Codice di Procedura Penale art. 391 quinquies - Potere di segretazione del pubblico ministero 1 .

Alessio Scarcella

Potere di segretazione del pubblico ministero1.

1. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico ministero può, con decreto motivato, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a due mesi.

2. Il pubblico ministero, nel comunicare il divieto di cui al comma 1 alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 11, comma 1, l. 7 dicembre 2000, n. 397.

Inquadramento

L'attività di investigazione difensiva può essere bloccata dall'esercizio da parte del P.m. del c.d. potere di segretazione, la cui durata è limitata per legge a due mesi. Ciò comporta l'obbligo per il p.m. di avvisare il soggetto dell'obbligo del segreto, al fine di far scattare il delitto di cui all'art. 379-bis c.p. Destinatari sono tutti i soggetti processuali, fatta eccezione per i soggetti di cui all'art. 210. Non è previsto alcun mezzo di impugnazione del decreto di segretazione, di cui può esserne richiesta la revoca, salva la responsabilità disciplinare del magistrato in caso di esercizio arbitrario del potere.

Il potere di segretazione del P.M.

Profili generali

L'art. 391-quinquies riconosce al p.m. il potere di emettere un decreto motivato con il quale vietare alle «persone sentite» di comunicare i «fatti e le circostanze» di cui hanno avuto conoscenza, quando sussistano «specifiche esigenze attinenti alle indagini», ossia quando le notizie di cui la persona è in possesso potrebbero essere utilizzate da chiunque per influire sull'investigazione, alterando le prove esistenti o fabbricando prove false.

Il divieto, che non può avere una durata superiore a due mesi — improrogabili quand'anche dovessero permanere le suddette esigenze investigative — implica l'obbligo, per le persone sentite, di non rilasciare informazioni o dichiarazioni scritte al difensore. Si noti, tuttavia, che è discutibile la previsione di un termine di efficacia di soli due mesi, soprattutto nei procedimenti aventi ad oggetto numerosi indagati e gravi delitti di criminalità organizzata.

L'oggetto su cui cade il potere di segretazione disciplinato dalla norma in esame è rappresentato dall'intero patrimonio conoscitivo posseduto dalla fonte dichiarativa. Ciò significa che, indipendentemente da quanto già dichiarato e verbalizzato, l'oggetto del divieto inerisce ad ogni particolare conosciuto che possa risultare utile alla ricostruzione del fatto per il quale si proceda, anche se nessuna domanda su di esso sia stata formulata durante l'audizione ovvero se sia stato ricordato solo successivamente.

Solitamente, è al termine dell'audizione che il p.m. ordina alla persona informata di non comunicare a terzi i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza: tuttavia, è, altresì, possibile che il p.m. non imponga subito il divieto ma lo faccia successivamente, nel momento in cui il rischio derivante dalla comunicazione diventi effettivamente concreto.

L'obbligo di avvisare del vincolo al segreto

Il p.m., nel comunicare l'obbligo del segreto alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, deve avvertirle delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie: l'art. 379-bis c.p. prevede, infatti, una nuova fattispecie incriminatrice, appunto la «Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale», che sanziona con la pena della reclusione fino a un anno chi, dopo aver reso dichiarazioni al p.m. o alla p.g. nel corso delle indagini preliminari, non abbia osservato l'obbligo del segreto imposto dal p.m. a norma dell'art. 391-quinquies.

Nell'ipotesi in cui l'avvertimento non venisse dato, l'eventuale violazione del segreto non sarebbe punibile ai sensi dell'art. 47, comma 1, c.p. ovvero del combinato disposto degli artt. 50, comma 1, e 59, comma 4, c.p.

La previsione colma un vuoto normativo: in passato mancava, invero, uno strumento volto a scongiurare la diffusione, da parte dei soggetti informati dei fatti, delle notizie da essi riferite al p.m. o alla p.g.

La giurisprudenza ha precisato che il delitto di rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale ha ad oggetto quelle notizie che siano state apprese in occasione della partecipazione o dell'assistenza all'atto posto in essere nel procedimento e riguarda, pertanto, l'atto del procedimento in quanto tale, nonché la sua documentazione, ma non il fatto storico oggetto dell'atto e dell'indagine di cui il soggetto abbia avuto precedentemente conoscenza (Cass. VI, n. 20105/2011, che ha escluso il reato in relazione alla consegna del contenuto di alcuni «notebooks» ad un giornalista, avvenuta successivamente al sequestro del materiale ed alla sua restituzione in favore dell'imputata, senza che il provvedimento di restituzione prescrivesse divieti o limitazioni al riguardo).

Si è ulteriormente precisato, sulla individuazione dei soggetti che possono rispondere del reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale, che ai sensi dell'art. 379-bis c.p., salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino ad un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 391-quinquies c.p.p. Rispondono del reato di cui all'art. 379-bis c.p., prima ipotesi, i soggetti che: a) per le ragioni più disparate (perché ad es. presenti di persona nell'ufficio del pubblico ministero o del giudice al momento della redazione dell'atto o per motivi di carattere professionale, come nel caso del consulente della difesa che partecipi ad accertamenti tecnici non ripetibili di cui all'art. 360 c.p.p.) si trovino ad assistere alla formazione dell'atto promanante dall'autorità giudiziaria o dai soggetti a vario titolo da essa delegati ovvero alla relativa esecuzione; b) a vario titolo (ad es. in qualità di ausiliari durante le investigazioni difensive) partecipino alla formazione di atti processuali formati e riferibili al difensore dell'indagato; c) in tutti casi a condizione che la rivelazione del relativo contenuto concerna notizie riservate e/o destinate a rimanere tali in quel momento. L'art. 379-bis c.p., prima ipotesi, trova applicazione esclusivamente nei confronti delle persone che, in assenza delle relative qualifiche funzionali di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, non sono già tenute all'obbligo del segreto di cui all'art. 329 c.p.p., la cui violazione trova sanzione nell'art. 326 c.p.; partecipazione ed assistenza attengono alle fasi di formazione o di messa in esecuzione dell'atto processuale - promanante tanto dall'autorità giudiziaria o da suoi delegati ed ausiliari quanto dal difensore nell'ambito delle indagini difensive - ma non a quelle della ricezione dell'atto stesso o di soggezione ai relativi effetti (Cass. VI, n. 47210/2021).

L'inesistenza dell'obbligo di notifica all'indagato ed al difensore

Il decreto di segretazione non deve essere notificato all'indagato o al suo difensore, i quali potranno venire a conoscenza della sua esistenza solo dalla persona per la quale sussiste il divieto. Quest'ultima, infatti, deve esplicitare le ragioni del proprio silenzio, dichiarando, cioè, se non risponde per il divieto di cui all'art. 391-quinquies, oppure, più semplicemente, perché si avvale della facoltà riconosciutale dall'art. 391-bis, comma 3, lett. d): solo ricorrendo quest'ultima ipotesi, infatti, il difensore può richiedere l'esame della persona al p.m. o al giudice in incidente probatorio (art. 391-bis, commi e 11).

L'individuazione dei soggetti destinatari del divieto

Generica è la locuzione usata dal legislatore («persone sentite»). In teoria, la stessa potrebbe ricomprendere sia le persone informate dei fatti, sia la persona sottoposta alle indagini, sia le persone indagate o imputate di reato connesso, sentite dal p.m. o dalla p.g.

Tuttavia, può ritenersi che il divieto non operi nei confronti dell'indagato o dei coindagati in un procedimento connesso o collegato che non abbiano assunto la veste di testimone: i citati soggetti, infatti, non possono mai essere obbligati a tacere i fatti di cui sono a conoscenza giacché, esercitando il loro diritto di difesa anche attraverso la divulgazione di tali fatti, opera la causa di giustificazione ex art. 51 c.p. rispetto al delitto di cui all'art. 379-bis c.p.

La mancanza di mezzi di impugnazione

La difesa della parte privata non può impugnare il decreto di segretazione.

L'unico rimedio esperibile contro il decreto di segretazione è la richiesta di revoca al p.m. che lo ha emesso.

Resta ferma, tuttavia, contro un possibile esercizio arbitrario del potere di segretazione del p.m., la responsabilità disciplinare ex art. 124

Non può tuttavia escludersi, secondo la giurisprudenza amministrativa, l'esercizio del diritto di accesso ai documenti adducendo una pretesa segretazione degli atti in un procedimento penale allorquando tali atti non sono oggetto di un provvedimento formale dell'autorità giudiziaria (art. 391-quinquies) né sono stati formati dalla autorità giudiziaria o dalla Polizia giudiziaria (art. 329) e quindi coperti dal segreto istruttorio penale, ma piuttosto trattasi di atti emanati dalla p.a. nello svolgimento della sua attività istituzionale (T.a.r. Campania, 2 settembre 2002, n. 1338; nella specie si trattava di dichiarazioni rese da alcuni dipendenti della stessa Asl nel corso di un procedimento disciplinare).

Casistica

Il potere di segregazione del p.m.: riepilogo

Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 391-quinquies, le investigazioni difensive possono essere bloccate dall'esercizio del potere di segregazione del p.m. In particolare:

a) il divieto non può avere una durata superiore a due mesi, improrogabili quand'anche dovessero permanere le suddette esigenze investigative;

b) implica l'obbligo, per le persone sentite, di non rilasciare informazioni o dichiarazioni scritte al difensore;

c) l'oggetto del divieto inerisce ad ogni particolare conosciuto che possa risultare utile alla ricostruzione del fatto per il quale si procede;

d) comporta l'obbligo per il p.m. di avvertire il soggetto delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie, pena la consumazione del reato di cui all'art. 379-bis c.p. (“Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale);

e) non è previsto l'obbligo di notificare il decreto di segretazione del p.m. all'indagato o al suo difensore;

f) il divieto non opera nei confronti dell'indagato o dei coindagati in un procedimento connesso o collegato che non abbiano assunto la veste di testimone;

g) il decreto di segretazione non è impugnabile, ma può solo esserne richiesta la revoca al p.m. che lo ha emesso, salva ovviamente — contro un possibile esercizio arbitrario del potere di segretazione del p.m. —, la responsabilità disciplinare ex art. 124.

Bibliografia

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