Codice di Procedura Penale art. 313 - Procedimento.

Franco Fiandanese

Procedimento.

1. Il giudice provvede con ordinanza a norma dell'articolo 292, previo accertamento sulla pericolosità sociale [203 c.p.; 679] dell'imputato [60, 61]. Ove non sia stato possibile procedere all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini prima della pronuncia del provvedimento, si applica la disposizione dell'articolo 294.1

2. Salvo quanto previsto dall'articolo 299, comma 1, ai fini dell'articolo 206, comma 2, del codice penale, il giudice procede a nuovi accertamenti sulla pericolosità sociale dell'imputato nei termini indicati nell'articolo 72.

3. Ai fini delle impugnazioni [309, 311], la misura prevista dall'articolo 312 è equiparata alla custodia cautelare. Si applicano le norme sulla riparazione per l'ingiusta detenzione [314, 315].

[1] L'art. 2, comma 1, lett. l), l. 9 agosto 2024, n. 114, ha disposto l'aggiunta, dopo il secondo periodo, del seguente: «Il giudice per le indagini preliminari procede nella composizione collegiale di cui all'articolo 328, comma 1-quinquies, quando deve essere applicata una misura di sicurezza detentiva». Ai sensi dell'art. 9, comma 1, della l. n. 114/2024 cit., la presente disposizione si applica decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della citata legge (25 agosto 2026).

Inquadramento

L'art. 313 disciplina il procedimento di applicazione provvisoria di misure di sicurezza, che,come si desume dall'art. 312, può essere attivato su richiesta del pubblico ministero, “in qualunque stato e grado del procedimento”, così come è previsto, del resto, per le misure cautelari.

Richiesta del P.m.

Come per le misure cautelari, non è ammessa l'iniziativa d'ufficio del giudice, ma occorre la richiesta del pubblico ministero di applicazione provvisoria di misura di sicurezza.

Il giudice, peraltro, non è vincolato alla richiesta del p.m., che è, sì, presupposto inderogabile sul piano processuale per abilitare il giudice a disporre l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza (art. 312), ma non obbliga menomamente il giudice stesso ad esimersi dal giudizio che a lui solo spetta, secondo quanto stabilito dall'art. 313 (così Corte cost. n. 228/1999, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 312 e 313, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., nella parte in cui obbligherebbero il giudice ad accogliere la richiesta del P.m. in caso di accertata infermità di mente dell'indagato: interpretazione, appunto, rigettata dalla Corte con la riaffermazione dei poteri del giudice).

Ordinanza del giudice

Il giudice decide con ordinanza, accogliendo o rigettando la richiesta del P.m., applicando l'art. 292, alla luce del rinvio contenuto nell'articolo in commento, per quanto concerne i requisiti del provvedimento medesimo. I soggetti nei cui confronti l'ordinanza può essere adottata sono individuati dall'art. 206 comma 1 c.p., tra i minorenni, gli infermi di mente, gli ubriachi abituali, i tossicodipendenti e gli alcoolisti cronici. Le misure applicabili sono quelle tassativamente menzionate nella norma: il riformatorio giudiziario, l'ospedale psichiatrico giudiziario, la casa di cura e di custodia.

La Corte cost. n. 324/1998 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 206, primo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede la possibilità di disporre il ricovero provvisorio anche di minori in un ospedale psichiatrico giudiziario e con successiva sentenza (n. 367/2004) ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 206, nella parte in cui non consente al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate e a contenere la sua pericolosità sociale, perché l'automatismo di una misura segregante e totale, come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, a maggior ragione quando si tratta dell'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, che si pone in una fase processuale in cui — alla luce della non definitività degli accertamenti sul fatto — assume rilievo particolare l'esigenza di predisporre forme di cura e cautele adeguate e proporzionate al caso concreto, mediante interventi caratterizzati da flessibilità e discrezionalità, incompatibili con l'automatismo che caratterizza la disposizione censurata.

Le disposizioni in materia devono essere lette alla luce dell'art. 3- ter d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito con modificazioni dalla l. 17 febbraio 2012, n. 9, da ultimo modificato dall'art. 1 d.l.31 marzo 2014, n. 52, comv. con modif. in l. 30 maggio 2014, n. 81, che ha sostituito  gli ospedali psichiatrici giudiziari e le case di cura e di custodia, a decorrere dal 31 marzo 2015,  con le R.E.M.S (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive).  Il comma 4 del predetto articolo prevede: ”Dal 31 marzo 2015 gli ospedali psichiatrici giudiziari sono chiusi e le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all'interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2, fermo restando che le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale. Il giudice dispone nei confronti dell'infermo di mente e del seminfermo di mente l'applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale, il cui accertamento è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale. Allo stesso modo provvede il magistrato di sorveglianza quando interviene ai sensi dell'articolo 679 del codice di procedura penale. Non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali”.

Interrogatorio del sottoposto

È previsto come obbligatorio l'interrogatorio del destinatario del provvedimento prima della sua pronuncia e solo ove “non sia stato possibile” all'interrogatorio deve procedersi secondo le modalità di cui al richiamato art. 294.

Secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, l'interrogatorio previsto dall'art. 313, comma 1, ha la precipua finalità di verificare l'attualità della pericolosità sociale del soggetto e comunque la permanenza delle condizioni che giustificano il provvedimento cautelare, e pertanto non può ritenersi surrogato dall'interrogatorio eventualmente espletato nel corso delle indagini, che attiene al merito dei fatti contestati prescindendo da eventuali aspetti cautelari (Cass. VI, n. 31/2000; Cass. I, n. 24061/2003).

Di segno opposto è la giurisprudenza prevalente, la quale afferma che l'obbligo dell'interrogatorio sussiste solo nel caso in cui tale adempimento non sia stato svolto in sede di indagini o, comunque, prima dell'adozione del provvedimento limitativo della libertà personale ed è preordinato a quelle stesse funzioni di garanzia che svolge con riguardo all'intero sistema delle misure cautelari; l'interrogatorio non è, invece, preordinato a verificare la sussistenza della pericolosità della persona sottoposta a misura di sicurezza, accertamento che deve precedere l'adozione della misura, costituendone un indefettibile presupposto. Pertanto, nel caso in cui la persona sottoposta ad indagini sia già stata sottoposta all'interrogatorio di garanzia prima dell'applicazione provvisoria della misura di sicurezza, deve escludersi che sia necessario procedere ad un nuovo interrogatorio nel termine di cinque giorni previsto dall'art. 294, dalla cui omissione consegua la perdita di efficacia della misura a norma dell'art. 302, in quanto in tal caso la finalità dell'atto, che è quella di consentire all'indagato di conoscere gli elementi indiziari a carico e di metterlo nelle condizioni di difendersi, si è realizzata con il primo interrogatorio (Cass. I, n. 3139/1991; Cass. I, n. 31309/2002; Cass. I, n. 28998/2003; Cass. I,n. 40302/2003; Cass. V, n. 3076/2004; Cass. VI, n. 15503/2008; Cass. I, n. 40141/2009; Cass. V, n. 30573/2011; Cass. V, n. 7426/2014 ; Cass. V, n. 555/2017).

Nello stesso senso si è affermato che l'interrogatorio di cui all'art. 313, comma 1, qualora non già tenutosi in precedenza, deve essere svolto pena la perdita di efficacia della misura, e vi si deve dare corso entro il termine di dieci giorni dall'esecuzione del provvedimento, secondo quanto disposto, per tutte le misure diverse dalla custodia cautelare in carcere, dall'art. 294, comma 1-bis (Cass. V, n. 5853/2022).

Un altro contrasto giurisprudenziale si registra in ordine alla applicabilità o meno del termine di cinque giorni di cui all'art. 294, entro il quale deve procedersi all'interrogatorio, posto che, per una parte della giurisprudenza, la mancata esecuzione o l'esecuzione tardiva dello stesso comporta la perdita di efficacia del provvedimento, alla luce del fatto che il rinvio contenuto nell'art. 313 all'art. 294 andrebbe riferito necessariamente a tutto il sistema della disciplina delle misure cautelari, ivi compreso, dunque, l'art. 302 (Cass. V, n. 5803/1998), mentre, per altra parte della giurisprudenza, non si determina la decadenza per perdita di efficacia della misura comminata dall'art. 302, qualora non si sia proceduto all'interrogatorio nel termine di cinque giorni previsto dall'art. 294, poiché, per un verso, l'art. 313, comma 1, riguardante il procedimento per l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, richiama soltanto l'art. 294 e non anche l'art. 302 e, per un altro verso, l'equiparazione della misura di sicurezza alla custodia cautelare, stabilita dall'art. 313, comma 3, vale unicamente ai fini dell'impugnazione (Cass. VI, 1992/3976, n. 3976; Cass. I, n. 28998/2003; Cass. II, n. 36732/2010).

Durata della misura e nuovi accertamenti

L'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza non è soggetta a termini di durata massima ed in particolare a quelli che l'art. 303 disciplina per la custodia preventiva, poiché un termine di durata contrasterebbe con la ratio dell'istituto e con la normativa specifica quale ricavabile dal combinato disposto degli artt. 206, comma 2, c.p., 313, comma 2, 72 e 313, comma 3. Infatti, l'art. 206 c.p. disciplina specificamente ed esclusivamente l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, prevedendo al capoverso la revoca della misura nel solo caso in cui venga meno la pericolosità sociale. Tale norma sostanziale trova esatta e conforme corrispondenza nel capoverso dell'art. 313 che, al fine di assicurare una revoca tempestiva della misura per il caso che venga meno il suo presupposto peculiare, prevede l'applicazione dell'art. 72, ed in particolare nuovi accertamenti ogni sei mesi ovvero anche prima quando il giudice ne ravvisi l'esigenza. Si tratta all'evidenza di un sistema che disciplina l'istituto specifico della durata dell'applicazione provvisoria di misura di sicurezza custodiale in modo razionale e compiuto, pienamente coerente al presupposto peculiare dell'accertata attuale pericolosità sociale dell'interessato, senza che residui alcuna esigenza di tutela o di ambiguità o di insufficienza sistematica che legittimi il ricorso all'applicazione analogica della disciplina sulla durata del diverso istituto della custodia cautelare. Il duplice espresso richiamo che il comma 3 dell'art. 313 opera all'applicazione delle norme per la riparazione per ingiusta detenzione e di quelle previste per la custodia cautelare quanto al sistema delle impugnazioni conferma, da un lato, la compiutezza ed esaustività della disciplina positiva dell'istituto e, dall'altro, che il legislatore ha avuto ben presente il rapporto dello stesso con la custodia cautelare operando limitati consapevoli e coerenti rinvii, insuscettibili di interpretazioni analogiche. È del resto significativo che le norme e la giurisprudenza affermino il diverso principio secondo cui, quando invece occorre determinare l'entità della pena da scontare ovvero la durata della custodia cautelare, si calcola anche il periodo di pregressa eventuale applicazione provvisoria della misura di sicurezza. Sono invero situazioni del tutto differenti, dove la parificazione unilaterale è giustificata dalla considerazione per cui la misura di sicurezza di tipo sostanzialmente detentivo — pur adottata sulla base di un presupposto del tutto autonomo e peculiare, la pericolosità sociale, rispetto a quelli della custodia cautelare — costituisce comunque una restrizione della libertà personale omogenea, quanto agli effetti, a quella che consegue alla custodia cautelare: in altri termini, ogniqualvolta rileva la durata della custodia cautelare rileva anche la durata dell'applicazione provvisoria della misura di sicurezza di tipo detentivo/custodiale che, anche se adottata per presupposti diversi, costituisce restrizione di libertà. Tale parificazione non è tuttavia reversibile o speculare, in quanto il presupposto dell'applicazione provvisoria della misura di sicurezza custodiale è incompatibile con una limitazione temporale interna al procedimento che non sia quella del venir meno della pericolosità (Cass. VI, n. 28908/2009 : v. anche: Cass. VI, n. 12608/2020).

L'art. 313, comma 2, richiama l'art. 206, comma 2, cod. pen., che prevede che il provvedimento sia revocato quando sia cessata la pericolosità sociale; a tal fine è la stessa norma che rinvia all'art. 72 cod. pen., in base al quale ogni sei mesi deve procedersi a nuovi accertamenti sulla pericolosità sociale dell'imputato, al fine di verificare il permanere delle condizioni che giustificano l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza. Con riferimento all'art. 72 cod.pen., il quale dispone che le verifiche periodiche sullo stato di mente dell'imputato, già ritenuto processualmente incapace, siano eseguite mediante «ulteriori accertamenti peritali», parte della giurisprudenza ha affermato che, coordinando tale locuzione con il tenore dei precedenti artt. 70 e 71, il primo dei quali, sotto la rubrica «accertamenti sulla capacità dell'imputato», prevede che il giudice all'occorrenza disponga «perizia», mentre il secondo testualmente si riferisce agli «accertamenti previsti dall'art. 70» (mediante perizia), nessun dubbio può sussistere sul fatto che gli «accertamenti peritali» prescritti dall'art. 72 (evidentemente «ulteriori» rispetto a quelli espletati ex art. 70) debbano essere disposti nelle forme e con le garanzie tipiche della perizia in senso tecnico, quale disciplinata dagli artt. 220 ss., nessun altro significato potendosi dare all'espressione «accertamenti peritali» usata nel codice di rito penale e dovendosi, in particolare, escludere che i predetti accertamenti possano consistere nella mera, unilaterale richiesta di informazioni ad organi od uffici della P.A.

L'omissione delle forme e garanzie tipiche della perizia in senso tecnico determina una nullità che — in quanto concernente l'osservanza di disposizione relativa all'intervento (ovvero alla partecipazione) dell'imputato al giudizio, con le connesse facoltà di auto-difesa — va ricondotta alla tipologia delle nullità d'ordine generale a regime intermedio, ex artt. 178, lett. c), e 180 (Cass. I, n. 8302/1995; Cass. I, n. 29936/2010). Di segno contrario, altra parte della giurisprudenza ha, invece, ritenuto che, in tema di accertamenti sulla capacità dell'imputato, il giudice non è tenuto necessariamente a disporre perizia, in quanto, come risulta dalla locuzione «se occorre» contenuta nell'art. 70, comma 1, l'espletamento di tale attività rientra nel potere discrezionale del giudice, il quale deve a tal fine valutare se gli elementi dei quali dispone siano insufficienti ai fini dell'accertamento dello stato mentale dell'imputato; precisandosi, peraltro, in alcune pronunce, che il giudice — alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'espressione «se occorre» contenuta nella previsione dell'art. 70, comma 1- può non procedere ad approfondimento specialistico se si convinca autonomamente dello stato di incapacità, mentre a fronte di un fumus di incapacità non può negare l'indagine peritale senza rendere idonea e convincente motivazione. (Cass. VI, n. 3886/1997; Cass. II, n. 44624/2004; Cass. V, n. 46310/2004Cass. V, n. 13088/2008; Cass. V, n. 29906/2008; Cass. VI, n. 31662/2008).

Revoca della misura

Il richiamo dell'art. 299, comma 1, contenuto nel comma 2 dell'art. 313, legittima la revoca della misura di sicurezza adottata provvisoriamente, quando vengano meno le condizioni per il mantenimento della misura a causa della sopravvenienza di fatti nuovi, che, per giurisprudenza costante, si individuano non solo in quelli che effettivamente sono sorti dopo l'adozione del provvedimento, ma anche in quelli che risultano preesistenti rispetto ad esso e non conosciuti ovvero non oggetto di valutazione da parte del giudice.

E' illegittimo il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca o sostituzione della misura adottato senza la preventiva rivalutazione di tutte le condizioni di applicabilità della stessa tra cui la persistenza della pericolosità sociale dell'istante (Cass. I, n. 8287/2019).

L'esplicito richiamo del solo comma 1 e non anche del comma 2 dell'art. 299 ha fatto ritenere, in dottrina, che sia esclusa la possibilità giuridica che il giudice disponga la sostituzione di una misura ad un'altra, anche per la ragione di sistema della mancanza di una vera e propria gradualità tra le misure di sicurezza. Tuttavia, in osservanza dell'art. 231, si ammette la possibilità della sostituzione della libertà vigilata con quelle espressamente previste dalla legge penale, allorquando la persona sottoposta alla misura di sicurezza abbia trasgredito agli obblighi impostile e, intimata al versamento della cauzione di buona condotta, non abbia prestato tale cauzione (Baldi, cit., 319 ss.).

Le impugnazioni

Ai fini delle impugnazioni, la misura di sicurezza provvisoria è equiparata alla custodia cautelare (art. 313, comma 3), con la conseguenza che le ordinanze in materia di misure di sicurezza provvisorie sono impugnabili dinanzi al tribunale del riesame o alla corte di cassazione secondo le regole di impugnabilità delle ordinanze aventi ad oggetto l'applicazione della custodia cautelare, contenute nelle norme di cui agli artt. 309,310 e 311, in materia di riesame, appello e ricorso per cassazione (Cass. I, n. 1730/1995; Cass. I, n. 3450/1996; Cass. III, n. 32172/2007). In particolare, per quanto concerne il rimedio del ricorso diretto per cassazione ex art. 311, comma 2, la giurisprudenza ha precisato che, poiché il giudice che procede è tenuto, con scadenza semestrale, a nuovi accertamenti anche tecnici ed al riesame globale della situazione dell'imputato che può subire una radicale trasformazione, si può ritenere che, all'esito delle nuove verifiche sulla pericolosità sociale dell'imputato, il giudice, anche nel caso in cui confermi la misura in atto, in sostanza ne disponga una nuova, perché la pregressa non può prolungarsi oltre ai sei mesi e perché lo stato dello imputato è sottoposto a radicale riesame. Questa conclusione rende applicabile la previsione (art. 311, comma 2) che permette il ricorso immediato in cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e, per la norma di raccordo di cui all'art. 313, comma 3, per quelle che dispongono una provvisoria misura di sicurezza (Cass. III, n. 32172/2007).

Nel caso in cui alla revoca di una misura cautelare faccia seguito l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza ex art. 312, deve escludersi che i due provvedimenti possano integrare un'unica vicenda cautelare, nella quale il secondo si configuri come sostitutivo del primo, ai sensi dell'art. 299, attesa la diversità dei presupposti indiziari e funzionali delle due misure, conseguendone che avverso la misura di sicurezza provvisoria sarà proponibile il rimedio del riesame e non l'appello (Cass. V, n. 26080/2019).

Ai fini della rinnovazione della misura nel caso di perdita di efficacia dell'ordinanza applicativa dovuta all'impossibilità di addivenire, per ragioni formali, ad una decisione nel merito sulla richiesta di riesame, è necessario che il tribunale verifichi, ai sensi dell'art. 309, comma 10, c.p.p., la sussistenza di "eccezionali esigenze cautelari" (Cass. V, n. 12114/2021).

Riparazione per ingiusta detenzione

In applicazione del disposto dell'ultima pare del comma 3 dell'art. 313, la giurisprudenza ha espressamente riconosciuto l'ammissibilità della richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione in relazione alla restrizione della libertà indebitamente sofferta per l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura (Cass. IV, n. 5001/2009; Cass. IV, n. 11086/2013).

Bibliografia

Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; AA.VV. a cura di Scalfati, Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, Torino, 2008; Baldi, Codice di procedura penale, sub artt. 312 e 313, a cura di Canzio - Tranchina, Milano, 2012; Cisterna, sub art. 312, in Commento al Codice di Procedura penale, a cura di Corso, Piacenza, 2008, 1402; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015.

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