Codice di Procedura Penale art. 272 - Limitazioni alle libertà della persona.

Franco Fiandanese

Limitazioni alle libertà della persona.

1. Le libertà della persona possono essere limitate [131, 132, 133, 250, 349, 378, 380-384, 635, 714, 719, 736] con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo [13 Cost.; 214 coord.; 250 trans.; 19-24 min.].

Inquadramento

L'art. 272 introduce al sistema delle misure cautelari personali inserendolo in un quadro rigido e ben definito di principi costituzionali e sovranazionali attinenti alla tutela dei diritti fondamentali della persona.

Limiti costituzionali

 

Profili generali

I limiti di legittimità costituzionale delle misure cautelari personali si fondano sul principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 comma 1 Cost.), quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale, e su quello della presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost), che impedisce di attribuire alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena (tra le tante: Corte cost. n. 164/2011) e trovano espressione nei principi di legalità e di tassatività e in quelli di riserva di giurisdizione (art. 13 commi 2 e 5 Cost.).

La riserva di giurisdizione

Qualsiasi provvedimento sulla libertà personale esige un “atto motivato dell'autorità giudiziaria” (art. 13 comma 2 Cost.). Non solo l'applicazione della misura cautelare, ma anche qualsiasi altro provvedimento che incida sulla modifica, sul mantenimento o sulla cessazione deve essere adottato dal giudice, come è confermato dall'art. 111, comma 7. Cost., il quale stabilisce la ricorribilità per cassazione dei provvedimenti sulla libertà personale emessi dagli “organi giurisdizionali”.

Peraltro, il giudice può disporre una misura cautelare o può sostituirla o modificarla in senso più sfavorevole all'imputato solo su richiesta del pubblico ministero (principio della domanda cautelare): il provvedimento adottato dal giudice in assenza di richiesta del p.m. o ultra petita rispetto ad essa è affetto da nullità di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. b), insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 179 (Cass. VI, n. 33858/2008; Cass. III, n. 48162/2009; Cass. VI, 17950/2013; Cass. II, n. 53671/2014; Cass. IV, n. 52540/2017). Invece, «al giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura cautelare ai sensi dell'art. 292, ed al tribunale, in sede di riesame o di appello ai sensi degli artt. 309 e 310, è consentito modificare la qualificazione giuridica data dal pubblico ministero al fatto per cui si procede (Nell'occasione la Corte, premesso che, in applicazione del principio di legalità, al giudice è consentito sempre — e quindi anche nell'udienza preliminare — attribuire la corretta qualificazione giuridica al fatto descritto nell'imputazione, senza che ciò incida sull'autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero, che rileva esclusivamente sotto il diverso profilo dell'immutabilità della formulazione del fatto inteso come accadimento materiale, ha altresì precisato come la predetta facoltà spetti al tribunale anche in sede di riesame o di appello avverso le misure cautelari adottate, successivamente al rinvio a giudizio, dagli organi competenti a provvedere de libertate ai sensi degli artt. 279 e 91 disp. att., fermo restando che pure in tali ipotesi l'eventuale correzione del nomen iuris non può avere effetti oltre il procedimento incidentale)» (Cass. S.U., n. 16/1996; nonché, da ultimo, Cass. VI, 12828/2013)

Per converso, in applicazione del principio del favor libertatis, il giudice può anche d'ufficio revocare o sostituire la misura cautelare personale nel caso in cui rilevi la mancanza, anche sopravvenuta, delle condizioni richieste per l'applicabilità ovvero un'attenuazione delle esigenze di cautela (art. 299, comma 3).

Il principio di legalità

L'art. 272 nel consentire limitazioni alla libertà della persona “soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo” richiama la riserva di legge di cui all'art. 13 comma 2 Cost., il quale stabilisce che le suddette limitazioni possono avvenire “nei soli casi e modi stabiliti dalla legge”, ciò che impone la tipizzazione non solo delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali, ma anche delle tipologie di misure cautelari, nonché la determinazione rigida dei tempi della loro applicazione.

In particolare l'art. 272 esprime il proposito di ridurre a un «numero chiuso» le figure di misure limitative della libertà utilizzabili in funzione cautelare nel corso del procedimento penale, sicché non possono essere applicate misure diverse da quelle espressamente considerate. È soprattutto grazie all'impiego dell'avverbio «soltanto» che il significato garantistico del principio di legalità si apprezza sotto il profilo della tassatività, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa l'esercizio della discrezionalità del giudice in materia di limitazioni, di per sé eccezionali, della libertà della persona. Proprio con riferimento al fondamentale principio di tipicità e tassatività delle misure cautelari personali che, costituzionalmente presidiato, sottende al sistema disegnato dal legislatore, quale parametro degli spazi di discrezionalità del giudice cautelare, è inibito a quest'ultimo di creare ex novo, ulteriori «tipi», estranei alla pur vasta gamma degli specifici modelli, coercitivi e interdittivi, normativamente predisposti. Occorre, peraltro, tenere presente il nuovo dato normativo introdotto dalla l. n. 47/2015, che, modificando il comma 3 dell'art. 275, ha previsto l'applicazione cumulativa di misure coercitive e interdittive, possibilità che, prima dell'intervento normativo, si riteneva esclusa (in tal senso, Cass.S.U., n. 29907/2006).

Limiti sovranazionali

La Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (art. 5), elencando tassativamente i casi in cui risulta legittima la compressione della libertà personale e rimettendo alle leggi nazionali il compito di disciplinarne le modalità, riconosce, con specifico riguardo alla detenzione provvisoria, il diritto di ogni persona arrestata o detenuta di essere tradotta al più presto dinanzi all'autorità giudiziaria per essere giudicata in un termine ragionevole o di essere altrimenti rimessa in libertà.

Secondo la giurisprudenza della Corte, il termine ragionevole dello stato detentivo di un accusato non si presta ad una valutazione astratta. Il carattere ragionevole del mantenimento in carcere deve essere valutato in ogni singolo caso in base alle particolarità della causa. Il protrarsi dell’incarcerazione si giustifica solo, in una data fattispecie, quando da indizi concreti emerge una reale esigenza di interesse pubblico prevalente, nonostante la presunzione di innocenza, in base al principio del rispetto della libertà individuale. Spetta, in primo luogo, alle autorità giudiziarie nazionali di vigilare affinché in un determinato caso, la durata della custodia cautelare di un accusato non oltrepassi il limite ragionevole. È essenzialmente sulla base dei motivi risultanti dalle decisioni che rigettano le domande di scarcerazione nonché dai fatti non controversi, indicati dall’interessato nei suoi motivi, che la Corte deve determinare se vi è stata o meno violazione dell'articolo 5 par. 3 CEDU. Inoltre, il perdurare di fondati motivi di ritenere che la persona arrestata abbia commesso un reato è una condizione sine qua non per la regolarità del suo mantenimento in stato detentivo. Dopo un certo periodo, però, tale condizione non è più sufficiente. La Cedu si riserva, perciò, in questo caso, di stabilire se gli altri motivi addotti dalle autorità giudiziarie continuino a legittimare la privazione della libertà. Quando tali motivi si rivelano «pertinenti» e «sufficienti», la stessa deve determinare inoltre se le autorità nazionali competenti hanno agito con «particolare diligenza» nel proseguimento del procedimento (Corte Edu 6 aprile 2000, Grande Camera, Labita c. Italia).

Peraltro la Corte Edu nel campo delle restrizioni della libertà personale ha riconosciuto ragionevole un speciale trattamento per i reati di criminalità organizzata, osservando che la carcerazione provvisoria delle persone accusate del delitto previsto dall'art.  416-bis c.p. in Italia tende a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate ed il loro ambito criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti simili. In questo contesto, la Corte tiene conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata e soprattutto di quella di stampo mafioso, e considera che il legislatore italiano poteva ragionevolmente ritenere, a fronte delle condizioni molto critiche delle inchieste sulla mafia condotte dalle autorità italiane, come quella condotta contro il ricorrente, che le misure cautelari si imponevano per una vera esigenza di interesse pubblico, soprattutto per la difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza, nonché per la prevenzione dei reati penali» (Corte Edu 6 novembre 2003, Pantano c. Italia).

Principio tempus regit actum

In linea generale, il sistema delle misure cautelari, avendo natura processuale, è soggetto al principio tempus regit actum (v. Corte cost. n. 15/1982), perciò la normativa sopravvenuta trova applicazione anche per le misure custodiali ordinate in base alla normativa precedentemente vigente che siano ancora pendenti, (Cass. S.U., n. 8/1992; v. anche Cass. S.U., n. 44895/2014). La giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 27919/2011) ha, però, riconsiderato il precedente maggioritario orientamento giurisprudenziale secondo il quale la più severa disciplina in ordine alla selezione della misura cautelare appropriata trova applicazione anche in relazione alle misure cautelari ancora in corso, adottate alla luce della normativa previgente. Quest'ultima decisione osserva che l'ordinanza che dispone l'applicazione di una misura cautelare è atto istantaneo, ed è naturalmente destinata a produrre effetti protratti nel tempo: una situazione pendente fino al momento della cessazione, per qualunque causa, della restrizione. In relazione a tale status, tuttavia, si impone una continua verifica circa il permanere delle condizioni che hanno determinato la limitazione della libertà personale e la scelta di una determinata misura cautelare. L'aggravamento della condizione cautelare in atto deve essere sempre senz'altro ricondotto all'ambito dell'art. 299 comma 4; con la conseguenza che si richiede, normalmente, un rinnovato, equilibrato apprezzamento del complessivo quadro processuale e quindi delle contingenze che in divenire lo caratterizzano. Orbene, «l'applicazione ope legis della disciplina più severa alle situazioni in cui la misura cautelare era già in corso ed era stata adottata alla stregua della disciplina più favorevole, che implicava un apprezzamento discrezionale, comporta l'applicazione retroattiva del novum ad un contesto già definito nelle sue coordinate fattuali e normative. Si tratta di operazione che, in mancanza di una disposizione transitoria, non è consentita proprio per la violazione che comporta del principio tempus regit actum».

Bibliografia

Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015.

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