa - di nominare all'imputato, che non abbia provveduto ad una nuova nomina fiduciaria, un difensore d'ufficio, in quanto l'eventuale designazione temporanea di un sostituto, ai sensi dell'art. 97, comma 4, avendo natura episodica, è consentita nei soli casi di impedimento transitorio del difensore di fiducia o di quello di ufficio (Cass. I, n. 39570/2019).

L'atto di rinuncia non deve rispettare specifiche forme né deve contenere alcuna motivazione. Tuttavia, la giurisprudenza esclude che nel vigente ordinamento processuale penale sia possibile la rinuncia tacita del mandato difensivo. Pertanto sino a che non interviene un espresso atto contrario resta valido l'incarico al difensore di fiducia nominato (Cass. III, n. 1346/1997). È stata esclusa anche la possibilità di una rinuncia condizionata (Cass. VI, n. 11869/1990).

Nella giurisprudenza di legittimità si registra un dibattito in merito agli effetti che la rinuncia al mandato difensivo produce sull'elezione di domicilio effettuata dall'imputato presso lo studio del difensore rinunciante. L'approccio tradizionale sostiene che la rinuncia al mandato non privi di efficacia l'elezione di domicilio, se l'imputato non provvede formalmente a revocarla. Si osserva, a sostegno dell'assunto, chela nomina del difensore, l'elezione di domicilio e le rispettive revoche hanno oggetto e finalità diverse, così come diversi sono i ruoli di difensore e domiciliatario (Cass. III, n. 3568/2019).Più recentemente, la Suprema Corte sembra affrontare la problematica sotto una diversa angolazione. Si osserva, infatti, che la questione non è se la rinuncia al mandato implichi necessariamente la revoca dell'elezione, bensì se il domiciliatario possa o meno vantare il diritto a non ricevere gli atti e, quindi, a privare di efficacia l'elezione. Al quesito viene data risposta affermativa in quanto l'elezione di domicilio è un negozio giuridico processuale unilaterale, per la cui validità non è richiesta l'accettazione espressa da parte del domiciliatario, benché questa sia condizione necessaria, anche se implicita, della sua efficacia. Opinare diversamente significherebbe attribuire all'imputato la possibilità di vincolare il difensore a ricevere gli atti, anche contro la sua volontà.  Si afferma, quindi, che la rinuncia al mandato da parte del difensore domiciliatario, con contestuale espressa dichiarazione, comunicata all'autorità procedente, di non accettare le notifiche presso il proprio studio, priva di efficacia anche la precedente elezione di domicilio, che diviene inidonea ex art. 161, comma 4, in quanto non in grado di assolvere alla funzione propria di garantire la conoscenza degli atti del processo (Cass. III, n. 16579/2022;Cass. IV, n. 13236/2022).

Revoca

Come il difensore, anche il cliente, se viene meno il rapporto di fiducia, può sciogliere l'accordo professionale revocando l'incarico conferito all'avvocato.

Anche la revoca è un atto esplicito (giacché non è prevista da alcuna norma la revoca tacita dell'incarico: Cass. I, n. 47303/2011), da compiersi con le stesse forme della nomina e da comunicarsi all'autorità giudiziaria (Cass. VI, n. 3402/1997).

Tuttavia, in alcune decisioni la Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità di una revoca desunta da comportamento concludente. Si è, infatti, osservato che, non essendo prevista come obbligatoria la adozione di determinate forme, in base ai principi generali di manifestazione della volontà, qualora la parte, pur senza revocare espressamente il mandato conferito a precedente difensore, ne abbia nominato un altro e di questo solo, in concreto, si sia avvalsa (affidando a lui ogni atto ed adempimento in modo che l'incarico risulti espletato direttamente ed autonomamente da tale professionista), deve riconoscersi la sussistenza di un'inequivocabile volontà dell'assistito diretta a revocare il precedente mandato (Cass. I, n. 12876/2009).

Altra ipotesi ricorrente nella prassi è la nomina di un terzo difensore di fiducia, in assenza di revoca espressa di almeno uno dei due già nominati. In tal caso si ritiene che la nomina in eccesso resti priva di efficacia, salvo che si tratti di nomina finalizzata alla proposizione di un atto di impugnazione, atteso che in questo caso essa comporta, in mancanza di contraria indicazione dell'imputato, la revoca delle precedenti nomine (Cass. S.U., n. 12164/2011; Cass. V, n. 46462/2014).

La questione assume rilevanza soprattutto in tema di notificazioni. Ci si chiede se l'atto debba essere consegnato anche al difensore rimasto inattivo. Nel caso in cui l'imputato, dopo aver nominato due difensori, si sia in concreto avvalso di uno solo di essi, affidandogli la propria difesa in ogni atto, adempimento o fase del procedimento, deve ritenersi che abbia inteso affidare le attività defensionali al difensore che lo ha effettivamente assistito. Tuttavia, in mancanza di una revoca formale, tale contegno non comporta la revoca della nomina al codifensore, con conseguente nullità derivante dall'omissione delle notificazioni a quest'ultimo (Cass. III, n. 42922/2002).

È controverso se la designazione del difensore di ufficio, cessata per la nomina di un difensore di fiducia, riviva a seguito della successiva revoca del mandato conferito a quest'ultimo. Infatti, mentre alcune pronunce lo escludono, con la conseguenza che a mani dell'ulteriore difensore di ufficio nominato dal giudice, e non del primo difensore d'ufficio, devono essere eseguite le notifiche (Cass. I, n. 4619/2010), altre ritengono legittima, a seguito della rinuncia al mandato del difensore di fiducia, pur se non comunicata all'imputato ma alla sola autorità procedente, la notifica al difensore d'ufficio in precedenza nominato (Cass. III, n. 21900/2013).

Effetti

Mentre la non accettazione produce effetti dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all'autorità giudiziaria procedente, con salvezza degli atti compiuti precedentemente (Spangher, 120) e con l'eventualità di vuoti di copertura difensiva medio tempore, la rinuncia e la revoca sono prive d'effetto fino a che la parte non risulta assistita da un nuovo difensore (nominato dall'interessato o, in caso di inerzia di quest'ultimo, designato d'ufficio dal giudice) e non sia decorso l'eventuale termine a difesa richiesto da quest'ultimo. Per tali atti si realizza quindi una sorta di “ultrattività” a garanzia della continuità ed effettività della difesa (Frigo, in Amodio-Dominioni, I, 714).

L'ultrattività del difensore rinunciante, però, non esonera il giudice dall'obbligo di nominare un difensore d'ufficio all'imputato che non abbia provveduto a nominare un nuovo difensore di fiducia, in quanto l'eventuale designazione temporanea di un sostituto, ai sensi dell'art. 97, comma 4, avendo natura episodica, è consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello di ufficio.

La ratio sottesa a tale orientamento consiste nella garanzia del principio di continuità della difesa, che si riflette anche in quello di effettività della stessa; tale ratio fa sì che l'intervento del sostituto, a norma del citato comma 4 dell'art. 97, abbia natura episodica e sia quindi consentito nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore (di fiducia o di ufficio), sicché, quando l'impedimento sia viceversa definitivo, come nel caso di rinunzia al mandato, occorre provvedere (in difetto di nomina fiduciaria), a pena di nullità, alla designazione di un difensore di ufficio che assuma, a norma dell'art. 97, comma 1, la titolarità della funzione (Cass. I, n. 16958/2018).

Poiché il nuovo difensore può chiedere un termine a difesa, durante la pendenza del termine si verifica una coesistenza fra difensore rinunciante o revocato e nuovo difensore. Si è in realtà sottolineato che l'art. 108 contiene un “innocuo lapsus” perché in casi del genere vi è già un nuovo difensore che ha chiesto il termine per la difesa e sarebbe, dunque, irragionevole che in tale spazio di tempo continui ad operare il patrocinatore abdicante o revocato; probabilmente il legislatore voleva dire che, fino al compiuto decorso del termine concesso, ogni atto eventualmente realizzato sarebbe invalido (Cordero, 294).

L'ultrattività del difensore rinunciante o revocato non rende obbligatorio il rinvio del processo a seguito della richiesta di un termine a difesa da parte del nuovo patrocinatore. Inoltre, se il difensore di fiducia, dopo aver ricevuto l'avviso dell'udienza, rinuncia all'incarico prima della sua celebrazione, il giudice può provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio anche all'udienza stessa, atteso che la suddetta rinunzia non ha effetto immediato, essendo il difensore di fiducia rinunciante ancora onerato della difesa dell'imputato fino all'intervento di tale nomina (Cass. III, n. 31952/2016 ; Cass. V, n. 14348/2012).

Per quanto riguarda il giudizio di cassazione, la Suprema Corte ha più volte chiarito che l'intervenuta revoca del difensore, comunicata dopo l'avvenuta notifica dell'avviso dell'udienza, è da considerare priva di rilevanza e, inoltre, non può giustificare alcuna richiesta di rinvio. Nel giudizio di cassazione l'obbligo per il presidente di nominare un difensore di ufficio è previsto dall'art. 613, comma 3, per l'ipotesi in cui l'imputato sia privo di difensore di fiducia, ma se l'imputato ne sia munito e ad esso sia stato tempestivamente notificato l'avviso di udienza, la successiva revoca del mandato (come pure la rinuncia al mandato) non comporta l'obbligo di nomina di un difensore di ufficio e della notifica di una nuova udienza, con conseguente rinvio di quella già fissata. Un tale obbligo sorge solo nell'ipotesi in cui, rinviata l'udienza già fissata per un qualche motivo, occorra notificare un nuovo avviso, che non potrà essere notificato al difensore revocato o rinunciante (Cass. Fer., n. 38876/2015).

Analogamente, nel giudizio d'appello è legittima la trattazione del dibattimento alla presenza del precedente difensore rinunciante o revocato, il quale deve svolgere il suo mandato finché la parte non sia assistita da un nuovo difensore (Cass. V, n. 38944/2015).

L'ultrattività del difensore rinunciante o revocato comporta anche che il giudice può legittimamente rigettare l'istanza di rinvio per concomitante impegno professionale presentata dal nuovo difensore subentrante e nominare, per la celebrazione dell'udienza, un difensore d'ufficio in sostituzione di quello originario non comparso (Cass. II, n. 15778/2015).

Tuttavia, non può nascondersi che desta qualche perplessità la prosecuzione di attività giudiziarie in presenza di un difensore non più legato da un rapporto fiduciario con il proprio assistito. Si osserva in dottrina che dal complesso meccanismo in esame la posizione dell'assistito risulta pregiudicata perché, ottenuto il termine ex art. 108, sopravvive la precedente difesa ormai “demotivata”, mentre, nell'ipotesi in cui il termine non venga richiesto, subentra subito il nuovo difensore che tuttavia non ha una conoscenza esaustiva del fascicolo (Frigo, 714).

Può verificarsi anche l'ipotesi in cui all'interruzione del rapporto fiduciario non segue una tempestiva designazione del difensore d'ufficio. In tal caso, se occorre compiere un atto per il quale è necessaria la presenza dell'avvocato, il giudice deve rinviarlo, pena, altrimenti, l'integrazione di una nullità assoluta ex art. 179, comma 1.

Va detto che in giurisprudenza vi è stata un'apertura alle riflessioni dottrinali riportate sopra. In una sentenza, rimasta isolata, la Suprema Corte ha, infatti, ritenuto  che la facoltà del giudice di procedere in ogni caso avvalendosi del difensore revocato o rinunziante (o addirittura sostituendolo con un difensore d'ufficio investito ai sensi dell'art. 97, comma 4) si risolve in un indiscriminato ed irragionevole sacrificio dei diritti dell'imputato e del suo difensore, così come scolpiti, innanzi tutto, nell'art. 111, comma, 3 Cost. e nell'art. 6§3 lett. b) e c) CEDU. Ad avviso di questo orientamento, appare dunque preferibile ritenere che possano essere compiuti con l'assistenza del difensore rinunziante o revocato tutte quelle attività processuali il cui svolgimento risulti incompatibile con il decorso del termine concesso al difensore subentrante, al cui compimento devono altrimenti essere differite. Si è peraltro precisato che l'urgenza processuale in grado di prevalere sull'effettività del termine a difesa non è legata esclusivamente a determinate categorie di atti indifferibili per loro stessa natura, ma può rivelarsi in riferimento a qualsiasi adempimento processuale, spettando alla prudente valutazione del giudice individuare la regola di bilanciamento da applicare in relazione alle condizioni del caso concreto ed all'esito della comparazione tra l'urgenza dell'incombente e la compressione del diritto di difesa (Cass. V, n. 38239/2016).

Tuttavia, come già rilevato, la giurisprudenza successiva ha riaffermato il principio di diritto tradizionale osservando che il termine a difesa ex art. 108 è finalizzato ad assicurare una difesa piena ed effettiva, sicché nessun vulnus può discendere dal fatto che la parte – nelle more della decorrenza del termine – sia assistita dal difensore rinunciante, che è già pienamente a conoscenza della vicenda processuale (Cass. VI, n. 18113/2021). La reiezione del nuovo orientamento si basa sulla considerazione che il chiaro tenore letterale degli artt. 107 e 108 non lascia dubbi sulla disciplina voluta dal legislatore, di talché all'interprete non è consentito “riscriverla” introducendo una sorta di “doppio binario” dipendente da presupposti, non solo non previsti dal codice, ma anche caratterizzati da contorni evanescenti, rimettendo al prudente apprezzamento del giudice la valutazione in ordine all'indifferibilità o meno dell'attività processuale da espletare, con conseguenti incertezze interpretative e inevitabili disparità di trattamento.    

Bibliografia

Astarita, Art. 107, in Gaito (a cura di), Codice di procedura penale commentato, Torino, 2012, 577; Curtotti, Art. 107, in Lattanzi-Lupo (a cura di), Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, I, Milano, 1998, 106; Randazzo, Difesa tecnica e difensori, in Chiavario-Marzaduri (a cura di), Protagonisti e comprimari del processo penale, Torino, 1995, 292; Spangher, Soggetti, in Conso-Grevi (a cura di), Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1996, 120.

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