Codice di Procedura Penale art. 215 - Ricognizione di cose.Ricognizione di cose. 1. Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato [253], il giudice procede osservando le disposizioni dell'articolo 213, in quanto applicabili. 2. Procurati, ove possibile, almeno due oggetti simili a quello da riconoscere, il giudice chiede alla persona chiamata alla ricognizione se riconosca taluno tra essi e, in caso affermativo, la invita a dichiarare quale abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa. 3. Si applicano le disposizioni dell'articolo 214, comma 3. InquadramentoLa ricognizione reale, del corpo di reato o di altre cose pertinenti al reato, è disciplinata dal richiamo alla normativa sulle ricognizioni di persona in quanto applicabili. Tuttavia la giurisprudenza ha ritenuto superflua l’utilizzazione di tali modalità in tema di riconoscimento da parte del derubato delle cose a lui sottratte. La ricognizione di cose si deve ritenere limitata alle cose mobili, stante l’impossibilità di accostare cose somiglianti per gli immobili (Melchionda, in Chiavario, II, 551). Le modalità di svolgimento devono essere verbalizzate a pena di nullità. Modalità di svolgimentoPer il riconoscimento della refurtiva da parte del derubato non devono essere necessariamente osservate le formalità stabilite per la ricognizione di cose; in questo caso, infatti, il derubato, avendo avuto il possesso delle cose rubate, è in grado di identificarle direttamente, come chiunque altro ne avesse avuto per ragioni analoghe personale conoscenza, e, quindi, la relativa operazione, costituendo un mero accertamento di fatto e non un atto processuale formale, può essere liberamente utilizzato dal giudice nella formazione del suo convincimento (Cass. I, n. 5926/1998). Il riconoscimento della refurtiva da parte del derubato non costituisce ricognizione e, come tale, non è soggetto a particolari formalità. Esso è un mero accertamento di fatto, e non un atto processuale formale, e può essere liberamente utilizzato dal giudice nella formazione del suo convincimento (Cass. IV, n. 8007/1996). In questa ipotesi infatti il danneggiato, avendo avuto il possesso delle cose rubate, è in grado di identificarle direttamente, come chiunque altro ne avesse avuto per ragioni analoghe personale conoscenza, e quindi la relativa operazione, costituendo un mero accertamento di fatto e non un atto processuale formale, può essere liberamente utilizzata dal giudice nella formazione del suo convincimento, alla stregua, ovviamente, di una motivata valutazione della sua attendibilità (Cass. II, n. 7663/1994). In tema di utilizzabilità nel giudizio abbreviato degli atti di polizia giudiziaria, l'identificazione di cose sequestrate oggetto del reato da parte della persona offesa, eseguita su iniziativa della polizia giudiziaria anche al fine della restituzione delle cose stesse al titolare, costituisce valida fonte di prova, anche in mancanza di un formale atto di ricognizione (Cass. II, n. 9256/1991. Fattispecie in tema di riconoscimento di quadri rubati in una chiesa, da parte del parroco). BibliografiaCantone, Le ricognizioni informali di cose diventano atti irrepetibili, in Cass. pen. 1995, 1295; Saponaro, Brevi riflessioni in tema di ricognizione informale: una mai sopita e dibattuta querelle, in Cass. pen. 1995, 3033; Triggiani, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, Milano, 1998. |