Codice di Procedura Penale art. 213 - Ricognizione di persone. Atti preliminari. [ 147 ter att.]Ricognizione di persone. Atti preliminari. [147 ter att.] 1. Quando occorre procedere a ricognizione personale [392], il giudice [361] invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento. 2. Nel verbale [136] è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese. 3. L'inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità [181] della ricognizione. InquadramentoLa ricognizione è l'atto con il quale un soggetto procede al riconoscimento di persone o cose attraverso uno o più sensi (vista, udito, odorato, tatto, gusto). La ricognizione di persona è usualmente riferita ad un riconoscimento visivo effettuato, previa descrizione della persona da riconoscere, attraverso dichiarazioni di identità o meno della persona su cui si effettua la ricognizione con quella precedentemente vista e descritta dal soggetto che effettua la ricognizione, sia egli persona informata sui fatti, testimone, anche assistito, imputato o indagato in procedimento connesso. La ricognizione di cui agli artt. 213 e 214 è pertanto preceduta dalla descrizione della persona ed è effettuata collocando la persona sottoposta a ricognizione con altre aventi somiglianza. Tale ricognizione deve essere tenuta distinta tanto dall'individuazione fotografica o personale quanto dal riconoscimento operato in dibattimento. Nella ricognizione formale il giudice, a pena di nullità relativa, deve chiedere al soggetto attivo se abbia già visto personalmente o in foto la persona da riconoscere o se gli sia sta indicata e quanto altro possa influire sulla ricognizione. Dell'atto deve essere redatto verbale. La ricognizione può avvenire anche con incidente probatorio quando ricorrono ragioni di urgenza. Questioni di legittimità costituzionaleL'atto dichiarativo di ricognizione proveniente da un imputato è assimilabile all'esame, sicché resta garantito il diritto al silenzio, in ossequio al principio nemo tenetur se detegere. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 213 in quanto è pacifico in dottrina e giurisprudenza che, quando la persona chiamata alla ricognizione sia coimputato o imputato in un procedimento connesso, egli è assistito dal diritto al silenzio, che è un principio cardine del nostro sistema processuale penale. Perciò è arbitrario equiparare la ricognizione alla testimonianza prescindendo dalla considerazione della qualità del soggetto attivo dell'atto; invero mentre chiamato alla testimonianza non può essere altri che un testimone, vale a dire persona disinteressata ai fatti per cui si procede, soggetto attivo della ricognizione può essere tanto un testimone, quanto un coimputato, con la conseguenza che in quest'ultimo caso l'atto dichiarativo di ricognizione è assimilabile semmai all'esame (Corte cost. n. 267/1994). La ricognizione di personaUna ricognizione personale soggettivamente certa ed oggettivamente attendibile è prova sufficiente per l'affermazione della responsabilità; essa può essere inficiata da dati certi idonei a contrastarla, ma non da mere supposizioni né da un alibi rimasto sfornito di prova e la cui prova sia ritenuta dubbia (Cass. II, n. 10141/1995). L'individuazione della persona può essere acquisita anche mediante l'assunzione di una testimonianza, perché la ricognizione formale di cui all'art. 213 non è, per il principio della non tassatività dei mezzi di prova, l'unico strumento probatorio idoneo al fine (Cass. II, n. 3635/2006). Per l'espletamento della ricognizione di persona nei confronti dell'imputato è necessaria, evidentemente, la sua presenza fisica. Al riguardo, in dottrina si è sostenuto che i poteri coercitivi del giudice possono riguardare sia il soggetto attivo della ricognizione, il ‘testimone', sia l'imputato assente, ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p.p. (Triggiani, La ricognizione personale: struttura ed efficacia, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1996, 751). Anche in giurisprudenza si è chiarito che il giudice può disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato assente: poiché l'art. 490 consente al giudice di disporre l'accompagnamento coattivo «dell'imputato assente [o contumace], quando la sua presenza è necessaria per l'assunzione di una prova diversa dall'esame», lo «status» di contumace a differenza di quanto implicava l'omologo art. 429 c.p.p. del 1930, non costituisce più un impedimento all'attivazione di questo strumento di coercizione processuale, avendo il legislatore inteso assicurare comunque il soddisfacimento delle esigenze probatorie alla cui tutela è predisposta la norma recata dall'art. 490, che consente l'accompagnamento quando il giudice ravvisi la necessità della presenza dell'imputato per l'assunzione di una qualsiasi prova diversa dall'esame (essendo, quest'ultimo, un mezzo di prova non coercibile). Data questa generica indicazione del legislatore circa gli atti che possono legittimare l'accompagnamento, il fatto che questo fosse stato disposto per effettuare una ricognizione formale, non più espletatasi dopo il riconoscimento informale, non è circostanza idonea ad invalidare quest'ultimo elemento di prova (Cass. VI, n. 9877/1998). Il regime delle contestazioni di cui all'art. 500 è applicabile anche alla ricognizione in quanto la stessa costituisce, pur sempre, una deposizione, sia pure riproduttiva di una percezione visiva (Cass. II, n. 10388/1995). In tema di incidente probatorio , le ragioni di urgenza, che, a termini della lett. g) dell'art. 392 nuovo c.p.p., possono consigliare l'anticipazione della ricognizione, non possono non ricomprendere, per l'«eadem ratio», quel pericolo di interferenze fuorvianti che la norma esplicita nella lett. b) per la testimonianza, ma che non sono meno congetturabili quanto alla ricognizione, atteso il rilevante e spesso determinante valore che questa può assumere nella formazione della prova (Cass. I, n. 8508/1992). Non è nulla né inutilizzabile la ricognizione personale compiuta dalla persona chiamata, nel corso delle indagini preliminari, ad eseguire (una o più volte) l'individuazione fotografica, in quanto non vietata da alcuna norma di legge (Cass. II, n. 19635/2021; Cass. II, n. 7337/2009). In tema di ricognizione di persone, è possibile procedere all'esperimento anche nel caso in cui colui che deve effettuare il riconoscimento abbia già visto in fotografia il soggetto da riconoscere, in quanto gli accertamenti di cui all'art. 213 c.p.p. sono previsti al solo fine di verificare se sussistano circostanze che possano influire sull'attendibilità della prova (Cass. V, n. 17572/2021). In tema di ricognizione personale, la circostanza che, a seguito dell'invito a descrivere la persona da riconoscere, il soggetto chiamato al riconoscimento si sia riportato alle descrizioni già contenute in una precedente denuncia, non è causa di nullità della prova, in quanto tale sanzione è prevista solo nel caso in cui il giudice ometta il predetto invito (Cass. II, n. 30276/2016). Con riferimento all'inosservanza delle formalità per lo svolgimento del mezzo di prova, in giurisprudenza si è affermato che l'inosservanza delle formalità previste dagli artt. 213 e 214 c.p.p., relative alla partecipazione di persone il più possibile somiglianti a quella sottoposta a ricognizione, al fine di garantire la genuinità e l'attendibilità della prova, non costituisce causa di nullità o inutilizzabilità dell'atto (Cass. II, n. 35425/2022; Cass. II, n. 40081/2013); tuttavia, l'inosservanza delle disposizioni previste per gli atti preliminari dall'art. 213, comma 1, dà luogo ad una nullità relativa che deve essere immediatamente eccepita, a pena di decadenza, dinanzi al giudice procedente (Cass. V, n. 32941/2014. Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso, evidenziando che l'inosservanza delle predette disposizioni era stata dedotta, per la prima volta, con l'atto di appello); invece, il riconoscimento dell'imputato, effettuato in sede di incidente probatorio senza l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione di persona, non è affetto da nullità né da inutilizzabilità, e ben può essere utilizzato nel giudizio abbreviato , in cui rileva solo l'inutilizzabilità patologica dell'accertamento (Cass. III, n. 23432/2010). La ricognizione di persona e la mancata assunzione di una prova decisivaLa ricognizione personale non rientra nella categoria della prova decisiva di cui all'art. 606, comma 1, lett. d), perché è una prova aperta ad ogni esito e pertanto non le si può riconoscere preventivamente un'efficacia decisiva, ossia la capacità di contrastare le acquisizioni processuali contrarie, elidendone l'efficacia e provocando una decisione contraria (Cass. VI, n. 43526/2012). Tuttavia è stato ritenuto che la ricognizione di persona può talvolta risultare prova decisiva, e cioè determinare, se assunta, una diversa decisione del giudice, consentendo il superamento di eventuali contrasti o dubbi emergenti dal quadro probatorio acquisito ovvero inficiando l'efficacia dimostrativa di prove di segno contrario. (Cass. I, n. 5611/2009. Nella specie, l'imputato, condannato in primo grado anche grazie a un riconoscimento fotografico, era stato assolto dal giudice di appello che, pur sollecitato dal P.M., non aveva ammesso la ricognizione di persona, sul rilievo del lungo lasso di tempo trascorso dal fatto, della probabile metamorfosi fisionomica dell'imputato frattanto intervenuta e della non decisività di tale mezzo di prova; argomenti ritenuti illogici dalla Corte suprema che ha annullato con rinvio la sentenza impugnata). Rapporti fra individuazione di persona e ricognizioneIn dottrina si è evidenziato che la disciplina delle ricognizioni di persone o di cose dettata dagli artt. 213-217 non esclude che un analogo risultato probatorio possa essere ottenuto anche con altri mezzi di prova. Escluso dunque che dagli artt. 213 e 214 possa desumersi un indiretto divieto ex art. 191, si pone una possibile alternativa tra la ricognizione formale e la testimonianza che includa un riconoscimento, soprattutto nei casi in cui l'invalidità della ricognizione, per violazione dell'art. 213 o dell'art. 214, non renda impossibile l'utilizzazione dell'atto come prova testimoniale, ferma restando la maggiore attendibilità di una ricognizione rituale rispetto ad una pur rituale testimonianza (Nappi, Cap. XI, par. 45.4). Tra individuazione e ricognizione non sussiste alcun rapporto di alternatività, che impedisca, una volta disposta la prima, di procedere alla seconda. Ove, infatti si seguisse una simile linea interpretativa si sovrapporrebbero surrettiziamente le nozioni di atto non rinviabile e di atto non ripetibile, risultando l'individuazione, come tale, sempre ripetibile (salvo che l'oggetto di esso sia nel frattempo venuto meno) attraverso il «mezzo di prova» rappresentato dalla ricognizione (Cass. VI, n. 6422/1994). L'individuazione diretta di persona effettuata nei locali della polizia giudiziaria dalle persone offese trova il suo paradigma nella prova dichiarativa proveniente da un soggetto che, nel corso delle informazioni, dichiara di avere accertato direttamente l'identità personale dell'imputato. Pertanto, essa deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata dall'art. 213, essendo inquadrabile, invece, tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all'art. 189, e pienamente utilizzabile, ferma restando la facoltà del giudice di apprezzarne liberamente le risultanze (Cass. II, n. 16773/2015); si è anche precisato che può essere riconosciuta maggior valenza probatoria all'individuazione di persona compiuta nei locali della polizia giudiziaria nel corso della fase delle indagini preliminari – la cui capacità dimostrativa deriva dalla deposizione di colui che ha effettuato il riconoscimento – piuttosto che alla ricognizione personale svolta, con esito negativo, in dibattimento dallo stesso dichiarante, purché il giudice motivi congruamente, in modo lineare e coerente, in ordine alla credibilità di detto dichiarante (Cass. V, n. 51729/2016). Rapporti fra individuazione fotografica e ricognizione di personaL'«individuazione» fotografica operata dalla polizia giudiziaria costituisce uno strumento probatorio atipico, in quanto non disciplinato dalla legge né collocabile nell'ambito della «ricognizione» personale prevista dall'art. 213, che può tuttavia essere legittimamente assunto – se ritenuto idoneo ad assicurare l'accertamento dei fatti – ai sensi dell'art. 189 c.p.p. L'individuazione fotografica, pur se ribadita in dibattimento, può risultare determinante, anche in difetto di ulteriori riscontri, ai fini dell'affermazione di responsabilità dell'imputato in ordina al fatto contestato, soltanto quando presenti caratteri di certezza assoluta e risulti ancorata non soltanto a mere rappresentazioni o sensazioni del dichiarante, ma ad elementi oggettivi; diversamente essa, quando connotata da un grado d'incertezza non tale da farne ritenere in toto l'inaffidabilità, può essere valorizzata al medesimo fine se corroborata da riscontri individualizzanti (Cass. II, n. 35155/2022). Il giudice del dibattimento può porre a base del suo convincimento anche il riconoscimento fotografico, se pur avvenuto nella fase delle indagini, in considerazione dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Cass. VI, n. 25721/2003). L'individuazione fotografica non deve essere necessariamente preceduta, ai fini della sua validità, dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona (Cass. IV, n. 7287/2021). Infatti, l'individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall'art. 213 c.p.p. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice (Cass. V, n. 23090/2020). Anche in tema di misure cautelari personali, l'individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, in assenza di profili di inattendibilità, è elemento idoneo per affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, indipendentemente dall'accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell'art. 213, perché lascia fondatamente ritenere il successivo sviluppo in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi (Cass. II, n. 6505/2015). Pur non incidendo sulla validità dell'atto, l'adozione di cautele nell'individuazione può rilevare ai fini della valutazione di attendibilità della dichiarazione: la giurisprudenza ha inizialmente ritenuto che, attesa la ridotta efficacia rappresentativa dell'individuazione fotografica, dal punto di vista storico (l'immagine deve essere la più recente possibile) e spaziale (mancano di solito riferimenti volumetrici), è opportuna l'adozione di cautele analoghe a quelle previste dagli artt. 213 ss. in tema di ricognizione di persona, spettando poi al giudice verificare la correttezza dei criteri adottati da chi ha assunto l'atto nonché l'attendibilità del dichiarante e, in caso di dichiarazioni ricognitive plurime, la concordia esterna delle stesse e la compiutezza di ciascuna (Cass. V, n. 1858/1998: fattispecie nella quale tre dichiaranti su cinque non avevano riconosciuto l'imputato in fotografia e tutti avevano fornito una descrizione della persona da riconoscere diversa per altezza da quella dell'imputato). Si è successivamente ribadito che la sua efficacia è condizionata all'adozione di cautele – quali la descrizione, prima dell'atto ricognitivo, delle fattezze dell'autore del reato (Cass. VI, n. 17747/2017; contra, nel senso che l'individuazione fotografica non deve essere preceduta dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona, Cass. II, n. 9380/2015) e delle circostanze della percezione visiva avuta del medesimo, nonché la disponibilità della fotografia o del fotogramma sulla base del quale è stato effettuato il riconoscimento – che consentano al giudice ed alle parti la necessaria verifica postuma del grado di attendibilità di colui che opera il riconoscimento. In tal caso, infatti, la certezza della prova dipende non dall'intervenuta individuazione in sé, ma dalla ritenuta attendibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia dell'imputato, si dica certo della sua identificazione (Cass. II, n. 3382/1997). Per ritenere il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari pienamente utilizzabile ed idoneo a fondare l'affermazione di penale responsabilità, non occorre che esso sia seguito da una formale ricognizione dibattimentale, purché, attraverso l'acquisizione dell'album fotografico, il giudicante sia posto in grado di apprezzare compiutamente l'affidabilità del risultato probatorio, verificando in particolare il numero e la qualità delle fotografie sottoposte al dichiarante e le caratteristiche fisionomiche sia della persona riconosciuta che delle altre (Cass. II, n. 28391/2017). È stata annullata l'ordinanza coercitiva che aveva ritenuto la valenza gravemente indiziaria dell'individuazione fotografica operata dagli inquirenti, qualificata quale atto pubblico fidefaciente, ed aveva omesso di valutare l'attendibilità di tale atto con particolare riferimento al fatto che l'identificazione era avvenuta a distanza di alcuni giorni dall'intervento degli operanti sul luogo in cui era stato commesso il reato, senza alcuna preventiva descrizione delle fattezze fisiche degli autori del reato né alcuna indicazione della fonte e della datazione delle fotografie utilizzate per tale operazione (Cass. VI, n. 17747/2017). In tema di ricognizione di persona, la prova dell'identificazione può essere raggiunta anche valutando la dichiarazione confermativa della individuazione fotografica effettuata nel corso degli atti preliminari allo svolgimento della ricognizione personale (Cass. II, n. 16757/2015. Fattispecie nella quale la persona offesa riconosceva, in incidente probatorio, l'imputato in termini non di certezza e, prima di procedere all'atto, confermava di avere in precedenza riconosciuto il proprio aggressore in fotografia, dichiarando che il decorso del tempo avrebbe potuto incidere sulle sue capacità di ricordo). Anche con riferimento al riconoscimento fotografico si è ribadito che è possibile riconoscere maggiore valenza probatoria all'individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari piuttosto che alla ricognizione personale effettuata dal medesimo dichiarante in dibattimento in termini di “non assoluta certezza”, purché sulla base di congrua motivazione che, se logica, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. II, n. 55420/2018: nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la valorizzazione, da parte del giudice di merito, della circostanza che la persona offesa non aveva mai negato di avere effettuato il positivo riconoscimento dell'imputato nel corso delle indagini, ma si era limitata ad esprimere un diverso giudizio, giustificato dall'affievolirsi del ricordo in ragione del decorso del tempo). In senso contrario , altro orientamento ha, peraltro, sostenuto che il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, non reiterato o non confermato nel corso del dibattimento, può essere ritenuto utilizzabile a fini probatori soltanto nel caso in cui, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall'art. 500, comma 4, risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l'esito dell'atto ricognitivo (Cass. fer., n. 43285/2018). I verbali di individuazione fotografica non possono acquisirsi al dibattimento, neanche per il tramite delle contestazioni, ma l'esame testimoniale del soggetto che ha proceduto alla individuazione può riguardare anche le modalità con cui la stessa sia stata compiuta (Cass. V, n. 8423/2013), e l'erronea acquisizione è irrilevante qualora a fondamento della decisione non sia stato posto il verbale fotografico ma la dichiarazione del teste sulla avvenuta individuazione fotografica (Cass. V, n. 57420/2018). Non viola il divieto di testimonianza indiretta previsto dall'art. 195, comma 4, c.p.p. la deposizione resa dal verbalizzante in ordine al riconoscimento fotografico effettuato dal testimone oculare, poiché l'agente di polizia giudiziaria riferisce non su quanto ha appreso da altri ma sui fatti avvenuti in sua presenza ed oggetto della sua diretta percezione nel corso dell'attività di indagine (nella specie, l'avvenuto riconoscimento fotografico dell'imputato da parte del testimone) (Cass. V, n. 28550/2018). È legittima l'acquisizione, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., dell'album fotografico unitamente al verbale di riconoscimento effettuato nel corso delle indagini preliminari, quando sia divenuta impossibile la formale ricognizione dibattimentale, in quanto, trattandosi di prova atipica, pienamente utilizzabile ed idonea a fondare l'affermazione di penale responsabilità, il giudicante deve essere posto in grado di apprezzare compiutamente l'affidabilità del risultato probatorio, verificando il numero e la qualità delle fotografie sottoposte al dichiarante e le caratteristiche fisionomiche sia della persona riconosciuta che delle altre (Cass. V, n. 70/2021). La polizia giudiziaria può procedere autonomamente ad individuazione fotografica, sia prima che dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato, poiché gli artt. 55 e 348 c.p.p. sanciscono il principio di atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, cui compete, anche in difetto di direttive o formali deleghe del pubblico ministero, il potere-dovere di compiere di propria iniziativa tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell'accertamento del reato e dell'individuazione dei colpevoli. (In motivazione la Suprema Corte ha, tuttavia, precisato che le specifiche circostanze in cui avviene il riconoscimento devono indurre il giudice a valutare con maggiore o minore prudenza l'esito della prova, tipica o atipica, ed eventualmente a richiedere la presenza di ulteriori risultati probatori o di riscontri) (Cass. II, n. 34211/2020). Ricognizione di persona e riconoscimento in dibattimentoL'individuazione in dibattimento dell'autore del reato costituisce una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della deposizione di chi si dica certo della identificazione (Cass. VI, n. 28972/2013). Il riconoscimento dell'imputato operato in udienza, nel corso dell'esame testimoniale, è atto di identificazione diretta, effettuato con dichiarazioni orali, valido e processualmente utilizzabile anche senza l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione personale (Cass. II, n. 23970/2022). I riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria, e i riconoscimenti informali dell'imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Cass. VI, n. 12501/2015, che, in motivazione, ha tra l'altro precisato che il momento ricognitivo costituisce parte integrante della testimonianza, di tal che l'affidabilità e la valenza probatoria dell'individuazione informale discendono dall'attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice che, ove sostenuto da congrua motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità). La identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 e seguenti, siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 ss., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento (Cass. V, n. 37497/2014). Tuttavia, proprio per la connotazione ‘dichiarativa' del riconoscimento informale, in seguito alle decisioni delle Sezioni Unite Dasgupta e Patalano in tema di obbligo di rinnovazione in caso di riforma in peius, è stato affermato che è affetta da vizio di motivazione per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” la sentenza di appello che, in riforma di una sentenza assolutoria, affermi la responsabilità dell'imputato, operando una diversa valutazione del riconoscimento dello stesso – ritenuto decisivo – effettuato dalla persona offesa senza le formalità di cui all'art. 213 c.p.p., durante le indagini preliminari e confermato nel corso dell'esame dibattimentale, senza disporre la rinnovazione dell'esame a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p. (Cass. IV, n. 1873/2018). Il riconoscimento in udienza dell'imputato presente, ad opera della persona offesa nel corso della deposizione testimoniale, non viola il divieto di domande suggestive, dato che la ostensione della persona da riconoscere e la correlata percezione sensoriale del testimone non consistono in un enunciato verbale anticipatorio del contenuto della risposta (Cass. I, n. 42267/2010). Qualora si sia, in sede di indagini di P.G., proceduto a riconoscimenti informali, e tali riconoscimenti vengano poi reiterati al dibattimento nel corso dell'esame testimoniale, il convincimento del giudice non si fonda sul riconoscimento come strumento probatorio – anche se i riconoscimenti informali, non connotati dalle cautele e garanzie delle ricognizioni, hanno pur sempre il carattere di accertamento di fatto liberamente apprezzabile in base al principio della non tassatività del mezzo di prova – bensì sull'attendibilità che viene accordata alla deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia o l'imputato di persona, si dica poi certo della operata identificazione, reiterata nel corso dell'udienza. In tali ipotesi, sebbene i verbali di individuazione non possano sicuramente acquisirsi al dibattimento, neanche per il tramite delle contestazioni a norma dell'art. 500, è indubbio che l'esame testimoniale ben può svolgersi anche sulle modalità della pregressa individuazione al fine di procedere ad una valutazione globale di chi rende la dichiarazione (Cass. II, n. 16204/2004). Il riconoscimento dell'imputato, operato in videoconferenza, nel corso della deposizione da parte del testimone, trova il suo paradigma nella prova testimoniale proveniente da un soggetto che, nel corso della testimonianza, abbia accertato direttamente l'identità personale dell'imputato. Pertanto, esso deve essere tenuto distinto dalla ricognizione personale, disciplinata dall'art. 213, essendo inquadrabile, invece, tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all'art. 189, e pienamente utilizzabile, ferma restando la facoltà del giudice di apprezzarne liberamente le risultanze (Cass. V, n. 18057/2010). Esiti diversi di ricognizioni ed individuazioniIl riconoscimento di una persona da parte del testimone, stante il principio di atipicità della prova, può maturare tanto attraverso l'esibizione di una fotografia, tanto mediante l'osservazione diretta dell'interessato che sia presente nel corso dell'esame del dichiarante, tanto infine per il mezzo di una formale ricognizione di persona. Il fatto però che tutti tali mezzi di prova siano ammissibili non esclude sul piano generale la prevalente affidabilità della ricognizione, posto che il legislatore l'ha disciplinata con modalità esecutive e garanzie che ne fanno la modalità più efficiente e sicura di stabilire l'identificazione. Ne consegue che il giudice, quando un riconoscimento progressivamente sollecitato in forme diverse abbia dato esiti differenti , deve illustrare, ove ritenga di disattendere l'esito della ricognizione formale, in base a quali elementi di fatto egli ritenga più credibile, nel caso concreto, il risultato di procedure in astratto meno affidabili (Cass. II, n. 4045/2004, che ha censurato l'affermazione del giudice di merito che, nel privilegiare l'esito positivo di un riconoscimento in udienza rispetto a quello negativo maturato in sede di ricognizione formale, aveva affermato che «altro è avere dinanzi, ma separati da un asettico diaframma, alcuni soggetti pressoché immobili e in atteggiamenti non proprio naturali, altro è ritrovarsi vis a vis con un singolo uomo, in un normale rapporto interpersonale»). Secondo l'orientamento giurisprudenziale più recente, in tema di ricognizione personale, il giudice può ritenere maggiormente attendibile l'esito positivo dell'individuazione effettuata dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, in prossimità temporale rispetto al fatto, rispetto a quello incerto della ricognizione effettuata in dibattimento, valorizzando, a fondamento del proprio convincimento, il decorso del tempo (Cass. IV, n. 15215/2008). È, infatti, costante l'affermazione del principio secondo cui può essere riconosciuta maggior valenza probatoria all'individuazione di persona compiuta nei locali della polizia giudiziaria nel corso della fase delle indagini preliminari – la cui capacità dimostrativa deriva dalla deposizione di colui che ha effettuato il riconoscimento – piuttosto che alla ricognizione personale svolta, con esito negativo, in dibattimento dallo stesso dichiarante, purché il giudice motivi congruamente, in modo lineare e coerente, in ordine alla credibilità di detto dichiarante (Cass. V, n. 51729/2016). In tema di individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari cui segua, nel dibattimento, una ricognizione personale effettuata dal medesimo dichiarante in termini di “non assoluta certezza”, può essere riconosciuta maggiore valenza probatoria all'atto compiuto nella fase delle indagini preliminari, purché sulla base di congrua motivazione che, se logica, si sottrae al sindacato di legittimità (Nella specie, la Corte ha ritenuto immune da censure la valorizzazione, da parte del giudice di merito, della circostanza che la persona offesa non aveva mai negato di avere effettuato il positivo riconoscimento dell'imputato nel corso delle indagini, ma si era limitata ad esprimere un diverso giudizio, giustificato dall'affievolirsi del ricordo in ragione del decorso del tempo) (Cass. II, n. 55420/2018). Il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile ed idoneo a fondare l'affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, ma di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo, atteso che l'individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale (Cass. II, n. 20489/2019). Nel caso in cui all'individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, sia seguita, in sede d'incidente probatorio, una ricognizione con esito difforme, ed il giudizio venga celebrato con rito abbreviato, anche condizionato, il giudice può attribuire maggiore valenza probatoria al primo atto atipico, a condizione che indichi, con adeguata motivazione, le ragioni giustificative, non solo dell'attendibilità dell'esito dell'individuazione fotografica, ma anche dell'inattendibilità di quello della ricognizione di persona, ove ritenuta tale (Cass. II, n. 11964/2021). In senso contrario , un orientamento ritiene che il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, non reiterato o non confermato nel corso del dibattimento, può essere ritenuto utilizzabile a fini probatori soltanto nel caso in cui, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall'art. 500, comma 4, c.p.p., risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l'esito dell'atto ricognitivo. (Cass. II, n. 10249/2021; Cass. F., n. 43285/2019). Il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, cui segua, nel corso del dibattimento, una ricognizione personale effettuata dal medesimo testimone, con esito negativo, potrà essere riconosciuta maggiore valenza probatoria all'atto compiuto nella fase delle indagini preliminari soltanto nel caso in cui emergano concreti elementi che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l'esito dell'atto ricognitivo, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall'art. 500 (Cass. II, n. 43294/2015). CasisticaÈ utilizzabile ai fini cautelari ed in sede di abbreviato una individuazione fotografica operata dalla P.G. di propria iniziativa, senza previa delega del P.M., poiché gli artt. 55 e 348 sanciscono il principio di atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, cui compete, anche in difetto di direttive o formali deleghe del P.M., il potere-dovere di compiere di propria iniziativa tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell'accertamento del reato e dell'individuazione dei colpevoli (Cass. V, n. 18997/2014). La pubblicazione su di un quotidiano locale della fotografia dell'imputato non è circostanza in grado di pregiudicare la validità probatoria della successiva ricognizione di persona effettuata nei confronti del medesimo nel corso del dibattimento (Cass. II, n. 15303/2010). Il riconoscimento diretto dell'imputato operato dal giudice mediante l'esame dei fotogrammi, estratti dalla registrazione TV a circuito chiuso durante una rapina, può costituire indizio che concorre, con altri elementi di prova, a completare il quadro probatorio di cui all'art. 192, comma 2 (Cass. II, n. 40731/2009). È inutilizzabile l'esito di ricognizione personale eseguita, in sede di incidente probatorio, da soggetto imputato di un reato connesso senza le garanzie difensive previste dall'art. 210 (Cass. I, n. 4315/2000. Fattispecie relativa a ricognizione, effettuata dal partecipe a una rissa, nei confronti di un coimputato in relazione a un omicidio consumato nel corso della stessa rissa). L'art. 210, comma 4, che, in relazione a persona imputata in procedimento connesso, impone al giudice di avvertirla della facoltà di non rispondere, trova applicazione anche in relazione ad imputato di reato connesso o collegato che venga chiamato ad effettuare una ricognizione (Cass. VI, n. 6422/1994). BibliografiaAndolina, Individuazione di persone “con immagine” e successivo riconoscimento informale, in Indice pen. 2012, 561; Bernasconi, La ricognizione di persone nel processo penale. 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Gulotta, Milano, 1987, 553; Paola, Ricognizioni, in Dig. d. pen., Torino, 1997, 218; Priori, La ricognizione di persone: dal modello teorico alla prassi applicativa, in Dir. pen. e proc. 2006, 365; Priori, La memoria di riconoscimento nell’atto di ricognizione, in Dir. pen. e proc. 2009, 775; Scarabello, Sul diritto al silenzio del coimputato-ricognitore, in Cass. pen. 1996, 609; Triggiani, La ricognizione personale: struttura ed efficacia, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1996, 728; Toninelli, Dubbi ragionevoli sui riconoscimenti personali, in Dir. pen. e proc. 2016, 904; Triggiani, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, Milano, 1998. |