Codice di Procedura Penale art. 209 - Regole per l'esame.

Piercamillo Davigo
Giuseppe Riccardi

Regole per l'esame.

1. All'esame delle parti si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 198, comma 2, e 499 e, se è esaminata una parte diversa dall'imputato, quelle previste dall'articolo 195.

2. Se la parte rifiuta di rispondere a una domanda, ne è fatta menzione nel verbale [136].

Inquadramento

L'esame è un mezzo di prova cui possono essere sottoposte tutte le parti private del processo, se lo richiedono o vi consentono: l'imputato, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.

La disciplina dell'esame delle parti si ricava dalle norme sulla testimonianza alle quali l'art. 209 rinvia.

Il richiamo dell'art. 194 delimita l'oggetto e i limiti della deposizione, nel senso che l'esame verte sui fatti che possono costituire oggetto di prova, compresa la credibilità della persona sottoposta ad esame. Si ritiene che, benché non espressamente richiamato, si applichi anche l'art. 472 comma 3-bis per l'esame della persona offesa costituita parte civile nei procedimenti per delitti di violenza sessuale.

Il rinvio all'art. 198, comma 2, estende all'esame delle parti il privilegio contro l'autoincriminazione, consentendo di mantenere il silenzio su fatti autoincriminanti senza che tale contegno possa essere oggetto di sindacato del giudice.

Tuttavia, in dottrina si è evidenziato che la parte esaminata non un obbligo di veridicità, e quindi di rispondere; l'esigenza di negare il diritto al silenzio si pone solo nei confronti di colui cui si richieda un contributo informativo, e una dichiarazione può avere “funzione informativa” solo se chi la rende è obbligato a “rispondere secondo verità”, come il testimone; altrimenti la sua dichiarazione può avere solo una “funzione perorativa” o “persuasiva”, ma non informativa. Pertanto, il richiamo all'art. 198, comma 2 è superfluo, in quanto le parti hanno comunque sempre la possibilità di non rispondere, né sono obbligate a dire la verità. Né si può ritenere che tale disposizione possa riverberare sull'obbligo di menzione nel verbale della mancata risposta, poiché il verbale deve necessariamente essere completo. Pertanto, la disposizione assume rilievo per escludere che si possano trarre valutazioni negative dal rifiuto di rispondere a domande auto incriminanti (Nappi, Parte II, Cap. XI, § 45.2.1.).

Il richiamo all'art. 499, pure già richiamato dall'art. 503, estende l'applicazione delle regole per l'esame incrociato, secondo le scansioni dell'esame, controesame, riesame e domande del giudice.

In caso di richiesta concorrente di esame da parte dell'imputato e del P.M., poiché l'art. 503 c.p.p. non contempla il caso, l'ordine di escussione previsto dal comma secondo va integrato con quello di cui all'art. 496, comma primo, c.p.p., che assegna la precedenza alla pubblica accusa, in quanto l'esame richiesto dal Pubblico Ministero può essere qualificato come mezzo di prova a carico dell'imputato stesso (Cass. I, n. 30286/2002).

Il richiamo all'art. 195, infine, restringe l'applicazione delle regole sulla testimonianza indiretta all'esame della parte civile, del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, che devono, pertanto, indicare la fonte primaria, qualora riferiscano notizie apprese da altri.

L'esame dell'imputato e le dichiarazioni indirette

La norma prevede un regime giuridico differente per l’imputato, al quale viene riconosciuto il ‘privilegio’ di rendere dichiarazioni de relato senza indicare la fonte primaria quale requisito di utilizzabilità.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’imputato che, nel corso del suo esame, riferisca circostanze di fatto confidategli da terzi relativi a profili di altrui responsabilità va equiparato – in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 209 – all’imputato di procedimento connesso, di cui all’art. 210, con conseguente applicazione delle regole di cui all’art. 195 (Cass. S.U., n. 20804/2012).

Il rifiuto di rispondere alle domande

Il secondo comma della disposizione prevede che si faccia menzione nel verbale del rifiuto della parte di rispondere a domande, ma non è chiaro quale valenza tale menzione abbia con riferimento all'imputato (ma anche al responsabile civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria), in considerazione della “funzione perorativa”, e non “informativa” della dichiarazione, e del diritto al silenzio riconosciuto.

Sul valore probatorio attribuibile al rifiuto dell'imputato di rispondere sono emersi differenti indirizzi interpretativi.

 Secondo un primo orientamento, in tema di libero convincimento, al giudice non è precluso di valutare la condotta processuale dell'imputato coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli ben può considerare, in concorso di altri elementi, la portata significativa del silenzio serbato su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (Cass. VI, n. 28008/2019; Cass. II, n. 22651/2010). In virtù del principio nemo tenetur se detegere, l'imputato può non rispondere su fatti leggibili contra se e negare la propria responsabilità anche contro l'evidenza; tuttavia, al giudice non è precluso valutare la condotta processuale del giudicando, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del libero convincimento, può ben considerare, in concorso di altre circostanze (nella specie la sorpresa in flagranza di reato dell'imputato ad opera della polizia), la portata significativa del silenzio mantenuto dall'imputato, su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (nella specie la mancata giustificazione della propria presenza all'interno di una scuola elementare in cui era stato sorpreso insieme ad altri a smontare infissi) (Cass. V, n. 12182/2006).

In tale solco si è affermato che il silenzio, garantito all'imputato come oggetto di un suo diritto processuale, non può essere utilizzato, in contrasto con tale garanzia, quale tacita confessione di colpevolezza. Ciò, però, non può comportare una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice sicché la convinzione di reità può legittimamente basarsi sulla valorizzazione in senso probatorio di idonei elementi in ordine ai quali il silenzio dell'imputato viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo (Cass. IV, n. 3241/1996).

Secondo un diverso orientamento, invece, non è consentito al giudice desumere, dalla rinuncia dell'imputato a rendere l'interrogatorio, elementi o indizi di prova a suo carico, atteso che allo stesso è riconosciuto il diritto al silenzio e che l'onere della prova grava sull'accusa (Cass. VI, n. 8958/2015; Cass. III, n. 9239/2010).

Peraltro, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione è indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito (Cass. S.U. , n. 36258/2012 . Fattispecie nella quale il diniego delle predette circostanze attenuanti era stato motivato evidenziando il censurabile comportamento processuale dell'imputato, improntato a reticenza ed ambiguità).

Tuttavia, l'esercizio di facoltà processuali dell'imputato non può essere valutato come parametro ai sensi dell'art. 133 c.p. per negare le circostanze attenuanti generiche (Cass. III, n. 3396/2017. In applicazione del principio la Corte ha ritenuto illegittimo il diniego da parte del giudice di merito delle circostanze attenuanti generiche in ragione del comportamento processuale dell'imputato, che aveva presentato opposizione assolutamente immotivata al decreto penale di condanna).

 

Bibliografia

Aprile, Per la Corte costituzionale gli avvisi di garanzia previsti dall’art. 64 c.p.p. vanno dati anche all’imputato prima dell’inizio del suo esame dibattimentale, in Nuovo dir. 2003, 601; Barrocu, Chiamata in correità de relato: il libero convincimento del giudice come “cavallo di Troia” per il recupero del sapere investigativo, in Dir. pen. e proc. 2013, 1437; Ciani, L’esame delle parti: profili strutturali e valenza probatoria, in Cass. pen. 1994, 2264; Di Bitonto, Esame dibattimentale e garanzie difensive dell’imputato, in Cass. pen. 2012, 4348; Felicioni, Brevi osservazioni sull’esame dibattimentale dell’imputato: l’operatività del diritto al silenzio, in Cass. pen. 1992, 9; Ferrua, Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992; Lopez, Le attenuanti generiche e il silenzio dell’imputato, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1999, 1121; Mazza, Interrogatorio ed esame dell’imputato: identità di natura giuridica e di efficacia probatoria, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1994, 821; Moscarini, L’esame del coimputato dopo la l. 7 agosto 1997, n. 267: dal suo parziale silenzio al regime delle contestazioni, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1998, 65; Nappi, Nuova guida al Codice di procedura penale, Lanciano, 2022.

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