Codice di Procedura Penale art. 327 bis - Attività investigativa del difensore (1).

Aldo Aceto

Attività investigativa del difensore (1).

1. Fin dal momento dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del presente libro.

2. La facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l'esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione.

3. Le attività previste dal comma 1 possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici.

(1) Articolo inserito dall'art. 7 l. 7 dicembre 2000, n. 397.

Inquadramento

Il difensore non gioca più di rimessa: la facoltà di esercitare autonome indagini gli attribuisce un (non) inedito ruolo espressamente enucleato dalla norma in commento.

L’attività investigativa del difensore. Rinvio

Il difensore ha la facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito. Le modalità con cui tali investigazioni possono essere svolte e gli atti che il difensore può compiere sono disciplinati dalle norme contenute nel titolo Sesto-bis del Libro Quinto, al cui commento si rinvia.

Si tratta di facoltà che costituisce espressione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24, Cost., e che la norma in commento disciplina sul piano “statico” (non dinamico) ponendo il difensore sullo stesso piano dei soggetti concretamente autorizzati a compiere tale attività e indicandone i relativi presupposti.

La collocazione della norma nelle disposizioni di apertura del Libro Quinto, subito dopo quelle che indicano direzione e finalità delle indagini preliminari del pubblico ministero, ha un prepotente impatto, non solo “visivo”. La facoltà del difensore di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che possono dare informazioni, era infatti già prevista dall'art. 38, disp. att., ma si trattava di norma che concludeva il Capo IV delle norme di attuazione, intitolato “Disposizioni relative alle parti private e ai difensori”, timidamente volta a riconoscere una facoltà nemmeno disciplinata nelle sue concrete applicazioni e riconosciuta al solo fine di esercitare il diritto alla prova di cui all'art. 190 del codice. Ne traeva spunto la giurisprudenza di legittimità per affermare che «in conformità alle direttive della legge-delega (art. 2, n. 37), il pubblico ministero è deputato al ruolo di titolare esclusivo delle indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, comprese le indagini su fatti e circostanze a favore della persona indagata (art. 358). E poichéé in detta fase il pubblico ministero non è parte, non essendo ancora insorto alcun conflitto fra l'ordinamento e un determinato soggetto privato, ma è l'unico organo preposto, nell'interesse generale, alla raccolta ed al vaglio dei dati positivi e negativi afferenti fatti di possibile rilevanza penale, ne deriva che tutti i dati utili devono essere canalizzati sul pubblico ministero: ivi comprese le informazioni acquisite (direttamente o anche a mezzo di sostituti, consulenti tecnici od investigatori privati autorizzati) dai difensori, cui l'art. 38 delle norme di attuazione ha esteso l'esercizio del diritto alla prova. Il che risulta confermato dalla disposizione contenuta in detto articolo che limitando le facoltà del difensore alla scoperta degli elementi favorevoli (mediante investigazioni esplorative o conferimento con persone in grado di fornire informazioni), non le estende alla diretta acquisizione dei dati, essendo quest'ultimo, nella fase anteriore all'inizio dell'azione penale, compito del pubblico ministero e nella fase successiva compito del giudice» (così Cass. VI, n. 3066/1992, che aveva ritenuto corretta la soluzione adottata dal giudice di merito che aveva considerato inutilizzabili le dichiarazioni rese, nel corso delle indagini preliminari, da un teste al difensore dell'indagato, da quest'ultimo raccolte per scrittura autenticata e direttamente proposte al G.I.P., assente il pubblico ministero). Le dichiarazioni raccolte dagli investigatori privati su incarico della difesa non potevano essere portate alla diretta cognizione del giudice, ma potevano essere oggetto esclusivamente di uso interno alla difesa stessa, che poteva al riguardo sollecitare l'attività del P.M. per l'acquisizione di elementi di prova o per sentire personalmente gli investigatori, ovvero poteva richiedere l'intervento del Gip. per l'espletamento di un incidente probatorio, salva, in ogni caso, la facoltà di chiedere la prova testimoniale con i medesimi soggetti all'udienza preliminare o al dibattimento (Cass. I, n. 606/1994; nello stesso senso, Cass. I, n. 1288/1994, secondo cui la facoltà dei difensori di svolgere investigazioni, anche mediante investigatori autorizzati, prevista dall'art. 38, disp. att., era espressamente preordinata al fine di esercitare il diritto alla prova previsto dall'art. 190 e, quindi, le attività di indagine così espletate non potevano essere direttamente utilizzate come elementi di prova neppure nella fase delle indagini preliminari. L'esattezza di siffatta conclusione – secondo la Corte di Cassazione – trovava conferma nell'art. 358 che prevede l'obbligo del pubblico ministero di svolgere “altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”, e che, dunque, comporta che gli elementi di prova da utilizzare nella fase delle indagini preliminari, anche ai fini cautelari, debbano essere assunti dal pubblico ministero. Nel caso all'epoca scrutinato dalla Corte il difensore aveva lamentato che il tribunale, in sede di appello avverso il rigetto da parte del G.I.P. di un'istanza di revoca della custodia cautelare in carcere, non aveva valutato le dichiarazioni testimoniali rese ad un investigatore privato, ritenendo che le indagini della parte non potessero trovare ingresso nel procedimento se non nelle forme della sollecitazione dell'attività del P.M. o dell'incidente probatorio).

Solo con legge n. 332/1995 (art. 22), furono aggiunti all'art. 38, disp. att. c.p.p., i commi 2-bis e 2-ter che attribuivano al difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa la possibilità di presentare direttamente al giudice elementi ritenuti rilevanti ai fini della decisione da adottare (comma 2-bis) disponendo che la documentazione in tal modo sottoposta al giudice fosse inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine in originale o in copia (comma 2-ter).

Si ritenne, così, che con la modifica dell'art. 38-bis, disp. att. il legislatore avesse inteso riaffermare con chiarezza la diretta utilizzabilità nel giudizio cautelare delle investigazioni svolte dal difensore; ciò sul rilievo che l'unico significato logico dell'avverbio “direttamente”, di cui al comma 2-bis dell'art. 38, fosse quello di escludere non solo la mediazione soggettiva del pubblico ministero, ma anche quella oggettiva dell'attività istruttoria del giudice: “direttamente” voleva dire che il difensore poteva sottoporre al giudice il risultato delle sue indagini non al fine di acquisire mezzi di prova, ma per emanare la decisione di merito, il che poteva avvenire soltanto nel giudizio cautelare della fase preliminare, in cui manca ancora l'attività di istruzione probatoria; dalle nuove disposizioni di cui alla lettera c bis) del secondo comma e al comma 2 ter dell'art. 292 c.p.p. risultava chiaramente che il difensore poteva fornire direttamente al giudice competente per la misura cautelare personale elementi a favore del suo assistito, da lui assunti ai sensi dell'art. 38 delle norme di attuazione (Cass. III, n. 2812/1997). Dopo qualche anno, la Suprema Corte avrebbe preso atto che poichéé nel vigente sistema processuale penale, l'accusa e la difesa (pur nel rispetto delle differenti funzioni e dei diversi poteri di cui sono titolari) sono poste sullo stesso piano, il difensore dell'indagato e quello della persona offesa possono presentare al giudice elementi da essi raccolti a favore del proprio assistito, senza necessità di autorizzazione preventiva o di vaglio da parte del P.M. (Cass. V, n. 5214/1999).

La legge 397/2000 ha infine introdotto nel Libro V il Titolo VI-bis (Investigazioni difensive) e aggiunto l'art. 327-bis.

Casistica

Il diritto del difensore di svolgere indagini difensive , pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinché i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova (Cass. I, n. 19753/2021 che ha ritenuto legittima la decisione di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione in giudizio abbreviato d'appello mediante acquisizione dei verbali delle dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive, allegati all'atto di appello ed ai motivi nuovi; Cass. V, n. 21005/2016, che ha ritenuto inutilizzabili i risultati delle indagini difensive effettuate dopo la sentenza di primo grado che erano stati trasfusi in una “memoria”, ritenuta non idonea ad introdurre prove ma solo ad illustrare quelle già acquisite; Cass. VI, n. 1400/2015, che ha ritenuto inammissibile la richiesta di rinnovazione dell'istruzione in giudizio abbreviato d'appello mediante acquisizione di verbali di dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive, in quanto, nel giudizio abbreviato, le prove integrative di natura dichiarativa devono essere assunte dal giudice, ai sensi dell'art. 422 c.p.p.; Cass. III, n. 35372/2010, che ha ritenuto legittimo il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in grado d'appello, in quanto la documentazione acquisita per mezzo delle indagini difensive e che si chiedeva fosse acquisita al giudizio non costituiva una prova nuova sopravvenuta e il processo era definibile allo stato degli atti; Cass. III, n. 41127/2013, secondo cui l'art. 327-bis c.p.p., nell'attribuire al difensore la facoltà di svolgere in ogni stato e grado del processo investigazioni in favore del proprio assistito, non può essere interpretato come una deroga ai principi generali del procedimento e, in particolare, del giudizio avanti la Corte di Cassazione, nel senso, cioè di consentire la produzione di nuovi documenti, anche diversi ed ulteriori da quelli che la parte non sia stata in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio. Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di produzione dei risultati del ”test” del “dna”, eseguito nell'ambito di indagini difensive, dopo il giudizio di appello, su imputati che si erano rifiutati di sottoporsi al medesimo esame nei precedenti gradi di giudizio; nello stesso senso, Cass. III, n. 43307/2001).

È illegittimo il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare dichiari l'inutilizzabilità delle indagini difensive depositate il giorno successivo alla prima udienza, considerato che il principio della continuità investigativa trova applicazione anche con riguardo alla parte privata, con la conseguenza che – in virtù del combinato disposto degli artt. 327-bis, c. 2, 442, c. 1-bis, 419, c. 3, 421, c. 3 e 391-octies c.p.p. – le indagini difensive possono essere svolte in qualsiasi stato e grado del procedimento, costituire oggetto di indagini suppletive ed essere prodotte “in limine” e nel corso dell'udienza preliminare, fatto salvo il diritto delle controparti di esercitare il contraddittorio sulla prove non oggetto di preventiva “discovery” (Cass. V, n. 23706/2006; si veda anche Cass. V, n. 23706/2006, cit.).

Il giudice al quale siano presentati gli elementi di prova raccolti dal difensore ai sensi dell'art. 391-bis c.p.p., equiparabili a quelli del pubblico ministero, non può limitarsi ad acquisirli, ma ha l'obbligo di valutarli unitamente a tutte le altre risultanze del procedimento e, ove li disattenda, di esplicitarne le ragioni con adeguato apparato argomentativo (Cass. V, n. 23068/2020, che ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per aver la corte di appello omesso di confrontarsi con le prove d'alibi degli imputati, presenti in atti perché oggetto di precedente richiesta, non accolta, di giudizio abbreviato condizionato)

Gli atti riconducibili alla nozione di investigazioni difensive possono essere compiuti , a mente di quanto disposto dall'art. 391-bis c.p.p., anche dal sostituto del difensore, purché anch'egli in possesso, come il sostituito, della necessaria abilitazione professionale (Cass. III, n. 25431/2016, che ha ritenuto inutilizzabile la documentazione di investigazioni difensive svolte, nell'ambito di un procedimento di competenza del tribunale in composizione collegiale, da praticante avvocato non abilitato al patrocinio di fronte al predetto organo giudiziario).

In materia di indagini difensive, qualora il mandato al difensore sia stato conferito per compiere attività investigativa preventiva, consistente nella ricerca ed individuazione di elementi di prova per l'eventuale promovimento del giudizio di revisione della sentenza di condanna, spetta al giudice dell'esecuzione la competenza a provvedere sull'istanza con la quale il difensore chiede l'autorizzazione al prelievo di campioni su reperti di cui è stata disposta la confisca (Cass. I, n. 2603/2021; Cass. I, n. 1599/2007).

È legittima l'istanza al giudice dell'esecuzione da parte del difensore, cui sia stato conferito mandato per compiere attività investigativa preventiva, di autorizzazione al prelievo di campioni da indumenti in giudiziale sequestro, finalizzata alla richiesta di revisione, a nulla rilevando l'eventuale irripetibilità dell'atto di indagine tecnica da compiere sui campioni medesimi, la cui utilizzabilità e rilevanza ai fini del giudizio è demandata al giudice della revisione (Cass. I, n. 13623/2017; nello stesso senso, Cass. I, n. 16798/2008, secondo cui il giudice dell'esecuzione, competente a decidere sull'istanza con la quale il condannato, a mezzo del proprio difensore, chieda l'autorizzazione al prelievo di campioni da reperti tuttora in giudiziale sequestro, onde utilizzarli per indagini difensive in vista di una eventuale richiesta di revisione, non può negare la suddetta autorizzazione sol perché tale richiesta sarebbe, a suo avviso, destinata ad essere dichiarata inammissibile).

La persona offesa può effettuare accertamenti tecnici dopo l'emissione di un provvedimento di archiviazione, non trattandosi di atti di indagine in senso tecnico, svolti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 326 c.p.p., né di investigazioni difensive ex art. 327-bis c.p.p. (Cass. III, n. 21175/2020, che ha ritenuto legittima la riapertura delle indagini fondata sull'esito di una consulenza tecnica elaborata su iniziativa della persona offesa dopo l'archiviazione del procedimento).

In tema di indagini difensive, è legittima ed utilizzabile l'attività svolta da un investigatore privato, prima della iscrizione della notizia di reato, al di fuori dell'ambito applicativo dell'art. 391-nonies, c.p.p., atteso che l'attivazione dello statuto codicistico previsto per l'attività investigativa preventiva è rimessa alla volontà del soggetto, avendo natura del tutto facoltativa (Cass. IV, n. 13110/2019).

La sanzione di inutilizzabilità degli atti assunti per rogatoria non si applica ai documenti acquisiti in via autonoma dalla parte all'estero direttamente dalle amministrazioni competenti. (Cass. II, n. 4152/2020 che ha ritenuto legittima l'acquisizione, tramite indagini difensive svolte dalla parte civile, di documenti provenienti da società ed autorità doganali estere; nello stesso senso, Cass. II, n. 2471/2015; Cass. VI, n. 30068/2012; Cass. III, n. 24653/2009).

In tema di giudizio abbreviato, le dichiarazioni rese al proprio difensore nell'ambito di indagini difensive dalla persona offesa esaminata in precedenza nel corso di un incidente probatorio sono utilizzabili ai fini della decisione, ove depositate prima dell'ammissione del rito, non sussistendo alcun divieto che precluda lo svolgimento di tale attività investigativa (Cass. III, n. 2341/2019, che ha precisato che è espressamente vietato, a pena di inutilizzabilità ai sensi dell'art. 391-bis, c. 6, c.p.p., solo richiedere alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero notizie sulle domande formulate o sulle risposte date; nello stesso senso, Cass. III, n. 33898/2010, secondo cui non sono affetti da nullità o inutilizzabilità i verbali di dichiarazioni rese dalla persona offesa al proprio difensore in sede di investigazioni difensive, non essendo fondata la tesi secondo cui la persona offesa non rientrerebbe tra le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa”, cui il difensore può richiedere il rilascio di sommarie informazioni ai sensi dell'art. 391-bis c.p.p.).

In tema di giudizio abbreviato, i risultati delle investigazioni difensive sono utilizzabili ai fini della decisione a condizione che i relativi atti siano stati depositati nel fascicolo del P.M. prima dell'ammissione al rito speciale; ne consegue che nell'ipotesi di giudizio abbreviato a seguito di udienza preliminare, tali atti possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza preliminare e sino alla scadenza del termine per la richiesta del rito abbreviato, a norma dell'art. 438 c.p.p. (Cass. II, n. 9198/2017; Cass. IV, n. 51950/2016, che ritenuto legittima la decisione del giudice che aveva respinto la richiesta di produzione dei verbali delle indagini difensive, effettuata dopo la presentazione della richiesta di ammissione al giudizio abbreviato; nello stesso senso, Cass. VI, n. 1561/2019 che, in tema di giudizio abbreviato condizionato, ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice d'appello che aveva respinto la richiesta di audizione di persone sentite in sede di indagini difensive, sul presupposto che l'imputato, avendo chiesto che il processo fosse definito con il rito abbreviato condizionato all'escussione di persone diverse, non poteva chiedere successivamente l'acquisizione di nuovi elementi di prova).

In tema di giudizio abbreviato, sono utilizzabili ai fini della decisione i risultati delle indagini difensive prodotti nel corso dell'udienza preliminare, salvo restando il diritto delle controparti di esercitare il contraddittorio sulle prove non oggetto di preventiva “discovery” (Cass. III, n. 15236/2009, che ha annullato con rinvio la sentenza che, utilizzando le indagini difensive depositate contestualmente alla richiesta del rito speciale, non aveva consentito al P.M. di interloquire sulle stesse, e ha affidato al giudice del rinvio il compito di individuare lo strumento idoneo a tal fine; nello stesso senso, Cass. III, nn. 15237, 15241, 15242, 15243 del 2009).  

Bibliografia

Carcano, Sulle investigazioni difensive, in Cass. pen., 1995, fasc. 1, 115; Scella, Questioni controverse in tema di informazioni testimoniali raccolte dalla difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, fasc. 3, 1169; Silvesti, Sub art. 327-bis, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi e E. Lupo, Vol. V, Milano, 2017.

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