Codice di Procedura Penale art. 306 - Provvedimenti conseguenti alla estinzione delle misure.Provvedimenti conseguenti alla estinzione delle misure. 1. Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia [299-303, 304 4, 309 10] secondo le norme del presente titolo, il giudice dispone con ordinanza l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura [98 1-3 att.]. 2. Nei casi di perdita di efficacia di altre misure cautelari [308, 309 10], il giudice adotta con ordinanza i provvedimenti necessari per la immediata cessazione delle misure medesime [98 3-4 att.]. InquadramentoL'art. 306 disciplina le conseguenze della perdita di efficacia della custodia cautelare e delle altre misure cautelari, prevedendo che, per la prima il giudice deve disporre l'immediata liberazione della persona sottoposta alla custodia cautelare; mentre in relazione alle altre misure il giudice deve adottare i provvedimenti necessari per l'immediata cessazione delle misure applicate. Perdita di efficacia della misuraPer comprendere le conseguenze della perdita di efficacia della misura cautelare nelle varie ipotesi prevista dal codice di rito e i rapporti tra le competenze del giudice procedente e quelle del giudice dell'impugnazione, è necessario ripercorrere, sia pure sinteticamente, un lungo e complesso percorso giurisprudenziale. La prima sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sull'argomento (Cass. S.U., n. 26/1995), decidendo in merito al contrasto di giurisprudenza concernente la possibilità di condannare l'indagato soccombente al pagamento delle spese del procedimento incidentale di riesame, respinse preliminarmente, perché inammissibile, la doglianza relativa alla sopravvenuta estinzione della misura cautelare conseguente alla nullità dell'interrogatorio di cui all'art. 294, non potendo la relativa questione essere sollevata nel corso del procedimento di riesame, il quale è preordinato a verificare soltanto i presupposti legittimanti l'avvenuta adozione della misura cautelare e non anche quelli incidenti sulla sua persistenza, con la conseguenza che non è consentito dedurre, nel corso di detto procedimento, la successiva perdita di efficacia di tale misura, derivata dalla mancanza o dalla invalidità di successivi provvedimenti. Pertanto, la mancanza, la tardività e comunque l'invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 integrano vicende del tutto avulse dall'ordinanza cautelare, oggetto del riesame. Esse, infatti, si risolvono in vizi processuali, che non ne intaccano l'intrinseca legittimità, ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica, che deve essere disposta, nell'ambito di un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 e suscettibile di appello, a mente dell'art. 310. La successiva sentenza n. 7/1996, nel decidere la questione controversa se per il rispetto del termine fissato dall'art. 309 per la decisione dovesse essere depositata l'ordinanza comprensiva della motivazione, ebbe occasione di ribadire il principio della sentenza Cass.S.U.n. 26/1995, nel punto in cui aveva affermato che la perdita di efficacia della misura cautelare deve essere fatta valere avanti al giudice di merito attraverso la richiesta di revoca prevista dall'articolo 306, con la puntualizzazione della vis attractiva del ricorso per cassazione, quando, come nel caso in esame, oltre che l'inefficacia, vengano prospettate questioni relative alla legittimità del provvedimento. La sentenza osserva, che, specialmente se l'assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fondato, in tal modo non si ritarda ulteriormente una decisione che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede subito dopo l'intervento della ordinanza del Tribunale. A seguito della l. n. 332/1995, che, modificando l'art. 309, aveva introdotto la previsione della perdita di efficacia della misura coercitiva anche in caso di inosservanza del termine di trasmissione degli atti al Tribunale del riesame, la sentenza Cass. S.U., n. 25/1999, nel decidere in merito alla questione controversa circa la decorrenza del termine di cinque giorni per la trasmissione degli atti al Tribunale del riesame, ribadì il principio della sentenza n.7/1996, affermando che se è vero che le cause che determinano la inefficacia della custodia cautelare, non agendo sul piano della legittimità della ordinanza applicativa della misura cautelare, debbono essere fatte valere attraverso la istanza di revoca di cui all'art. 306 ed i rimedi dell'appello e del ricorso per cassazione, peraltro, qualora con il ricorso avverso la decisione sulla richiesta di riesame sia censurata, con la perdita di efficacia del provvedimento coercitivo, anche la legittimità originaria dello stesso, opera la vis attractiva del proposto gravame e si radica la competenza del giudice di legittimità. Le successive sentenze delle Sezioni Unite operano una ricostruzione sistematica della materia in esame, elaborando più precise regole sull'ordine delle competenze nei rapporti tra giudice del procedimento principale e giudice dell'impugnazione. La sentenza Cass. S.U., n. 1/1999, nello stabilire il principio di diritto secondo il quale la perdita d'efficacia dell'ordinanza coercitiva a norma dell'art. 309, commi 5 e 10, è deducibile dall'interessato e rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione avverso la decisione del Tribunale del riesame, affronta in via pregiudiziale il problema della legittimazione del giudice del procedimento incidentale di impugnazione a dichiarare, nell'ipotesi considerata, la perdita automatica di efficacia dell'ordinanza coercitiva, e osserva che l'assenza di un obbligo di devoluzione della questione al giudice del procedimento principale risponde alla logica complessiva del sistema, secondo cui il giudice della procedura incidentale di impugnazione è giudice della propria competenza, della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, nonché, a maggior ragione, del rispetto dei termini della procedura, dalla cui inosservanza discenda la perdita di efficacia dell'ordinanza coercitiva, logicamente pregiudiziale rispetto a ogni altra questione di legittimità o di merito. La successiva sentenza Cass. S.U., n. 2/1999, ad integrazione della sentenza Cass. S.U., n. 1/1999, afferma il principio che nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, comma 10, l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura, quale effetto automatico di detta inosservanza, può essere chiesta anche al giudice del procedimento principale a norma dell'art. 306, salvo che la relativa richiesta sia già stata respinta nel procedimento incidentale di impugnazione (riesame o ricorso per cassazione), dal momento che in quest'ultima eventualità si determina la preclusione endoprocessuale derivante dalla formazione del cosiddetto «giudicato cautelare». Tali conclusioni sono rivisitate dalla sentenza Cass. S.U., n. 14/2000, la quale afferma che «l'omessa pronuncia della caducazione ex art. 309, comma 10, configurata come un vizio della decisione di riesame, rimanga sanata ove non dedotta nel giudizio di cassazione; e non possa essere perciò rilevata dal giudice del procedimento principale. Sarebbe infatti una palese contraddizione ammettere la rilevabilità nel procedimento principale di una questione che nel procedimento incidentale rimane preclusa se non dedotta con uno specifico motivo d'impugnazione. Sicché si realizza in proposito una preclusione analoga a quella che impedisce al giudice del procedimento principale di rilevare le invalidità del provvedimento applicativo della misura, previste dall'art. 292, non dedotte tempestivamente con una delle impugnazioni proponibili ex art. 309 e 311.[...]. Sicché l'art. 306 deve essere interpretato nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una misura cautelare sia esclusivamente il giudice del procedimento (principale o incidentale) nell'ambito del quale si è verificato l'evento che l'ha determinata. E nel caso della caducazione prevista dall'art. 309, comma 10, deve perciò attribuirsi al solo giudice del riesame il dovere di rilevarla anche d'ufficio, potendo la Corte di cassazione rilevare una tale caducazione solo in conseguenza dell'accertamento dell'omessa sua dichiarazione da parte del giudice del riesame, ove una tale omissione sia stata denunciata con uno specifico motivo d'impugnazione». Infine, la sentenza Cass. S.U., n. 45246/2012, mantenendo fermo lo stato della giurisprudenza, che traccia la linea di confine tra le questione devolute alla cognizione del giudice dell'impugnazione e quelle affidate alle decisioni del giudice del procedimento principale, ha ritenuto che l'inefficacia della misura cautelare per retrodatazione dei termini ex art. 297, comma 3, non può dedotta nel procedimento di riesame quando l'inefficacia sia sopravvenuta all'adozione della misura stessa, mentre può essere dedotta quando il termine della custodia cautelare sia interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare. Sulla base della ricostruzione sistematica operata soprattutto dalle sentenze Cass. S.U., n. 1/1999 e Cass. S.U. n.14/2000 possono individuarsi le seguenti diverse cause di estinzione delle misure cautelari: 1) una misura cautelare si estingue innanzitutto se il provvedimento applicativo viene annullato per mancanza dei requisiti di validità prescritti dall'art. 292. È evidente però che la maggior parte delle violazioni dell'art. 292 può essere dichiarata solo dal giudice del riesame o dalla Corte di cassazione, perché la scadenza dei termini previsti per le impugnazioni de libertate sana le nullità del provvedimento applicativo derivanti dalla mancanza di questi requisiti di validità (ad esempio la mancanza della motivazione), quando non si tratti di vizi che rendono il provvedimento inesistente e ineseguibile a norma dell'art. 292 comma 3. 2) Una misura cautelare si estingue in secondo luogo se la mancanza dei suoi presupposti edittali (art. 280 e 287) probatori (art. 273) o cautelari (art. 274) ne determini la revoca (art. 299, comma 1) ovvero giustifichi l'annullamento del provvedimento applicativo in sede di riesame (art. 309, comma 9) o, limitatamente alla mancanza dei presupposti edittali, in seguito a ricorso per cassazione (art. 311). 3) L'estinzione di una misura cautelare può infine verificarsi ope legis, per caducazione automatica conseguente al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola né sulla validità del provvedimento applicativo né sui presupposti di applicazione della misura; si tratta quindi di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste dall'art. 307 per la sostituzione della custodia cautelare caducata per decorso dei termini massimi di durata. E per questa ragione la giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope legis delle misure cautelari personali possano essere dedotte con le impugnazioni proponibili contro le ordinanze applicative. In particolare deve escludersi che con la richiesta di riesame possa essere dedotta la caducazione della custodia cautelare per omissione o invalidità dell'interrogatorio ex art. 294, che va dedotta con richiesta al giudice per le indagini preliminari, in quanto non attiene alle condizioni di legittimità e di merito per l'adozione della misura (da ultimo: Cass. II, n. 54267/2017; Cass. III, n. 13670/2020, che esclude l’ammissibilità del ricorso diretto per cassazione). E analogamente al Tribunale del riesame non possono proporsi questioni sulla scadenza dei termini di custodia, neppure quando venga dedotta una reiterata contestazione a catena di fatti sostanzialmente identici, quando la scadenza dei termini sia successiva all'adozione del provvedimento impugnato. 4) Quanto all'ipotesi di caducazione prevista dall'art. 309, comma 10, essa non incide né sulla validità del provvedimento applicativo né sull'esistenza dei presupposti della misura, ma si configura come «oggetto aggiuntivo» (così sentenza Cass. S.U., n. 14/2000) del giudizio di riesame, rispetto alla verifica della validità del provvedimento applicativo impugnato e dei presupposti della misura cautelare applicata, trattandosi di conseguenza di un evento verificatosi nello stesso giudizio. Dalla lettura delle citate sentenze delle Sezioni Unite risulta evidente che i casi presi in considerazione per affermare la competenza del giudice del procedimento principale sono sempre quelli di eventi caducatori sopravvenuti, ad eccezione di quelli che si verificano nell'ambito della stessa procedura incidentale di impugnazione. Del resto, ove si tratti di eventi sopravvenuti alla decisione del giudice del riesame, la Corte di cassazione non potrebbe rilevare l'evento caducatorio per un motivo di ordine generale, posto in evidenza della citata sentenza Cass. S.U., n. 14/2000, secondo il quale la Corte stessa è il giudice cui è demandato il controllo di legittimità sulla correttezza della decisione di riesame e in quest'ambito esaurisce il suo giudizio. Ove, invece, si tratti di evento intervenuto nel tempo intercorrente tra l'emissione dell'ordinanza cautelare e la decisione del Tribunale del riesame, l'ordine delle competenze come sopra delineato non potrebbe essere messo in discussione neppure sotto il profilo dell'esigenza di rapidità in materia di decisioni de libertate, posto che, da un lato, sulla presentazione di una richiesta di revoca il giudice del procedimento principale deve provvedere con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta stessa ex art. 299, comma 3, quindi, secondo le scansioni temporali previste dal codice di procedura, anche in tempi più rapidi della decisione del Tribunale del riesame; dall'altro lato, è una garanzia anche per il soggetto raggiunto dalla misura cautelare che vi sia la possibilità di una doppia valutazione di merito (g.i.p. — o giudice che procede — e appello cautelare) su una questione, che si deve svolgere nel massimo contraddittorio tra le parti e con le più ampie deduzioni (Così Cass. S.U., n. 45246/2012 cit.). Poteri del giudiceIl giudice procedente che ritenga doversi disporre la cessazione della custodia cautelare per intervenuto decorso dei relativi termini non è tenuto ad acquisire preventivamente il parere del pubblico ministero, mancando nel vigente codice di procedura penale una norma corrispondente all'art. 76, comma 1, del codice abrogato, secondo cui il giudice, nel corso del procedimento penale, non poteva comunque deliberare se non sentito il pubblico ministero, salvi i casi eccettuati dalla legge, e non potendo neppure trovare applicazione, nella suddetta ipotesi, l'art. 299, comma 3 bis, il quale prevede l'obbligo di previa audizione del pubblico ministero solo quando debbasi provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura (Cass. I, n. 375/1998; Cass. VI, n. 32390/2003; Cass. V, n. 45942/2005). Il provvedimento di revoca dell'ordinanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, non impugnato nei termini di legge dal P.M., non è revocabile dal giudice che lo ha emesso, poiché con tale provvedimento si è esaurita la sua potestà decisoria e gli è pertanto sottratta la possibilità di tornare sulla statuizione adottata; e ciò ancorché il provvedimento revocato non sia stato ancora eseguito, in quanto, una volta depositato, esso acquista formalmente giuridica esistenza, uscendo al di fuori della sfera del giudice che lo ha emesso, ed il momento esecutivo attiene ad aspetti del tutto estrinseci all'atto. Resta salva la possibilità che la questione venga riproposta sulla base di elementi nuovi (Cass. II, n. 316/1996; Cass. I, n. 5099/1999; Cass. V, n. 5825/2000; Cass. VI, n. 33874/2008). Pregiudiziale costituzionaleLa pregiudiziale costituzionale, per espressa previsione normativa (l. n. 87/1953, art. 23, comma 2), determina la sospensione obbligatoria del procedimento che priva il giudice della potestas decidendi fino alla definizione della pregiudiziale medesima, né alle parti è attribuito alcun potere di rimuovere tale stasi processuale, essendo immodificabili ed insindacabili sia l'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale sia il pedissequo provvedimento di sospensione; tuttavia, nell'ipotesi in cui venga obbligatoriamente sospeso un procedimento in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare, il soggetto ad essa sottoposto che ritenga di aver maturato il diritto a riacquistare lo status libertatis per il verificarsi di una delle cause estintive del provvedimento coercitivo di cui all'art. 306, non incontra alcun ostacolo a far valere la sua pretesa in giudizio e può quindi promuovere davanti al giudice per le indagini preliminari, o ad uno dei giudici competenti per i vari gradi ai sensi dell'art. 279, un'azione di accertamento finalizzata alla declaratoria della sopravvenuta caducazione della misura ed all'ottenimento dell'ordinanza di immediata liberazione o di cessazione della misura estinta, secondo quanto dispongono, rispettivamente, il primo e il secondo comma del predetto articolo 306; trattasi, invero, di azione di natura dichiarativa, rivolta alla tutela di un diritto assoluto ed inviolabile, esperibile in ogni tempo salvo il limite della preclusione ove la questione abbia già formato oggetto di giudicato cautelare nelle sedi proprie (Cass. S.U., n. 8/1996). Reiterazione della misura cautelareIn presenza della perdita di efficacia di una misura cautelare per effetto di un fenomeno estintivo della privazione della libertà, quale la revoca di cui all'art. 299, comma 1 (che implica una nuova valutazione delle condizioni di applicabilità della misura o delle esigenze cautelari) o quale uno degli elementi specificati negli artt. 300, 301 e 302 (che, a differenza della revoca, operano di diritto), ovvero per effetto della caducazione della misura dovuta allo scadere del termine massimo di durata previsto negli artt. 303 e ss., la legge processuale non preclude, in linea di massima, la possibilità che l'indagato o l'imputato siano mantenuti in carcere o nuovamente privati della propria libertà personale in relazione allo stesso fatto (per mezzo della nuova ordinanza applicativa di cui agli artt. 300 comma 5 e 302, della rinnovazione della misura disposta per esigenze probatorie di cui all'art. 301, della proroga del termine massimo di custodia prossimo a scadere di cui all'art. 305, del ripristino della custodia cautelare di cui all'art. 307 comma 2), ma richiede che nel frattempo si sia prodotta una modifica della situazione personale del soggetto per effetto di un evento nuovo (come la sentenza di condanna che fa seguito a quella di proscioglimento di cui all'art. 300 comma 5, il protrarsi delle esigenze probatorie di cui all'art. 301, l'interrogatorio dell'imputato a piede libero di cui all'art. 302, la necessità della perizia sullo stato di mente dell'imputato o quella di un accertamento particolarmente complesso di cui all'art. 305, la trasgressione dolosa delle prescrizioni di cui all'art. 307 comma 2 lett. a), e dell' emergere di specifiche esigenze cautelari (espressamente indicate come nuove rispetto a quelle originarie o della stessa natura ma da valutare nuovamente). Qualora non sia intervenuta alcuna modifica nel senso sopra specificato, opera in tutti i suoi effetti la norma generale di cui all'art. 306 comma 1 secondo il quale «nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia secondo le norme del presente titolo, il giudice dispone con ordinanza l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura» (Cass. VI, n. 3311/1991). In particolare, l'inefficacia della misura cautelare disposta dal giudice incompetente a seguito della decorrenza del termine di venti giorni previsto dall'art. 27 non preclude al giudice competente l'adozione di una nuova misura cautelare sulla base degli stessi elementi in precedenza considerati (Cass. VI, n. 1056/2013). 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