Codice di Procedura Penale art. 177 - Tassatività.Tassatività. 1. L'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge. InquadramentoL'art. 177 enuncia il fondamentale principio di tassatività delle nullità, per cui l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità nei soli casi previsti dalla legge. Il principio di tassativitàL'art. 177 è la disposizione introduttiva del Titolo VII del Libro II del codice di rito, dedicato alle nullità, in cui trova disciplina la specifica materia della nullità degli atti del processo. Come detto, la norma afferma il principio di tassatività delle nullità, prevedendo che un atto del procedimento è nullo solo quando il legislatore lo qualifichi espressamente come tale. La formulazione attuale dell'art. 177 non riconduce più la nullità all'inosservanza delle forme dettate per il compimento dell'atto, in tal maniera determinando il superamento della vecchia distinzione tra nullità sostanziali e nullità formali. Non è la natura del requisito mancante, infatti, a determinare la nullità, bensì l'imperfezione dell'atto, sia essa dovuta alla carenza di un requisito di forma o all'inosservanza delle disposizioni relative ai presupposti e alle condizioni dell'atto stesso, alle modalità di tempo e di luogo del suo compimento o, ancora, alla legittimazione a porlo in essere. La disposizione si pone, dunque, in termini difformi rispetto all'omologa norma prevista dal codice di procedura civile, che, recependo per tabulas il principio della libertà delle forme, stabilisce all'art. 121 c.p.c. che gli atti del processo, per cui non sono richieste forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo. Il riferimento al termine “procedimento” contenuto nell'art. 177 lascia comprendere come il fenomeno della nullità copra l'intero procedimento penale, e cioè tutti gli atti che in esso vengono compiuti, dalla ricezione della notitia criminis alla fase dell'esecuzione. Tale dilatazione dell'ambito operativo delle nullità non coinvolge, ovviamente, le nullità speciali, oggetto di una specifica previsione ad hoc, bensì solo le nullità generali, disciplinate come sono per categorie, e neanche con riferimento alla totalità di esse. Così, ad esempio, la violazione delle norme riguardanti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato determina la nullità dell'atto anche con riferimento all'indagato — in virtù dell'equiparazione effettuata dalla norma dell'art. 61 — mentre lo stesso non è previsto con riferimento alla posizione delle altre parti private. Dal principio di tassatività discendono, poi, alcuni corollari. In primo luogo deriva l'applicazione del divieto di analogia e di interpretazione estensiva, nel senso che, per come osservato in dottrina (Di Geronimo, 19), il giudice non può, facendo leva sulla eadem ratio, presidiare con la sanzione di nullità la violazione di una norma che sia rimasta estranea alla previsione legislativa. Il divieto di applicazione analogica, quindi, preclude la possibilità di individuare ulteriori ipotesi di nullità al di fuori di quelle derivanti dal quadro normativo. In secondo luogo, dal principio di tassatività consegue l'irrilevanza dei vizi della volontà ai fini dell'insorgenza delle nullità. Contrariamente al diritto civile, infatti, l'errore, il dolo o la violenza in cui incorra o di cui sia fatto oggetto l'autore dell'atto non incidono sulla validità di esso, salvo che non si possa qualificare l'atto stesso come inesistente. Il principio di tassatività, infine, impedisce che possano essere ricondotti nell'alveo delle nullità gli errores in iudicando. Tali ultimi, infatti, vengono in considerazione come vizi dell'atto decisorio, la cui censura, consistente nell'annullamento dell'atto, è affidata al giudice investito dell'impugnazione. La distinzione tra la nullità e le altre forme di invaliditàCon riferimento ai caratteri delle nullità processuali, deve essere osservato come nel processo penale non si applichi il principio quod nullum est nullum producit effectum, giacché l'atto, pure quando affetto dalla più grave delle nullità, produce sempre degli effetti, quanto meno in via interinale. Tali effetti sono eliminati sin dal momento della loro produzione, con efficacia ex tunc, quando il giudice, procedendo di ufficio o su istanza di parte, riconosce e dichiara la nullità, così “cancellando” l'atto dalla scena processuale; ovvero tali effetti sono consolidati, sempre sin dal momento della loro produzione, con efficacia ex nunc, allorché si verifichi un fatto o venga posto in essere un atto dotato di efficacia sanante. Considerati tali aspetti è possibile cogliere la distinzione, nonché i rapporti, che intercorrono tra la nullità e le altre forme di invalidità degli atti, le quali ultime, sebbene condividano alcuni tratti caratterizzanti della nullità, se ne discostano per avere un più limitato raggio d'azione. L'inammissibilitàPur continuando ad affiancare l'inammissibilità alla nullità quale sanzione per gli atti processuali invalidi (art. 606, lett. c), il vigente codice di procedura penale ha rinunciato ad offrire un quadro chiaro e coerente dell'inammissibilità. A differenza, infatti, della nullità — della quale vengono precisati la definizione, l'enunciazione delle cause, la sorte dell'atto conseguente, il concetto e le cause della sanatoria, il regime degli effetti dell'atto nullo — manca qualsiasi definizione dell'inammissibilità, essendo assente una disciplina unitaria degli effetti dell'atto inammissibile, a cui il legislatore ha dedicato solo qualche accenno, peraltro confusamente sparso in norme diverse. Ciò nonostante, appare possibile individuare i tratti caratterizzanti dell'inammissibilità. In primo luogo, essa afferisce ad un atto di parte — facoltativo, non avendo alcun senso discorrere di ammissibilità rispetto ad un atto obbligatorio — tendente a dare inizio ad un procedimento eventuale, la cui introduzione nel processo penale principale determina, a sua volta, lo snodarsi di una serie di atti ad estensione e con funzione varia, sempre collegati allo svolgimento dell'interesse dedotto nel processo stesso, ma con questo non coincidente. Anche un atto del giudice, del resto, può risultare inammissibile, a condizione, però, che il giudice si ponga quale “parte”, come avviene nel caso in cui venga sollevato conflitto di competenza. In secondo luogo, pur in assenza di un'espressa previsione legislativa, si deve ritenere che il principio di tassatività si estenda pure all'inammissibilità, giacché, anche qualora non ne vengano specificate le cause, esse vanno rintracciate in tutte le condizioni della domanda fissate dalla legge. L'inammissibilità, infine, é un vizio rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento — ai sensi dell'art. 591, comma 4 — e non suscettibile di sanatoria diversa dal giudicato, salvo che non sia lo stesso legislatore a stabilire differentemente, in modo esplicito — come previsto dall'art. 627, comma 4 — o implicito — come stabilito dall'art. 81, comma 1. La decadenzaLa decadenza si pone in termini sostanzialmente speculari rispetto all'inammissibilità, in quanto essa, a stretto rigore, non costituisce una forma di invalidità dell'atto processuale. La decadenza consiste nella perdita di un potere a causa del suo mancato esercizio protratto per un certo periodo di tempo da parte del titolare, e cioè nella perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine perentorio. Essa non implica, come la nullità o l'inammissibilità, un atto di cui predica la difformità dal modello legale, ma ne presuppone l'assenza, a causa proprio del potere di compierlo. Ove, poi, l'atto venga ad essere ugualmente compiuto scatta la sanzione dell'inammissibilità, per cui si può affermare che la decadenza può esprimersi sia nella perdita di efficacia di atti già compiuti che nel venir meno di atti ancora da esercitare. L'inutilizzabilitàL'inutilizzabilità è un tipo di invalidità che ha la caratteristica di colpire non l'atto in sé, bensì il suo valore probatorio, in quanto sanzione tipica proprio del procedimento probatorio. Con riferimento all'inutilizzabilità intesa come sanzione, è possibile distinguere tra quella assoluta e quella relativa, oppure tra quella generale, prevista dall'art. 191, e quella speciale, spesso collegata alla violazione non del divieto di ammissione di un mezzo di prova, ma delle norme che stabiliscono le modalità di assunzione di quest'ultimo. Si ritiene, poi, che l'inutilizzabilità non investa solo le prove in senso proprio, bensì anche gli atti delle indagini preliminari. Se, al pari della nullità assoluta, l'inutilizzabilità può essere rilevata di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, si distingue, tuttavia, da essa per il fatto di non essere mai suscettibile di sanatoria, neanche nel caso di passaggio in giudicato della sentenza. L'inutilizzabilità, inoltre, non può determinare l'inutilizzabilità derivata, e rende inutile la rinnovazione della prova, poiché, nel suo caso, si risolve sempre in una mera reiterazione della trasgressione. Sussiste, poi, un problema di interrelazione tra la nullità e l'inutilizzabilità con riferimento a quelle ipotesi in cui il divieto probatorio sia assistito anche dalla previsione di nullità, come è ad esempio il caso della fattispecie indicata dall'art. 199, comma 2. Il problema, all'evidenza, non si pone con riferimento alle ipotesi di nullità assoluta — in quanto esse, al pari dell'inutilizzabilità, sono rilevabili in ogni stato e grado del procedimento — bensì con riferimento alle nullità relative, che, in quanto tali, sono sanabili. La problematica è correlata alla scelta di utilizzare il termine “acquisizione” nell'attuale formulazione normativa dell'art. 191, così facendo svanire, di fatto, ogni linea di demarcazione tra la nullità e l'inutilizzabilità, che, in origine, riservava l'una alla violazione delle forme degli atti processuali e l'altra all'ammissione delle prove vietate. La giurisprudenza, ritenendo tra loro distinte ed autonome le categorie dell'inutilizzabilità e della nullità, in quanto correlate a presupposti diversi, ha precisato che la sanzione dell'inutilizzabilità, prevista in via generale dall'art. 191, si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l'osservanza delle formalità prescritte, dovendosi applicare in tal caso la disciplina delle nullità processuali (Cass. II, n. 9494/2018). L'art. 191, comma 1 che sancisce la inutilizzabilità delle prove “acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge”, va interpretato, cioè, nel senso che tale inutilizzabilità può derivare, in difetto di espressa, specifica previsione, soltanto dalla illegittimità in sé della prova stessa, desumibile dalla norma o dal complesso di norme che la disciplinano, e non invece soltanto dal fatto che la prova sia stata acquisita irritualmente. Ne consegue che per “prove diverse da quelle legittimamente acquisite” debbono intendersi non tutte le prove le cui formalità di acquisizione non siano state osservate, ma solo quelle che non si sarebbero potute acquisire proprio a cagione dell'esistenza di un espresso o implicito divieto (Cass. II, n. 15877/2008). L'inesistenzaLa portata del principio di tassatività e delle implicazioni che da esso derivano induce a rilevare un'altra forma di invalidità priva di riconoscimento normativo, tuttavia assunta a ius receptum in forza dell'elaborazione interpretativa realizzata (soprattutto) dalla giurisprudenza di legittimità. L'inesistenza connota le ipotesi in cui ci si trovi in presenza di un “non atto”, e cioè in cui un atto non possegga neanche i requisiti minimi indispensabili per la sua riconducibilità ad uno schema normativo, e ciò sia pure solo per predicarne un giudizio di difformità, postulando sempre la valutazione di imperfezione la possibilità di stabilire una relazione tra un atto ed una fattispecie normativa. La categoria della inesistenza giuridica — estranea alle cause di invalidità degli atti disciplinati dal codice e costituente la risultante di una mera operazione interpretativa — è configurabile in tutti quei casi in cui l'atto, per difetto di alcuni elementi strutturali che devono contraddistinguerlo, si pone totalmente fuori dal sistema, non è ad esso riferibile, e non è riconoscibile all'esterno, nel senso che è assolutamente inidoneo a produrre un qualsiasi effetto sia nell'ambito che al di fuori del processo. Essa è tale da superare il principio di tassatività, che contraddistingue le nullità, e da scavalcare la stessa barriera del giudicato (Cass. VI, n. 3683/2000). La categoria dell'inesistenza giuridica, pertanto, non può estendersi a quegli atti che, pur provvisti dei requisiti minimi per essere considerati come atti processuali, siano tuttavia affetti da vizi che anche se idonei ad incidere sulla loro validità, non ne impediscono tuttavia la sanatoria o per il raggiungimento dello scopo o per effetto del formarsi della cosa giudicata (Cass. V, n. 1633/2000). Pur essendo totalmente avulsa dal principio di tassatività, l'inesistenza deve comunque misurarsi con esso, poiché la mancanza di un requisito legale da cui non deriva la nullità di un atto è diagnosticabile, quale causa di inesistenza, solo a patto che la difformità che sussiste tra atto e fattispecie normativa che lo contempla sia maggiore di quella che la legge reputa come causa si nullità. Inoltre, la circostanza che la legge qualifichi un determinato difetto come causa di nullità impedisce, all'evidenza, il ricorso alla categoria dell'inesistenza. L'atto inesistente è insuscettibile di produrre effetti, anche in via precaria, e sfugge a qualsiasi forma di sanatoria, neanche realizzabile attraverso il giudicato. L'inesistenza può essere rilevata con un azione di mero accertamento, esperibile in ogni stato e grado del procedimento. Esempi di atti inesistenti sono le sentenze emesse: a non iudice; esorbitanti dalla giurisdizione penale; nei confronti di persona immaginaria, defunta o totalmente immune. L'abnormitàAnche l'abnormità, al pari dell'inesistenza, è espressione dell'elaborazione esegetica, soprattutto giurisprudenziale, conseguente all'affermazione del principio di tassatività. L'abnormità, tuttavia, si distingue dall'inesistenza perché presuppone un atto giuridicamente esistente e non sopravvive alla formazione del giudicato. Come affermato dalla giurisprudenza, la tutela avverso l'atto abnorme consegue dalla necessità di eliminare provvedimenti che, pur essendo macroscopicamente illegali e lesivi di interessi primari, produrrebbero altrimenti effetti irreversibili. Tanto può derivare dall'atipicità dell'atto, la cui stessa esistenza non è prevista dall'ordinamento, dal particolare regime processuale del provvedimento che non consente revisioni in alcuna sede, dal vizio in cui incorre un atto tipico, non deducibile tuttavia nell'ulteriore corso del giudizio (Cass. VI, n. 2719/1996). L'indicata tutela si realizza attraverso la proposizione del ricorso per cassazione, nelle forme e nei termini ordinari, che costituisce l'unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento per espungere da esso l'atto abnorme. Il termine per proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento abnorme decorre dal momento in cui l'interessato ne abbia avuto effettiva conoscenza, che, in difetto di prova contraria, va identificato in quello indicato dal ricorrente (Cass. S.U., n. 34536/2001). Particolarmente fiorente è la casistica giurisprudenziale in ordine all'individuazione degli atti abnormi, peraltro essendo possibile ravvisare in essa una recente evoluzione che ha determinato l'ampliamento dei limiti del concetto di abnormità. In origine, infatti, le decisioni più risalenti limitavano la qualificazione degli atti abnormi ai soli provvedimenti che, per la singolarità e la stranezza del loro contenuto, finivano per porsi al di fuori dell'ordinamento processuale. Successivamente, quindi, è intervenuta una pronuncia delle Sezioni Unite che ha riconosciuto affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Cass. S.U., n. 26/2000). Con l'indicata pronuncia, pertanto, è stato significativamente esteso il concetto di abnormità, prevedendo accanto a quella strutturale, coincidente con il vecchio concetto di provvedimento completamente avulso dal sistema ordinamentale, anche l'abnormità funzionale, in cui il provvedimento, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplica al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, determinando la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo. Casistica in materia di atti abnormiDiverse pronunce giurisprudenziali hanno dato applicazione ai principi indicati in materia di atti abnormi. Così, a titolo esemplificativo, è stato affermato che il decreto di archiviazione con il quale il giudice per le indagini preliminari disponga la confisca e la distruzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio non é abnorme e, pertanto, non è impugnabile mediante ricorso per cassazione ma è soggetto esclusivamente al rimedio dell'incidente di esecuzione; ne consegue che l'eventuale ricorso per cassazione presentato dall'imputato va qualificato come richiesta di incidente di esecuzione e gli atti trasmessi al giudice competente (Cass. III, n. 842/2020). È abnorme ed immediatamente ricorribile per cassazione, in quanto atto radicalmente estraneo al sistema processuale, il provvedimento di revoca del decreto penale di condanna adottato dallo stesso giudice che lo ha emesso, al di fuori dell'ipotesi prevista dall'art. 460, comma 4, di impossibilità della notifica per irreperibilità dell'imputato (Cass. III, n. 39196/2014). Non è abnorme, poi, l'ordinanza con la quale il g.i.p. dichiara l'inefficacia dell'elezione di domicilio dell'imputato e la conseguente nullità della notifica dell'avviso ex art. 415-bis e degli atti successivi per essere stato il verbale di elezione di domicilio redatto esclusivamente in italiano nonostante il dubbio che l'imputato non avesse compreso di essere sottoposto a procedimento penale (Cass. V, n. 38109/2015). Non è abnorme, e non è conseguentemente ricorribile per cassazione, anche l'ordinanza con cui il g.u.p., rinviando l'udienza, invita il pubblico ministero a modificare la imputazione (Cass. V, n. 22990/2015). È, invece, abnorme, in quanto determina una indebita regressione del processo, il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare il quale, investito della richiesta di rinvio a giudizio per un reato che preveda la celebrazione dell'udienza preliminare, disponga, previa riqualificazione giuridica del fatto, la restituzione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 33-sexies, perché proceda con citazione diretta (Cass. V, n. 10531/2018). Parimenti abnorme è il provvedimento con il quale il giudice, dopo l'ammissione del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, e in difetto dell'assunzione di nuovi elementi di prova ex art. 441, comma 5, disponga, ai sensi dell'art. 521, la restituzione degli atti al pubblico ministero, ritenendo, su sollecitazione di quest'ultimo, la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata, in quanto è prevista l'applicabilità dell'art. 521 al giudizio abbreviato solo in caso di “diversità del fatto”, situazione da escludersi quando risultino configurabili esclusivamente nuove o diverse circostanze aggravanti (Cass. I, n. 25882/2015). È, poi, affetto da abnormità funzionale il provvedimento con cui il giudice, pur in presenza di una formale regolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio dell'imputato effettuata ai sensi dell'art.161, comma 4, ordini la sospensione del processo successivamente all'infruttuoso espletamento di nuove ricerche dell'interessato sul territorio dello Stato (Cass. II, n. 2291/2016). Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata la mancanza della notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio, invece di procedere autonomamente alla rinnovazione della stessa, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché vi adempia, costituendo detto provvedimento espressione di poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e non determinando, comunque, la stasi del procedimento (Cass. IV, n. 27027/2015). È abnorme, per l'anomala regressione del procedimento, il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento dichiara la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo nel contempo la restituzione degli atti al pubblico ministero, a causa dell'inesattezza lessicale del nome o dell'erronea indicazione della data di nascita dell'imputato, allorché ne sia certa l'identità, dovendo in tali ipotesi il giudice adottare i consequenziali provvedimenti correttivi nelle forme previste dall'art. 130, ordinando anche la rinnovazione della citazione ove appaia probabile che l'interessato non ne abbia avuto conoscenza (Cass. II, n. 50679/2014). Pure abnorme è l'ordinanza con cui il giudice, previa declaratoria di nullità di atti concernenti la posizione di taluni imputati, disponga la restituzione degli atti al p.m. anche in relazione alle posizioni soggettive non attinte dalle predette nullità, determinando così un'indebita regressione del procedimento, in contrasto con il principio di irretrattabilità dell'azione penale e con il principio logico che non consente di ripetere atti già validamente e utilmente compiuti (Cass. II, n. 46640/2015). È, infine, inammissibile, in forza del principio di tassatività delle impugnazioni, il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che dichiara irrilevante una questione di legittimità costituzionale, dovendosi comunque escludere che il provvedimento censurato abbia i caratteri dell'atto abnorme, non avendo natura decisoria, né la possibilità di paralizzare lo sviluppo processuale (Cass. VII, n. 46775/2015). Casistica relativa al principio di tassativitàLa norma dell'art. 177 ha avuto una vasta applicazione nella giurisprudenza di legittimità. In particolare numerose sono le decisioni in cui viene fatta menzione del principio di tassatività delle nullità allo scopo di escludere, in ragione della sua applicazione, la ricorrenza della nullità con riferimento ad alcune fattispecie specifiche. Indicando solo alcune di tali pronunce, è stato affermato, ad esempio, che poiché non sussiste l'obbligo di nominare un interprete per le persone diverse dall'indagato, non può ravvisarsi alcuna nullità della querela, ostandovi peraltro il principio di tassatività fissato dall'art. 177, nell'ipotesi che essa sia presentata da persona straniera che non conosca perfettamente la lingua italiana ma venga sentita da persona verbalizzante che è in grado di raccoglierne le dichiarazioni (Cass. III, n. 370/2007). In tema di documentazione dell'interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare, l'omessa sottoscrizione del verbale da parte dell'interprete integra una mera irregolarità, atteso che la nullità del verbale sussiste solo nei casi di incertezza assoluta sulle persone intervenute o di mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto, in virtù del principio di tassatività di cui all'art. 177 (Cass. VI, n. 45939/2015). In caso di sequestro preventivo disposto erroneamente nella forma dell’ordinanza anziché in quella del decreto motivato prevista dall’art. 321, comma 1, non è configurabile alcuna nullità, avuto riguardo al principio di tassatività delle nullità di cui all’art. 177, né è configurabile in capo al destinatario della misura, alcun concreto interesse ad agire per un’eventuale tutela processuale, fermo restando che il sequestro, anche se formalmente qualificato come ordinanza, ha comunque natura e valore di decreto (Cass. III, n. 1499/2018). Non è causa di nullità del decreto che dispone il giudizio l'omesso avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia, atteso che il predetto avvertimento non è qualificabile come “uno dei requisiti” della citazione e, pertanto, in applicazione del principio di tassatività delle nullità, l'omissione dello stesso non è sanzionata (Cass. II, n. 36097/2014). L'inosservanza del divieto di cui all'art. 149 disp. att. — per il quale il teste da escutere non deve comunicare con le parti — non comporta l'inutilizzabilità della testimonianza, ex art. 191, che concerne esclusivamente le prove illegittimamente acquisite. La violazione di una qualsiasi norma che detti regole per l'assunzione della prova può comportare una irregolarità che, avuto riguardo alla sua natura e gravità, può determinare la nullità assoluta o relativa, secondo il principio di tassatività, ex art. 177, conseguenza che, tuttavia, non può derivare dall'inosservanza del divieto di cui all'art. 149 disp. att., trattandosi di norma regolamentare cui non è collegata alcuna sanzione processuale (Cass. V, n. 8367/2014). Stante il principio di tassatività delle nullità, la violazione dell'ordine di assunzione delle prove, disciplinato dall'art. 496, non è presidiata da alcuna sanzione di carattere processuale (Cass. VI, n. 3609/2019). In tema di esame testimoniale, ancora, la violazione del divieto di porre domande non pertinenti o suggestive, da un lato, non determina l'inutilizzabilità della testimonianza, in quanto tale sanzione riguarda le prove vietate dal codice di rito e non la regolarità dell'assunzione di quelle consentite, dall'altro, non è sanzionata da nullità in virtù del principio di tassatività (Cass. III, n. 35910/2008). Non sussiste la nullità della notifica dell’invito a rendere interrogatorio, a seguito dell’avviso ex art. 415-bis, effettuata, a mezzo fax, in unico esemplare al comune studio dei due difensori, in quanto la violazione delle disposizioni di cui all’art. 54 disp. att. - per il quale il numero di copie degli atti da notificare deve essere uguale a quello dei destinatari della notificazione - non è sanzionata a pena di nullità, stante il principio di tassatività delle nullità, stabilito dall'art. 177 (Cass. IV, n. 22006/2018). Non è affetta da nullità la sentenza nella quale manchi o sia incompleta l'indicazione del capo di imputazione, qualora l'enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all'imputato, rilevanti ai fini della decisione, possa essere desunta dal contenuto complessivo della motivazione, integrato ove necessario dal decreto di citazione per il giudizio (Cass. III, n. 39894/2014). Allo stesso modo, in caso di sentenza collegiale, la mancanza della sigla del giudice estensore su uno solo dei fogli del provvedimento non determina alcuna nullità, configurando una mera irregolarità (Cass. II, n. 27825/2019). In tema di confisca disposta dal giudice dell'esecuzione, la mancata adozione della fase preliminare de plano, prevista dall'art. 667, comma 4, prima dell'eventuale svolgimento dell'ordinaria procedura camerale in sede esecutiva, non costituisce causa di nullità, non essendovi espressa previsione normativa in tal senso e operando, pertanto, il principio di tassatività della nullità (Cass. III, n. 49317/2015). In tema di procedimento a carico di soggetti minorenni, infine, l'omessa comunicazione della celebrazione dell'udienza del giudizio di appello ai servizi minorili, di cui agli artt. 12 d.P.R. n. 448/1988 e 17 d.lgs. n. 272/1989, non determina la nullità della sentenza, in ragione del principio di tassatività delle nullità (Cass. II, n. 23662/2008). 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