Codice di Procedura Penale art. 292 - Ordinanza del giudice.Ordinanza del giudice. 1. Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza1 . 2. L'ordinanza che dispone la misura cautelare [313] contiene, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio [181; 92, 94, 97 att.; 250 trans.; 6 reg.]: a) le generalità dell'imputato [60, 61] o quanto altro valga a identificarlo; b) la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate; c) l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari [274] e degli indizi [273] che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato2; c-bis) l'esposizione e l'autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa [2911], nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere [285], l'esposizione e l'autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure3; d) la fissazione della data di scadenza della misura [301], in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l'esigenza cautelare di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 274; e) la data [111] e la sottoscrizione [110] del giudice4. 2-bis. L'ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell'ausiliario che assiste il giudice [126], il sigillo dell'ufficio e, se possibile, l'indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l'imputato [60, 61]5. 2-ter. L'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato, di cui all'articolo 358, nonché all'articolo 327-bis e, nel caso di cui all'articolo 291, comma 1-quater, una specifica valutazione degli elementi esposti dalla persona sottoposta alle indagini nel corso dell'interrogatorio6. 2-quater. Quando è necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali, in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione degli elementi rilevanti7 .
3. L'incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione. 3-bis. L'ordinanza è nulla se non è preceduta dall'interrogatorio nei casi previsti dall'articolo 291, comma 1-quater, nonché quando l'interrogatorio e' nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo.8
[2] L'art. 8, l. 16 aprile 2015, n. 47, ha inserito, dopo le parole: «l'esposizione» le parole: «e l'autonoma valutazione». [3] L'art. 8, l. 16 aprile 2015, n. 47, ha inserito, dopo le parole: «l'esposizione» le parole: «e l'autonoma valutazione». [4] Il comma 2 è stato così sostituito dall'art. 9 l. 8 agosto 1995, n. 332. Precedentemente le lett. a) ed e) del comma 2 erano state modificate ad opera dell'art. 5 comma 2 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con modif., in l. 12 luglio 1991, n. 203. V. inoltre l'art. 3 comma 3 d.l. n. 152, cit. [6] Comma inserito dall'art. 9 l. n. 332, cit., e successivamente così modificato dall'art. 6 l. 7 dicembre 2000, n. 397. Le parole «e, nel caso di cui all'articolo 291, comma 1-quater, una specifica valutazione degli elementi esposti dalla persona sottoposta alle indagini nel corso dell'interrogatorio» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. f), n. 1, l. 9 agosto 2024, n. 114. [7] Le parole «, in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione degli elementi rilevanti» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. f), n. 2, l. 9 agosto 2024, n. 114. Precedentemente l'art. 3, comma 1, lett. f) del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, aveva inserito il presente comma 2-quater. Ai sensi dell'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 216, cit., come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9, comma 1, d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »). Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216/2017, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2 comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 », poi dall'art. 1, comma 1139, lett. a), n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio 2019), sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 », e dall'art. 9, comma 2, lett. a), d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77, sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 ». [8] Comma inserito dall'art. 2, comma 1, lett. f), n. 3, l. 9 agosto 2024, n. 114. InquadramentoL'art. 292 stabilisce quali siano la forma del provvedimento del giudice sulla richiesta del P.M. di applicazione di misura cautelare e i requisiti, prescritti o meno a pena di nullità, nonché quale debba esserne il contenuto essenziale. Forma del provvedimento del giudiceI provvedimenti relativi all'applicazione, alla revoca ed alla sostituzione delle misure cautelari devono essere adottati con ordinanza. Tuttavia, nel caso in cui siano adottati con sentenza, non vi è carenza di forma (che anzi risulta sovrabbondante), ma eventualmente può esservi un ritardo nella motivazione del provvedimento, ove il giudice non espliciti la motivazione nel dispositivo della sentenza, potendo questa essere motivata successivamente alla pronuncia del dispositivo. Per la parte relativa all'applicazione, revoca e sostituzione delle misure cautelari la sentenza deve essere qualificata ordinanza e, come tale, è suscettibile di impugnazione davanti al Tribunale del riesame (Cass. I, n. 353/1992). Requisiti del provvedimento del giudice a pena di nullità
In genere I requisiti indicati dai commi 2 e 2-ter dell'art. 292 sono fissati a pena di nullità, che deve essere qualificata come nullità generale a regime intermedio, dovendo, pertanto, essere dedotta, a pena di decadenza, con la richiesta di riesame (Cass. III, n. 41786/2021). Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, chiamate a stabilire “se la mancata traduzione, entro un termine congruo, in lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana, dell'ordinanza che disponga una misura cautelare personale, determini la nullità di detto provvedimento ovvero la perdita di efficacia della misura, oppure comporti solo il differimento del termine per proporre impugnazione”, hanno affermato che «l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 c.p.p. Ove non sia già emerso che l’indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l’ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l’obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine; la mancata traduzione determina la nullità dell’intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l’ordinanza di custodia cautelare» (Cass. S.U., n. 15069/2024) . Generalità dell'imputato (comma 2 lett. a) L'indicazione delle generalità complete dell'indagato nell'ordinanza di custodia cautelare è assolutamente indispensabile — sì che è sanzionata da nullità la sua mancanza. Alla norma dell'art. 292 comma 1 lett. b) si collega la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo che stabilisce che «l'incertezza (...) circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione». Pertanto, nel caso in cui sia privo delle generalità dell'imputato e non consenta l'individuazione della persona nei cui confronti è emesso, il provvedimento, oltre che nullo, è in concreto, privo di effetti, in quanto ineseguibile. La nullità sussiste solo nel caso in cui l'ordinanza stessa sia emessa autonomamente ex art. 291, e non anche nel caso in cui sia emessa dopo la convalida dell'arresto in flagranza dell'inquisito ad opera della P.G., in un momento in cui la sua identificazione è stata già compiuta, in maniera esauriente e completa, senza alcuna possibilità di errore sulla sua identità (Fattispecie in cui nell'ordinanza di custodia risultavano solo il nome e cognome degli indagati) (Cass. I, n. 4698/1996; Cass. IV, n. 3303/2013). Non costituisce violazione dell'art. 292, commi 2 e 3, la mancata indicazione delle generalità dell'imputato nella epigrafe della ordinanza applicativa di misura cautelare quando il nome e cognome del medesimo sono contenuti all'interno del provvedimento, con espressa indicazione che si tratta di un soggetto che, a conclusione del processo che lo vedeva imputato, aveva riportato condanna in relazione al delitto per cui la misura era stata richiesta, sicché non può dirsi sussistere alcuna incertezza circa il destinatario del provvedimento (Cass. VI, n. 4779/1998; Cass. II, n. 18680/2003). Costituisce mero errore materiale, e non violazione dell'art. 292, comma 2, lett. a), la imprecisione del solo «nome», qualora risultino esatti gli altri dati identificativi (cognome, luogo e data di nascita) e non vi siano dubbi sulla corretta identificazione dell'indagato (Cass. VI, n. 21939/2006). Descrizione sommaria del fatto (comma 2 lett. b) Il requisito della descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, imposto a pena di nullità dall'art. 292, comma 2, lett. b), come contenuto minimo dell'ordinanza che dispone la misura cautelare, ha la funzione di informare l'indagato o l'imputato circa il tenore delle accuse che gli vengono mosse, al fine di consentirgli l'esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che esso può dirsi soddisfatto quando i fatti addebitati siano indicati in modo tale che l'interessato ne abbia immediata e compiuta conoscenza, a nulla rilevando che risultino richiamati esclusivamente gli articoli di legge relativi all'oggetto della contestazione, essendo sufficiente una sintetica e sommaria enunciazione dei lineamenti essenziali della contestazione, senza la necessità di specificare eventuali elementi di dettaglio deve, comunque, presentare un minimo di specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta rispetto alla norma violata e al suo tempo di commissione, così da porre l'interessato in condizione di difendersi. (Cass. S.U., n. 16/1999; Cass. VI, n. 50953/2014; Cass. III, n. 23978/2014). Ai fini dell'osservanza del requisito di legge deve ritenersi sufficiente il rinvio alla richiesta del P.M., cui nell'ordinanza sia stato fatto espresso riferimento, ovvero anche che esso risulti dal contesto motivazionale dell'ordinanza medesima, sempre che, in detta seconda ipotesi, la loro indicazione sia funzionale all'adozione della misura cautelare e non trattisi, invece, di affermazioni discorsive o di obiter dicta (Cass. II, n. 2550/1992; Cass. I, n. 29653/2003; Cass. VI, n. 1158/2008); nel caso in cui il provvedimento cautelare sia preceduto dalla udienza di convalida dell'arresto, la carenza degli elementi prescritti dalla lett. b) dell'art. 292 può essere compensata dalla circostanza che il giudice, nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, abbia precisato i motivi di quest'ultimo e la contestazione all'indagato dei reati ravvisati a suo carico, anche con la lettura della richiesta di misura formulata dal P.M. (Cass. IV, n. 20895/2005; Cass. I, n. 7452/2008 - dep. 18/02/2008). Si è ritenuto che l'indicazione della data in cui si assume essere stato commesso un determinato reato è un elemento non indispensabile alla descrizione del fatto, particolarmente quando si tratti di reato permanente che copra un lungo arco di tempo, la cui individuazione risulti dall'indicazione degli elementi strutturali della fattispecie, sia pur schematicamente enunciati (Cass.S.U., n. 9/1998). Qualora venga disposta una misura cautelare dopo la pronuncia della sentenza di condanna, è sufficiente ad integrare il requisito dell'ordinanza applicativa richiesto dall'art. 292, comma 2, lett. b), l'indicazione del titolo giuridico delle imputazioni per le quali la condanna è intervenuta, in considerazione della possibilità di completa identificazione da parte degli imputati dei fatti oggetto delle imputazioni, di cui sono a piena conoscenza a seguito del contraddittorio dibattimentale e della decisione adottata all'esito di esso (Cass. II, n. 3713/1997; Cass. VI, n. 30580/2003) Esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi (comma 2 lett. c) Per poter ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione non è sufficiente la generica indicazione della fonte dalla quale potrebbero ricavarsi gli indizi di colpevolezza, oppure il generico richiamo al tipo di prova acquisita, essendo invece necessaria l'indicazione del contenuto delle risultanze emergenti dagli elementi presentati dall'organo richiedente il provvedimento, nonché la menzione dei fattori indizianti che se ne possono desumere e delle ragioni della loro rilevanza ai fini del giudizio di probabile reità (Cass. V, n. 90/1991; Cass. I, n. 1164/1993; Cass. V, n. 4915/1997). Pertanto, l'obbligo di motivazione dell'ordinanza applicativa di misura cautelare non può ritenersi assolto, per quanto concerne l'esposizione dei gravi indizi di colpevolezza, con la mera elencazione descrittiva degli elementi di fatto, occorrendo invece una valutazione critica ed argomentata delle fonti indiziarie singolarmente assunte e complessivamente considerate, non potendosi fare leva sull'autoevidenza delle stesse (Cass. VI, n. 40609/2008; Cass. VI, n. 18190/2012 ; Cass. VI, n. 27928/2013). Qualora venga disposta una misura cautelare dopo la pronuncia della sentenza di condanna, l'obbligo motivazionale in ordine agli indizi di colpevolezza, anche con riferimento agli elementi favorevoli, può dirsi soddisfatto con la semplice esposizione degli elementi di prova a carico, senza che sia rinnovata la loro valutazione critica, la quale, successivamente all'emanazione della sentenza e per effetto di essa, deve anzi ritenersi preclusa fin dal momento in cui è stata data pubblica lettura del dispositivo e prima ancora del deposito della motivazione, discendendo direttamente il predetto effetto preclusivo dall'intervenuta decisione sulla notitia criminis (Cass. II, 3713/1997; Cass. VI, n. 30580/2003; Cass. I, n. 17620/2016). E' stato osservato che la situazione deve ritenersi del tutto identica o comunque assimilabile ai fini che qui interessano sia nell'ipotesi che mai precedentemente alcuna misura cautelare fosse stata disposta (in ragione di un'assenza di richiesta) che nell'ipotesi in cui una misura fosse stata disposta e fosse successivamente venuta meno per qualsivoglia ragione che, infine, nell'ipotesi che la misura cautelare fosse stata sì richiesta ma non fosse stata emessa dal primo giudice della cautela. La ragione giustificatrice che accomuna ed assimila le tre situazioni proviene dal fatto che le prove sono state acquisite in sede dibattimentale, luogo ove - per antonomasia - si realizza nella maniera più piena la garanzia del contraddittorio, venendo l'imputato messo nelle condizioni migliori per poter contestare l'accusa, difendersi ed esercitare la facoltà di allegazione. E di tale principio, si trae conferma testuale dal disposto dell'art. 275, comma 1-bis, che, nel delineare lo schema legale della motivazione dell'ordinanza applicativa di misura cautelare contestualmente alla pronuncia di una sentenza di condanna, non contempla alcun riferimento ai gravi indizi di colpevolezza (Cass. II, n. 25246/2019). È stata anche ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 292, sollevata, in riferimento agli artt. 111, comma 1, e 13, comma 2, Cost., nella parte in cui non prevede che anche dopo la sentenza di condanna l'ordinanza che applica una misura cautelare personale sia motivata con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto, come rilevato dalla sentenza della Corte cost. n. 71/1996, pur dovendosi riconoscere l'autonomia del provvedimento decisionale di libertà rispetto a quello di merito, ove intervenga una decisione, come la condanna, che contenga in sé una valutazione di merito della vicenda, l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza deve ritenersi in essa assorbito (Cass. VI, n. 4779/1998). Sul punto v. anche sub art. 275, § 2. In giurisprudenza si è ritenuto che il giudice per le indagini preliminari, purché nella sua valutazione non esorbiti dai fatti che gli sono stati rappresentati dal pubblico ministero, può cogliere in questi esigenze cautelari diverse da quelle per le quali gli è stata richiesta l'adozione della misura e motivare, di conseguenza, il provvedimento cautelare in modo parzialmente difforme dalla richiesta del pubblico ministero (Cass. VI, n. 3283/1993; Cass. I, n. 3490/1997); si è, infatti, argomentato che il giudice, pur potendo disporre misure cautelari, ai sensi dell'art. 291, solo su richiesta del pubblico ministero, sulla base degli «elementi» da questi presentati, è tuttavia investito del potere-dovere di qualificare e inquadrare poi, autonomamente, i detti elementi (da intendersi essenzialmente nel senso di «elementi di fatto») collocandoli nell'ambito di quella o di quelle, tra le posizioni normative regolanti la materia, che meglio appaiono atte a giustificare l'adozione della misura richiesta; il provvedimento applicativo della misura stessa, infatti, è comunque proprio esclusivamente del giudice ed a questi spetta quindi motivarlo nel modo ritenuto più congruo, in relazione a tutti i requisiti di validità previsti dalla legge ivi compresi, quindi quelli attinenti la sussistenza delle esigenze cautelari (Cass. I, n. 4033/1992). Il riferimento in ordine al «tempo trascorso dalla commissione del reato» di cui all'art. 292, comma 2, lett. c), impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Cass. S.U., n. 40538/2009). Sulla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del reato si rinvia a quanto esposto sui diversi orientamenti giurisprudenziali, sub art. 274, § 4.2. La giurisprudenza ha sempre ritenuto legittima la motivazione per relationem anche del provvedimento di applicazione di misura cautelare che recepisca integralmente la richiesta del P.M., quando: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l'atto di riferimento sia conosciuto dall'interessato o almeno a lui ostensibile (Cass. IV, n. 4181/2008), con la conseguenza che deve considerarsi nullo il provvedimento cautelare per carenza assoluta di motivazione, quando l'apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all'impiego di mere clausole di stile o all'uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell'atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni (Cass. VI, n. 25631/2012). La l. n. 47/2015, al fine di evitare l'uso patologico della motivazione per relationem, ha introdotto nell'art. 292, comma 1, alle lett. c) e c-bis) il requisito di una “autonoma valutazione” da parte del giudice. Peraltro, la giurisprudenza ha precisato che la disposizione novellata, tenuto conto della specificità dei vari casi, non impone affatto che ciascuna singola circostanza di fatto, ciascun punto rilevante debba essere nuovamente «scritto» ed autonomamente valutato senza possibilità di rinvio ad altri atti. La legge impone, invece, un giusto rigore che era già emerso in quella giurisprudenza che richiedeva la conformità della ordinanza di custodia ad un modello minimo che consentisse di esplicare la sua funzione e non mira, invece, ad introdurre un formalismo che renda inutilmente incerta la validità delle ordinanze di custodia. Così, non ogni rinvio per relationem o, ancora, per «incorporazione» — ai quali è, pertanto, tutt'ora legittimo ricorrere — induce l'assenza dì autonoma valutazione da parte del Giudice emittente, la cui mancanza, ai sensi dell'art. 309, comma 9 u.p., comporta irrimediabilmente l'annullamento da parte del Tribunale della ordinanza che ne è affetta. È stato, infatti, osservato, in relazione alla effettiva portata della novella introdotta dalla l. n. 47/2015, che non ogni punto rilevante per la decisione deve essere nuovamente riscritto ed autonomamente valutato senza possibilità di rinvio ad altri atti ed una motivazione che riporti il contenuto informativo esposto nella richiesta del P.M. può soddisfare l'obbligo della motivazione per rendere edotto il destinatario della ordinanza dei presupposti di fatto della misura applicata, laddove — al contrario — il mero rinvio alle prospettazioni dell'accusa non è sufficiente a dimostrare l'esercizio del potere-dovere in ordine alla valutazione del detto contenuto informativo. Pertanto, non può essere accolta una deduzione difensiva che si limiti alla generica deduzione dell'uso della tecnica del “copia incolla” informatico, senza individuare a quali contenuti - e per quali specifiche ragioni — si eccepisca la mancanza della autonoma valutazione da parte del giudice emittente (Cass. VI, n. 40978/2015; Cass. VI, n. 45934/2015 ; Cass. II, n. 13838/2017). E' stato, inoltre, precisato, che la necessità di una "autonoma valutazione" delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza impone al giudice di esplicitare le valutazioni sottese all'adozione della misura, mentre invece gli elementi fattuali possono essere trascritti così come indicati nella richiesta del pubblico ministero e senza alcuna aggiunta, costituendo il dato oggettivo posto alla base della richiesta (Cass. VI, n. 46792/2017). Più in generale è stato affermato la prescrizione di legge è osservata anche quando l'ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell'affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; fermo restando che, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità "seriali", non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti, di volta in volta, considerati per essi sussistenti (Cass. III, n. 28979/2016 ; Cass. VI, n. 30774/2018;Cass. II, n. 14316/2022). L'art. 3 d.lgs. n. 216/2017 ha inserito il comma 2-quater, con la previsione che : “quando è necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali”. Si tratta di una norma funzionale alla salvaguardia delle esigenze di riservatezza, ma che creerà certamente dubbi e problemi dal punto di vista della effettiva rispondenza dei singoli brani ritenuti essenziali al significato emergente dal contesto generale in cui essi sono inseriti, effettiva rispondenza che potrà essere verificata solo attraverso la consultazione diretta dei file audio. Esposizione dei motivi di irrilevanza degli elementi forniti dalla difesa (lett. c-bis) La modifica apportata all'art. 292 comma 2 con l. n. 332/1995 che ha introdotto la partizione c) bis, non impone al giudice del riesame un onere di motivazione tale da rendere necessaria un'analisi puntuale di ogni elemento fornito dalla difesa, quando l'irrilevanza di simile elemento risulti chiara dall'esposizione delle specifiche esigenze cautelari o degli indizi che legittimano in concreto la misura disposta (Cass. VI, n. 990/1996). È stato precisato che le dichiarazioni che il sottoposto ad indagine rende al suo difensore nell'ambito delle attività di investigazione difensiva non possono essere annoverate nella categoria degli «elementi forniti dalla difesa», in merito ai quali, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio, l'ordinanza applicativa di una misura cautelare personale deve espressamente motivare l'irrilevanza (Cass. II, n. 35589/2007). Esposizione delle ragioni di proporzionalità della misura cautelare (lett c-bis) La nullità dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere per mancata indicazione delle «concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure» (art. 292, comma 2, lett. c bis) non può discendere dalla mera, formale omissione di detta indicazione, quando risulti evidente, dal complesso motivazionale, l'incidenza assoluta e prevalente che hanno assunto le considerazioni riferibili alla gravità della pericolosità sociale e dalla personalità dell'indagato (Cass. II, n. 46223/2005). Fissazione della data di scadenza della misura (lett. d) L'art. 292, comma 2, lett. d), in base al quale è fatto obbligo al giudice di fissare la durata della misura cautelare, quando questa è disposta al fine di garantire l'acquisizione o la genuinità della prova, non impone al giudice di esporre anche le ragioni che giustificano l'entità del termine apposto, in quanto la relativa determinazione si trova in rapporto di logica dipendenza con la natura delle esigenze custodiali poste alla base del provvedimento restrittivo, rispetto alle quali il calcolo va effettuato con una valutazione che, tenuto conto della fluidità della situazione procedimentale nella fase delle indagini preliminari, non può che essere espressa se non in termini di generica congruità. (Cass. II, n. 3656/1994). La mancata specifica indicazione nel provvedimento, che dispone una misura a tempo predefinito per cautele istruttorie, del termine di durata non ne comporta la nullità se la durata medesima possa, comunque, essere desunta dal testo del provvedimento stesso sì da non far sorgere incertezze circa l'esatta individuazione della scadenza prescritta; in ogni altro caso in cui non sia possibile individuare la precisa predeterminazione del termine finale, anche per relationem a dati oggettivi e non eventuali altrimenti precisati, il tenore letterale dell'art. 292 comma 2 lett. d) comma 2 lett. d) e la sua ratio inducono la inequivoca nullità del provvedimento, dato che circa la certezza del termine non possono sussistere dubbi (Cass. VI, n. 2111/1994: fattispecie nella quale il giudice di merito ebbe a fissare la durata della custodia cautelare con riferimento alle esigenze probatorie« sino alla chiusura delle indagini preliminari»; affermando il principio di cui sopra la Cassazione ha annullato senza rinvio la relativa ordinanza osservando altresì che detto termine appare imprecisato ed indefinibile potendo, per un verso il tempo delle indagini non esaurire il periodo massimo consentito dalla legge e, d'altro conto potendo esso subire un allungamento in virtù di proroghe di incerta preventiva determinazione). L'esigenza di salvaguardare da inquinamento l'acquisizione e la genuinità della prova non si esaurisce con la chiusura delle indagini preliminari o con la conclusione del giudizio di primo grado (v. sub art. 274). È comunque dovere del giudice accertare, con penetrante indagine di merito, oltre la effettiva permanenza delle circostanze legittimanti la limitazione della libertà personale, la indispensabilità e la congruità, rispetto al tema di accusa, delle ulteriori indagini, onde scongiurare devianze nell'utilizzo dello strumento cautelare (Cass. VI, n. 969/1991). La fissazione della durata di una misura cautelare personale disposta al fine di garantire l'acquisizione e la genuinità della prova é necessaria solo quando la misura sia stata disposta unicamente per tutelare la suddetta esigenza, e non occorre invece quando la misura sia stata disposta anche a tutela delle altre esigenze cautelari indicate nell'art. 274, essendo evidente che sarebbe del tutto inutile fissare un termine di durata, se poi la misura deve continuare ad essere applicata per la salvaguardia delle altre esigenze cautelari (Cass. I, n. 1778/1990; Cass. II, n. 56/1997; Cass. V, n. 4428/1999; Cass. II, 9777/2004; Cass. IV, n. 7582/2007; Cass. VI, n. 41632/2013) Data e sottoscrizione del giudice (lett. e) L'art. 292 comma 2 lett. e) è diretto a disciplinare la forma e la sostanza delle ordinanze che dispongono le misure cautelari personali nel corso del procedimento penale ed assolve anche alla funzione di assicurare autenticità e pubblicità ad un provvedimento che, incidendo sulla libertà, e perciò su un diritto primario del cittadino, deve presentare caratteristiche formali idonee a farlo riconoscere come promanante dall'autorità competente. Tale ultima esigenza, tuttavia, non sussiste quando la provenienza del provvedimento sia ricavabile da altre e diverse forme di autenticazione, come nel caso in cui l'ordinanza sia inserita in un più complesso provvedimento dotato di una sua forma solenne di autenticità e di pubblicità, ciò che si verifica quando l'ordinanza sia pronunciata nel corso dell'udienza di convalida e sia, pertanto, contenuta in un più complesso atto processuale quale è il verbale di udienza (Cass. VI, n. 2810/1991; Cass. II, n. 18680/2003). La sottoscrizione dell'ordinanza da parte del giudice non implica che la firma debba essere leggibile, in maniera tale da consentire l'individuazione del giudice (o dei giudici) da cui la decisione promana, non essendo ciò richiesto da alcuna norma giuridica (Cass. VI, n. 1355/1998), ma, ai fini della validità dell'ordinanza cautelare deve essere possibile individuare il giudice che ha emesso il provvedimento, da intendersi non come giudice persona fisica, ma come organo giurisdizionale da cui l'ordinanza promana, allo scopo di consentire all'indagato di individuare l'ufficio dinanzi al quale esercitare i diritti di difesa. Qualora non sia possibile individuare l'autorità giudiziaria l'ordinanza cautelare, oltre che nulla, è anche ineseguibile, secondo il disposto dell'art. 292 comma 3. Un provvedimento di custodia cautelare emesso da più giudici per le indagini preliminari appartenenti allo stesso ufficio e, quindi, tutti egualmente competenti, costituisce non un atto collegiale ma un atto congiunto, processualmente irregolare ma non nullo, stante il principio della tassatività delle nullità (art. 177). In particolare non è ravvisabile nullità ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. a), giacché il provvedimento stesso conclama che identica è la volontà dei giudici, sicché il fatto che non possano venire in considerazione le regole per la formazione della volontà nei collegi dimostra che i giudici non sono costituiti in collegio e che l'atto è attribuibile a ciascuno di essi singolarmente considerato (Cass.S.U., n. 1/1993; Cass. I, n. 3441/1996). È nulla l'ordinanza cautelare che sia priva di data certa. Peraltro, non è nulla l'ordinanza cautelare priva di data qualora tale elemento, pur non risultando direttamente dall'atto, lo si possa evincere da un'attestazione della cancelleria (Cass. II, n. 29129/2013: fattispecie in cui in calce all'ordinanza risultava indicata, con timbro della cancelleria, la data di trasmissione al P.M. e dall'attestazione della medesima cancelleria era risultato che quella era la data del deposito). Omessa valutazione di elementi a carico e a favore dell'imputato (comma 2- ter ) La disposizione di cui all'art. 292, comma 2-ter, in base alla quale l'ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell'imputato, non impone al giudice l'indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né tantomeno gli prescrive la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l'irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l'obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori: invero, nella nozione di «elementi di favore» rientrano solo i dati di natura oggettiva aventi rilievo concludente ovvero la singola circostanza o il singolo fatto storico che assuma o possa assumere una sua rilevanza nell'apparato argomentativo della decisione, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, le quali sono assorbite nell'apprezzamento complessivo cui procede il giudice de libertate (Cass. II, n. 292/1997; Cass. IV, n. 34911/2003; Cass. VI, n. 13919/2005; Cass. II, n. 13500/2008; Cass. II, n. 16621/2008). Pertanto l'obbligo motivazionale resta circoscritto alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori, essendo gli ulteriori elementi assorbiti nella valutazione complessiva del giudice che (Cass. I, n. 8236/2019). Ove l'indagato invochi la nullità dell'ordinanza custodiale a norma dell'art. 292, comma 2-ter a causa della mancata trasmissione di un atto processuale, contenente elementi favorevoli alla sua difesa, ma non risultanti dalla motivazione dell'ordinanza cautelare, grava sull'indagato medesimo l'onere di fornire la prova, storica o anche soltanto logica, che l'atto non trasmesso contenesse tali elementi (Cass. III, n. 8698/2008). Altri requisitiIl comma 2-bis dell'art. 292 indica tra i requisiti dell'ordinanza del giudice anche la sottoscrizione dell'ausiliario, il sigillo dell'ufficio “e, se possibile, l'indicazione del luogo in cui probabilmente di trova l'imputato; ma l'ordinanza di custodia cautelare è provvedimento giurisdizionale che si completa e viene a giuridica esistenza con la sottoscrizione del giudice, sicché la mancanza della sottoscrizione dell'ausiliario o del timbro dell'ufficio non impedisce l'esistenza giuridica del provvedimento e non ne determina neppure la nullità, non sancita dalla previsione di cui all'art. 292, comma 2-bis (Cass. VI, n. 3305/2001; Cass. VI, n. 28751/2008). L'ordinanza applicativa di una misura cautelare deve contenere anche l'indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l'imputato. Tuttavia, dalla mancata indicazione di tale luogo non deriva alcuna invalidità in ossequio al principio di tassatività delle nullità, poiché il codice non commina alcuna nullità, anzi la stessa formula legislativa dell'art. 292 comma 2-bis, con la precisazione «se possibile» evidenzia la natura meramente indicativa della disposizione. Poteri del giudiceIl giudice, oltre al potere di indicare esigenze cautelari diverse da quelle per le quali gli è stata richiesta l'adozione della misura, come già detto supra può anche applicare una misura meno afflittiva di quella richiesta dal pubblico ministero e qualificare più esattamente l’ipotesi di reato contestata dal P.M. (con riferimento a questi poteri v. sub art. 291). BibliografiaAprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015; Zappalà, Le misure cautelari, in Siracusano- Galati- Tranchina- Zappalà, Diritto processuale penale, I, Milano, 2011. |