Codice di Procedura Penale art. 283 - Divieto e obbligo di dimora.

Franco Fiandanese

Divieto e obbligo di dimora.

1. Con il provvedimento che dispone il divieto di dimora, il giudice [279] prescrive all'imputato [60, 61] di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede.

2. Con il provvedimento che dispone l'obbligo di dimora, il giudice [279] prescrive all'imputato [60, 61] di non allontanarsi, senza l'autorizzazione del giudice che procede, dal territorio del comune di dimora abituale [43 c.c.] ovvero, al fine di assicurare un più efficace controllo o quando il comune di dimora abituale non è sede di ufficio di polizia, dal territorio di una frazione del predetto comune o dal territorio di un comune viciniore ovvero di una frazione di quest'ultimo. Se per la personalità del soggetto o per le condizioni ambientali la permanenza in tali luoghi non garantisce adeguatamente le esigenze cautelari previste dall'articolo 274, l'obbligo di dimora può essere disposto nel territorio di un altro comune o frazione di esso, preferibilmente nella provincia e comunque nell'ambito della regione ove è ubicato il comune di abituale dimora.

3. Quando dispone l'obbligo di dimora, il giudice indica l'autorità di polizia alla quale l'imputato deve presentarsi senza ritardo e dichiarare il luogo dove fisserà la propria abitazione. Il giudice può prescrivere all'imputato di dichiarare all'autorità di polizia gli orari e i luoghi in cui sarà quotidianamente reperibile per i necessari controlli, con obbligo di comunicare preventivamente alla stessa autorità le eventuali variazioni dei luoghi e degli orari predetti.

4. Il giudice può, anche con separato provvedimento, prescrivere all'imputato di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro.

5. Nel determinare i limiti territoriali delle prescrizioni, il giudice considera, per quanto è possibile, le esigenze di alloggio, di lavoro e di assistenza dell'imputato. Quando si tratta di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero nell'ambito di una struttura autorizzata, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il programma di recupero prosegua.

6. Dei provvedimenti del giudice è data in ogni caso immediata comunicazione all'autorità di polizia competente, che ne vigila l'osservanza e fa rapporto al pubblico ministero di ogni infrazione [276].

Inquadramento

Tra le misure di custodia domestica questa è quella meno afflittiva e consente di tenere conto delle “esigenze di alloggio, di lavoro e di assistenza dell'imputato” sia pure “per quanto è possibile” (art. 283, comma 5): previsione quest'ultima che non contrasta con la Costituzione (artt. 2, 3, 24 e 27 Cost.), in quanto “il coefficiente di pericolosità per le condizioni di base della civile convivenza e della sicurezza collettiva connaturale a taluni illeciti di maggiore gravità giustifica il non irragionevole bilanciamento, previsto dal legislatore, tra le esigenze cautelari e le contrapposte esigenze di vita costituzionalmente protette (Cass. VI, n. 1279/1999).

La misura del divieto e obbligo di dimora non può assimilarsi a quella degli arresti domiciliari al fine di scomputare la sua durata dalla pena definitiva, in quanto “mentre la persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, ancorché autorizzata ad assentarsi dal luogo degli arresti «nel corso della giornata» (e, quindi, non per più giorni consecutivi) per cause specifiche e per recarsi in luoghi determinati, non cessa per ciò solo di essere in stato di custodia e, pertanto, in una condizione di «non libertà», la persona sottoposta alla misura dell'obbligo di dimora è invece «libera» nell'ambito del territorio individuato dalla ordinanza applicativa, anche nell'ipotesi in cui le venga prescritto l'obbligo di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno” (Corte cost. n. 215/1999; nonché Cass. I, n. 47428/2007).

Proprio perché si tratta di misure non custodiali, la valutazione del giudice ai fini dell'art. 275 comma 2 deve riguardare la proporzionalità all'entità del fatto e non anche alla durata della sanzione in concreto irrogabile, trattandosi di sanzioni meno afflittive per le quali non opera la preclusione derivante dalla ingiustizia della detenzione oltre la durata della pena detentiva inflitta. (Cass. III, n. 38748/2003)

Divieto di dimora

In generale

Il divieto di dimora di cui all'art. 283 comma 1, da un lato, non deve necessariamente limitarsi ad un comune o frazione di esso (come si verifica invece nel caso dell'obbligo di dimora previsto nel comma 2 del medesimo articolo), ma può estendersi anche ad ambiti territoriali più vasti, quali la provincia o la ragione, purché specificamente individuati e logicamente collegati alle esigenze cautelari (Cass. VI, n. 1454/1992), dall'altro lato, non deve necessariamente avere una dimensione «comunale» analoga a quella prevista per la diversa misura dell'obbligo di dimora, ma può riguardare anche un ambito spaziale più limitato, in quanto nella prima disposizione, a differenza che nella seconda, il legislatore fa riferimento al «dimorare in un determinato luogo», senza alcun'altra specificazione territoriale (Cass. VI, n. 41840/2014). Peraltro, è stato considerato illegittimo il provvedimento che applichi la misura di cui all'art. 283 al fine di proibire al destinatario di avvicinarsi a determinati o specifici edifici, trattandosi di finalità cui sono preordinate altre misure (Cass. III, n. 43449/2014; Cass. V, n. 19565/2010: in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il Tribunale del riesame ha confermato la misura, sostituita alla originaria misura carceraria, del divieto di accesso nei locali del Casinò nei confronti di un «croupier», trattandosi di finalità cui è preordinato l'art. 290 che disciplina il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali e imprenditoriali, inapplicabile nella specie trattandosi dell'attività di dipendente di una società).

Casi particolari

È illegittima, per violazione del principio di proporzione, l'applicazione al pubblico ufficiale, autore di un delitto contro la P.A., della misura cautelare del divieto di dimorare e accedere nel comune nel quale svolge la propria attività lavorativa, laddove essa sia esclusivamente diretta a fronteggiare il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ed abbia sostanzialmente la funzione di vietarne l'ingresso in alcuni specifici edifici ovvero di impedire l'esercizio di funzioni pubblicistiche, trattandosi di finalità cautelare al cui soddisfacimento è già preordinata, se applicabile, la misura interdittiva prevista dall'art. 289 (Cass. VI, n. 32402/2010; Cass. VI, n. 11806/2013; Cass. VI, n. 13093/2014).

È legittima l'applicazione a persona che ricopre un ufficio elettivo per diretta investitura popolare (nella specie, sindaco di un comune) della misura cautelare del divieto di dimora, anche se la stessa produce di fatto effetti assimilabili alla misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, vietata dall'art. 289, comma 3, perché questa disposizione non può essere interpretata in termini estensivi, pena la violazione del principio di uguaglianza. (Cass. VI, n. 44896/2013; Cass. VI, n. 20415/2014).

Obbligo di dimora

In generale

È illegittima la prescrizione imposta con l'applicazione della misura cautelare dell'obbligo di dimora, volta a delimitare lo spazio territoriale di dimora in modo diverso da come la disposizione di legge lo indica, con il tassativo riferimento al territorio del Comune di dimora abituale o di una frazione del predetto Comune o di un Comune viciniore ovvero di una frazione di quest'ultimo (Cass. I, n. 27679/2012; Cass. V, n. 16117/2017).

Misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno

Deve escludersi ogni ipotesi di fungibilità o di assorbimento tra l'obbligo di dimora previsto dall'art. 283 e la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, trattandosi di istituti radicalmente diversi per struttura e finalità (Cass. I, n. 2087/1994; Cass. I, n. 27677/2007: nel caso di specie, la Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di declaratoria di estinzione, per intervenuta esecuzione, della misura di prevenzione adottata successivamente all'applicazione della misura cautelare dell'obbligo di dimora nel comune di residenza; Cass. I, n. 11095/2008).

È stato anche precisato, in termini generali, che non esiste incompatibilità, in senso assoluto, tra misure di prevenzione e misure cautelari, dovendosi verificare caso per caso e potendosi configurare solo quando siano incompatibili le rispettive modalità di esecuzione (Cass. I, n. 6582/1999).

Divieto di non allontanarsi dall'abitazione

La misura cautelare dell'obbligo di dimora può essere accompagnata, ai sensi dell'art. 283, comma 4, dal divieto di allontanarsi dall'abitazione per alcune ore del giorno, con il solo limite che tale divieto non sia di «pregiudizio per le normali esigenze di lavoro» ed anche in tal caso rimane misura ontologicamente diversa dagli arresti o detenzione domiciliari (Cass. IV, n. 4245/2000). Peraltro, proprio per mantenere questa ontologica diversità, il provvedimento con cui il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno deve essere specifico quanto a presupposti, limiti, ambito di applicazione, sì da non comprimere totalmente, per genericità ed indeterminatezza, la libertà di movimento dell'imputato e da non snaturare la misura medesima, attribuendole connotati di afflittività in tutto simili a quelli che caratterizzano gli arresti domiciliari (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale il giudice aveva imposto agli indagati il divieto di non allontanarsi dall'abitazione in occasione di «cortei o pubbliche manifestazioni di carattere politico») (Cass. VI, n. 10672/2003).

L'autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa in orari coincidenti con la prescrizione di non allontanarsi da casa, ex art. 283, comma 4, cod. proc. pen., è subordinata esclusivamente all'effettività della proposta di lavoro, alla possibilità di realizzare i normali controlli di polizia giudiziaria e alla compatibilità con le esigenze cautelari da tutelare, non anche all'assoluta indigenza del richiedente, prevista invece per la misura custodiale degli arresti domiciliari (Cass. II, n. 40530/2024).

Il provvedimento con cui il giudice impone il divieto di allontanamento dall'abitazione (nella specie: nelle ore notturne) non viola il limite di cui al quarto comma dell'art. 283 (il quale impone che il provvedimento non rechi pregiudizio per le normali esigenze di lavoro), allorché le ragioni di cautela siano individuate proprio in relazione al lavoro svolto dal sottoposto alla misura coercitiva (Nella specie, attività svolta presso i locali notturni e direttamente collegata al reato di lesioni personali commesso a carico di un avventore). (Cass. V, n. 32894/2001).

La dottrina (Diddi, in Trattato di procedura penale, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008, 117-118) ha segnalato che la estrema flessibilità della misura dell'obbligo di dimora se, da un lato, consente una migliore attuazione del principio di adeguatezza, dall'altro lato, contiene il rischi di eliminare la sostanziale differenza che deve intercorrere tra arresto domiciliare ed obbligo di dimora con divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, pertanto, “non potendosi ancorare il potere discrezionale del giudice a criteri oggettivi, sarà necessario che la prescrizione di non allontanarsi faccia rigoroso riferimento a situazioni concrete inerenti alle esigenze cautelari ipotizzate al fine di non snaturare l'obbligo di non allontanamento introducendo inutili sacrifici della libertà personale”.

Mezzi di impugnazione

Sono impugnabili con l'appello cautelare i provvedimenti relativi all'autorizzazione a recarsi per ragioni di lavoro al di fuori del luogo di dimora obbligata. (In motivazione la Corte ha precisato che tali provvedimenti sono soggetti al regime dell'art. 310 in quanto incidono sullo stato di libertà e qualificano l'esecuzione della misura cautelare) (Cass. III, n. 45344/2011).

Violazione delle misure

La violazione delle misure cautelari ex art. 283 è sanzionata dall'art. 276 con la possibile applicazione di una misura più grave. Ne consegue che non trova applicazione la disposizione di cui all'art. 650 c.p., che è norma di natura sussidiaria e si applica solo quando l'inosservanza del provvedimento dell'autorità non sia sanzionata da alcuna norma, penale o processuale o amministrativa (Cass. I, n. 10537/1995; Cass. I, n. 5965/1996; Cass. I, n. 3759/1998; Cass. I, n. 43398/2005); neppure, con riferimento alla violazione dell'obbligo di dimora, è ammissibile ipotizzare il delitto di evasione di cui all'art. 385 c.p., perché l'evasione presuppone che l'autore sia detenuto o legalmente arrestato (Cass. VI, n. 44767/2003)

Cessazione delle misure

La durata delle misure è stabilita dall'art. 308 e il provvedimento che ne stabilisce la cessazione è comunicato con urgenza all'interessato e alla polizia giudiziaria competente a controllare l'osservanza delle prescrizioni imposte (art. 98, comma 2, disp. att.), ma il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale già applicata al condannato; in tal caso, l'estinzione della misura opera di diritto, senza che sia necessario alcun provvedimento che la dichiari (Cass. S.U., n. 18353/2011).

Bibliografia

Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015.

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