Codice di Procedura Penale art. 200 - Segreto professionale.Segreto professionale. 1. Non possono essere obbligati a deporre [245 2c trans.] su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria [331, 334]: a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici [222 4 coord.] e i notai (1); c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (2). 2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga. 3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione [195 7]. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni. (1) Lettera così sostituita dall'art. 4 l. 7 dicembre 2000, n. 397. (2) Per i consulenti del lavoro, v. art. 6 l. 11 gennaio 1979, n. 12; per i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali, v. art. 1 l. 5 dicembre 1987, n. 507; per i dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze, v. art. 120 7 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; per i giornalisti e gli editori v. art. 2 l. 3 febbraio 1963, n. 69; per gli assistenti sociali v. art. 1 l. 3 aprile 2001, n. 119. InquadramentoLa norma, nel disciplinare il segreto professionale, prevede un limite all'obbligo di rendere testimonianza, riconoscendo al professionista la facoltà di astenersi dal deporre. Gli interessi individuali tutelati dal segreto professionale corrispondono a situazioni che riguardano interessi di rilievo costituzionale, come l'interesse a professare la propria fede religiosa (artt. 8 e 19 Cost.), a difendersi in ogni tipo di processo (art. 24 Cost.), alla salute (art. 32 Cost.), ad esercitare la libertà di informazione (art. 21 Cost.). Tale segreto non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere eccepito dal soggetto chiamato a deporre; ove non sia stato opposto il segreto, la deposizione è comunque utilizzabile, a prescindere dalla eventuale rilevanza penale del fatto. Non è applicabile l'obbligo di avvisare il testimone della facoltà di astenersi, previsto dall'art. 199 per il ‘segreto familiare'. La tutela del segreto viene in rilievo anche ai fini della verifica della legittimità di sequestri e di intercettazioni. Questioni di legittimità costituzionaleLa Corte Costituzionale ha affermato che la tutela del segreto professionale dell'avvocato è invocabile anche dai praticanti avvocati, in considerazione del carattere oggettivo della protezione accordata, collegata all'attività forense esercitata. Non stata ritenuta fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 249 c.p.c., in relazione all'art. 200, e dell'art. 13 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), sollevata in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost., in quanto – premesso che, con riguardo alle professioni forensi, la complessiva disciplina del segreto e della correlativa facoltà di astenersi dal deporre in giudizio su quanto conosciuto in ragione dell'esercizio professionale non è diretta ad assicurare una condizione di privilegio personale a chi esercita una determinata professione, ma è invece destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa – la protezione del segreto, riferita a quanto conosciuto in ragione dell'attività forense svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione, assume carattere oggettivo, e, dunque, non può che estendersi anche a chi, essendo iscritto nei registri dei praticanti a seguito di delibera del Consiglio dell'ordine degli avvocati, adempie agli obblighi della pratica forense presso lo studio del professionista con il quale collabora. Peraltro, tale interpretazione delle disposizioni denunciate, coerente con le finalità che caratterizzano l'esclusione dell'obbligo di deporre, corrisponde ai criteri di bilanciamento, operato dal legislatore, tra dovere di testimoniare in giudizio e dovere di rispetto del segreto professionale da parte di chi adempie al ministero forense (Corte cost. n. 87/1997). Le categorie portatrici del segretoSono portatori del segreto: a ) i ministri di confessioni religiose: l'art. 200, comma 1. lett. a), tutela il c.d. segreto religioso, che si fonda sul diritto costituzionale della libertà religiosa dell'individuo, consacrata negli artt. 8 e 19 Cost.; non possono essere obbligati a deporre «i ministri di confessioni religiose»; la Chiesa cattolica è stata assimilata agli altri culti con il venir meno del suo ruolo di religione ufficiale dello Stato e si è aperta la protezione del segreto a tutte le confessioni religiose, escludendosi il richiamo ai culti ammessi nello Stato, al fine di impedire le interpretazioni restrittive affermatesi nella vigenza del codice abrogato; considerando la concorrenza della norma processuale con quella concordataria di cui all'art. 4 n. 4 dell'accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, recepito con l. 25 marzo 1985, n. 121, che attribuisce agli “ecclesiastici” il diritto di non deporre davanti a magistrati o ad altre autorità sulle informazioni conosciute per ragione del ministero, l'individuazione dei ministri della religione cattolica legittimati ad opporre il segreto si ritiene basata sulla coincidenza tra la categoria dei “ministri di culto” e quella degli “ecclesiastici”; ma vi è che sostiene la maggiore estensione della categoria degli ecclesiastici rispetto a quella dei ministri di culto, dovendosi far prevalere la norma concordataria, in quanto legge dotata di forza superiore; sono “ecclesiastici” i chierici ordinati in sacris, ossia i soggetti che hanno ricevuto il sacramento dell'ordine in almeno uno dei suoi tre gradi (diaconato, presbiterato, episcopato), restando esclusi coloro che hanno conseguito gli ordini inferiori (can. 207 § 1 c.j.c.); si discute se vi rientrino anche i religiosi (cioè coloro che hanno pronunziato i voti di castità, povertà e ubbidienza) che non abbiano ricevuto il sacramento dell'ordine; per le altre confessioni religiose si deve aver riguardo alle intese fra Stato e culti non cattolici (Varraso, cit.); b ) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati ed i consulenti tecnici, al fine di tutelare l'esercizio del diritto di difesa sancito dall'art. 24 comma 2 Cost., inteso anche quale attività giudiziale, extragiudiziale, di consulenza e di preparazione del procedimento dall'inizio del rapporto professionale (c.d. segreto ‘difensivo'); c ) i medici, i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche (ovvero, dopo il d. m. 14 settembre 1994, n. 744, anche gli ostetrici) e ogni altro esercente una professione sanitaria (c.d. segreto medico); d ) esercenti altri uffici o professioni, ai quali la legge riconosce il segreto professionale, compresi i giornalisti (c.d. segreto giornalistico) con i limiti di seguito precisati. Ambito e caratteristiche del segreto professionale L'eventuale presenza del segreto professionale su quanto conosciuto dal testimone per ragione del proprio ministero, ufficio o professione non può essere rilevata direttamente dal giudice, ma deve essere eccepita dallo stesso soggetto chiamato a deporre, nell'ipotesi in cui egli venga a trovarsi in una delle situazioni individuate dall'art. 200 (Cass. VI, n. 9866/2009). L'obbligo di avvisare il testimone della facoltà di astenersi, previsto dall'art. 199, comma secondo, c.p.p., in relazione ai prossimi congiunti dell'imputato, non è applicabile ai soggetti espressamente indicati nell'art. 200 c.p.p., a norma del quale essi non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (Cass. VI, n. 9866/2009. Fattispecie relativa alle dichiarazioni testimoniali rese in un procedimento civile da un legale chiamato a deporre su circostanze di cui era venuto a conoscenza per ragione della sua attività professionale). L'esimente di cui all'art. 384, comma 2, c.p., nella parte in cui prevede l'esclusione della punibilità se il fatto è commesso da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni o testimonianza, non si applica alle persone indicate nell'art. 200, alle quali è invece applicabile nel caso in cui esse siano state obbligate a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (Cass. VI, n. 9866/2009. Fattispecie relativa alle dichiarazioni testimoniali rese in un procedimento civile da un legale chiamato a deporre su circostanze conosciute per ragione della sua attività professionale). In materia di assistenza giudiziaria penale, sono utilizzabili le deposizioni testimoniali rese in sede di rogatoria all'estero da soggetti che, secondo la legge italiana, avrebbero potuto avvalersi del segreto professionale ex art. 200 (Cass. S.U. , n. 15208/2010 ). L'ordinamento processuale comprende, tra coloro che non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, gli investigatori privati autorizzati, categoria nella quale rientrano, con riguardo ad indagini effettuate all'estero, anche soggetti stranieri legittimati secondo l'ordinamento del proprio Paese, sempre che esistano disposizioni pattizie relative al riconoscimento del titolo. Anche per tali soggetti, qualora rifiutino di indicare la fonte delle informazioni poste ad oggetto della loro deposizione, è dunque esclusa la punibilità per il delitto di testimonianza reticente (Cass. VI, n. 7387/2005. Fattispecie relativa ad un investigatore privato elvetico, che aveva rifiutato di indicare, deponendo come teste in un procedimento civile, la fonte di informazioni patrimoniali acquisite in Svizzera; in motivazione la Corte ha posto tra l'altro in evidenza le norme che equiparano agli investigatori italiani quelli appartenenti a Paesi dell'Unione europea, e l'accordo intervenuto tra quest'ultima e la Confederazione elvetica relativamente al riconoscimento «dei diplomi, dei certificati e di altri titoli»). Il segreto “ministeriale”Il “segreto ministeriale”, previsto dall'art. 200 per tutti i ministri delle confessioni religiose nonché, per i ministri di culto cattolico, anche dall'art. 4, l. 25 marzo 1985 n. 121 di ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra lo Stato italiano e la Santa Sede, non comprende solo le notizie apprese nel sacramento della confessione, ma tutte quelle acquisite nell'ambito delle attività connesse all'esercizio del ministero religioso, con esclusione delle informazioni di cui si è avuta conoscenza nell'ambito dell'attività “sociale” svolta dagli ecclesiastici (Cass. VI, n. 6912/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha rigettato i ricorsi proposti dagli imputati, rispettivamente una suora e un sacerdote, condannati per il reato di falsa testimonianza, ritenendo escluse dal segreto ministeriale le informazioni apprese da una giovane, vittima di reiterate violenze sessuali di gruppo, che si era rivolta al sacerdote chiedendo aiuto ed era stata da questo affidata alla suora). In tema di prova testimoniale, non può essere invocato il segreto professionale da chi abbia svolto funzioni di cancelliere o notaio o da chi in altra veste, nell'ambito di un giudizio ecclesiastico di nullità matrimoniale, sia stato presente o abbia avuto conoscenza dei dati di cui si chiede la prova, non rilevando per l'ordinamento italiano l'eventuale obbligo di segreto previsto dal codice di diritto canonico la cui violazione, se pur rilevante in rapporto alle regole della fede religiosa, non assume significato nel processo penale italiano, nel quale i casi di segreto professionale e d'ufficio presi in considerazione sono solo quelli previsti dagli artt. 200 e 201 c.p.p. Pertanto, si è affermato che, poiché la funzione di giudice ecclesiastico non rientra nell'ambito del ministero sacerdotale stricto sensu, ma nell'esercizio delle attività “laiche” esercitate da persone che abbiano conoscenza tecnica del diritto canonico e capacità di applicazione in concreto delle norme processuali, non sussiste alcun vincolo o divieto a testimoniare per il giudice ecclesiastico delegato all'istruzione nella causa per la dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario su fatti dei quali egli sia venuto a conoscenza per ragioni o a causa dell'esercizio di tale funzione, salva la possibilità di eccepire, dinanzi al giudice penale, ricorrendone le condizioni, il segreto professionale su fatti, comportamenti o notizie acquisiti attraverso l'intreccio della funzione giudiziaria con quella di ministro del culto (Cass. V, n. 22827/2004). In tema di favoreggiamento personale, poiché l'art. 4 dell'accordo tra Stato e Chiesa cattolica, ratificato con legge 25 marzo 1985 n. 121, prevede che gli ecclesiastici non sono tenuti a fornire a magistrati a ad altre autorità informazioni su persone o materie di cui sono venuti a conoscenza per ragioni del loro ministero, non è punibile il sacerdote cattolico che, avendo così appreso notizie su persona che abbia svolto un ruolo nella protezione di un latitante, fornisca all'autorità giudiziaria informazioni incomplete, senza che sia consentito distinguere tra la semplice reticenza e le dichiarazioni non veritiere (Cass. V, n. 27656/2001). Il segreto degli avvocatiLa testimonianza resa da un difensore, in violazione dei doveri deontologici in tema di segreto professionale, è utilizzabile, non integrando una violazione di disposizioni processuali previste a pena di inutilizzabilità (Cass. VI, n. 15003/2013). Il consenso prestato dall'imputato alla testimonianza dell'avvocato che abbia svolto attività difensiva nel suo interesse non fa comunque venir meno il segreto professionale e la facoltà del difensore di astenersi dal deporre su quanto appreso nello svolgimento del suo ufficio (Cass. I, n. 46207/2021). Si è ritenuto che non sussista l'incompatibilità a testimoniare del legale che, dopo aver dismesso l'ufficio di difensore dell'imputato e senza aver compiuto atti d'investigazione difensiva nell'interesse di quest'ultimo, abbia assunto, nello stesso procedimento, la veste di testimone, precisando che le dichiarazioni dallo stesso rese non sono inutilizzabili, poiché la scelta di non opporre il segreto professionale può eventualmente rilevare soltanto sotto un profilo deontologico (Cass. V, n. 16255/2010; conforme, Cass. II, n. 22954/2017: fattispecie in cui la S.C. ha escluso che fosse applicabile la previsione di cui all'art. 197, comma 1, lett. d), c.p.p., nell'ipotesi di testimonianza “assistita” resa da soggetto che era stato avvocato di fiducia dell'imputato nel primo grado di giudizio e, dopo essere stato arrestato per altri fatti, aveva deciso di collaborare con la giustizia rendendo dichiarazioni accusatorie con le garanzie difensive, ai sensi dell'art. 197-bis, comma 2, c.p.p., nonostante fosse stato anche avvertito della possibilità di avvalersi del segreto professionale). Sono inutilizzabili, ai sensi dell'art. 195, comma 6, c.p.p., le dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa in ordine a fatti appresi dal proprio difensore che, al momento della sua audizione come testimone, ha opposto il segreto professionale, senza che ricorrano le eccezioni previste dalla predetta norma (Cass. V, n. 29495/2018: nella fattispecie, la Corte ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito di aver saputo dal proprio difensore di un'offerta risarcitoria avanzata da parte dell'imputato, dato che il difensore aveva opposto il segreto professionale e non risultava che questi avesse deposto sugli stessi fatti o li avesse in altro modo divulgati). Il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, stabilito dall'art. 271, comma secondo, c.p.p., è posto, tra gli altri, a tutela dell'avvocato (come degli altri soggetti indicati nell'art. 200, comma primo, c.p.p.) e dell'esercizio della sua funzione, ancorché non formalizzato in un mandato professionale, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un avvocato venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto del quale non sia difensore. Ne consegue che detto divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati nell'art. 200, comma primo, c.p.p. e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata, a nulla rilevando il fatto che si tratti di intercettazione indiretta (Cass. V, n. 17979/2013. Fattispecie in cui la S.C. ha censurato la decisione del giudice di merito il quale era pervenuto alla conclusione dell'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni delle conversazioni dell'imputato con un avvocato, distinguendo tra fatti conosciuti da quest'ultimo in quanto difensore in un procedimento civile e fatti di cui avrebbe conosciuto come 'amico', esulanti dal divieto in questione, non considerando che la ragione della conoscenza di detti fatti era pur sempre data dal rivestire la qualità di avvocato e che proprio in quanto tale egli forniva consigli all'imputato). In tema di intercettazioni, il divieto di utilizzazione stabilito dall'art. 271, comma 2, c.p.p. sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate, anche se indirette, siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, c.p.p., ancorché non formalizzata in un mandato, e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata (Cass. V, n. 31548/2021. Fattispecie in cui la Corte ha censurato l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato la misura cautelare applicata nei confronti di un avvocato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ritenendo utilizzabili gli esiti delle intercettazioni di conversazioni con un cliente attinenti allo svolgimento del mandato difensivo). Il segreto dei giornalistiLa tutela apprestata al segreto giornalistico è diversa rispetto agli altri segreti professionali, perché la protezione è circoscritta all'identità della fonte, e perché i poteri giudiziali di sindacare il segreto e ordinare la deposizione sono più penetranti; inoltre, la tutela del segreto giornalistico è limitata ai giornalisti professionisti, con esclusione dei giornalisti pubblicisti. La tutela del segreto giornalistico ha ricevuto una significativa valorizzazione nella giurisprudenza della Corte EDU, che, sul rilievo secondo cui la libertà di stampa (e di informazione in generale) assume il ruolo di “watch-dog” (cane da guardia) nelle società democratiche, ha tradizionalmente riconosciuto ampia tutela alle fonti giornalistiche, considerata “una delle pietre angolari della libertà di stampa”; sicché gli ordini di divulgazione delle fonti sono ritenuti convenzionalmente legittimi soltanto se giustificati da una “pressante necessità sociale” (Corte EDU, Grande Camera, caso Goodwin c. Regno Unito, 27/03/1996; di recente, con riferimento alle c.d. intercettazioni di massa, Corte EDU, Grande Camera, caso Big Brother Watch c. Regno Unito, 25/05/2021) (in tema, amplius, Riccardi, 878 ss.). Il segreto dei giornalisti professionisti è circoscritto all'indicazione del nome della fonte, nel cui ambito rientra qualsiasi indicazione che possa portare ad individuare la stessa (Cass. I, n. 25755/2007). Non commette il reato di false dichiarazioni al pubblico ministero (art. 371-bis c.p.) il giornalista che si astiene dal deporre opponendo il segreto professionale in ordine all'indicazione di informazioni (nella specie, le utenze telefoniche) che possono condurre all'identificazione di coloro che gli hanno fornito fiduciariamente le notizie (Cass. VI 22397/2004). La giurisprudenza ritiene che la previsione della possibilità di costringere il dichiarante ad indicare la fonte dell'informazione (art. 200, comma 3) non trova applicazione nella fase delle indagini preliminari bensì nel solo giudizio (Cass. VI, n. 5782/2020). La tutela del segreto giornalistico viene in rilievo anche ai fini della verifica dei provvedimenti di perquisizione e sequestro. Al riguardo, si è affermato che l'acquisizione di atti e documenti nella disponibilità di un giornalista non indagato presuppone la richiesta di esibizione delle cose ritenute pertinenti, sicché si potrà procedere a perquisizione solo in caso di rifiuto o atteggiamento elusivo quando sussistono i presupposti dell'indispensabilità della notizia ai fini della prova del reato per cui si procede; si è altresì chiarito che l'esecuzione di una perquisizione e sequestro nei confronti di una delle persone indicate dagli art. 200 e 201 c.p.p. non deve essere preceduta dall'avvertimento della facoltà di opporre il segreto professionale (nella specie connesso all'attività di giornalista) o di ufficio e può dunque essere eseguita nelle forme ordinarie, senza ulteriori limitazioni sino all'opposizione per “iscritto” del limite (Cass. VI, n. 9989/2018). Di particolare rilievo è il criterio della proporzionalità nell'adozione dei provvedimenti reali nei confronti dei giornalisti, a tutela del segreto loro riconosciuto. Il sequestro probatorio nei confronti di un giornalista avente ad oggetto atti e documenti relativi all'esercizio della sua attività professionale deve conformarsi con rigore al criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini ex art. 200, comma 3 c.p.p. e art. 10CEDU come interpretato dalla Corte EDU, evitando quanto più è possibile interventi invasivi nella sfera professionale (Cass. VI, n. 9989/2018: fattispecie in cui è stato ritenuto illegittimo il sequestro indiscriminato di supporti telefonici ed informatici ad un giornalista, alla sua convivente ed alla sua ex moglie; Cass. II, n. 48587/2011: fattispecie in cui è stato ritenuto illegittimo il sequestro di supporti telefonici ed informatici ad un giornalista). È illegittimo il ricorso alla perquisizione e al sequestro di sistema informatico in uso ad un giornalista al fine di acquisire i nomi delle persone dalle quali il medesimo ha avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della sua professione, salvo che non siano contestualmente esplicitate le ragioni per le quali si ritenga che tali notizie siano indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e che la loro veridicità possa essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte di esse, atteso quanto disposto dall'art. 200, comma terzo, c.p.p., e dall'art. 10C.E.D.U. come interpretato dalla Corte E.D.U. (Cass. VI, n. 24617/2015. Fattispecie di perquisizione di personal computer di giornalista, in cui la Corte ha ritenuto corretta la procedura di esame ed estrazione, mediante stampa fisica e duplicazione, dei soli dati di interesse presenti nell'archivio del sistema). Controllo del giudice sulla fondatezza della dichiarazione di astensioneNon è ricorribile per cassazione, né altrimenti autonomamente impugnabile, il provvedimento con il quale il giudice, ritenendo infondata l'opposizione del segreto professionale da parte del testimone, ordini allo stesso di deporre (Cass. VI, n. 7440/2017; Cass. II, n. 13369/2011). CasisticaIn applicazione del principio secondo cui il sequestro probatorio disposto nei confronti di un giornalista professionista deve rispettare con particolare rigore il criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo di cui egli è destinatario e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini, evitando quanto più è possibile indiscriminati interventi invasivi nella sua sfera professionale, è stato ritenuto illegittimo il sequestro del computer in uso ad una giornalista e dell'area del “server” dalla stessa gestita, con la conseguente acquisizione dell'intero contenuto dell'“hard disk” e di un'intera cartella personale presente nell'area del sistema operativo (Cass. VI, n. 40380/2007; analogamente Cass. VI, n. 31735/2014, che, in una fattispecie relativa ad un procedimento contro ignoti per il reato di cui all'art. 326 c.p. in relazione alla divulgazione della notizia di riunioni tenutesi presso la D.N.A., ha ritenuto illegittimo il sequestro di “computer”, “pen drive”, DVD, lettore MP3 ecc. in uso ad un giornalista e, invece, legittimo il sequestro dei documenti intestati “D.N.A.”, anch'essi detenuti dal medesimo professionista). BibliografiaCorso, Il “segreto professionale” tra vecchio e nuovo codice di procedura penale, in Riv. dir. civ. 1989, 185; Erbani, Processo penale e obblighi del giornalista, in Quest. Giust. 2001, 791; Giunchedi, La testimonianza dell’avvocato tra accertamento della verità e segreto professionale, in Proc.pen.giust. 2002, n. 5, 1236; Grifantini, Il segreto difensivo nel processo penale, Torino, 2001; Grilli, La pubblicazione degli atti e il segreto professionale del giornalista, in Giust. pen. 1990, fasc. III; Jesu, Esclusione dell’obbligo di avvertimento per il professionista chiamato a testimoniare, in Dir. pen. e proc. 2010, 323; Morisco, Il segreto professionale del giornalista nel processo penale, in Giust. pen. 2005, III, 283; Riccardi, Libertà di espressione. Commento all’art. 10 CEDU, in La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, Commentario diretto da Beltrani, Torino, 2022, 850; Sisto, Mezzi di ricerca della prova ‘intrusivi’ e diritto alla riservatezza del giornalista: il ruolo guida del principio di proporzionalità, in Proc.pen.giust. 2021, n. 5, 1218; Varraso, Commento all’art. 200, in Commento al Codice di procedura penale, a cura di Canzio - Tranchina, t. I, Milano, 2012. |