Codice di Procedura Penale art. 194 - Oggetto e limiti della testimonianza.

Piercamillo Davigo
Giuseppe Riccardi

Oggetto e limiti della testimonianza.

1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova [187]. Non può deporre sulla moralità dell'imputato [234 3], salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità [133 c.p.] in relazione al reato e alla pericolosità sociale [203 c.p.].

2. L'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona [472 3-bis].

3. Il testimone è esaminato su fatti determinati [499]. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico [234 3] né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.

Inquadramento

Il codice non definisce la testimonianza, presupponendone il concetto, rappresentando la prova per eccellenza del processo accusatorio.

La testimonianza è una dichiarazione di scienza concernente un determinato fatto, che costituisce oggetto di prova nel processo, percepito dal dichiarante personalmente (testimonianza diretta) o attraverso la narrazione di altri (testimonianza indiretta), e resa da un soggetto diverso dalle parti private (Balsamo, 67-68).

Ciò che la distingue dal racconto di soggetti aventi diverso status processuale è il generalizzato obbligo di dire la verità (sanzionato dall'art. 372 c.p., salve talune esimenti).

Stabilendo che il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova la disposizione rimanda all'art. 187 c.p.p., il quale precisa che sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità ed alla determinazione della pena o della misura di sicurezza, nonché quelli dai quali dipende l'applicazione di norme processuali e quelli inerenti alla responsabilità civile da reato.

Testimone è, pertanto, quel soggetto terzo rispetto alle parti del giudizio che, ammesso a rendere dichiarazioni di scienza su quanto a sua conoscenza in ordine ai fatti rilevanti ai fini del decidere, viene chiamato a deporre avanti al giudice e, in ambito processuale, nel contraddittorio delle parti, avvertito delle responsabilità penali cui va incontro per le dichiarazioni non corrispondenti a quanto a sua conoscenza, depone rispondendo alle domande a lui rivolte sui fatti intorno ai quali è chiamato a fare dichiarazioni di scienza (Cass. VI, n. 6118/2000).

La testimonianza incontra una serie di limiti, atteso che il testimone:

– non può deporre sulla moralità dell'imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale;

– non può deporre sulle voci correnti nel pubblico;

– non può esprimere apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.

Oggetto e limiti della testimonianza

La testimonianza può avere ad oggetto una comunicazione o una dichiarazione di contenuto narrativo, ed essere resa in qualsiasi forma, non solo verbale, ma anche scritta o gestuale (Cass. V, n. 53181/2017: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto legittima la testimonianza “de relato” avente ad oggetto la confessione dell'imputato, evocata dalla descrizione di gesti, comportamenti e alcune parole di quest'ultimo, valutati nell'ambito del complesso contesto comunicativo).

Si è, ad esempio, ritenuto che i fogli manoscritti e firmati dal testimone, ritualmente acquisiti al fascicolo del dibattimento, costituiscono una manifestazione del pensiero dello stesso, ancorché esplicitata in forma grafica e non verbale, onde devono essere equiparati sotto il profilo probatorio alle dichiarazioni testimoniali, a condizione che il teste, nel contraddittorio delle parti, ne confermi l'autenticità ed il contenuto ricognitivo (Cass. I, n. 49963/2018).

In senso parzialmente difforme si è affermato che le dichiarazioni eteroaccusatorie contenute in un memoriale proveniente dal coimputato sono acquisibili come documenti, ai sensi dell'art. 234 c.p.p., nel processo a carico di altro coimputato, ma il loro contenuto non è in alcun modo utilizzabile a fini probatori, né direttamente né nel caso in cui il propalante, escusso come “testimone assistito” ai sensi dell'art. 197-bis c.p.p., confermi quanto riportato nel memoriale, corrispondendo una tale conferma ad un'inammissibile utilizzazione diretta delle notizie ricavabili dal memoriale stesso (Cass. I, n. 12305/2020. In motivazione la Corte ha specificato che le accuse contro il coimputato possono essere vagliate unicamente alla luce delle dichiarazioni dibattimentali, senza che il memoriale – pur valutabile ai fini del giudizio sulla credibilità del propalante – possa a sua volta essere considerato quale riscontro, in quanto proveniente dalla medesima fonte e dunque non esterno).

Non è configurabile alcuna nullità o inutilizzabilità ai sensi del combinato disposto degli artt. 187 e 194 c.p.p. nel caso in cui la deposizione del teste verta anche su fatti che non si riferiscono espressamente all'imputazione oggetto di contestazione: pertanto, è pienamente valida ed utilizzabile la prova testimoniale raccolta in dibattimento in ordine al reato contestato ed anche ad un reato diverso da quello contestato (Cass. III, n. 12930/2008: fattispecie nella quale le dichiarazioni testimoniali, vertenti anche su fatti diversi da quelli originariamente contestati, avevano determinato una contestazione suppletiva per un diverso reato per il quale era intervenuta condanna).

Quanto all'oggetto della testimonianza, si è precisato che il contenuto rappresentativo di un documento può essere provato anche attraverso una testimonianza, ed il grado di minore affidabilità della prova dichiarativa non implica l'inutilizzabilità di quest'ultima (Cass. V, n. 38767/2017. Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile ed utilizzabile la testimonianza resa da un operatore di polizia giudiziaria sui fatti oggetto di videoriprese non acquisite agli atti del giudizio di merito).

Si è, inoltre, affermato che non va considerata de relato la testimonianza avente ad oggetto un dialogo fra terze persone, occasionalmente ascoltato, trattandosi di fatto caduto sotto la diretta percezione del dichiarante (Cass. I, n. 41088/2012. Nella specie, la S.C. ha escluso la violazione dell'art. 195, comma terzo. c.p.p., applicandosi detta norma all'ipotesi in cui il teste ha appreso da un terzo il fatto riferitogli).

In senso contrario, è stata ritenuta inutilizzabile la deposizione del testimone avente ad oggetto il contenuto della dichiarazione confessoria, da lui «fortuitamente» percepita, che l'indagato, già raggiunto da elementi indizianti, aveva reso alla polizia giudiziaria come persona informata sui fatti, non essendo stato sentito con le garanzie difensive (Cass. I, n. 18120/2014: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto inutilizzabile la testimonianza del fratello della vittima di un omicidio, che aveva casualmente ascoltato nella caserma dei carabinieri la confessione resa da uno dei responsabili prima che questi assumesse formalmente la qualità di indagato).

Segue . Voci correnti nel pubblico

Il divieto di testimonianza sulle voci correnti nel pubblico, previsto dall'art. 194, comma terzo, non trova applicazione qualora il testimone riferisca di circostanze apprese da persone determinate, ancorché non identificate (Cass. II, n. 47404/2011).

Il divieto di deporre sulle voci correnti nel pubblico, sancito dall'art. 194, comma terzo, c.p.p., non trova applicazione nell'ipotesi in cui il testimone riferisca circostanze apprese da una specifica persona, ancorché non identificata con le sue generalità, e come tali assimilabili a mere confidenze per le quali è ammessa la prova testimoniale, e nell'ipotesi di notizie circoscritte ad una cerchia ben determinata ed individuabile di persone (Cass. VI, n. 31721/2008. Fattispecie relativa ai frequentatori di un circolo ricreativo, individuati ed assunti in giudizio come testi, che hanno confermato quanto da altri genericamente riferito sulla frequentazione del circolo da parte di giovani tossicodipendenti, che solevano recarvisi per l'acquisto di sostanze stupefacenti).

È utilizzabile a fini probatori nel giudizio abbreviato l'annotazione di servizio redatta dal personale di polizia giudiziaria intervenuto sul luogo del reato e nella quale sono riportate le dichiarazioni rilasciate da persona ivi presente, di cui non è stato possibile procedere alla compiuta identificazione (Cass. I, n. 32963/2010, che, in motivazione, ha escluso l'assimilabilità delle dichiarazioni in oggetto alle voci correnti nel pubblico e l'operatività del divieto di cui all'art. 195, comma settimo, c.p.p.).

Di particolare rilevanza, soprattutto nell'ambito dei reati di criminalità organizzata, è l'elaborazione del concetto di dichiarazioni sul patrimonio conoscitivo comune, che esula dal divieto di testimonianza su voci correnti nel pubblico e dai limiti della testimonianza indiretta.

Si è al riguardo affermato che sono direttamente utilizzabili le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia su circostanze apprese in relazione al ruolo di vertice del sodalizio criminoso di appartenenza e derivanti da patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non assimilabili né a dichiarazioni de relato, utilizzabili solo attraverso la particolare procedura di cui all'art. 195 c.p.p., né alle cosiddette “voci correnti nel pubblico” delle quali la legge prevede l'inutilizzabilità (Cass. V, n. 4977/2010).

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su fatti e circostanze attinenti la vita e le attività del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso, seppure non sono assimilabili a dichiarazioni de relato, possono assumere rilievo probatorio, purché supportate da validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell'informazione resa, che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati (Cass. I, n. 17647/2020).

In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, i contenuti informativi provenienti da intercettazioni di conversazioni tra soggetti intranei all'associazione, relativi a fatti direttamente attinenti a settori vitali della cosca, sono utilizzabili in modo diretto e non come mere dichiarazioni de relato, perché espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all'interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune agli associati (Cass. II, n. 10366/2020).

Con riferimento all'estensione del divieto, si è precisato che i divieti assoluti di utilizzabilità previsti dal codice di procedura penale in tema di prove, trovano applicazione anche per gli indizi posto che questi sono pur sempre una probatio sia pur minor. Conseguentemente una dichiarazione su voci correnti, inutilizzabile ex art. 194 comma terzo c.p.p., è del tutto inidonea a costituire riscontro esterno ad accuse rese da altri al fine di dare compiuta ragione della sussistenza della gravità degli indizi richiesti dal primo comma dell'art. 273 c.p.p. per l'applicazione di una misura cautelare personale (Cass. I, n. 4653/1994).

Segue . Divieto di apprezzamenti personali

In tema di prova testimoniale, il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone è persona particolarmente qualificata, che riferisce su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attività, giacché, in tal caso, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (Cass. II, n. 4128/2020: fattispecie in tema di detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto, in cui la S.C. ha ritenuto correttamente acquisita e valutata dal giudice di merito la deposizione di un ispettore dell'azienda titolare del marchio, all'esito dell'accertamento di natura tecnica effettuato; Cass. III, n. 29891/2015: nella specie, la Corte ha rilevato che la contraffazione di marchi, modelli e segni distintivi ben può essere accertata in via testimoniale mediante escussione di soggetti qualificati, in virtù delle conoscenze acquisite nel corso di abituale e specifica attività).

Il divieto di apprezzamenti personali del testimone non è riferibile ai fatti direttamente percepiti dallo stesso, al quale, a causa della speciale condizione di soggetto qualificato, per le conoscenze che gli derivano dalla sua abituale e specifica attività, non può essere precluso di esprimere apprezzamenti, se questi sono inscindibili dalla deposizione sui fatti stessi (Cass. II, n. 44326/2010: nella specie la S.C. ha rilevato che la contraffazione di marchi, modelli e segni distintivi ben poteva essere accertata in via testimoniale mediante escussione di soggetti qualificati, in virtù delle conoscenze acquisite nel corso di abituale e specifica attività).

Intercettazioni

In giurisprudenza si è registrato un contrasto sulla legittimità della testimonianza sul contenuto di intercettazioni telefoniche: in passato, infatti, l'orientamento prevalente era nel senso della inutilizzabilità o della nullità assoluta.

  Secondo tale orientamento, in tema di intercettazioni telefoniche, il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato solo mediante la trascrizione delle registrazioni. Ne consegue che sono illegittimi l'ordinanza di ammissione della testimonianza e l'esame del teste ed è priva di valore probatorio la conseguente deposizione quando oggetto della testimonianza sia il contenuto di intercettazioni telefoniche non documentato mediante la trascrizione prevista dall'art. 268 c.p.p. (Cass. IV, n. 9797/2001).

La deposizione testimoniale sul contenuto di intercettazioni telefoniche, pur non inutilizzabile, è tuttavia affetta da nullità di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., rilevabile nei tempi previsti dal capoverso dell'art. 182 e dall'art. 180 c.p.p. (Cass. V, n. 20824/2013).

In tale solco è stata ritenuta viziata per mancanza di motivazione la sentenza che abbia fondato l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato esclusivamente sulle deposizioni testimoniali di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria aventi ad oggetto il contenuto delle conversazioni intercettate, prescindendo totalmente dalla valutazione anche di quest'ultime, che, nella loro oggettività, costituiscono pur sempre la fonte di prova fondamentale (Cass. VI, n. 29725/2003: nel caso di specie, le conversazioni intercettate risultavano di difficile decifrabilità e di incerta attribuzione).

L'orientamento prevalente ha ormai superato tale interpretazione, affermando che il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche mediante deposizione testimoniale (Cass. II, n. 13463/2013; Cass. VI, n. 25806/2014); non è necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova è costituita dalla bobina o dalla cassetta, e, d'altro canto, l'art. 271, comma 1, c.p.p. non richiama la previsione dell'art. 268, comma 7, c.p.p. tra le disposizioni la cui inosservanza determina l'inutilizzabilità; si rileva, infine, che la mancata trascrizione non è espressamente prevista né come causa di nullità, né è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall'art. 178 c.p.p. (Cass. I, n. 41632/2019).

In tema di intercettazioni, l'inutilizzabilità ex art. 270, comma 1, c.p.p. degli esiti dell'attività di captazione in procedimenti diversi da quello in cui è stata disposta riguarda i risultati probatori conseguiti con tale specifico mezzo di prova, ma non esclude che i medesimi risultati possano essere ottenuti con un mezzo di prova diverso, sicché non sono affette da invalidità derivata le deposizioni rese dagli interlocutori, cui sia stata data lettura delle conversazioni intercettate in ausilio alla memoria, in quanto essi, nel riferire quanto personalmente detto o ascoltato, diventano fonte di sommarie informazioni testimoniali (Cass. VI, n. 1007/2020).

Premesso che il diritto alla riservatezza e segretezza delle comunicazioni telefoniche, costituzionalmente garantito dall'art. 15 Cost., non impedisce alla persona destinataria della comunicazione stessa di rivelarne il contenuto in occasione di deposizione testimoniale, il cui unico limite è rinvenibile nel carattere di segretezza (professionale, di ufficio o di Stato) della comunicazione stessa, è stata, infine, affermata l'utilizzabilità della testimonianza della persona offesa in ordine all'orario ed al contenuto della conversazione telefonica intercorsa tra essa ed altro soggetto, a nulla rilevando l'eventuale inutilizzabilità dell'intercettazione (Cass. II, n. 45622/2003).

È stata ritenuta utilizzabile la testimonianza resa da colui che ascolti il colloquio in modalità viva voce (Cass. VI, n. 15003/2013, secondo cui non commette il reato di cui all'art. 615-bis c.p., né quello di cui agli articoli 617 e 623 c.p. colui che assiste ad una conversazione telefonica svoltasi fra altre persone, in quanto autorizzato da una delle stesse).

Anche ai fini dell'identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l'onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Cass. II, n. 12858/2017).

Infatti, qualora sia contestata l'identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati (Cass. VI, n. 18453/2012).

Individuazioni (personali o fotografiche)

L'individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, soggetta, alla stregua della deposizione testimoniale, alle regole processuali che consentono l'utilizzabilità in dibattimento di dichiarazioni rese da un teste nella fase delle indagini preliminari (Cass. II, n. 50954/2013. Fattispecie nella quale, nel corso dell'esame dibattimentale, al testimone, che si esprimeva sull'identificazione dell'imputato in termini dubitativi, venivano contestate le certezze sul punto manifestate nel corso delle indagini preliminari).

L'individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall'art. 213 c.p.p. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice (Cass. V, n. 23090/2020).

È ormai pacifico che l'individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari, confermata dal testimone che nel corso dell'esame dibattimentale abbia dichiarato di avere compiuto la ricognizione informale e reiterato il riconoscimento positivo, seppure in assenza delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, costituisca, nel rispetto del principio di non tassatività dei mezzi di prova, un accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudice, la cui affidabilità dipende dall'attendibilità del teste e della deposizione da questi resa (Cass. IV, n. 47262/2017).

La giurisprudenza osserva, peraltro, che le dichiarazioni della persona informata sui fatti (ivi comprese quelle della persona offesa) in ordine alle caratteristiche somatiche del soggetto riconosciuto, successive alla positiva individuazione fotografica, devono essere valutate alla luce della peculiare natura della dichiarazione ed impediscono, se i contenuti non si pongono in linea con gli esiti della precedente individuazione fotografica, automatici effetti caducatori di quest'ultima (Cass. II, n. 19730/2018); con maggior rigore, si è, infine, precisato che l'individuazione fotografica, quale prova atipica, ben può essere valorizzata dal giudice, nell'ambito del suo libero convincimento, ai fini della dimostrazione dei fatti, ove sia accertata la credibilità della persona che, in sede di individuazione, si sia detta certa dell'identificazione operata (Cass. fer., n. 43285/2019: la S.C. ha anche evidenziato che non può farsi derivare l'inidoneità probatoria dell'individuazione dalla mancata previsione della partecipazione del difensore all'assunzione dell'incombente, in quanto essa è coerente con il principio secondo cui l'assistenza del difensore è necessaria solo per gli atti investigativi che richiedono la presenza dell'indagato).

Casistica

  Le dichiarazioni rese dalla vittima di abuso sessuale affetta da ritardo mentale non sono di per sé inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto (Cass. III, n. 46377/2013); analogamente, si è ritenuto che le dichiarazioni rese dalla vittima del reato affetta da deficit psichico non siano di per sé inattendibili, ma obblighino il giudice a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione ed a ricercare eventuali elementi esterni di supporto (Cass. II, n. 21977/2017: fattispecie relativa alle dichiarazioni rese da un soggetto con ritardo mentale rilevante, vittima del reato di circonvenzione d'incapace).

Il contenuto rappresentativo di un documento può essere provato anche attraverso una testimonianza, ed il grado di minore affidabilità della prova dichiarativa non implica l'inutilizzabilità di quest'ultima (Cass. V, n. 38767/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto ammissibile ed utilizzabile la testimonianza resa da un operatore di polizia giudiziaria sui fatti oggetto di videoriprese non acquisite agli atti del giudizio di merito).

In tema di patologie asbesto correlate, l'esistenza e l'entità dell'esposizione ad amianto può essere dimostrata anche attraverso la prova testimoniale, in quanto il vigente sistema processuale penale non conosce ipotesi di prova legale e, anche nei settori in cui sussistono indicazioni normative di specifiche metodiche per il rilievo di valori soglia, il relativo accertamento può essere dato con qualsiasi mezzo di prova (Cass. IV, n., 16715/2018).

In tema di reati riguardanti la prevenzione del rischio sismico, si è ritenuto che l'individuazione dei comuni e delle aree sottoposte alla legislazione antisismica non costituisca valido tema di prova, in quanto gli ambiti territoriali in questione sono definiti da norme poste da fonti secondarie di diritto oggettivo, che è dovere del giudice conoscere in applicazione del principio iura novit curia (Cass. III, n. 36712/2019).

In tema di guida in stato di ebbrezza, la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale, può essere data mediante la deposizione dell'agente operante, con la conseguenza che l'unico profilo suscettibile di valutazione giudiziale è quello relativo all'attendibilità di tale testimonianza, anche in ordine alle ragioni della mancata verbalizzazione (Cass. IV, n. 18349/2021).

In applicazione del principio secondo cui le dichiarazioni di un testimone (anche se si tratti della persona offesa), per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltreché avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati, con la conseguenza che, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi, esse non necessitano di riscontri esterni, funzionali soltanto al vaglio di credibilità del testimone, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per addestramento personale ad attività finalizzate al terrorismo islamico sul fondamento delle decisive dichiarazioni di un compagno di cella del predetto, che aveva riferito della sua radicalizzazione e delle sue esortazioni ad andare a combattere per la causa “jihadista”, omettendo di preliminarmente esaminare la questione della credibilità soggettiva del testimone nonostante che questi, prima dell'arresto dell'imputato, avesse rinnegato l'Islam per abbracciare la fede cristiana (Cass. I, n. 7898/2020).

Il principio secondo cui il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto in via generale dall'art. 194 comma terzo c.p.p., non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata, che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacché in tal caso l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto, è stato affermato con riferimento:

– ad una fattispecie relativa alla deposizione di una testimone, appartenente alla polizia scientifica, che aveva eseguito accertamenti tecnici relativi alla contraffazione di passaporti, visti e timbri (Cass. V, n. 38221/2008);

– ad una fattispecie in cui il testimone, in un procedimento per i reati di truffa e falso in titoli di credito, aveva affermato, a proposito di un assegno bancario, che era una riproduzione fotostatica idonea a trarre in inganno il beneficiario del titolo (Cass. II, n. 12942/2007);

– alla deposizione di un teste, particolarmente qualificato per la sua preparazione professionale di medico veterinario, fosse stata correttamente acquisita e valutata dal giudice di merito in tema di maltrattamento di animali) (Cass. III, n. 1247/1999);

– ad una fattispecie relativa a deposizione di un ispettore della polizia stradale circa l'originario colore della carrozzeria di un autoveicolo ricettato (Cass. II, n. 2322/1996).  

Bibliografia

AA.VV., Il minorenne fonte di prova nel processo penale, a cura di Cesari, Milano, 2005; AA.VV., Il testimone vulnerabile, a cura di Carponi Schittar, Milano, 2005; Aprile, La prova penale, Milano, 2002; Aprile - Silvestri, Strumenti per la formazione della prova penale, Milano, 2009, 307; Avanzini, La prova dichiarativa nel processo penale, in Foro ambr. 2004, 134; Balsamo, Art. 194, in Lattanzi-Lupo (a cura di), Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Milano, 2020, 67; Balsamo, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il principio del contraddittorio: fra tradizione e innovazione, in Cass. pen. 2006, 3017; Ramajoli, La prova nel processo penale, Padova, 1995; Tonini, La prova penale, Padova 1997; Tonini - Conti, Il diritto delle prove penali, Milano, 2012.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario