Codice di Procedura Penale art. 143 - Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali 1 .Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali1. 1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento. 2. Negli stessi casi l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna. 3. La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza. 4. L'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. 5. L'interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. 6. La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti del presente titolo. La prestazione dell'ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria.
[1] Articolo sostituito dall'art. 1, d.lg. 4 marzo 2014, n. 32. Il testo originario recitava: «Nomina dell'interprete. 1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. 2. Oltre che nel caso previsto dal comma 1 e dall'articolo 119, l'autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete. 3. L'interprete è nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. 4. La prestazione dell'ufficio di interprete è obbligatoria.». InquadramentoLa disposizione, riscritta con d.lgs. n. 32/2014 che ha dato attuazione alla direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, accorda speciali tutele a coloro che non comprendono la lingua italiana, siano essi italiani o stranieri, prevedendo che essi hanno, in via generale, diritto alla assistenza di un interprete in tutti gli atti processuali, e che in relazione ad alcuni di essi maggiormente rilevanti abbiano anche diritto alla traduzione scritta. Per la, diversa, condizione dei cittadini italiani appartenenti alle minoranze linguistiche tutelate si veda il commento sub art. 109. Profili generaliSalve le eccezioni di cui all'art. 109 per gli appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute, ogni atto processuale deve essere formato in lingua italiana; in questo senso può dirsi che gli atti del processo penale sono atti a forma linguistica vincolata. La norma risponde alla intuitiva esigenza di individuare una forma di comunicazione fra gli attori del processo che sia, ad un tempo, unica e quanto più possibile condivisa. Ma il legislatore, anche in attuazione dell'art. 6, n. 3 CEDU che garantisce ad ogni accusato il diritto ad essere informato, nella lingua che egli comprende ed in maniera dettagliata, della natura e dei motivi della accusa a lui rivolta, si occupa di assicurare un giusto processo, e dunque il pieno esercizio del diritto di difesa, anche a chi non comprende la lingua italiana. Nell'attuale formulazione della norma in commento, due sono i pilastri fondamentali sui quali poggia la disciplina: il diritto all'interprete, assicurato in relazione a tutti gli atti processuali, ed il diritto alla traduzione in forma scritta dei più significativi di essi. La norma in esame, si badi, si riferisce al solo indagato od imputato, ma non anche alla persona offesa ovvero alla persona informata sui fatti, le cui guarentigie non sono in alcun modo disciplinate dalla norma in commento. Talché la mancata nomina di un interprete non è causa d'inutilizzabilità né di nullità delle dichiarazioni rese da persona, diversa dall’indagato o dall’imputato, che non conosca la lingua italiana (Cass. III, n. 18280/2020). Per i diritti della persona offesa e degli altri attori del processo che non conoscano la lingua italiana vedasi, invece, sub art. 143 bis. Accertamento sulla conoscenza della lingua italianaLa previgente formulazione della norma non conteneva una disciplina specifica in ordine all'accertamento della conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato o dell'arrestato. Ne conseguiva che l'obbligo della traduzione scattava solo al momento della verifica della mancata conoscenza, che doveva essere perciò dedotta dalla difesa dall'imputato ove non rilevata dall'autorità procedente attraverso altre fonti di conoscenza. Nella nuova formulazione della disposizione, invece, si impone all'autorità giudiziaria un obbligo di specifico accertamento: se, infatti, per i cittadini italiani la conoscenza della lingua del processo si presume fino a prova contraria, per i non cittadini è necessario che di volta in volta sia eseguita, nel primo momento utile corrispondente al primo atto da notificarsi all'indagato od al quale egli presenzi, una verifica specifica. E solo ove tale verifica fornisca un esito negativo, scatta l'obbligo della traduzione di cui si dirà ai paragrafi che seguono. In merito al grado di conoscenza che lo straniero deve avere della lingua italiana, esso deve essere certamente tale garantire il conseguimento delle finalità che si prefigge la norma; dunque, deve consentirgli di comprendere non solo l'accusa contro di lui formulata, ma anche di seguire il compimento degli atti cui partecipa. Se lo straniero ha mostrato, in qualsivoglia maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non è rimasto completamente inerte, ma al contrario, ha assunto personalmente delle iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, il giudice non ha alcun obbligo di provvedere alla nomina dell'interprete (in tal senso Cass. S.U., n. 12/2000). Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che: a) il mero «status» di straniero o apolide non determina, da solo, il riconoscimento del diritto all'assistenza dell'interprete, ma richiede l'ulteriore presupposto, in capo a quest'ultimo, dell'accertata ignoranza della lingua italiana (Cass. S.U., n. 25932/2008), principio enunciato in vigore della previgente disciplina ma ancora attuale; b) non costituiscono una prova automatica della ignoranza della lingua italiana la pregressa nomina dell'interprete ovvero l'eseguita traduzione di alcuni atti; il giudice è sempre libero di accertare, in ogni momento o fase del giudizio, la conoscenza effettiva della lingua sulla base di circostanze univoche di segno diverso (Cass. III, n. 37364/2015); c) non prova la conoscenza della lingua italiana la mera circostanza che l'imputato alloglotta abbia nominato un difensore di fiducia, se non risulti altresì che impieghi proprio tale lingua nei contatti con lui o nel compimento delle altre attività processuali (Cass. III, n. 16794/2015); d) l'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana non deve necessariamente essere compiuto personalmente dall'autorità giudiziaria, in quanto la circostanza può essere verificata anche sulla base degli elementi risultanti dagli atti di polizia giudiziaria, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove tali elementi non siano concludenti (Cass. V, n. 52245/2014); e) l'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un'indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimità se motivato in termini corretti ed esaustivi (Cass. fer., n. 44016/2014). Diritto alla assistenza dell'interpreteProfili generali Si è detto che due sono i presidi attraverso i quali il legislatore garantisce tutela all'alloglotta: il diritto alla assistenza dell'interprete e la traduzione scritta di alcuni atti. L'imputato (ma anche l'indagato per la estensione operata dall'art. 61) che non conosce la lingua italiana ha diritto alla assistenza gratuita di un interprete al fine di comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire sia il compimento di specifici atti ai quali abbia diritto di assistere, che le udienze alle quali partecipa. Ad analoga assistenza ha diritto per le comunicazioni con il difensore, prima di un interrogatorio ovvero al fine di presentare memorie o richieste nel corso del procedimento. L'interprete deve essere nominato anche quando il pubblico ministero, l'ufficiale di polizia giudiziaria che procede al compimento di un atto, ovvero lo stesso giudice, conoscano la lingua parlata dall'alloglotta. Le disposizioni concernenti le condizioni di capacità e le incompatibilità dell'interprete nonché le altre disposizioni attuative sono contenute negli articoli successivi del titolo. Conseguenze della mancata nomina La giurisprudenza ha chiarito che, anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 32/2014 la mancata nomina di un interprete all'imputato che non conosce la lingua italiana dà luogo ad una nullità a regime intermedio, la quale deve essere eccepita dalla parte prima del compimento dell'atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sia verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Cass. III, n. 30891/2015). Diritto alla traduzione scrittaProfili generali Di alcuni atti di particolare significato la norma dispone che si proceda a traduzione scritta. Assai opportunamente, ponendo fine a contrasti giurisprudenziali che nella previgente disciplina avevano interessato principalmente la necessità di tradurre le ordinanze in materia cautelare personale, la disposizione in commento contiene una elencazione degli atti da tradurre: a) informazione di garanzia (art. 369); b) informazioni sul diritto di difesa (art. 369-bis); c) provvedimenti che dispongono misure cautelari personali (art. 292 e art. 309); d) avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis); e) decreti che dispongono l'udienza preliminare (art. 419); f) citazione a giudizio (art. 550); g) sentenze; h) decreti penali di condanna (art. 460). L'individuazione di tali atti lascia tuttavia aperti margini di interpretazione. In particolare, non sono ricompresi nell'elencazione i provvedimenti applicativi di misure di sicurezza in via provvisoria, il decreto che dispone il giudizio emesso dal Gip nonché le fissazioni dei giudizi di riesame, appello e cassazione, salvo che non si propenda per una interpretazione estensiva della nozione di misura cautelare personale e di citazione a giudizio. Allo stato pare prevalere, viceversa, una interpretazione rigorosa della disposizione. Si è infatti affermato non deve obbligatoriamente essere tradotto nella lingua del destinatario che l'avviso di fissazione dell'udienza camerale nel giudizio di appello quando questi sia uno straniero che non conosce la lingua italiana, non contenendo il suddetto avviso alcun elemento di accusa, ma solo la data dell'udienza fissata per l'esame del gravame proposto dallo stesso imputato o dal suo difensore (Cass. V, n. 32251/2015, e, più di recente Cass. II, n. 20394/2022). E si è pure ritenuto che il provvedimento del tribunale del riesame che fissi l'udienza in camera di consiglio non è del pari soggetto a traduzione (Cass. VI, n. 48647/2014). Non vengono fissati termini, né ordinatori né perentori, per il compimento della traduzione: il legislatore si limita a richiedere che la traduzione avvenga entro un termine congruo in relazione alle esigenze difensive dell'imputato. La norma prevede anche che il giudice possa disporre la traduzione, sempre gratuita, di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico; deve però farlo con atto motivato, impugnabile solo unitamente alla sentenza. Nei paragrafi che seguono si esaminano profili particolari che emergono in relazione ad alcune ipotesi particolari. Conseguenza della omessa traduzione: nullità Gli atti di cui è obbligatoria la traduzione che non vengano tradotti all'imputato alloglotta sono affetti da nullità generale di tipo intermedio. Rinviandosi per le specifiche ipotesi trattate nei paragrafi che seguono al relativo commento, occorre ricordare che la giurisprudenza ha chiarito che: a) determina una nullità di ordine generale a regime intermedio la omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all'indagato che non comprenda la lingua italiana; ma tale nullità non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 (Cass. S.U., n. 39298/2006), principio da ritenersi valido anche per la vigente disciplina; b) la omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio per l'imputato alloglotta che non comprenda l'italiano determina nullità di ordine generale a regime intermedio e deve, pertanto, ritenersi sanata qualora non sia tempestivamente eccepita (Cass. VI, n. 44421/2015); c) determina una nullità generale di tipo intermedio, sanata dalla comparizione della parte e dalla mancata tempestiva deduzione, l'omessa traduzione della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti introduttivi dell'udienza preliminare nei confronti di imputato straniero del quale sia accertata la non conoscenza della lingua italiana (Cass. III, n. 37364/2015); d) determina una nullità generale di tipo intermedio, che resta sanata dalla comparizione della parte, l'omessa traduzione del decreto di giudizio immediato emesso nei confronti dell'imputato straniero del quale sia accertata la non conoscenza della lingua italiana(Cass. V, n. 11060/2017). e) la mancata lettura degli atti processuali all'imputato straniero analfabeta che comprende la lingua italiana non determina alcuna nullità, in quanto l'effettività del diritto di difesa è assicurata dall'obbligatoria assistenza del difensore (Cass., III, n. 38863/2022) L'imputato che ha eletto domicilio, l'irreperibile ed il latitanteIn relazione alla previgente disciplina in più occasioni la Suprema Corte aveva ribadito che l'obbligo di traduzione degli atti processuali in favore dell'imputato alloglotta che non comprenda la lingua italiana deve escludersi laddove lo stesso si sia reso, per causa propria, irreperibile o latitante, così da imporre la notificazione degli atti processuali che lo riguardano al difensore (da ultimo Cass. I, n. 8591/2020). In una decisione (Cass. II, n. 12101/2015) si è ritenuto che tale orientamento, sebbene formatosi sotto la vigenza della versione originaria dell'art. 143, risulta tuttavia pienamente coerente altresì con il «nuovo» testo della norma. La Corte ha osservato che l'obbligo di traduzione ha un senso unicamente rispetto agli atti processuali cui l'imputato alloglotta partecipi personalmente o che comunque giungano nella sua sfera di conoscenza o di conoscibilità; soltanto in queste ipotesi acquista rilievo l'esigenza di assicurare la piena comprensione degli atti da parte di chi non conosca la lingua in cui tali atti sono formati. Ma tale esigenza non è ravvisabile nei casi in cui gli atti debbano notificarsi al solo difensore, essendo il destinatario della comunicazione perfettamente in grado di comprenderne il contenuto e, eventualmente, di riferirlo al proprio assistito, qualora mantenga dei contatti con quest'ultimo, nella lingua da essi prescelta. Con certezza simile interpretazione deve estendersi anche alla ipotesi in cui l'imputato, dopo aver eletto domicilio, si renda presso di esso irreperibile, talché le notifiche vengono eseguite al difensore a norma dell'art. 161. La giurisprudenza ha infatti chiarito che ove l'imputato si sia posto nella condizione processuale per cui gli atti devono essergli notificati mediante consegna al difensore, è escluso l'obbligo di traduzione degli atti, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti (Cass. VI, n. 47896/2014). Vi è, infine, da evidenziare che un tale principio, enunciato con simile ampiezza e motivato dalla carenza di pregiudizio che la intermediazione del difensore assicura rispetto alle esigenze di comprensione del suo assistito, induce a ritenere che anche in caso di mera elezione di domicilio presso il difensore non vi sia l'obbligo di traduzione. Ed è questo, infatti, l'approdo cui è pervenuta la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, che ha ritenuto non sussistere obbligo di traduzione degli atti in favore dell'imputato alloglotta in tutti i casi in cui questi abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia (Cass. V, n. 57740/2017). Tanto che la più recente giurisprudenza si è spinta ad affermare che l'obbligo di traduzione degli atti processuali in favore dell'imputato o condannato alloglotta che non comprende la lingua italiana è escluso ove lo stesso si sia posto in una qualunque condizione processuale cui segua per legge la notificazione degli atti mediante consegna al difensore (Cass. I, n. 8591/2020). Ma deve darsi atto che tale orientamento non è incontrastato, essendosi pure affermato il principio opposto, e cioè che l'obbligo di traduzione degli atti in favore dell'imputato alloglotta, non irreperibile né latitante, sussiste, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), anche nel caso in cui lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione (Cass. I, n. 28562/2022 e Cass. I, n. 40584/2021). La traduzione della sentenzaPrima della modifica legislativa, prevalente (anche se non univoca) era la tesi per cui l'imputato alloglotta non avesse diritto alla traduzione scritta delle sentenza emessa nei suoi confronti (Cass. VI, n. 10300/2013). La disposizione in commento ha formalizzato un principio opposto: l'imputato ha diritto alla traduzione in lingua a lui comprensibile del testo della sentenza; dunque, sia della epigrafe che della motivazione e del dispositivo. Quanto alle conseguenze della omessa traduzione, già in vigenza della previgente disciplina era pacifico che la mancata traduzione della sentenza nella lingua comprensibile all'imputato non incide sulla legittimità o validità della decisione, bensì soltanto sulla possibilità per l'interessato di attivare avverso la stessa gli strumenti di reazione previsti dall'ordinamento, e dunque di proporre impugnazione. La mancata traduzione non inficia di per sé la decisione, ma incide soltanto sui termini per proporre impugnazione, dal momento che impedisce al diretto interessato di prendere contezza delle ragioni che sono state poste a fondamento della condanna pronunciata nei suoi confronti e, dunque, di esercitare appieno le sue prerogative difensive, che passano anche attraverso il diretto accesso alle motivazioni. Dunque, l'omessa traduzione ha quale unico effetto quello di sospendere o comunque dilazionare il termine per proporre impugnazione in capo all'imputato fintanto che questi non abbia avuto compiuta conoscenza dell'atto in una lingua al medesimo accessibile. Tale orientamento è stato ribadito espressamente dalla Suprema Corte anche con riferimento alla disciplina scaturente dalla novella. Si è infatti affermato che la omessa traduzione non integra un'ipotesi di nullità ma, se vi è stata specifica richiesta, i termini d'impugnazione decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell'imputato nella lingua a lui comprensibile (Cass. II, n. 45408/2019) se del caso chiedendo la restituzione nel termine per l'impugnazione (Cass. II, n. 22465/2022). Vi è poi anche da osservare che la quando la impugnazione avverso un provvedimento non tradotto sia stata ritualmente proposta dal difensore di fiducia di un imputato alloglotta può configurarsi comunque una lesione del diritto di difesa derivante dalla mancata attivazione personale dell'impugnazione da parte dell'imputato; ma perché ciò accada non è sufficiente il mero dato storico della mancata traduzione, ma è necessario che solo l'imputato evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione (Cass. VI, n. 25276/2017). La facoltà di rilevare la violazione dell'obbligo di traduzione della sentenza è, poi, atto personalissimo dell'imputato; con la conseguenza che la mancata proposizione personale della relativa eccezione da parte dell'imputato non può essere surrogata dalla dichiarazione del difensore in udienza in presenza dell'interessato, non essendo possibile desumere dal silenzio di questi l'assenso implicito a detta eccezione (Cass. VII, n. 9504/2019). Allo stesso modo, essendo la traduzione funzionale all'esercizio personale del diritto di difesa, essa non è necessaria quando la legge riservi al solo difensore il diritto di impugnare, come avviene per il ricorso per cassazione, atteso che dopo la modifica dell'art. 613 c.p.p., ad opera della l. n. 103/2017, l'imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione (Cass. V, n. 15056/2019). Infine, non sussiste il diritto dell'imputato alloglotta alla traduzione del dispositivo della sentenza letto in udienza, trattandosi di atto non ricompreso tra quelli per i quali l'art. 143 prevede tale obbligo. (Cass. III, n. 19195/2015). La traduzione della ordinanza cautelareIn vigenza della nuova disciplina si è ritenuto che la omessa traduzione del provvedimento che applica misura cautelare nei confronti di alloglotta che non comprenda la lingua italiana determina nullità a regime intermedio del provvedimento solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell'emissione del titolo cautelare (Cass. III, n. 14990/2015). Se, invece, la mancata conoscenza della lingua italiana emerga nel corso dell'interrogatorio di garanzia, tale situazione va equiparata a quella di assoluto impedimento regolata dall'art. 294, e il giudice deve disporre la traduzione del provvedimento coercitivo in un termine congruo, ed il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data di deposito della traduzione, con la conseguente perdita di efficacia della misura in caso di omesso interrogatorio entro il termine predetto, ovvero di traduzione disposta o effettuata in un termine «incongruo» (Cass. IV, n. 33802/2017). Negli stessi termini anche Cass. V, n. 22065/2020, la quale ha chiarito che in questo caso il termine per proporre la richiesta di riesame avverso il titolo cautelare, ai sensi dell'art. 309, decorrerà dall'avvenuta traduzione del titolo stesso. Pare dunque superato il vecchio orientamento che riconnetteva alla mancata traduzione la mera non decorrenza dei termini per proporre impugnazione (Cass. V, n. 18023/2013). La traduzione dell'ordinanza cautelare deve essere necessariamente scritta (salva la ipotesi della udienza di convalida di cui si dirà al paragrafo che segue): una eventuale traduzione in forma orale determina una nullità a regime intermedio, da ritenersi sanata nel caso in cui al compimento dell'atto abbiano assistito la parte ed il suo difensore senza nulla eccepire (Cass. Fer., n. 47739/2015). La giurisprudenza ha ritenuto che l'obbligo di traduzione sussiste anche nel caso di provvedimento disposto ex art. 27 a seguito di dichiarazione di incompetenza del g.i.p. che aveva emesso originariamente il titolo custodiale, sempre che ricorrano gli altri presupposti (Cass. III, n. 11514/2015). Va però evidenziato che la proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale, sempre che l'impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (Cass. III, n. 7056/2015). Alla ordinanza cautelare vera e propria deve ritenersi equiparato il provvedimento di aggravio, che deve essere parimenti tradotta (Cass. VI, n. 51951/2017); ciò in quanto compiuto esercizio del diritto di difesa, cui è preordinata la traduzione, presuppone la conoscenza degli elementi valorizzati ai fini dell'aggravamento Il provvedimento cautelare reso all'esito della udienza di convalidaDue aspetti rilevanti si pongono al riguardo: il mancato reperimento di un interprete e la necessità della traduzione della ordinanza letta in udienza. Con riferimento alla prima ipotesi, la giurisprudenza ha ritenuto che, anche a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina, è legittima la convalida dell'arresto dello straniero alloglotta senza che si sia previamente proceduto al suo interrogatorio per l'impossibilità di reperire tempestivamente un interprete. Ricorre, infatti, un caso di forza maggiore che non impedisce la decisione del giudice sulla legittimità dell'operato della polizia giudiziaria, ovviamente meramente cartolare (Cass. IV, n. 4649/2015). Non necessaria è stata invece ritenuta la traduzione scritta dell'ordinanza applicativa di misura cautelare personale emessa all'esito di udienza di convalida con la regolare assistenza di un interprete, in quanto l'indagato è stato reso edotto degli elementi di accusa a suo carico ed è posto in grado di proporre ricorso al tribunale del riesame (Cass. I, n. 48299/2014). Procedimento di riesameDeve in primo luogo ritenersi che non sia richiesta la traduzione della ordinanza pronunciata dal tribunale del riesame; ed in tale senso si è espressa Cass. I, n. 17905/2015, valorizzando la circostanza tale provvedimento non è inserito tra gli atti di cui è obbligatoria la traduzione e che non risulta neppure essenziale per la conoscenza delle accuse a carico dell'imputato non essendo un atto che limita «ab origine» la libertà personale. Ciò sempre che il titolo custodiale non divenga il provvedimento stesso del tribunale del riesame in accoglimento del gravame proposto dal pubblico ministero. Neppure richiesta è la traduzione dell'avviso di fissazione dell'udienza di riesame in lingua comprensibile all'indagato alloglotta, anche a seguito dell'entrata in vigore della novella, posto che la sua omissione non integra alcuna nullità, né con riferimento a tale atto, né con riferimento a quelli da questo dipendenti, poiché l'avviso non è incluso nell'elenco degli atti per i quali l'art. 143 prevede l'obbligo di traduzione (Cass. VI, n. 48647/2014). Deve però anche osservarsi che un recente orientamento tende ad equiparare il regime giuridico della omessa traduzione della decisione del riesame a quello della sentenza, affermando che la mancanza di traduzione non determina invalidità ma comporta, comunque, che i termini per l'eventuale ricorso per cassazione decorrano dal momento in cui l'indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell'ordinanza (Cass. V, n. 10993/2019). Assenza di disciplina transitoriaIl d.lgs. n. 32/2014 non contiene una disciplina transitoria; dunque la validità degli atti, per il principio «tempus regit actum», deve essere valutata sulla base della disciplina vigente al momento della loro adozione. Si è quindi precisato che il diritto all'assistenza dell'interprete scaturente dalla nuova formulazione della norma non è configurabile in relazione ad atti e attività compiuti antecedentemente alla data di entrata in vigore della citata modifica normativa se allora non previsti (Cass. III, n. 27067/2014). Quando, però, vi è un diritto ancora esercitabile, l'obbligo di traduzione degli atti processuali è configurabile anche in relazione agli atti processuali anteriori alla novella; per questo il diritto alla traduzione non è configurabile con riferimento ad una sentenza già impugnata, né in relazione ad un provvedimento per il quale siano già decorsi i termini di impugnazione (Cass. III, n. 41834/2015). La traduzione degli atti non processualiVedi sub art. 109. CasisticaIn applicazione di tali principi la giurisprudenza ha ritenuto che: a) l'omessa traduzione della sentenza di patteggiamento in lingua nota all'imputato alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell'art. 613, ad opera della l. n. 103/2017, l'imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione (Cass. V, n. 32878/2019); b) la omessa traduzione del decreto di fissazione dell'udienza camerale di definizione del patteggiamento ex art. 447 non determina nullità qualora consegua all'istanza del difensore di fiducia munito di procura speciale (Cass. V, n. 32878/2019); c) il diritto alla traduzione concerne le prove formate in una lingua non conosciuta dall'imputato, e non riguarda perciò conversazioni avvenute nella sua lingua madre, che abbiano costituito oggetto d'intercettazioni; ed il diritto alla traduzione riguarda comunque l'imputato e non il suo difensore (Cass. I, n. 22151/2015); d) la mancata nomina di interprete per conferire con il difensore può configurare una nullità ex art. 178, comma 1, lett. c) solo se determina un'effettiva lesione del diritto di assistenza dell'imputato; e perciò questi ha l'onere di individuare il pregiudizio concretamente subito (Cass. I, n. 30127/2015); e) è inammissibile l'impugnazione redatta in lingua straniera, interamente o in uno dei suoi indefettibili elementi costitutivi indicati dall'art. 581, proposta da soggetto legittimato che non conosca la lingua italiana (Cass. VI, n. 25287/2015); f) è onere dell'estradando, che abbia interesse alla traduzione in lingua madre della sentenza favorevole all'estradizione, farne istanza ai fini dell'esercizio del diritto di impugnazione, e se propone ugualmente tale ultima consuma tale facoltà, in quanto se ne presupponendone la carenza d'interesse (Cass. VI, n. 20634/2015); g) l'imputato alloglotta che non conosca la lingua italiana ha diritto ad ottenere la traduzione del mandato di arresto europeo degli atti solo se ne faccia espressa e motivata richiesta (Cass. VI, n. 1199/2015); h) l'art. 143 non prevede la traduzione del decreto di sequestro in lingua comprensibile all'indagato alloglotta, per cui dal mancato espletamento di tale adempimento non discende alcuna conseguenza giuridica o influenza sulla decorrenza del termine per proporre impugnazione al tribunale del riesame (Cass. II, n. 41961/2017); i) non integra ipotesi di nullità la mancata di traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotta ma, se vi è stata specifica richiesta, i termini d'impugnazione decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell'imputato nella lingua a lui comprensibile (Cass. I, n. 23608/2014); l) determina la nullità dell'ordine di esecuzione la mancata traduzione in una lingua nota allo straniero, e la necessità della sua rinnovazione, ma l'invalidità non si ripercuote sulla carcerazione ormai instaurata (Cass. I, n. 20768/2018); m) la procura speciale e la istanza per l'applicazione pena ex art. 444 non devono essere tradotte in quanto l'obbligo di traduzione è riferito agli atti compiuti nel processo da parte del p.m. e dal giudice (Cass. III, n. 15773/2018); n ) non determina nullità la mancata o incompleta traduzione della comunicazione inerente le garanzie ed i diritti difensivi in caso di arresto, prevista dall'art. 386, commi 1 e 1-bis, poiché il diritto di difesa è comunque soddisfatto dall'assistenza, in sede di udienza di convalida, di un interprete (Cass. V, n. 11068/2017).
BibliografiaCurlotti, Il diritto all'interprete: dal dato normativo all'applicazione concreta, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1997, 463, fasc. 2; Meloni, Niente di nuovo sul fronte della traduzione degli atti in ambito processuale; una storia italiana, in Cass. pen. 2010, 3683B, fasc. 10; Spangher, Il diritto all'interprete ed al traduttore: attuata la direttiva Europea Attuata La Direttiva Europea (The Right to an Interpreter and to a Traslator: the Carrying Out of the European Directive, in Cass. pen. 2015, 2876B, fasc. 7-8. |