Codice di Procedura Penale art. 226 - Conferimento dell'incarico.

Aldo Aceto

Conferimento dell'incarico.

1. Il giudice, accertate le generalità del perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni previste dagli articoli 222 e 223, lo avverte degli obblighi [70 att.] e delle responsabilità [373 c.p.] previste dalla legge penale e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell'incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto [329] su tutte le operazione peritali».

2. Il giudice formula quindi i quesiti, sentiti il perito, i consulenti tecnici [225, 233 2], il pubblico ministero e i difensori presenti.

Inquadramento

La norma disciplina la procedura da seguire per il conferimento dell’incarico, fase logicamente successiva alla nomina del perito, non necessariamente in senso temporale (nulla esclude che il perito venga nominato e che gli venga conferito l’incarico nella stessa udienza, ferma restando la necessità dell’ordinanza motivata di cui all’art. 224).

Il conferimento e l'oggetto dell'incarico

Prima di conferire l'incarico, il giudice deve acquisire dal perito le informazioni necessarie a verificarne, nel contraddittorio con le parti, la capacità di assumere l'ufficio e l'eventuale presenza di cause di incompatibilità, astensione o ricusazione (artt. 222,223).

Il conferimento dell'incarico segna il momento ultimo superato il quale non è più possibile ricusare il perito , a meno che i motivi di ricusazione sopravvengano al conferimento dell'incarico o vengano conosciuti dopo.

Anche la nullità della nomina deve essere fatta valere prima del conferimento dell'incarico posto che, come detto, l'ordinanza che la dispone precede il conferimento stesso e la conoscenza delle cause di nullità può essere comunicata dallo stesso interessato nella fase interlocutoria che precede il conferimento.

Con il conferimento dell'incarico, il perito assume l'obbligo di mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali e di svolgere il proprio incarico in scienza e coscienza rispondendo ai quesiti secondo il proprio intimo convincimento (Cass. VI, n. 12654/2016; Cass. VI, n. 38307/2015; Cass. VI, n. 36654/2015, secondo cui ai fini dell'integrazione del reato di falsa perizia, i pareri o le interpretazioni mendaci devono concretizzarsi in una divergenza intenzionale, voluta e cosciente tra il convincimento reale del perito e quello manifestato nell'elaborato tecnico in risposta ai quesiti del giudice).

Questa è dunque la “verità” che il perito si impegna a far conoscere al giudice (e alle parti) . Ed è il vero e proprio atto di fede nei confronti della professionalità del perito che spiega la particolare cautela imposta dal codice di rito nella sua individuazione visto che deve addentrarsi in campi sottratti alla competenza del giudice.

Questo impegno qualifica l'ufficio del perito e la sua diversa posizione processuale rispetto ai consulenti di parte chiamati a prestare la loro opera nel solo interesse della parte che li ha nominati , senza assunzione, quindi, dell'impegno di obiettività previsto, per i soli periti, dall'art. 226 (così Cass. I, n. 11706/1993, che ne ha tratto argomento per affermare che quando le conclusioni del perito d'ufficio non siano condivise da consulenti di parte, ed il giudice ritenga di aderire alle prime, non dovrà per ciò necessariamente fornire, in motivazione, la dimostrazione autonoma della loro esattezza scientifica e della erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di aver comunque criticamente valutato le conclusioni del perito d'ufficio, senza ignorare le argomentazioni dei consulenti; ragione per cui potrà configurarsi vizio di motivazione solo quando risulti che queste ultime fossero tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia di quanto affermato dal suddetto perito; in senso conforme, Cass. III, n. 17368/2019; Cass. V, n. 18975/2017; Cass. VI, n. 5749/2014). È stato al riguardo precisato che poiché la perizia viene disposta, come previsto dall'art. 220, “quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche” (competenze che, pertanto, debbono ritenersi, per definizione, escluse dalle cognizioni del giudice e, in genere dalle nozioni di comune esperienza), ne deriva che sarebbe contraddittorio pretendere dal giudice la autonoma dimostrazione della esattezza delle conclusioni raggiunte dal perito, quando a tali conclusioni egli ritenga di prestare adesione, dovendosi invece ritenere sufficiente che dalla motivazione del provvedimento giurisdizionale risulti come detta adesione non sia stata acritica e passiva, ma sia stata frutto di attento e ragionato studio, necessariamente condotto, peraltro, nel presupposto che le suddette conclusioni peritali, sia per la “particolare competenza” di cui il perito deve presumersi fornito (art. 221), sia per l'impegno che egli deve assumere all'atto del conferimento dell'incarico (art. 226), siano, fino a prova contraria, affidabili (Cass. I, n. 11706/1993).

La formulazione del quesito compendia l'accertamento che il perito deve compiere e deve essere necessariamente preceduta dall'interlocuzione con le parti e i loro consulenti tecnici . La presenza dei consulenti delle parti, consentita dall'art. 226, comma secondo, pone le parti stesse in condizione di un immediato dialogo tecnico col perito, sicché è del tutto consequenziale che nell'ambito di uno stesso accertamento peritale i quesiti possano essere ampliati, anche con carattere di novità, per ragioni di economia processuale non disgiunta dall'opportunità dell'immediatezza, in direzione di un più puntuale ed efficace esito dell'accertamento, in una più completa visione di insieme (Cass. VI, n. 31330/2015; Cass. VI, n. 12896/2000). Tanto si ricava dal combinato disposto degli artt. 501, comma primo, e 498 comma terzo: osservandosi per l'esame del perito, in quanto applicabili, le disposizioni sull'esame dei testimoni ed essendo previsto che colui che ne ha chiesto l'audizione possa “proporre nuove domande”, ne deriva la possibilità di proporre, per analogia, “quesiti nuovi” in corso di perizia, una volta salvaguardato il contraddittorio anche tecnico, garantito dal secondo comma dell'art. 226 alle parti che a tanto vogliono far ricorso (Cass. I, n. 3352/1995).

Il provvedimento con cui il giudice conferisce l'incarico peritale non è impugnabile , sicché l'eventuale sua nullità, così come la nullità degli atti conseguenti, non possono formare oggetto di ricorso per cassazione, ma vanno dedotte in sede di impugnazione della decisione di merito fondata su quegli atti (Cass. IV, n. 29931/2019; Cass. I, n. 4616/1991).

 

Bibliografia

R. Adorno, Perizia (dir. proc. pen.), Enc. Dir., Annali, Vol III, Giuffrè, 2010, pagg. 885 e segg.; F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2012, pagg. 781 e segg.; Siracusano, Galati, Tranchina, Zappalà, Diritto processuale penale, Giuffrè 2013, pag. 289; P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2020, pagg. 332 e segg.; G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, Giappichelli, 2002, pag. 246 e seg.; G. Ubertis, Sistema di procedura penale, Giuffrè, 2020, Vol. II, pagg. 268 e segg.; P. Palladino, sub art. 226, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi e E. Lupo, Giuffrè, 2017, pagg. 344 e segg.; G. Conso, V. Grevi, Compendio di procedura penale, Padova, 2008, pag. 345 e seg.; vedi anche sub art. 220.

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