Codice di Procedura Penale art. 130 - Correzione di errori materiali.Correzione di errori materiali. 1. La correzione delle sentenze [535 4, 547], delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità [177 s.], e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto, è disposta, anche di ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento [66 comma 3, 624, 668; 48 att.]. Se questo è impugnato, e l'impugnazione non è dichiarata inammissibile [591], la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell'impugnazione [619]. 1-bis. Quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la corte di cassazione a norma dell’articolo 619, comma 2 1. 2. Il giudice provvede in camera di consiglio a norma dell'articolo 127. Dell'ordinanza che ha disposto la correzione è fatta annotazione sull'originale dell'atto. [1] Comma inserito dall’art.1, comma 49, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). InquadramentoLa disposizione individua modalità e limiti entro i quali, dopo che siano stati emessi e depositati, i provvedimenti tipici del giudice possono essere emendati, per errori puramente materiali, dal medesimo giudice che li ha emessi, ovvero, in caso di impugnazione, dal giudice del gravame. La riforma del 2017 (l. 23 giugno 2017, n. 103) ha in parte innovato tale disciplina in relazione all’errore di denominazione o di computo della pena, con specifico riferimento alla sentenza di patteggiamento ma con portata interpretativa più ampia. Profili generaliUna volta che siano stati emessi e depositati in cancelleria (artt. 111-bis e 128), gli atti tipici del giudice divengono tendenzialmente immodificabili. L'ordinamento processuale, però, prevede due strumenti attraverso i quali è possibile correggere errori che inficiano tali atti: le impugnazioni ed il procedimento per la correzione di errori materiali. Le prime hanno ad oggetto errori di diritto o di ricostruzione storica del fatto e prefigurano una forma di controllo sull'atto ad opera di organo che, pur operando nel processo, è altro e diverso rispetto al giudice che ha emesso il provvedimento; il secondo ha ad oggetto mere omissioni, sviste o disattenzioni riconducibili alla sfera concettuale del lapsus calami, ed è di norma — salvo solo il caso della impugnazione già pendente — di competenza del medesimo giudice che ha emesso il provvedimento viziato. La disposizione in commento, per quanto succinta, detta una disciplina articolata dei limiti e del procedimento attraverso il quale è possibile procedere alla correzione di un errore inficiante un atto del giudice, individuando: a) l'organo competente; b) lo strumento, e cioè il procedimento in camera di consiglio ex art. 127, attivabile anche di ufficio; c) gli atti correggibili, che sono gli atti del giudice quali individuati dall'art. 125; d) i vizi emendabili, definiti nella rubrica come “errori materiali” e nel testo dell'articolo come errori od omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto. Tali aspetti costituiscono oggetto dei paragrafi che seguono. Organo competenteCompetente a decidere il procedimento di correzione di errore materiale è lo stesso giudice, inteso quale organo e non già come persona fisica, che ha emesso il provvedimento viziato. Unica eccezione contemplata dalla norma concerne la ipotesi in cui penda impugnazione, nel qual caso competente è il giudice della impugnazione, salvo il caso in cui questa sia dichiarata inammissibile. Tale principio generale non soffre eccezioni neppure nel caso in cui il procedimento nel contesto del quale è stato emesso il provvedimento da correggere sia stato trasmesso per competenza ad altro ufficio giudiziario: unico legittimato a procedere alla correzione resta il giudice che ha emesso il provvedimento, trattandosi di competenza funzionale che non viene meno neppure nel caso in cui diverso sia il giudice che procede a seguito di declaratoria di incompetenza (in tema Cass. I, n. 39618/2019). La giurisprudenza ha chiarito che il giudice che ha deliberato il provvedimento può procedere alla procedura di correzione non solo nella pendenza dei termini per l'impugnazione, ma anche fino a quando gli atti non siano ancora materialmente pervenuti nella sfera del giudice «ad quem» (Cass. IV, n. 29807/2015); ma in quest’ultimo caso è necessario che ricorra una situazione di urgenza a provvedere (Cass. III, n. 18296/2020). Mentre una volta che gli atti siano pervenuti a tale giudice, l'atto di correzione di errori materiali adottato dal giudice che ha emesso il provvedimento è affetto da nullità assoluta, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, per difetto di competenza funzionale, spettando in tal caso la competenza a provvedere al giudice dell'impugnazione (Cass. II, n. 3282/2013). Il procedimento. Il provvedimento de planoIl procedimento attraverso il quale procedersi alla correzione dell'errore materiale è quello della camera di consiglio partecipata di cui all'art. 127. Dunque, il giudice deve fissare una apposita udienza in camera di consiglio, darne avviso alle parti, sentire queste ove intervengano ed intendano interloquire; e per tali aspetti si rinvia integralmente al commento sub tale articolo. Mette però conto di evidenziare che, nella prassi, è invalso l'uso — sostanzialmente contra legem — dell'adozione di provvedimenti di correzione di errori materiali de plano, ovvero al di fuori di una udienza e senza convocazione delle parti. La giurisprudenza di legittimità è monolitica nel ritenere affetto da nullità di ordine generale ex art. 178 il provvedimento di correzione di errore materiale adottato senza fissazione della camera di consiglio ed avviso alle parti (Cass. III, n. 8612/2022). Ed il rimedio esperibile per far valere tale vizio è indubbiamente il ricorso per cassazione, non essendo di norma esperibili altri mezzi di gravame (Cass. I, n. 1674/2013). Ma la stessa giurisprudenza della Suprema Corte è assai rigorosa, esaminando tali ricorsi, nel valutare l'interesse ad agire, escludendolo in tutti i casi in cui il ricorrente non alleghi uno specifico interesse a partecipare alla camera di consiglio in funzione dello svolgimento, in quella sede, di deduzioni che avrebbero potuto mutare l'esito della decisione. Si è così ritenuto che: a) se il ricorrente non deduce un concreto interesse a partecipare alla camera di consiglio per allegare fatti o situazioni decisive, direttamente incidenti sul provvedimento impugnato, deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione avverso un provvedimento di correzione di errore materiale emesso dal giudice con procedura «de plano» (Cass. I, n. 20984/2020); b) il difetto di allegazione della deduzione difensiva che non è stato possibile proporre nell'omessa udienza camerale determina la inammissibilità per mancanza di interesse ad impugnare del ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso il provvedimento con cui il G.u.p. corregge con procedura «de plano» il decreto che dispone il giudizio immediato (Cass. II, n. 4257/2015); c) è inammissibile per mancanza di interesse il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso il provvedimento di correzione di errore materiale privo di pregiudizio per il ricorrente (Cass. I, n. 10419/2010). Dunque, se per un verso il provvedimento de plano è affetto certamente da nullità, tale nullità può però essere fatta valere mediante ricorso per cassazione solo quando la omessa convocazione della camera di consiglio abbia prodotto un effettivo e riconoscibile pregiudizio nella sfera giuridica del ricorrente, che deve essere allegato e dimostrato. Un simile orientamento determina, di fatto, la intangibilità dei provvedimenti di correzione di errore materiale emessi de plano ma non inficiati da errori di fatto o di giudizio; e, dunque, in una surrettizia sanatoria della violazione delle regole procedurali. Occorre però ricordare che, a norma dell'art. 124, le norme processuali devono essere osservate anche quando la loro violazione non determini nullità od altra sanzione processuale. Gli atti correggibiliOggetto della procedura di correzione dell'errore materiale possono essere solo gli atti tipici del giudice, quali individuati dall'art. 125: la sentenza, l'ordinanza ed il decreto. Per la sentenza trovano applicazione anche due disposizioni specifiche: l'art. 535, a mente del quale laddove il giudice non abbia provveduto in ordine alle spese, la sentenza è rettificata a norma della disposizione in commento; e l'art. 547, che detta una disciplina specifica per la correzione della sentenza; ed al commento sub tali articoli si rinvia. Invece, alla errata verbalizzazione in forma riassuntiva non può ovviarsi con la procedura prevista dall'art. 130, in quanto il procedimento relativo alla correzione degli errori materiali riguarda solo i provvedimenti emessi dal giudice (Cass. III, n. 8882/2005). Si ritiene che sia atto non suscettibile di ulteriore correzione a norma della disposizione in commento l'ordinanza di correzione dell'errore materiale: essa, una volta adottata, non è liberamente rivedibile dal giudice che l'ha pronunciata, restando viceversa assoggettata a ricorso ordinario per cassazione (Cass. I, n. 11238/2020). La disposizione in commento non trova, infine, applicazione neppure in caso di provvedimenti emessi dal pubblico ministero, essendo essa destinata ai soli provvedimenti del giudice; ma l'organo dell'accusa è legittimato ad apportare in ogni tempo le rettificazioni occorrenti ai propri atti (Cass. I, n. 16779/2004). I vizi emendabiliCome si rileva dalla rubrica della disposizione in commento, emendabili sono gli “errori materiali”, che la norma medesima individua in errori od omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto. Nel tentativo di meglio definire i contorni dell'errore materiale, in una risalente decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte si è precisato che esso non può mai ricorrere quando la correzione si risolve nella modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già assunta (Cass. S.U., n. 8/1994). In questa prospettiva, non ricorre la ipotesi della correzione dell'errore materiale allorché l'errore cade sul decisum, comunemente individuato nel contenuto precettivo del dispositivo; mentre sono da ritenersi sempre ammissibili gli interventi correttivi imposti soltanto dalla necessità di armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione con il suo reale intangibile contenuto. Dunque, occorre tenere distinta l'essenza della decisione, quale espressione della valutazione discrezionale del decidente enunciata nel dispositivo, che è intangibile, da quelle parti dell'atto decisorio non incidenti sulle cause fondanti la deliberazione e che — se oggetto di errori materiali o semplici refusi grafici — possono essere attinte da procedura correttiva perché inerenti statuizioni obbligatorie e a contenuto predeterminato (in tema Cass. S.U., n. 7945/2008). Si ha perciò modificazione essenziale dell'atto in caso di alterazione del contenuto sostanziale del provvedimento, tale da implicare una diversa valutazione del giudice, ovvero una diversa decisione; mente è legittimo il ricorso alla procedura di correzione di errore materiale per porre rimedio ad imprecisioni o ad omissioni di elementi che debbano necessariamente essere ricompresi nel provvedimento, senza però alterarne nella sostanza il contenuto decisorio. Mai emendabile è, dunque, l'errore di diritto, per ovviare al quale l'unico rimedio esperibile è l'impugnativa. Rinviando alla casistica riportata nell'ultimo paragrafo per una più puntuale disamina dell'applicazione pratica di tali principi operata la giurisprudenza, può sin da ora osservarsi che è: a) legittimo il ricorso alla procedura di cui all'art. 130 per integrare il provvedimento con elementi che necessariamente ne dovevano far parte, purché non si operino modifiche che introducano elementi estranei alla «ratio decidendi» e che comportino l'esercizio di un potere discrezionale (Cass. I, n. 30483/2010); b) emendabile con il procedimento di correzione dell'errore materiale l'omissione, in sentenza, di statuizioni obbligatorie a carattere accessorio e a contenuto predeterminato come la demolizione di immobili abusivi o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi per le violazioni paesaggistiche, che non attengono ad una componente essenziale dell'atto e non determinano una nullità (Cass. III, n. 40340/2014); anche se la giurisprudenza successiva ha posto in dubbio il principio proprio con riferimento all'ordine di demolizione (Cass. III, n. 33642/2022 e Cass., III n. 12950/2021); c) non suscettibile di emenda con la procedura di cui all'art. 130 il contrasto tra la determinazione della pena indicata in dispositivo e quella effettuata in motivazione che non sia conseguente ad un mero errore di calcolo matematico ma sia il risultato dell'applicazione di un errato criterio giuridico (Cass. II, n. 16367/2014); d) emendabile solo con l'impugnazione l'omissione di una statuizione prevista dalla legge che non discenda da una dimenticanza, ma sia ricollegabile a una determinata, anche se — in ipotesi — errata, interpretazione della norma (Cass. VI, n. 25861/2013); e) legittima la correzione della data di commissione del reato indicata nel decreto che dispone il giudizio, purché l'errata indicazione sia da ascriversi a mero errore materiale, obiettivamente riconoscibile(Cass., II, n. 14536/2018). Il contrasto fra dispositivo e motivazioneSi è detto al paragrafo precedente che non può procedersi mediante procedura di correzione di errore materiale allorché l'errore cade sul decisum, comunemente individuato nel contenuto precettivo del dispositivo. E da ciò si è tratto il principio generale che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione prevale, di regola, il primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice. Il dispositivo attua la volontà della legge del caso concreto, mentre la motivazione assume la funzione meramente strumentale di dare conto del percorso logico seguito dal giudice per stabilire il contenuto del dispositivo. Il giudicato si forma limitatamente a tale ultimo, posto che ogni parte della motivazione, in qualunque affermazione si sostanzi, se non trova la sua conclusione nel dispositivo, non è di per sé suscettibile di conseguenze giuridiche (Cass. VI, n. 935/1988). Da ciò deriva che, secondo la opinione prevalente, la sentenza deve considerarsi nulla per contraddittorietà quando vi sia conclamata discordanza tra motivazione e dispositivo, atteso il difetto di giustificazione in ordine ad una o più statuizioni contenute in quest'ultimo (Cass. III, n. 37849/2015). E proprio la ricorrenza di una tale nullità esclude, per espresso disposto della norma in commento, che possa procedersi a correzione di errore materiale. La più recente giurisprudenza, però, ha apportato temperamenti a tale principio. Si è infatti affermato che laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale, obiettivamente riconoscibile come tale, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest'ultima per determinare l'effettiva portata del dispositivo, individuare l'errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti (Cass. VI, n. 24157/2018). In questi casi, del resto, la motivazione permette di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, sì da rendere percepibile come il dispositivo sia viziato da mero errore materiale che, come tale, può essere corretto. Di tale principio si è fatta applicazione anche in tema di determinazione della pena, ed in particolare di discrasia tra dispositivo e motivazione, che se conseguenza di un errore un errore materiale relativo all'indicazione della pena nel dispositivo che sia riconoscibile come tale esaminando il procedimento seguito dal giudice per pervenire alla sua determinazione, è suscettibile di correzione e la motivazione prevale sul dispositivo (Cass. II, n. 35424/2022). Generalità dell'imputatoLa procedura di correzione dell'errore materiale può essere impiegata anche per correggere errori nella indicazione delle generalità del soggetto indagato od imputato; a condizione, però, che non vi siano dubbi sulla sua identità fisica. Si è infatti ritenuto che: a) l'inesattezza lessicale del nome o dell'erronea indicazione della data di nascita dell'imputato, allorché ne sia certa l'identità, impone al giudice di adottare i provvedimenti correttivi nelle forme previste dall'art. 130, ordinando anche la rinnovazione della citazione ove appaia probabile che l'interessato non ne abbia avuto conoscenza (Cass. II, n. 32641/2018 ); b) in caso di attribuzione all'imputato di generalità erronee, se non vi è incertezza sulla riferibilità a lui dell'attività giurisdizionale e dei provvedimenti finali, è possibile procedere alla rettifica mediante la procedura di correzione dell'errore materiale (Cass. II, n. 3396/2012); c) la sentenza di condanna contenente l'erronea indicazione delle generalità del condannato è suscettibile di correzione dell'errore materiale a condizione che sia stato regolarmente citato come imputato nel giudizio di merito, anche se con altro nome (Cass. I, n. 1406/2014). Spese processualiAnche in materia di omessa condanna al pagamento delle spese processuali è, di regola, ammissibile il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali. La giurisprudenza ha infatti riconosciuto che: a) l'obbligo del pagamento delle spese di custodia e conservazione dei beni sequestrati è stabilito direttamente dalla legge anche in ipotesi di sentenza di patteggiamento, con la conseguenza che l'omessa statuizione su tali spese può essere emendata con la procedura di correzione degli errori materiali (Cass. I, n. 3347/2014 anche se nella stessa identica fattispecie Cass. III, n. 46740/2012 perviene a soluzioni opposte); b) quando la Corte di Cassazione, nel pronunciare declaratoria di inammissibilità o di rigetto del ricorso, abbia omesso di pronunciare condanna al pagamento delle spese processuali, può emendarsi all'errore con il procedimento di correzione materiale, in quanto tale condanna consegue in via automatica a siffatte pronunce, a differenza della condanna al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che richiede una valutazione discrezionale della Corte sia nell'«an» sia nel «quantum» (Cass. I, n. 48189/2013); c) in caso di omessa condanna del responsabile civile, in solido con l'imputato, al pagamento delle spese processuali può attivarsi la procedura di correzione dell'errore materiale in quanto tale obbligo consegue di diritto alla condanna (Cass. IV, n. 31353/2013); d) in caso di omessa condanna degli imputati al pagamento delle spese di mantenimento in carcere unico rimedio esperibile è costituito unicamente dalla procedura di correzione degli errori materiali, e non anche dall'impugnazione (Cass. VI, n. 38189/2011). Spese delle parti private. Segnalazione di contrastoSecondo una prevalente esegesi della norma, anche per la omessa condanna delle parti private alla rifusione delle spese processuali da altre parti private sostenute è attivabile la procedura in esame. Il principio è stato in primo luogo sancito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, che hanno stabilito che quando il giudice abbia omesso di condannare l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in sede di patteggiamento, può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, sempre che non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale, delle stesse (Cass. S.U., n. 7945/2008). Ed in questo solco si colloca anche la giurisprudenza prevalente successiva, che ritiene emendabile, ai sensi dell'art. 130, la sentenza di conferma resa dal giudice di appello che abbia omesso di condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile nel grado, sempre che dalla motivazione non risultino elementi indicativi della volontà del giudice di disporre la compensazione, totale o parziale (Cass. V, n. 14702/2019). Il principio è stato ribadito anche con riferimento alla sentenza emessa all'esito del giudizio abbreviato in cui il giudice abbia omesso di condannare l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (Cass. IV, n. 5805/2021), ed ha dunque certamente portata generale. Il rimedio è anche esperibile per rimediare all'omessa quantificazione nel dispositivo della sentenza delle spese processuali, sostenute dall'imputato, a cui il querelante è stato condannato (Cass. I, n. 11632/2011). Deve tuttavia darsi atto di un diverso orientamento, anche di recente ribadito, che perviene ad opposte conclusioni; si è infatti affermato che non può farsi ricorso alla procedura in esame in caso di sentenza di appello che abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile; ciò in quanto tale statuizione non è effetto automatico della condanna ma implica valutazioni sia in ordine all'ammissibilità della relativa domanda che in ordine all'entità della liquidazione, che ben può essere neutralizzata da una possibile compensazione (Cass. II, n. 46654/2019 e Cass. V, n. 33135/2020) Nell'ipotesi in cui, però, l'omissione riguardi non solo le spese ma l'intero complesso delle statuizioni di carattere civile non può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, neppure quando ciò sia dovuto a mera dimenticanza. In questa ipotesi, infatti, si verrebbe a modificare in modo sostanziale il decisum; talché l'unico rimedio è il gravame (Cass. II, n. 28168/2010). Giudizio di cassazioneSi rinvia al commento sub art. 625-bis. Le innovazioni introdotte dalla riforma del 2017. L’errore di calcolo.La riforma organica del codice penale, di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario del 2017 (l. 23 giugno 2017, n. 103), nell'intervenire anche in tema di correzione degli errori materiali dei provvedimenti del giudice, non solo rende espliciti principi invero già elaborati dalla giurisprudenza che si è sopra esaminata, ma ha anche contenuto innovativo; tende infatti a porre rimedio ad un contrasto insorto in merito alla emendabilità con la procedura ex art. 130 degli errori di calcolo nella determinazione della pena. Il comma 1-bis introdotto dalla disposizione in commento si limita a stabilire che quando una sentenza di applicazione pena a norma degli artt. 444 e segg. sia inficiata da errore nella denominazione della pena (reclusione in luogo di arresto, multa in luogo di ammenda o viceversa) ovvero di computo, il giudice che ha emesso il provvedimento può procedere alla correzione anche di ufficio a norma dell'art. 130. Nella prima parte la disposizione non ha, dunque, reale contenuto innovativo: se la erronea individuazione della specie della pena è conseguenza non già di un errore di diritto ma di una mera svista, non è a dubitarsi che il vizio fosse emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale anche a prescindere dalla nuova disposizione normativa. Con riferimento, invece, all'errore di calcolo nella determinazione della pena si erano invero registrati contrasti nella giurisprudenza. A fronte, infatti, di decisioni che tendevano ad ammettere la esperibilità del rimedio in commento anche al cospetto di meri errori di calcolo, come tali percepibili attraverso il contenuto della motivazione (Cass. IV, n. 26117/2012 e Cass. I, n. 49239/2014) si rivenivano anche decisioni in senso opposto, tese a negare l'attivabilità del procedimento per correzione di errore materiale a fronte di errori nel computo della pena (Cass. I, n. 26323/2016). La novella, invece, chiarisce che la procedura in commento è sempre esperibile per porre rimedio ad errori di calcolo della pena. Certo, la disposizione — in quanto introdotta solo in relazione alla sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti — ha in apparenza una portata applicativa limitata. Ma deve ritenersi che essa sia in realtà espressione di un orientamento legislativo di fatto adesivo a quell'orientamento giurisprudenziale tendente ad ammettere la esperibilità dell'istituto in commento per la correzione di ogni tipo di errore materiale che si sia tradotto in un errore di computo; sempre che, si badi, tale errore non sia la conseguenza di una erronea interpretazione del diritto. In applicazione dei principi generali, si prevede infine che allorché la sentenza di patteggiamento sia stata fatta oggetto di ricorso per cassazione (unico gravame avverso di essa esperibile) competente a disporre la correzione è la Corte di Cassazione. Nel caso in cui, però, il giudice abbia inflitto una pena in contrasto con la previsione di legge ma in senso favorevole all'imputato, si realizza un errore al quale la non può porsi riparo né con le formalità di cui all'art. 130, versandosi in ipotesi di errore di giudizio e non di errore materiale del computo aritmetico della pena (Cass. II, n. 22494/2021). CasisticaIn applicazione di tali principi la giurisprudenza ha ritenuto che: a) l'erronea indicazione del nome di battesimo dell'imputato non determina nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio quando l'atto sia stato ricevuto dall'effettivo destinatario, e l'inesattezza può essere emendata attraverso il ricorso alla procedura per la correzione degli errori materiali (Cass. III, n. 42978/2015); b) non può attraverso la procedura di correzione di errori materiali modificarsi la statuizione della sentenza di patteggiamento che individui sull'accordo delle parti una specifica modalità di pubblicazione a spese dell'imputato dell'estratto della sentenza, poiché il provvedimento che ne consegue costituisce non un rimedio ad un errore materiale, bensì un atto che altera un dato essenziale dal contenuto dell'accordo (Cass. VI, n. 19210/2015); c) la correzione dell'errore materiale della sentenza può essere chiesta in sede di impugnazione, solo quando tale vizio sia dedotto congiuntamente ad altri, e diversi, motivi di censura; altrimenti deve essere chiesta al giudice che ha emesso il provvedimento (Cass. V, n. 16000/2015); d) integra un errore di diritto e non un errore materiale, e non è perciò rettificabile con la procedura di cui all'art. 130, la omessa irrogazione di una pena prevista dalla legge nel dispositivo di una sentenza di condanna (Cass. III, n. 19537/2015); e) in ipotesi di inesattezza lessicale del nome o dell'erronea indicazione della data di nascita dell'imputato, allorché ne sia certa l'identità, il giudice del dibattimento non può dichiara la nullità del decreto di citazione a giudizio disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero, ma deve adottare i provvedimenti correttivi nelle forme previste dall'art. 130, ordinando anche la rinnovazione della citazione ove appaia probabile che l'interessato non ne abbia avuto conoscenza. (Cass. II, n. 50679/2014); f) in caso di pena illegittima perché determinata in violazione dei principi di legge (come in ipotesi di omessa riduzione per il rito abbreviato) non è esperibile il procedimento ex art. 130 (Cass. I, n. 28252/2014); g) nel caso però in cui ricorra un mero errore di calcolo, come nel caso in cui sia applicata una diminuzione di pena inferiore a quella prevista obbligatoriamente dalla legge nel rito abbreviato, il vizio che si determina è emendabile attraverso la procedura in esame (Cass. IV, n. 26117/2012); h) è emendabile con il rimedio della correzione dell'errore materiale la indicazione nell'intestazione della sentenza di un componente del collegio giudicante diverso da quello che ha preso effettivamente parte alla deliberazione e che risulta dal verbale di udienza (Cass. V, n. 2809/2014); i) la sostituzione, nella sentenza di patteggiamento, della statuizione concernente la sospensione della patente di guida con quella della revoca della stessa non può essere eseguita con il ricorso alla procedura di correzione di errori materiali (Cass. IV, n. 19144/2015; ma Cass. IV, n. 36492/2014 era pervenuta a soluzione opposta); j) il giudice dell'esecuzione procede con la correzione dell'errore materiale della sentenza contenente l'erronea indicazione delle generalità del condannato ove sia accertata la sua rituale citazione in giudizio, sebbene sotto altro nome (Cass. I, n. 14046/2014); k) in caso di condanna che abbia omesso di pronunciare la confisca obbligatoria di beni sottoposti a sequestro preventivo, il giudice non può utilizzare il procedimento per la correzione di errori materiali (Cass. I, n. 43521/2013); l) nel caso in cui la motivazione di un provvedimento riporti una parte di motivazione errata, non può procedersi a sua sostituzione con un nuovo testo contenente la motivazione corretta attraverso procedura di correzione di errori materiali (Cass. III, n. 7785/2013); m) in caso in cui la concessione della sospensione condizionale della pena, chiaramente e correttamente enunciata in sede di motivazione, è stata omessa in dispositivo ricorre un mero errore materiale emendabile ex art. 130; infatti il principio generale secondo il quale, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui l'esame della motivazione consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice (Cass. II, n. 3186/2013); e per una applicazione di tale principio in materia di patteggiamento subordinato alla sospensione condizionale della pena si veda Cass. V, n. 5357/2020; n) in caso di erronea concessione della sospensione condizionale della pena ricorre un errore giuridico non emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale (Cass. I, n. 214/2021); o) la sentenza che rechi il dispositivo e la motivazione riguardanti un soggetto imputato in un altro processo non è emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali, posto che la sostanziale assenza della motivazione richiederebbe una modifica essenziale del provvedimento su aspetti attinenti alla discrezionalità del giudice (Cass. III, n. 51000/2013); p) l'affermazione della recidiva nonostante che l'imputato sia incensurato determina errore giuridico, emendabile solo con la impugnazione, e non un errore materiale riparabile con la procedura prevista dall'art. 130 (Cass. V, n. 17926/2019); q) in caso di sentenza corredata della sottoscrizione del solo presidente ma priva di quella del consigliere estensore è esperibile il procedimento di correzione degli errori materiali (Cass. III, n. 17067/2013); r) non sanabile attraverso la correzione di errore materiale, perché espressamente sanzionata con la nullità ex art. 429, comma 2, la carente indicazione dei capi di imputazione nel decreto che dispone il giudizio (Cass. V, n. 21050/2011); s) nel caso in cui nella intestazione della sentenza non sia inserito un capo di imputazione, contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio del P.M. ed oggetto della decisione, può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, trattandosi di correzione che non modifica il contenuto essenziale del provvedimento (Cass. VI, n. 29912/2018); t) l'omissione, nel dispositivo letto in udienza e riprodotto in calce alla motivazione, del nominativo di uno degli imputati determina nullità della sentenza e non è emendabile mediante la procedura di correzione dell'errore materiale, anche se nella motivazione sia esaminata la relativa posizione (Cass. I, n. 13559/2009). u ) non potersi fare ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale di sentenza irrevocabile al fine di integrare il dispositivo di condanna con l'inserimento della sanzione amministrativa accessoria della revoca dell'indennità di disoccupazione, della pensione sociale o per l'invalidità civile (Cass. I, n. 3627/2022). BibliografiaVedi sub art. 125. |