Codice di Procedura Penale art. 379 - Determinazione della pena.

Sergio Beltrani

Determinazione della pena.

1. Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, la pena è determinata a norma dell'articolo 278.

Inquadramento

L'art. 379 richiama la disciplina dettata ad analogo fine, con riferimento alle misure cautelari, dall'art. 278, cui si rinvia, ai fini della determinazione dei limiti edittali in presenza dei quali è consentito procedere, ai sensi dei successivi articoli 380, 381 e 384, all'arresto in flagranza obbligatorio e facoltativo ed al fermo, misure aventi natura “precautelare” perché, «preludono a eventuali misure coattive sulla persona, delle quali garantiscono l'esecuzione: sono dunque cautele mediate; ed essendovi svolti poteri non giurisdizionali, hanno effetti labili, misurati ad ore: convalidati o no, decadono, eventualmente sommersi nella misura disposta dal giudice a richiesta del pubblico ministero» (Cordero1998, 472).

La disposizione appare quanto mai opportuna, parificando, quod poenam, le condizioni che legittimano l'applicazione delle misure precautelari di cui agli artt. 380 e seguenti a quelle che legittimano l'applicazione delle misure cautelari, anche in considerazione del fatto che, ai sensi dell'art. 297, i termini di efficacia delle misure cautelari, alla cui applicazione preludono le misure precautelari, decorrono proprio dalla data di queste ultime.

Circostanze attenuanti e bilanciamento tra circostanze eterogenee.

Si discute tradizionalmente sulla necessità di tenere conto, anche in riferimento alle misure precautelari, ai fini della verifica dei limiti edittali de quibus, delle circostanze attenuanti espressamente ritenute rilevanti (art. 62, comma primo, n. 4, c.p. ed attenuanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, oppure ad effetto speciale).

L'orientamento negativo , che esclude la possibilità di deferire siffatta valutazione alla P.G., non può essere condiviso, perché non considera che il rinvio all'art. 278 è “puro”, e non “attenuato” da una clausola di compatibilità: dovrà quindi tenersi conto anche delle predette circostanze attenuanti, ma solo se figurino ab initio nel fatto accertato dalla P.G. e provvisoriamente contestato dal P.M., ovvero se vengano riconosciute sussistenti dal giudice per le indagini preliminari, in sede di convalida della misura precautelare, nell'ambito del potere di qualificazione giuridica del fatto stesso del quale egli è attributario (argomenta da Cass. VI, n. 32636/2006).

E, nel caso in cui concorrano circostanze eterogenee che risultino tutte valutabili ex artt. 278 e 379, occorrerà operare – sia pure allo stato degli atti – il bilanciamento ex art. 69 c.p. In proposito, la giurisprudenza ebbe modo di osservare che, pur in mancanza di una norma specifica, il solo modo previsto dalla legge per tener conto di circostanze attenuanti che concorrano con circostanze aggravanti è quello dell'effettuazione del giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 c.p. (Cass. V, n. 1944/1993 e n. 28554/2007; Cass. II, n. 8906/2002); un successivo e contrario orientamento ha, peraltro, ritenuto che, quando si debba determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure precautelari e cautelari e concorrano circostanze aggravanti e circostanze attenuanti all'uopo valutabili, non può farsi luogo al giudizio di comparazione, sicché la pena astrattamente prevista dalla legge deve essere calcolata tenendo conto dell'aumento massimo stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima per le circostanze attenuanti (Cass. IV, n. 15153/2008 e n. 7466/2013: entrambe in fattispecie riguardanti indagati minorenni, ed il concorso con aggravanti computabili dell'attenuante della minore età).

Casistica

Delitti tentati

In virtù del rinvio all'art. 278 c.p.p., contenuto nell'art. 379, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in tema di arresto in flagranza, deve aversi riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun delitto consumato o tentato; tenuto conto dell'autonomia del delitto tentato, ne consegue che non può ritenersi consentito l'arresto in flagranza per i delitti tentati per i quali, in applicazione dell'art. 56 c.p., non risulti comminata una pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione (Cass. V, n. 696/2000).

La recidiva

Ai fini della verifica del rispetto dei limiti edittali stabiliti per l'arresto in flagranza (come per il fermo: cfr. sub art. 384), e, più in generale, della determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, non si deve tener conto della recidiva reiterata (Cass. S.U., n. 17386/2011).

Nel disporre che i limiti edittali utili ai fini dell'applicazione delle misure precautelari (così come di quelle cautelari) siano determinati prescidendo dalla recidiva, il legislatore ha, infatti, discrezionalmente ritenuto di fare riferimento ai valori edittali di pena propri del reato per cui si procede, e non invece “alla concreta punibilità dell'illecito” (argomenta da Corte cost., n. 223/2006).

Riparazione per ingiusta detenzione

A seguito della sentenza n. 109/1999 della Corte costituzionale, il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, di cui all’art. 314 c.p.p., è riconoscibile, entro gli stessi limiti previsti per la custodia cautelare, anche a favore di chi abbia subito privazione della libertà a causa di arresto in flagranza o fermo (Cass. IV, n. 1491/1999).

Bibliografia

Cordero, Procedura penale, Milano, 1998, IV ed.

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