Codice di Procedura Penale art. 391 quater - Richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione 1 .Richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione1. 1. Ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese. 2. L'istanza deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. 3. In caso di rifiuto da parte della pubblica amministrazione si applicano le disposizioni degli articoli 367 e 368.
[1] Articolo inserito dall'art. 11, comma 1, l. 7 dicembre 2000, n. 397. InquadramentoL'esigenza, fondamentale per le investigazioni della difesa, di consultare e acquisire documenti formati e custoditi dalla p.a., è soddisfatta dall'art. 391-quater, che attribuisce al difensore la facoltà di chiedere i documenti in possesso della p.a. e di estrarne copia a sue spese ai fini delle indagini difensive. La norma non contempla però la possibilità di chiedere documentazione in possesso di soggetti privati, ponendo peraltro problemi di coordinamento con la disciplina in tema di accesso agli atti amministrativi. La richiesta di documenti alla P.A.Profili generali La l. n. 241/1990, recante «Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», e dal relativo regolamento attuativo d.P.R. n. 352/1992, all'art. 22 l. n. 241/1990, nella sua originaria versione, disponeva che, allo scopo di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale, «è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla stessa legge». L'inadeguatezza ed insufficienza di tale disposizione normativa che non garantiva il soddisfacimento dell'esigenza, fondamentale per le investigazioni della difesa, di consultare e acquisire documenti formati e custoditi dalla p.a., è stata soddisfatta dall'art. 391-quater, che attribuisce al difensore la facoltà di chiedere i documenti in possesso della p.a. e di estrarne copia a sue spese «ai fini delle indagini difensive», ossia, per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito. I soggetti legittimati e la P.A. destinataria L'interpretazione letterale dell'art. 391-quater, comma 1, porta a sostenere che soggetto legittimato a formulare la richiesta sia il solo difensore e non anche il sostituto, l'investigatore privato autorizzato ed il consulente tecnico. Tuttavia, a conclusione opposta può pervenirsi considerando che l'art. 327-bis, comma 3 dispone, in termini generali, che le attività di investigazione difensiva possono essere svolte, su incarico del difensore, dai su menzionati soggetti. Appare, invece, corretto ritenere che la legittimazione spetti, oltre al difensore, al sostituto, in virtù della regola generale di cui all'art. 102, comma 2. L'istanza, che in assenza di contrarie indicazioni, può essere formulata anche nell'ambito dell'attività di investigazione preventiva ex art. 391 nonies, va presentata alla p.a. che ha formato il documento — e che quindi conserva l'originale dello stesso — o che lo detiene stabilmente. La richiesta non può, dunque, essere inoltrata alla p.a. in possesso di una copia di un documento per ragioni casuali o temporanee. Nella nozione di pubblica amministrazione rientrano tutti gli enti statali e gli altri enti territoriali, gli enti pubblici economici e non, i concessionari di servizi pubblici. L'individuazione del documento amministrativo Per documento amministrativo si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie di dati, fatti, persone o cose giuridicamente rilevanti ai fini della p.a. È evidente che da questo elenco vadano esclusi gli atti o i documenti relativi al procedimento penale in corso, relativamente ai quali è stato conferito l'incarico difensivo. Sebbene la disposizione non lo preveda espressamente, si ritiene che la richiesta debba essere scritta e motivata: essa deve contenere gli estremi dei documenti ai quali si chiede di accedere o comunque gli elementi idonei a identificarli. Appare altresì opportuno che il difensore alleghi alla richiesta l'atto di conferimento dell'incarico professionale e che faccia espresso riferimento scritto all'art. 391-quater quale norma legittimante, così da porre la P.A. nelle condizioni di poter immediatamente comprendere le ragioni della richiesta. Il rifiuto della p.a.Profili generali La norma prevede che nel caso in cui la P.A. rifiuti l'esame o il rilascio di copia del documento si applicano le disposizioni di cui agli artt. 367 e 368. Ciò significa che il difensore può domandare per iscritto al p.m. di formulare egli stesso la richiesta del documento alla P.A. ( art. 368), ovvero di procedere personalmente al sequestro. Il p.m., qualora ritenga fondata la richiesta, ordina alla P.A. la consegna del documento, secondo la previsione dell'art. 256. Se questa rifiuta, dispone il sequestro con decreto motivato ( art. 253). Va evidenziato che il sequestro può avere ad oggetto solo i documenti amministrativi nella misura in cui essi costituiscano il corpo del reato o le cose pertinenti al reato. Nell'eventualità in cui la P.A. rifiuti il rilascio del documento opponendo un segreto professionale o di ufficio, il p.m. che dubiti della fondatezza del segreto provvede agli accertamenti necessari: se la dichiarazione è infondata, dispone il sequestro. Se l'accesso è negato per l'esistenza di un segreto di Stato, il p.m. informa il Presidente del Consiglio dei Ministri affinché confermi il segreto; qualora il Presidente non confermi o non fornisca una risposta entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il p.m. può disporre il sequestro del documento; ove il segreto venga confermato, il potere di sequestro non può essere esercitato (art. 256, commi 3 e 4). Il p.m., se ritiene infondata la richiesta d'accesso al documento presentata dal difensore, la trasmette, con il suo parere negativo, al G.I.P., affinché decida nel merito ( art. 368), senza alcun previo contraddittorio con le parti eventualmente interessate. La giurisprudenza ha ritenuto abnorme, in quanto suscettibile di creare una stasi nell'adozione dell'atto in questione, il comportamento del gip che, pur avendo ritenuto necessario acquisire attraverso il sequestro probatorio la documentazione sollecitata, restituisca gli atti al pubblico ministero perché proceda in tal senso (Cass. IV, n. 4395/2000). Si noti che il decreto motivato pronunciato dal giudice sulla richiesta è inoppugnabile, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione ex art. 568 (Cass. VI, n. 2881/2003; Cass. III, n. 42969/2007). Il richiamo, operato dalla disposizione in commento, all'art. 368, va inteso come riferito esclusivamente alla procedura da adottarsi in caso di diniego al rilascio dei documenti da parte della p.a. e non all'autorità cui deve essere trasmessa la richiesta. Gli artt. 367 e 368 non si applicano, però, qualora il difensore stia svolgendo attività investigativa preventiva ex art. 391-nonies: tale disposizione esclude, infatti, atti che richiedono l'autorizzazione o l'intervento dell'A.G. Diritto di accesso e tutela della privacy Non è invocabile, quale limite al diritto di accesso esercitato nell'indagine difensiva, il diritto alla riservatezza dei terzi ex d.lgs. n. 196/2003 ("Codice in materia di protezione dei dati personali"), modificato dal d.lgs. n. 101/2018. In particolare, tra le novità si segnalano: 1) il nuovo art. 2-undecies d.lgs. n. 196/2003 “Limitazioni ai diritti dell'interessato”, secondo cui i diritti di cui agli artt. da 15 a 22 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (c.d. GDPR, General Data Protection Regulation) non possono essere esercitati con richiesta al titolare del trattamento ovvero con reclamo ai sensi dell'art. 77 del Regolamento qualora dall'esercizio di tali diritti possa derivare un pregiudizio effettivo e concreto allo svolgimento delle investigazioni difensive o all'esercizio di un diritto in sede giudiziaria; 2) la modifica dell'art. 132 d.lgs. n. 196/2003 “Conservazione di dati di traffico per altre finalità”, prevedendosi in particolare, che il difensore dell'imputato o della persona sottoposta alle indagini può richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità indicate dall'art. 391-quater. D'altro canto, la richiesta di accesso diretto alle comunicazioni telefoniche in entrata può essere effettuata solo quando possa derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive. Deve, a tal proposito, precisarsi, come vi è una distinzione fondamentale tra l'investigazione difensiva su dati sensibili e su dati non sensibili. Ed infatti, circa i dati “sensibili”, il difensore trovava i suoi poteri regolamentati nell'autorizzazione generale del Garante per la protezione dei dati personali n. 4/2016, mentre l'indagine svolta dall'investigatore privato era regolamentata nell'autorizzazione n. 6/2016. Oggi, ai sensi dell'art. 21 d.lgs. n. 101/2018 “Autorizzazioni generali del Garante per la protezione dei dati personali”, il Garante, con provvedimento di carattere generale da porre in consultazione pubblica, individua le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni generali già adottate, relative alle situazioni di trattamento di cui agli artt. 6, § 1, lett. c) ed e), 9, § 2, lett. b) e 4, nonché al Capo IX del Regolamento (UE) 2016/679, che risultano compatibili con le disposizioni del medesimo Regolamento e del decreto e, ove occorra, provvede al loro aggiornamento. Salvo che il fatto costituisca reato, le violazioni delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni generali e nel provvedimento generale sono soggette alla sanzione amministrativa di cui all'art. 83, § 5, del Regolamento (UE) 2016/679 (sanzione amministrativa pecuniaria fino a 20.000.000 euro o, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell'esercizio precedente, se superiore). Del resto, i dati sensibili possono essere trattati ove ciò sia strettamente indispensabile per l'esecuzione di specifiche prestazioni professionali richieste dai clienti per scopi determinati e legittimi; il trattamento è ammesso solo se l'incarico non possa essere svolto mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa. I dati raccolti possono essere trattati solo per il tempo strettamente necessario al perseguimento di tale finalità; se invece il trattamento ha una durata eccedente tale periodo, sono richiesti sia l'informativa che il consenso scritto dell'interessato. I dati possono essere comunicati nei limiti strettamente pertinenti all'espletamento dell'incarico conferito e nel rispetto, in ogni caso, del segreto professionale. Riguardo ai dati “non sensibili”, non è invece necessario che l'interessato esprima il consenso al trattamento, né gli deve essere data la comune informativa perché egli non ha il diritto di opporsi al trattamento. I dati devono essere trattati esclusivamente per le finalità (indicate dal difensore) concernenti l'investigazione difensiva o la tutela giudiziaria di un diritto e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (formazione del giudicato). Peraltro, quando si raccolgono informazioni personali presso un soggetto, questi deve essere informato sulla finalità dell'intervista e sull'identità di colui che opera il trattamento (anche quando si tratta di un colloquio non documentato). Esiste altresì un Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria (deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali n. 60 del 6/11/2008), inserito nell'allegato A d.lgs. n. 196/2003, a norma dell'art. 1 d.m. 2 dicembre 2008: si tratta dell'allegato A.6 del Codice in materia di protezione dei dati personali. Ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 101/2018 (“Codici di deontologia e di buona condotta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”), le disposizioni contenute nei codici riportati negli allegati A.1, A.2, A.3, A.4 e A.6 del Codice in materia di protezione dei dati personali continuano a produrre effetti fino alla pubblicazione delle disposizioni di cui appresso. Segnatamente, il Garante verifica la conformità al Regolamento (UE) 2016/679 delle disposizioni predette: quelle ritenute compatibili, ridenominate regole deontologiche, sono pubblicate nella G.U. e, con decreto del Ministro della giustizia, sono successivamente riportate nell'all. A del Codice in materia di protezione dei dati personali. In sintesi, le disposizioni di questo Codice di deontologia e di buona condotta devono essere rispettate nel trattamento di dati personali per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sia nel corso di un procedimento, anche in sede amministrativa, di arbitrato o di conciliazione, sia nella fase propedeutica all'instaurazione di un eventuale giudizio, sia nella fase successiva alla sua definizione, da parte di avvocati, praticanti avvocati e investigatori privati. Le disposizioni si applicano, altresì, a chiunque tratti dati personali per le predette finalità, in particolare ad altri liberi professionisti o soggetti che in conformità alla legge prestino, su mandato, attività di assistenza o consulenza per le medesime finalità. La giurisprudenza ha affermato che, in tema di accesso ai dati del traffico telefonico di persona indagata o imputata in un procedimento penale, ai sensi dell'art. 132, comma 3, d.lgs. n. 196 del 2003, nel testo previgente al d.l. n. 132 del 2021 (conv., con modif., dalla l. n. 178 del 2021), applicabile "ratione temporis", il difensore può formulare istanza di accesso ai dati del suo assistito direttamente al gestore telefonico, senza dover chiederne l'acquisizione al pubblico ministero, solo nell'ipotesi in cui vi sia un comprovato pregiudizio alle indagini difensive e, a fronte dell'inerzia del gestore, come nel caso di rifiuto, non può proporre reclamo al Garante della privacy, ma deve avvalersi della tutela prevista, in sede penale, dall'art. 391 quater, comma 3, c.p.p. (Cass. civ. I, n. 21314/2022). Richiesta di documentazione a privati e rimedi esperibili La norma nulla prevede nel caso in cui il documento, anziché dalla P.A., sia detenuto da soggetto privato. La mancata previsione non implica che ciò sia precluso al difensore. È chiaro, però, che il destinatario della richiesta potrà disattenderla, anche tacitamente, e, in tal caso, il difensore potrà sollecitare il p.m., utilizzando i medesimi strumenti previsti dall'art. 391-quater, comma 3, per l'ipotesi di rifiuto opposto dalla p.a. La giurisprudenza, ha infatti chiarito che la possibilità di accesso a luoghi privati o non aperti al pubblico ai sensi dell'art. 391-septies, prevede per il difensore esclusivamente la possibilità di ispezione dei luoghi, ma non i poteri di perquisizione al fine di acquisire documentazione. Ne consegue che tale attività non è consentita in quanto espressamente disciplinata dall'art. 391-quater, solo con riferimento alla Pubblica Amministrazione (Cass. II, n. 42588/2005). In alternativa, però, se il soggetto privato, quale destinatario della richiesta, rifiuta di far conoscere il contenuto del documento in suo possesso, il difensore può anche attivare le iniziative di acquisizione di informazioni orali o scritte ex art. 391-bis. Il rapporto tra la richiesta di documenti alla p.a. e il diritto di accessoLe facoltà di investigazione difensiva che si esplicano in attuazione dell'art. 391-quater non ostacolano l'applicazione della legge sulla «trasparenza amministrativa», modificata dalla l. n. 15/2005. In particolare, ai sensi dell'art. 22 l. n. 241/1990, il diritto di accesso deve essere riconosciuto a «tutti i soggetti privati, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridica tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso». Va evidenziato che la citata legge legittima la P.A. a rifiutare, differire o limitare l'accesso dei documenti: 1) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della l. n. 801/1977, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, da un apposito regolamento governativo e dalle pubbliche amministrazioni; 2) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; 3) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; 4) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi (art. 24 l. n. 241/1990). Se la p.a. non risponde nei trenta giorni dalla richiesta, questa si intende rifiutata (art. 25 l. n. 241/1990). Entro trenta giorni dall'emanazione del provvedimento con cui la p.a. rifiuta, differisce o limita l'accesso ai documenti, o, in caso di mancata risposta, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per decidere, l'interessato può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso nonché presso l'amministrazione resistente. Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui sopra decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento che coinvolga competenze previste dal d.lgs. n. 196/2003 interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione. CasisticaLa richiesta di documenti alla P.A.: riepilogo Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 391-quater, in sede di investigazioni difensive è possibile chiedere documenti alla P.A. Tuttavia: a) la P.A. può rifiutarsi se è solo in possesso di una copia di un documento per ragioni casuali o temporanee; b) non sono richiedibili gli atti o i documenti relativi al procedimento penale in corso, relativamente ai quali è stato conferito l'incarico difensivo; c) non è invocabile, quale limite al diritto di accesso esercitato nell'indagine difensiva, il diritto alla riservatezza dei terzi ex d.lgs. n. 196/2003; d) nel caso in cui il documento sia detenuto da soggetto privato, il difensore può sollecitare il p.m., utilizzando i medesimi strumenti previsti dall'art. 391-quater, comma 3, o, in alternativa, può anche attivare le iniziative di acquisizione di informazioni orali o scritte ex art. 391-bis. 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