Codice di Procedura Penale art. 415 bis - Avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari 1 2 .

Alessio Scarcella

Avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari  1 2 .

1. Prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'articolo 405, anche se prorogato, il pubblico ministero, se non deve formulare richiesta di archiviazione ai sensi degli articoli 408 e 411, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore nonché, quando si procede per il reato di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa avviso della conclusione delle indagini preliminari [552 2 ]3

2. L'avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia.

2-bis. Qualora non si sia proceduto ai sensi dell'articolo 268, commi 4, 5 e 6, l'avviso contiene inoltre l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Il difensore può, entro il termine di venti giorni, depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull'istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell'istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui all'articolo 268, comma 64.

 

3. L'avviso contiene altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni [374] ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio [64, 65]. Se l'indagato chiede di essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero deve procedervi. Con l'avviso l'indagato e la persona offesa alla quale lo stesso è notificato sono altresì informati che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa567.  

4. Quando il pubblico ministero, a seguito delle richieste dell'indagato, dispone nuove indagini, queste devono essere compiute entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta. Il termine può essere prorogato dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, per una sola volta e per non più di sessanta giorni [406].

5. Le dichiarazioni rilasciate dall'indagato, l'interrogatorio del medesimo ed i nuovi atti di indagine del pubblico ministero, previsti dai commi 3 e 4, sono utilizzabili se compiuti entro il termine stabilito dal comma 4, ancorché sia decorso il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice [per l'esercizio dell'azione penale o per la richiesta di archiviazione]8

[5-bis. Il pubblico ministero, prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'articolo 405, può presentare richiesta motivata di differimento della notifica dell'avviso di cui al comma 1 al procuratore generale presso la corte di appello:

a) quando è stata richiesta l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita;

b) quando la conoscenza degli atti d'indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l'incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato ovvero, nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività di indagine specificamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all'accertamento dei fatti, all'individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca 9.]

[5-ter. Entro venti giorni dal deposito della richiesta del pubblico ministero, se ne ricorrono i presupposti, il procuratore generale autorizza con decreto motivato il differimento per il tempo strettamente necessario e, comunque, per un periodo complessivamente non superiore a sei mesi o, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, non superiore a un anno. In caso contrario, il procuratore generale ordina con decreto motivato al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell'avviso di cui al comma 1 entro un termine non superiore a venti giorni. Copia del decreto con cui il procuratore generale rigetta la richiesta di differimento del pubblico ministero è notificata alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini10.]

5-quater. Alla scadenza dei termini di cui all'articolo 407-bis, comma 2, se il pubblico ministero non ha esercitato l'azione penale, né richiesto l'archiviazione, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull'azione penale. Sulla richiesta il giudice provvede, nei venti giorni successivi, con decreto motivato. In caso di accoglimento, il giudice ordina al procuratore della Repubblica di assumere le determinazioni sull'azione penale entro un termine non superiore a venti giorni. Copia del decreto è comunicata al pubblico ministero e al procuratore generale presso la corte di appello e notificato alla persona che ha formulato la richiesta11.

[5-quinquies. Il pubblico ministero trasmette al giudice e al procuratore generale copia dei provvedimenti assunti in conseguenza dell'ordine emesso ai sensi del comma 5-quater12.]

 

[5-sexies. Nei casi di cui al comma 5-quater, se non ha già ricevuto la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ai sensi del comma 1, alla persona offesa dal reato che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini è notificato l'avviso previsto dal comma 1 dell'articolo 415-ter. Si applicano le disposizioni di cui al comma 2 del medesimo articolo 415-ter13.]

 

[1]  Articolo inserito dall'art. 17, comma 2, l. 16 dicembre 1999, n. 479.

[2]  Per le disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari vedi l'art. 88-bis  del citato d.lgs. n. 150/2022 come aggiunto dall'art. 5-sexies d.l. n. 162/2022 cit., conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

[3] Comma modificato dall'art. 22, comma 1, lett. l), n. 1, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito le parole: «Salvo quanto previsto dai commi 5-bis e 5-ter, prima» alla parola  «Prima». Precedentemente l'art. 2, comma 2, lett. h), d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. in l. 15 ottobre 2013, n. 119, aveva inserito le parole da «nonché» a «alla persona offesa». Il riferimento all'art. 612-bis è stato inserito in sede di conversione in legge. Successivamente modificato all'art.2, comma 1, lett. m) d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 che  al comma 1, ha sostituito la parola «Prima» alle seguenti:  «Salvo quanto previsto dai commi 5-bis e 5-ter, prima». 

[4] L'art. 2, comma 1 lett. m) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, ha aggiunto il presente comma 2-bis. A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ». 

[5] Periodo aggiunto  dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 2, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Per l'applicazione vedi l'art. 92, comma 2-bis, d.lgs. n. 150 cit., come aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 5-novies d.l. n. 162, cit.

[6] In tema di disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 v. quanto disposto dall'art. 24, comma 1, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176. Da ultimo,  v. art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, conv., con modif. in l. 25 febbraio 2022, n. 15, dispone che «Le disposizioni di cui all'articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 2, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022»; in particolare, ai sensi dell'art. 16, comma 1-bis d.l. n. 228, cit., aggiunto in sede di conversione, l'art. 23, comma 4, del d.l. n. 137/2020 cit., in materia di processo penale, continua ad applicarsi fino alla data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19. V. anche art. 16, comma 2, d.l. n. 228, cit.

[7] V. quanto disposto dall'art. 87, comma 6-bis, d.l. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall' art. 5-quater, comma 1, lett. b), d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199

[8] Parole soppresse dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 3, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

[9] Comma aggiunto dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 4, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Successivamente abrogato dall'art.2, comma 1, lett. m)  d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31.

[10] Comma aggiunto dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 4, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Successivamente abrogato dall'art.2, comma 1, lett. m)  d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31.

[11] Comma aggiunto dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 4, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Successivamente abrogato dall'art.2, comma 1, lett. m)  d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31.

[12] Comma aggiunto dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 4, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Successivamente abrogato dall'art.2, comma 1, lett. m)  d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31.

[13] Comma aggiunto dall'art. 22. comma 1, lett. l), n. 4, d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Successivamente abrogato dall'art.2, comma 1, lett. m)  d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31.

Inquadramento

L'art. 17, l. n. 479/1999 ha introdotto, all'interno del codice di procedura penale, l'art. 415-bis, con cui si garantisce all'indagato la possibilità di esercitare in maniera concreta il proprio diritto di difesa prima ancora che il P.M. eserciti la sua azione penale nei suoi confronti. Dopo che il P.M. ha svolto le proprie indagini, infatti, si pongono per il medesimo vari alternative: richiedere l'archiviazione del procedimento penale poiché non sussistono gli elementi per procedere nei confronti dell'indagato; proseguire nell'esercizio della propria azione penale e, considerato esaustivo il quadro che è emerso nel corso delle indagini preliminari svolte, decidere per il rinvio a giudizio dell'indagato. È questo il caso in cui è necessario che venga notificato all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 415-bis che assolve alla sua funzione informativa, in quanto consente all'indagato di rivolgersi al proprio difensore di fiducia e mettere a punto una difesa personale completa prima ancora che abbia inizio il processo nei suoi confronti. Qualora l'indagato non abbia ancora un difensore di fiducia o non lo abbia mai avuto, il p.m. nomina un difensore d'ufficio al quale successivamente effettuerà la notifica dell'avviso. Dalla data di notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari il difensore ha diritto di prendere visione ed estrarre copia degli atti dal fascicolo del P.M., fino a quel momento coperti dal segreto istruttorio, e conseguentemente ha un termine di venti giorni per opporsi alla decisione del p.m., Il difensore, dopo aver preso visione degli atti relativi alle indagini preliminari ha, infatti, la facoltà, entro venti giorni, di presentare una memoria con cui l'indagato chiede che il procedimento penale aperto nei suoi confronti venga archiviato o perché non ha commesso il reato che gli viene ascritto o per insussistenza del fatto. Al fine di avvalorare la propria tesi, l'indagato può altresì produrre della documentazione a proprio favore, depositare investigazioni difensive, chiedere al P.M. gli atti di indagine e, infine, chiedere di essere sentito dal P.M. per rilasciare dichiarazioni o essere sottoposto ad interrogatorio. Solo in quest'ultimo caso il P.M. è obbligato ad accogliere la richiesta dell'indagato: mentre, infatti, tutte le altre richieste possono essere accolte in maniera facoltativa, nel caso in cui l'indagato chieda di essere sottoposto ad interrogatorio, il P.M. non può rifiutarsi ed è obbligato a procedere. Può avvenire che il P.M., dopo aver ricevuto le richieste da parte dell'indagato, decida di archiviare la notizia di reato, poiché la ritiene infondata. Nel qual caso, potrà chiedere al G.i.p. di disporne l'archiviazione. Con la ricezione degli atti da parte dell'indagato, il P.M. può anche decidere di disporre nuove indagini. Tuttavia, queste devono essere compiute entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta dell'indagato. Qualora tali indagini non bastassero, il P.M. ha la facoltà di chiedere al G.i.p. un'ulteriore proroga per non più di sessanta giorni, ma il termine non può essere prorogato per più di una volta.

Il d.l. n. 161/2019 ha poi introdotto in via di urgenza numerose e significative modifiche, destinate inizialmente ad avere efficacia dal 1° marzo 2020 (ora si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020), su aspetti essenziali della disciplina processuale dettata dal d.lgs. n. 216/2017 con il dichiarato scopo di "perfezionare e completare la nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche ed ambientali prima che la stessa acquisti efficacia". Il d.l. n. 161/2019, oltre alla necessaria previsione di una diversa disciplina temporale, è intervenuto per quanto qui di interesse, modificando punti essenziali della precedente normativa dettata dal d.lgs. n. 216/2017, in particolare intervenendo, a seguito di avviso ex art. 415 bis o di richiesta di giudizio immediato, sulla disciplina relativa alla trascrizione peritale delle intercettazioni, prevista come necessaria ed anticipata in capo al Gip/Gup in sede di formazione del fascicolo del dibattimento.

La c.d. riforma “Cartabia” (d.lgs. 150/2022) era intervenuta sulla fase conclusiva delle indagini, al precipuo fine di sollecitare le determinazioni effettive del pubblico ministero, una volta scaduti i suddetti termini, ordinari o prorogati, di loro durata e una volta che, scadute le indagini, abbia notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen., norma che era stata ampiamente rimaneggiata. In particolare, nell'attuare la delega (l. 134/2021), dal momento che in parte qua l'intervento di modifica era destinato a operare nell'ipotesi (fisiologica) di discovery conseguente alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari prim'ancora che in quella (patologica) da rimediarsi con una serie di «meccanismi procedurali», era parso necessario al Legislatore collocare le nuove disposizioni nell'ambito dell'art. 415-bis cod. proc. pen. e, quindi, operare ad esse rinvio in sede di disciplina delle nuove misure. Erano stati così introdotti i nuovi commi 5-bis e 5-ter, espressamente fatti salvi dalla clausola di riserva interpolata in apertura della disposizione, mentre la disciplina del rimedio di sblocco della stasi era stata collocata – in attuazione del parallelo criterio di delega – nell'art. 415-bis, ai commi 5-quater e 5-quinquies, i quali nell'art. 415-ter formavano quindi oggetto di richiamo (il comma 5-quater limitatamente al secondo, al terzo e al quarto periodo: v. comma 3).

Il c.d. collegato “Cartabia” (d.lgs. n. 31/2024) ha tuttavia abrogato, a far data dal 4 aprile 2024, l'intero corpus normativo introdotto nel 2022, sopprimendo i commi dal 5-bis al 5-sexies, il cui contenuto è stato pressoché traslato integralmente, per esigenze di armonizzazione sistematica, nel successivo art. 415-ter, c.p.p. Si è trattato di uno di quei pochi interventi che hanno inciso “in modo sostanziale sull'attuale assetto della giustizia penale e che sono stati mossi dalla finalità di perfezionare i meccanismi procedurali introdotti dalla riforma in un'ottica di semplificazione e accelerazione processuale”, intervento nella specie afferente agli istituti di risoluzione della cd. stasi del procedimento (così la Relazione ministeriale al collegato “Cartabia”, pag. 2).

Generalità

Gli interventi della Corte costituzionale

Numerosi gli interventi della Corte costituzionale sulla norma processuale in esame.

Unica decisione che ha inciso sulla norma processuale è quella con cui la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 458, comma 1, nella parte in cui prevede che il termine, entro il quale l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato, decorra dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall'ultima notificazione, ad imputato o difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato (Corte cost., n. 120/2002).

Successivamente sono seguite solo sentenze di manifesta infondatezza. In particolare: a) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 453, nella parte in cui non prevede che la richiesta di giudizio immediato debba essere preceduta dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis (Corte cost. n. 203/2002); b) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 459, nella parte in cui non prevede che, prima di richiedere al G.i.p. l'emissione del decreto penale di condanna, il P.M. debba notificare all'indagato l'avviso di cui all'art. 415-bis (Corte cost. n 32/2003); c) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, d.lgs. 274/2000, nella parte in cui non prevede che nel procedimento avanti il giudice di pace sia dato avviso all'indagato ex art. 415-bis della conclusione delle indagini (Corte cost. n. 201/2004; Corte cost. n. 85/2005); d) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409, comma 2, nella parte in cui non prevede che, in ipotesi di imputazione coatta, il P.M. debba notificare all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari (si è precisato, infatti, che la funzione di garanzia cui assolve l'istituto in commento è quella di consentire una «fase di contraddittorio» fra indagato e P.M. «che ben può esplicarsi in sede di udienza camerale fissata ai sensi dell'art. 409 » allorquando il G.i.p. non ritenga di potere accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dall'organo dell'accusa (Corte cost. n. 441/2004); e) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt 415-bis e 416, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui non esplicitano, rispettivamente, l'obbligo, gravante sul P.M., di non esercitare l'azione penale mediante deposito della richiesta di rinvio a giudizio prima dello spirare del termine di venti giorni, nonché la sanzione della nullità in ipotesi di inadempienza (Corte cost. n. 452/2005); f) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 415-bis, sollevata in riferimento agli artt. 24, comma 2, e 111, comma 3, Cost., nella parte in cui non prevede alcuna sanzione processuale per l'ipotesi di notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari oltre il termine previsto dal comma 1 della norma processuale in questione, nel caso in cui tale notificazione non sia stata preceduta dalla contestazione dell'addebito e non sussista l'effettiva necessità del compimento di altri atti investigativi (Corte cost. n. 23/2006); g) è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 17, d.lgs. n. 274/2000, sollevata in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevedono che, in ossequio a quanto stabilito dall'art. 415-bis, anche nell'ambito del procedimento avanti il giudice di pace debba essere dato avviso alla persona sottoposta alle indagini della conclusione delle stesse (Corte cost. n. 42/2007), h) sono state dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.lgs. n. 274/2000 (come modificato dall'art. 17 del d.l. n. 144/2005, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 155/2005), impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che il decreto di citazione possa essere emesso in difetto di istruttoria e comunque di avviso della conclusione delle indagini preliminari all'indagato, ai sensi dell'art. 415-bis (infatti, precisa la Corte costituzionale, posto che le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche dei singoli riti speciali ed ai criteri di massima celerità e semplificazione che li ispirano, il procedimento penale davanti al giudice di pace configura un modello di giustizia autonomo, non comparabile con il procedimento per i reati di competenza del tribunale, in quanto ispirato a finalità di snellezza, semplificazione e rapidità. L'omessa previsione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari si rivela coerente con il ruolo marginale che nel procedimento in questione è assegnato alla fase delle indagini e che rispecchia tanto le esigenze di massima semplificazione tipiche di tale procedimento, quanto la vocazione conciliativa della giurisdizione onoraria, la quale trova la sua sede naturale di esplicazione nell'udienza di comparizione, ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice. Le esigenze di informazione dell'imputato prima dell'udienza di comparizione sono comunque assicurate dall'avviso, contenuto nella citazione a giudizio, della facoltà di prendere visione e di estrarre copia del fascicolo relativo alle indagini preliminari, depositato presso la segreteria del pubblico ministero, nonché dall'indicazione, contenuta nel medesimo atto, delle fonti di prova di cui il pubblico ministero chiede l'ammissione).

È stata, infine, dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 160, comma 2, c.p., modificato dall'art. 6, l. 5 dicembre 2005, n. 251, censurato, per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non include l'avviso di conclusione delle indagini di cui all'art. 415-bis fra gli atti interruttivi della prescrizione, ciò in quanto il rimettente chiedeva una pronuncia additiva in malam partem che esorbita dai poteri della Corte, alla quale il principio di riserva di legge ex art. 25, comma 2, Cost. inibisce tanto la creazione di nuove fattispecie criminose o l'estensione di quelle esistenti a casi non previsti, quanto di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti inerenti alla punibilità, aspetti fra i quali rientrano quelli relativi alla disciplina della prescrizione (Corte cost. n. 65/2008).

La doverosità dell'avviso ed il suo contenuto

L'art. 415-bis impone al p.m. l'obbligo, ove questi non decida di richiedere l'archiviazione, di informare l'indagato ed il suo difensore dell'intervenuta conclusione delle indagini, prima che scada il relativo termine. Nel caso in cui intenda chiedere il differimento al Procuratore Generale, opera la disciplina introdotta nel nuovo art. 415-ter, c.p.p.

Ciò non significa che il p.m. sia obbligato nelle scelte successive, ossia debba rinviare a giudizio l'indagato, questione da valutare oggi alla luce della nuova disciplina introdotta dalla c.d. riforma Cartabia, che, in ottica acceleratoria, facoltizza la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa a chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull'azione penale, con obbligo per il giudice di riscontrare la richiesta nei venti giorni successivi, ordinando in caso di accoglimento al Procuratore della Repubblica di assumere le sue determinazioni sul punto nei successivi venti giorni.

La Cassazione ha infatti affermato che dopo la spedizione all'indagato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, che il pubblico ministero dispone quando ritiene che non debba essere formulata richiesta di archiviazione, residuano per lo stesso pubblico ministero tutte le opzioni delineate al comma 1 dell'art. 405, e può essere proposta, di conseguenza, anche una richiesta di archiviazione, che non presenta, nel caso, alcun connotato di nullità od abnormità (Cass. VI, n. 47793/2003).

L'avviso della conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis è atto personalissimo del p.m., tant'è che la stessa Cassazione ha affermato che lo stesso non è suscettibile di delega alla polizia giudiziaria, in quanto rientrante nell'ambito delle attività riservate al diretto espletamento da parte del P.M. procedente, unico legittimato a sottoscriverlo (Cass. V, n. 585/2004).

Circa il contenuto, i commi 2 e 3 dell'art. 415-bis stabiliscono che l'avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con due avvertimenti: a) l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia; b) l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio (in tal ultimo caso il pubblico ministero deve procedervi).

La giurisprudenza di legittimità si è occupata di alcune questioni di particolare interesse.

Anzitutto, ha ritenuto abnorme il provvedimento con il quale il G.i.p dichiara la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e dispone la restituzione degli atti al P.M., per essere stato enunciato il fatto addebitato all'imputato in termini parzialmente diversi da quelli contenuti nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis, in quanto il differente tenore testuale dell'art. 417 (che richiede che l'enunciazione del fatto debba avere i requisiti di chiarezza e precisione) rende evidente la non sovrapponibilità del contenuto dei due atti, in ragione della loro diversa funzione e specifica finalità (Cass. I, n. 11405/2004; analogamente, in relazione all'art. 552, v. Cass. V, n. 28548/2007).

Circa la natura del termine di venti giorni per la presentazione di memorie e di richieste, la Cassazione ha chiarito che lo stesso non è perentorio, ma ordinatorio, con la conseguenza che i menzionati diritti difensivi possono essere esercitati sino a quando il P.M. non chiede il rinvio a giudizio ai sensi dell'art. 416 (In motivazione la Corte ha precisato che, come previsto per l'atto d'impugnazione, la richiesta di interrogatorio può essere trasmessa al P.M. anche mediante telegramma o lettera raccomandata, purché la sottoscrizione sia autenticata dal difensore o da altro pubblico ufficiale abilitato e che, ai fini della sua ritualità, rileva la data di spedizione: Cass. VI, n. 50087/2018).

Si è poi chiarito che la contestazione, da parte del pubblico ministero, in sede di udienza preliminare, ai sensi dell'art. 423, di un reato connesso a quello per il quale era stata originariamente esercitata l'azione penale, non implica la necessità di una rinnovazione dell'avviso di cui all'art. 415-bis. È pertanto da ritenere abnorme l'ordinanza con la quale il giudice dell'udienza preliminare, nell'erroneo presupposto che a detta rinnovazione debba invece darsi luogo, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per tale adempimento (Cass. I, n. 5403/2000; Cass. V, n. 21703/2003; Cass. I, n. 16714/2014). In senso contrario, invece, si è sostenuto non essere abnorme il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare che dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, in virtù dell'imprecisa enunciazione del fatto contestato (ex art. 18 l. n. 479/1999 che ha modificato la formulazione dell'art. 417, lett. b) disponendo conseguentemente la restituzione degli atti al Pubblico Ministero per quanto di competenza, ciò in quanto rientra nei poteri del giudice dell'udienza preliminare verificare l'adempimento, da parte del P.M., della prescrizione di legge introdotta con la novella predetta, in ordine alla enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, di guisa che l'esercizio di detto potere, per quanto opinabile nella sua concreta esplicazione, non può comunque ritenersi extra ordinem al punto da determinare l'abnormità del provvedimento (Cass. V, n. 36009/2001).

Antecedentemente alla novella introdotta nel 2014 all'art. 143, la Cassazione aveva peraltro escluso l'obbligo di disporre la traduzione dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, ex art. 415-bis nel caso di indagato straniero alloglotta (Cass. II, n. 45645/2003). Ci avevano peraltro pensato le Sezioni Unite, ben prima delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 32/2004 — che, novellando l'art. 143, comma 2, prevede espressamente che il p.m. debba disporre la traduzione scritta “entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa”, tra gli altri atti, anche dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari — a stabilire che l'omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all'indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 (Cass. S.U., n. 39298/2006).

Circa i destinatari dell'avviso, la Cassazione ha ritenuto rituale, in quanto verificatasi «nel corso delle indagini preliminari», la notifica dell'avviso di cui all'art. 415-bis, effettuata al difensore dell'indagato latitante presso il Consiglio forense, a norma dell'art. 65 disp. att., in quanto tale avviso non segna il momento conclusivo della fase investigativa, che si verifica invece solo con l'esercizio dell'azione penale (Cass. III, n. 21014/2003).

Si aggiunge, poi, che la previsione di cui all'art. 415-bis — per la quale il P.M. se non deve formulare richiesta di archiviazione fa notificare alla persona sottoposta alle indagini ed al difensore avviso della conclusione delle indagini preliminari — deve essere interpretata alla luce dell'art. 24 Cost., nel senso che l'avviso in questione deve essere necessariamente notificato, oltre che all'indagato, anche al difensore, il quale deve essere, ove sia mancata l'assistenza difensiva in tale fase, nominato dal P.M., e, pertanto la relativa procedura può ritenersi perfezionata esclusivamente con la notificazione dell'avviso al difensore, oltre che all'indagato. Ne deriva che non solo non è abnorme, ma è, per contro, legittima l'ordinanza con cui il tribunale ha dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio e restituito gli atti al P.M., sul presupposto che tale decreto non era stato preceduto dalla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini anche al difensore dell'imputato (Cass. IV. n. 635/2004; Cass. III, n. 6806/2004; nel senso che non è abnorme il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento abbia dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio emesso dal pubblico ministero per mancata notifica al difensore dell'indagato dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 415-bis, comma 1, richiamato dagli artt. 550, comma 1, e 552, comma 2, stesso codice, non rilevando, in contrario, che la mancata notifica sia dipesa dal fatto che, nel corso delle indagini preliminari, non fosse intervenuta la nomina del difensore di fiducia e non vi fosse stata occasione di dar luogo alla nomina di un difensore d'ufficio, ben potendo tale ultimo adempimento, pur in assenza di specifica previsione, essere attuato dal pubblico ministero proprio ai fini della notifica di cui al citato art. 415-bis (Cass. II, n. 25206/2002).

Quanto alla necessità o meno di rinnovare l'avviso al difensore di fiducia successivamente nominato, la Cassazione ritiene abnorme, in quanto comporta un'indebita regressione del procedimento, la declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, derivante dalla nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato all'indagato ed al difensore di ufficio, perché non reiterato al difensore di fiducia successivamente nominato. L'art. 415-bis, infatti, non prevede una nuova notifica dell'avviso una volta espletate le indagini a seguito dell'interrogatorio dell'indagato, in quanto il contraddittorio risulta assicurato dal deposito della documentazione relativa alle nuove indagini, imposto dall'art. 416 (Cass. III, n. 14756/2004; da ultimo: Cass. V, n. 46416/2007).

Un contrasto giurisprudenziale si registra, invece, sulla individuazione del difensore cui effettuare la notifica dell'avviso ex art. 415-bis. Secondo un primo orientamento, infatti, la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari deve essere effettuata a chi riveste la qualità di difensore dell'indagato nel momento in cui l'atto è depositato in segreteria, atteso che il deposito segna il momento in cui si dispone l'inoltro dell'atto per la notificazione, a nulla rilevando la nomina di difensore di fiducia effettuata successivamente, ancorché prima che sia materialmente eseguito l'inoltro (Cass. VI, n. 24948/2018; Cass. V, n. 25803/2019).Altro orientamento, invece, ritiene che ove l'indagato nomini un difensore di fiducia dopo l'emissione di tale avviso, ma prima della notifica del medesimo, la notifica va effettuata a tale difensore e non già al difensore di ufficio (Cass. V, n. 43763/2008).

In base al chiaro disposto di cui all'art. 148, comma 2-bis, (secondo cui l'autorità giudiziaria può sempre disporre, senza necessità di apposito decreto motivato, che le notificazioni e gli avvisi ai difensori siano eseguiti «con mezzi tecnici idonei»), non può non ritenersi valida la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini effettuata al difensore dell'imputato a mezzo telefax, e deve quindi qualificarsi come abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento con il quale, ritenuta invece la nullità di detta notificazione e del successivo decreto di citazione a giudizio, sia stata disposta la restituzione degli atti al pubblico ministero (Cass. V, n. 16512/2006).

Si registra un contrasto nella giurisprudenza della Cassazione circa la natura della nullità conseguente all'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari. Secondo parte della giurisprudenza, infatti, trattasi di nullità a regime intermedio, che, pertanto, deve essere eccepita o rilevata d'ufficio prima della deliberazione della sentenza di primo grado (da ultimo: Cass. V, n. 21875/2014). Altro orientamento, invece, sostiene che la nullità del decreto che dispone il giudizio per l'omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 491, subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti (da ultimo: Cass. V, n. 34515/2014).

Nel caso in cui l'indagato sia assistito da due difensori, la notifica va eseguita ad entrambi. Tuttavia, secondo la Cassazione, l'omesso avviso di deposito della conclusione delle indagini ad uno dei due difensori di fiducia costituisce una nullità di ordine generale a regime intermedio e come tale sanabile. Ne consegue che, qualora la parte si sia avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso era preordinato, recandosi ugualmente in cancelleria per visionare gli atti ed estrarne copia, la nullità risulta sanata (Cass. III, n. 47578/2003).

Analogamente non è pacifico in giurisprudenza se il decreto di irreperibilità emesso dal pubblico ministero per la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari conserva efficacia anche ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (in senso affermativo, da ultimo: Cass. V, n. 34828/2011; Cass. V, n. 8592/2012). In senso contrario, invece, si sostiene che il decreto di irreperibilità emesso nel corso delle indagini preliminari non vale ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio disposta dal P.M., poiché la chiusura delle indagini ha luogo con l'emissione di quest'ultimo decreto, sicché, ai fini della «vocatio in iudicium», è necessario un nuovo decreto di irreperibilità (v. da ultimo: Cass. II, n. 2741/2010; Cass. IV, n. 29771/2015). Tale contrasto, peraltro, deve oggi essere rivisto alla luce della nuova disciplina dettata dall'art. 160, c.p.p. a seguito della riforma “Cartabia” in materia di efficacia del decreto di irreperibilità, il quale cessa con la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ovvero, in sua mancanza, con la chiusura delle indagini preliminari.

In merito, poi, ai rapporti fra l'avviso di cui all'art. 415-bis e l'informazione di garanzia di cui all'art. 369-bis, si ritiene abnorme — perché, pur costituendo manifestazione di un legittimo potere, si esplica fuori dei casi consentiti al di là di ogni ragionevole limite — il provvedimento del giudice dibattimentale che dichiari la nullità dell'avviso stesso in quanto carente delle indicazioni previste dal secondo comma dell'art. 369-bis. Dette indicazioni sono necessarie solo quando debba essere compiuto un atto cui il difensore abbia il diritto di assistere, e riguardano quindi un provvedimento — l'informazione sul diritto di difesa — che attiene ad una articolazione del procedimento solo eventuale, e comunque diversa e antecedente rispetto a quella introdotta dall'avviso di conclusione delle indagini (Cass. VI, n. 1239/2004; Cass. V, n. 8366/2006). È stata poi dichiarata inammissibile l'impugnazione del P.M., in sede di legittimità, avverso il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari dichiari la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini di cui all'art. 415-bis per violazione dell'art. 369-bis (informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa), in quanto detto provvedimento non si pone al di fuori degli schemi tipici dell'ordinamento processuale e, quindi, non riveste i caratteri dell'atto abnorme che legittima il ricorso per cassazione (Cass. VI, n. 2545/2004). Si è però puntualizzato che qualora l'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis non sia stato preceduto da alcuna valida informazione di garanzia ai sensi dell'art. 369-bis stesso codice, ma solo dall'avvertimento della facoltà di nominare un difensore di fiducia inserito in due atti della polizia giudiziaria non compiuti alla presenza dell'imputato, ma della moglie, ed a lui non notificati, né contenga in sé elementi sufficienti a farlo ritenere equipollente alla mancata informazione, ricorre l'ipotesi di nullità prevista dal citato art. 369-bis (Cass. III, n. 21738/2003).

L'informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa, ex art. 369-bis però non deve precedere a pena di nullità l'avviso di conclusioni delle indagini, di cui all'art. 415-bis, nell'ipotesi in cui nel corso delle predette indagini non sia stata espletata alcuna attività alla quale il difensore ha diritto di assistere, essendo previsto dalla citata disposizione che la predetta informazione possa precedere direttamente l'invito a presentarsi a rendere l'interrogatorio, che sia stato richiesto dall'indagato ai sensi del comma terzo del citato art. 415-bis e, pertanto, dopo la notificazione dell'avviso (Cass. III, n. 47909/2003; Cass. V, n. 44706/2005).

È pacifico invece che l'omissione del deposito di atti dell'indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell'avviso di conclusione prescritto dall'art. 415-bis, comporta l'inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio (Cass. III, n. 44422/2003, si noti che in motivazione la Corte ha osservato che la sanzione di nullità non è prevista né dall'art. 416 né dall'art. 429 del codice di rito, e che il diritto di difesa dell'imputato è comunque assicurato dalla inutilizzabilità delle risultanze di cui non ha potuto prendere cognizione per l'omesso deposito; da ultimo, in senso conforme: Cass. IV, n. 7597/2014). Del resto, come confermato sia dall'esegesi della Corte costituzionale (Corte cost., n. 286/2012) che dalla giurisprudenza di legittimità è abnorme il provvedimento con il quale il tribunale dichiari la nullità del decreto che dispone il giudizio, sul presupposto dell'omesso deposito di alcuni atti delle indagini preliminari, da parte del pubblico ministero, in occasione dell'avviso di conclusione delle indagini stesse, posto che detta omissione comporta solo l'inutilizzabilità degli atti interessati, mentre il provvedimento dichiarativo della nullità comporta l'indebita regressione del procedimento (Cass. IV, n. 26867/2006).

Non è peraltro dovuta la rinnovazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari nel caso in cui il pubblico ministero, sollecitato dalla difesa a seguito della sua notificazione, compia atti di indagine e/o consulenza, purché non si tratti di investigazioni distinte ed autonome rispetto ai temi indicati con le richieste difensive (Cass. IV, n. 40931/2018).

Analogamente, non è dovuto un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari nel caso in cui un incidente probatorio si concluda dopo la notificazione dell'avviso stesso (Cass. I, n. 43220/2018).

Si noti, ancora , che per effetto del d.l. n. 93/2013, convertito in l. n. 119/2013, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza in genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», il testo dell'art. 415-bis è stato modificato prevedendo che l'avviso, quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p. (maltrattamenti e atti persecutori), dev'essere notificato anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa. Sul punto, si noti, la giurisprudenza ha ritenuto abnorme il provvedimento con il quale il giudice rilevi la nullità del decreto di citazione a giudizio e restituisca gli atti al pubblico ministero per l'omessa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari alla persona offesa del reato di cui all'art. 591 c.p., atteso che tale obbligo sussiste esclusivamente nei confronti della persona offesa dei reati previsti dagli artt. 572 e 612–bis c.p. (Cass. V, n. 2702/2019).

Ultimo intervento normativo prima della “doppia” novella del 2022 e 2024 (riforma “Cartabia” e suo collegato), in ordine cronologico, era stato quello operato dall'art. 1, al comma 1, lett. a), d.l. n. 28/2020, entrato in vigore il 1° maggio 2020, conv., con modif., in l. n. 70/2020, che, prorogando ulteriormente il termine di efficacia delle nuove disposizioni, stabilisce che la nuova disciplina in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni si applichi ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione .

Come è stato osservato dai primi commentatori (Gialuz), la ragione dell'ulteriore proroga è stata determinata dallo scoppio della pandemia influenzale dovuta alla diffusione su scala mondiale del virus Covid-19, che ha impedito evidentemente di completare quelle «complesse misure organizzative in atto, anche relativamente alla predisposizione di apparati elettronici e digitali» e di effettuare «le attività di collaudo dei sistemi presso i singoli uffici giudiziari delle Procure della Repubblica» in modo da «giungere all'entrata in vigore della disciplina con le misure organizzative completamente dispiegate e funzionanti». Così il d.l. n. 28/2020 ha spostato per l'ennesima volta in avanti le lancette dell'orologio e stabilisce che la nuova normativa si applicherà nell'àmbito dei procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020, mentre la disciplina della pubblicabilità dell'ordinanza cautelare si applicherà a partire dal 1° settembre 2020. Probabilmente, di tutti i rinvii degli ultimi anni, secondo la richiamata dottrina, quello previsto dal d.l. n. 28/2020 è l'unico dotato di una giustificazione oggettiva e non riconducibile a valutazioni di ordine politico.  Ciò che maggiormente tuttavia rileva in questa sede, è l'intervento sull'art. 415-bis. La lett. m) dell'art. 2, l. n. 7/2020, aggiunge un ulteriore comma all'art. 415-bis, relativo all'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari. In particolare, il nuovo comma 2-bis, prevede che, nel caso in cui non si sia proceduto ai sensi dei commi 4, 5 e 6 dell'art. 268 (modificato dallo stesso testo normativo: cfr. il relativo commento per le novità), l'avviso contiene anche l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti “depositati” relativi ad intercettazioni e di ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal P.M. La nuova disposizione riconosce inoltre al difensore la facoltà, entro il termine di 20 giorni, di depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti di cui chiede copia. Su tale istanza provvede con decreto motivato il P.M. Nel caso di reiezione dell'istanza, o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui al comma 6 dell'art. 268. Come correttamente evidenziato nella Relazione dell'Ufficio del Massimario (Rel. 35/20 del 23 marzo 2020, 36 ss.) la disposizione in esame affida in prima battuta il compito di selezionare le intercettazioni “rilevanti” al pubblico ministero, limitando l'intervento del giudice solo ai casi di disaccordo tra accusa e difesa, in particolare sulle ulteriori conversazioni o comunicazioni di cui la difesa volesse sollecitare l'acquisizione. Importante segnalare che, mentre l'art. 268, comma 6, utilizza come criterio di selezione quello della “non irrilevanza”, l'art. 415-bis impiega quello della “rilevanza”, verosimilmente perché in questa fase processuale, chiuse le indagini, l'ipotesi accusatoria è ormai delineata. Pur in mancanza di una specifica previsione in tal senso, dal tenore complessivo della norma in esame è lecito desumere che il pubblico ministero, nel formulare l'avviso di conclusione delle indagini, dovrà espressamente indicare le comunicazioni giudicate rilevanti e di cui intende avvalersi. In tale fase, sarà sufficiente la mera indicazione dei dati identificativi delle comunicazioni e, quindi, la data, il numero progressivo ed il numero di Registro delle intercettazioni telefoniche (RIT), in modo da consentire alla difesa non solo di procedere alla consultazione delle comunicazioni, ma anche di verificare la corrispondenza rispetto ai decreti autorizzativi. Individuate le comunicazioni che, a giudizio dell'organo inquirente, sono utilizzabili e rilevanti, al difensore dell'indagato è data facoltà di esaminare per via telematica tutti gli atti relativi alle intercettazioni ed ascoltare le registrazioni; il riferimento all'accesso “telematico” va evidentemente letto in correlazione alle modalità di istituzione e tenuta dell'archivio disciplinato dall'art. 89-bis, disp. att. c.p.p. L'accesso all'archivio dovrà permettere la visualizzazione e l'ascolto di tutto il materiale ivi conservato, mentre diversa è la disciplina concernente l'estrazione di copie che è espressamente consentita con esclusivo riferimento alle registrazioni ed ai flussi informatici indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Qualora il difensore individui ulteriori captazioni ritenute rilevanti può, entro il termine di 20 giorni dall'avviso, indicarle al pubblico ministero chiedendo il rilascio di copia. A fronte di tale richiesta, il pubblico ministero è chiamato a valutarla e, se la ritiene fondata, a rilasciare le copie, ovvero in caso contrario, dovrà emettere un decreto motivato di rigetto. Solo a fronte del dissenso dell'organo dell'accusa si innesta la fase che vede il controllo da parte del giudice, nelle forme di cui all'art. 268, comma 6, per la cui attivazione è comunque richiesta un'istanza da parte del difensore che si è visto rigettare la richiesta da parte del pubblico ministero. Occorre aggiungere che, pur non essendo espressamente indicato dalla norma in questione, l'interlocuzione cartolare della difesa con il pubblico ministero e l'eventuale intervento del giudice per le indagini preliminari dovrebbero trovare applicazione anche nei casi in cui la difesa non contesti la mancata acquisizione di intercettazioni ritenute rilevanti ed immotivatamente escluse dal pubblico ministero, ma anche qualora siano state acquisite intercettazioni inutilizzabili o irrilevanti, secondo il canone di giudizio descritto all'art. 268, comma 6. Una conferma in tal senso, seconda la citata Relazione,  potrebbe ravvisarsi proprio nel disposto dell'art. 415-bis, comma 2-bis, lì dove la norma prevede che il difensore può sollecitare l'intervento del giudice non solo nel caso di rigetto dell'istanza di acquisizione di nuove intercettazioni, ma anche nella diversa ipotesi di “contestazione sulle indicazioni relative alle registrazioni rilevanti” per tale dovendosi intendere quelle selezionate dal pubblico ministero. Si tratta di una disciplina normativa che non ha mancato di sollevare critiche. In particolare, si è sostenuto (Pestelli, 134 ss.), anzitutto, come non sia neppure indicato con chiarezza quale sia il criterio di scelta (e il suo grado di cogenza) cui sia tenuto ad attenersi il P.M. nella decisione di procedere all'attivazione dei meccanismi di acquisizione delle intercettazioni ritenute rilevanti, se attraverso il sistema ordinario descritto dall'art. 268 ovvero tramite molto più verosimilmente quello di cui all'art. 415-bis comma 2-bis (limitandosi invero del tutto genericamente il legislatore a stabilire che si proceda in tale secondo modo «qualora non si sia proceduto ai sensi dell'art. 268, commi 4, 5 e 6»). In secondo luogo, e soprattutto, che è lo stesso meccanismo così congegnato, che impone di passare attraverso l'assenso all'acquisizione di copia delle registrazioni e degli atti da parte del P.M., anche in caso di avvenuta conclusione delle indagini e finanche di emissione del decreto di giudizio immediato, che non funziona, poiché – a tacer della sua patente incostituzionalità – esso non trova ragion d'essere in alcuna concreta esigenza che giustifichi un simile sacrificio dei diritti delle difese, neppure nell'esigenza di segretezza delle indagini, essendo la stessa ormai definitivamente superata proprio dall'avvenuta conclusione delle indagini e dal connesso deposito degli atti e, vieppiù, dall'instaurazione del giudizio immediato, non consentendo così alla difesa quella totale ed immediata disponibilità degli atti di indagine necessaria al fine di ritenere la legittimità costituzionale del sistema descritto. Da qui l'amara conclusione della citata dottrina, secondo cui potrebbe dirsi dunque, senza timore di smentita, che per quanto concerne la facoltà delle difese di estrarre copia degli atti depositati, il legislatore del 2019 – volendosi mutuare sempre gli autorevoli insegnamenti della Corte costituzionale – «sembra non avere colto la portata del principio enunciato nella sentenza n. 192 del 1997, con la quale questa Corte ha affermato che “al contenuto minimo del diritto di difesa, ravvisabile nella conoscenza degli atti depositati mediante la loro visione, deve accompagnarsi [...] automaticamente, salvo che la legge disponga diversamente, la facoltà di estrarne copia”» (Corte cost.n. 558/2000) e non aver dunque riflettuto adeguatamente sul fatto che «la mera conoscenza degli atti depositati dal pubblico ministero, non accompagnata dal diritto di estrarne copia, rappresenta una ingiustificata limitazione del diritto di difesa, che nel caso di specie si pone in irrimediabile contrasto con l'art. 24 della Costituzione» (Corte cost. n. 192/1997). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha mosso alcuni dubbi sul testo normativo (Parere sul Disegno di Legge n. 1659 AS di conversione del d.l. n. 161/2019 recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, delibera 13 febbraio 2020, 12 ss.). Si è osservato, in particolare, che il termine di venti giorni previsto dall'art. 415-bis, comma 2-bis può, infatti, risultare esiguo ai fini della formulazione di richieste integrative da parte della difesa quando il numero delle intercettazioni sia particolarmente rilevante; soprattutto, esso coincide con quello di cui al comma 3 dell'art. 415-bis, entro il quale l'indagato può presentare memorie, chiedere al P.M. il compimento di atti di indagine, chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio e, dunque, svolgere attività difensive che presuppongono la completa conoscenza del materiale intercettivo. Può poi addirittura verificarsi, nel caso in cui sia provocato l'intervento del giudice ai sensi dell'art. 268 comma 6, che il termine di cui al comma 3, previsto per l'esercizio delle suindicate facoltà difensive, possa venire a scadenza prima che sia esaurita la procedura di cui al comma 2 bis dell'art. 415-bis. In considerazione di quanto evidenziato sarebbe necessario, per l'Organo di autogoverno della Magistratura, un migliore coordinamento tra il termine previsto dal comma 2 bis e quello previsto dal comma 3 dell'art. 415-bis. Inoltre, sarebbe preferibile una maggiore flessibilità della suindicata scansione temporale, anche attraverso l'attribuzione al P.M. della possibilità di concedere, previa richiesta motivata della difesa, una proroga dei termini per l'esercizio delle facoltà a questa riconosciute. Nondimeno non può non osservarsi per il C.S.M. come l'iter previsto dall'art. 415-bis, comma 2-bis, anche nell'attuale formulazione, rischi di determinare una dilatazione dei tempi successivi all'emissione dell'avviso ex art. 415-bis che, nei procedimenti con indagati sottoposti a misure cautelari, può incidere sul decorso dei termini di fase di queste ultime, determinandone la scadenza.

Campo di applicazione

In virtù del principio tempus regit actum la disciplina introdotta con l'art. 415-bis è applicabile solo nel caso in cui le indagini preliminari si siano concluse dopo l'entrata in vigore della l. 16 dicembre 1999 n. 479, a nulla rilevando che il procedimento sia regredito davanti al pubblico ministero per una declaratoria di incompetenza per territorio del giudice adito, in quanto in tal caso l'imputato è comunque stato messo nelle condizioni di conoscere le imputazioni e le indagini svolte e di esercitare appieno il diritto alla difesa (Cass. II, n. 18101/2003).

Ciò comporta che nel caso di regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, ad esempio, a seguito di ordinanza emessa ai sensi dell'art. 521, comma 2, non è dovuta la rinnovazione dell'avviso di cui all'art. 415-bis se, rispetto alla fase procedimentale anteriore alla regressione in cui l'imputato ha avuto piena conoscenza delle accuse a suo carico, non sia intervenuto un «quid novi» in relazione al quale egli avrebbe diritto di calibrare diversamente l'esercizio del suo diritto di difesa (Cass. V, n. 7292/2015).

Le Sezioni Unite, a composizione di un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento — rilevata l'invalidità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini di cui all'art. 415-bis, in realtà ritualmente eseguita — dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al P.M., trattandosi di provvedimento che, lungi dall'essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e che non determina la stasi del procedimento, potendo il P.M. disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso (Cass. S.U., n. 25957/2009; conforme, da ultimo: Cass. III, n. 19059/2020).Diversamente, è stato ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiara la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari senza indicare, se non in modo confuso e generico, l'esistenza di una causa di invalidità dell'atto che renda necessaria la sua rinnovazione (In motivazione la Corte ha chiarito che il giudice non ha il potere di disporre la regressione del procedimento ove non individui con certezza l'esistenza di una invalidità ad effetto regressivo: Cass. I, n. 39850/2018).

Venendo ad analizzare il rapporto tra l'art. 415-bis e la sua necessità in relazione a riti diversi dal dibattimento, deve anzitutto, evidenziarsi che, secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, l'emissione dell'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari non è atto incompatibile con la proposizione della richiesta di giudizio immediato, dal momento che non obbliga il pubblico ministero a richiedere il rinvio a giudizio (Cass. II, n. 44889/2011); dunque, è abnorme, perché si colloca al di fuori dell'ordinamento e determina una stasi processuale non altrimenti rimovibile se non con l'impugnazione e il conseguente annullamento, il provvedimento del giudice che dichiara la nullità del decreto di giudizio immediato per violazione della disciplina di cui all'art. 415-bis e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. L'avviso di chiusura delle indagini, infatti, oltre a non essere previsto per il giudizio immediato e a non attribuire alla persona sottoposta alle indagini poteri defensionali diversi e ulteriori rispetto a quelli esercitabili all'esito dell'interrogatorio o della notifica dell'invito a comparire, si porrebbe in antinomia con i presupposti che giustificano procedimenti speciali privi del filtro dell'udienza preliminare e improntati a principi di massima speditezza (v. Corte Cost. n. 203/2002; nella giurisprudenza di legittimità, v.: Cass. V, n. 18049/2003; da ultimo: Cass. I, n. 9429/2015).

Si noti, tuttavia, che secondo la Cassazione l'instaurazione del giudizio immediato per reati per i quali l'esercizio dell'azione penale deve avvenire con citazione diretta integra una ipotesi di nullità assoluta, in quanto, oltre a precludere all'imputato il diritto a ricevere la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis, determina un indebito mutamento del giudice naturale all'esito del giudizio abbreviato (Cass. IV, n. 3805/2015; nel senso però che detta nullità non può esser più rilevata a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità, ai sensi dell'art. 183:Cass. VI, n. 5902/2012).

In secondo luogo, quanto al procedimento per decreto penale di condanna, si afferma che il pubblico ministero non è tenuto ad interrogare l'indagato prima di esercitare l'azione penale con richiesta di decreto penale di condanna, non essendo prevista, in tale procedimento, la previa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell'art. 415-bis, né tale soluzione determina alcuna lesione del diritto di difesa o del principio del contraddittorio, atteso che questo ha modo di esplicarsi nel successivo giudizio di opposizione (cfr. Corte cost., n. 32/2003; in giurisprudenza, da ultimo: Cass. III, n. 16894/2015). L'avviso all'indagato di chiusura delle indagini ai sensi dell'art. 415-bis infatti si ritiene incompatibile con la struttura del procedimento per decreto, sia perché questo si caratterizza per un contraddittorio posticipato all'opposizione e per una conoscenza completa del fascicolo del pubblico ministero, sia perché il decreto penale di condanna contiene tutti gli elementi utili ad orientare la difesa ed è accompagnato da un congruo termine che consente la presa visione del fascicolo e l'estrazione di copie (Cass. III, n. 41292/2006). Trattasi, tuttavia, di orientamento criticato in dottrina, ritenendosi che l'estensione alla fase precedente all'emissione del decreto penale della disciplina dell'art. 415, sia imposta dalla stessa esegesi costituzionalmente orientata ex artt. 24 e 111 Cost.

Escluso, proprio per l'incompatibilità strutturale del rito, che la disciplina ex art. 415-bis trovi applicazione sia in relazione al rito del patteggiamento ove richiesto in fase di indagini preliminari che al giudizio direttissimo ex art. 449, contraddistinto dalla rapidità del suo svolgimento, si ritiene invece pacificamente abnorme l'ordinanza con cui il Tribunale monocratico dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio, emesso ai sensi dell'art. 409, comma 5, (cosiddetta «imputazione coatta»), sull'erroneo presupposto che tale atto debba essere preceduto, in applicazione dell'art. 415-bis, dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari (V. Corte cost., n. 460/2002 e Corte cost. n. 491/2002; in giurisprudenza, v., da ultimo: Cass. VI, n. 45126/2014).

Ancora, va qui ricordato che nel procedimento penale a carico di minorenni, le ipotesi nelle quali deve procedersi a pena di nullità alla notifica di atti anche in favore delle persone esercenti la potestà di genitore sono indicate tassativamente all'art. 7 del d.P.R. 448/1988, con riguardo all'informazione di garanzia ed al decreto di fissazione di udienza, e dunque non determina invalidità alcuna l'omessa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (Cass. VI, n. 2984/2002). Analogamente nel procedimento davanti al giudice di pace, allo stesso modo di quanto si verifica nei procedimenti speciali previsti dal codice di rito, non trova applicazione il disposto di cui all'art. 415-bis di detto codice (che prevede l'obbligo dell'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari), dovendosi osservare, per la citazione a giudizio dell'imputato, la disciplina dettata dall'art. 20 d.lgs. n. 274/2000, in cui l'adempimento anzidetto non è previsto. È, pertanto, da ritenere abnorme, in quanto produttiva di una indebita regressione del procedimento, l'ordinanza con la quale il giudice di pace dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio dell'imputato perché non preceduto dall'avviso di conclusione delle indagini (v. Corte Cost., 28 giugno 2004, n. 200; conforme, nella giurisprudenza di legittimità: Cass. II, n. 49181/2003; Cass. IV, n. 41177/2004).

Si afferma che la contestazione suppletiva effettuata dal P.M. in sede di udienza preliminare, ai sensi dell'art. 423 non implica la necessità di rinnovare l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari previsto dall'art. 415-bis. È pertanto affetta da abnormità, provocando un'indebita regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, l'ordinanza del giudice del dibattimento che dichiara la nullità del decreto di citazione, emesso di seguito alla contestazione suppletiva, asseritamente derivata dalla nullità della richiesta di rinvio a giudizio, formulata in udienza dal P.M. senza reiterazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (Cass. V, n. 21703/2003; Cass. I, n. 16714/2014).

Infine, va sottolineato che, secondo la Cassazione, ove, dopo la avvenuta notificazione da parte del pubblico ministero procedente dell'avviso all'indagato delle conclusioni delle indagini preliminari, gli atti risultino trasmessi ad un diverso ufficio del pubblico ministero, esercitante le funzioni dinanzi al giudice ritenuto competente, non è necessaria la rinnovazione dell'avviso previsto dall'art. 415-bis, atteso che la funzione garantista dell'avviso già notificato all'indagato conserva il proprio valore (Cass. III, n. 13954/2004, la quale ha tuttavia precisato come ove il diverso P.M. svolga ulteriori indagini si renderà ovviamente necessario un successivo avviso alla conclusione delle stesse; Cass. II, n. 16599/2011).   In senso sostanzialmente conforme, si è più di recente ribadito che l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, già notificato, non va rinnovato nel caso in cui il pubblico ministero procedente disponga la trasmissione degli atti per competenza ad altro ufficio, poiché in tal caso l'avviso ha assolto pienamente alla sua funzione di garanzia, volta a realizzare un contraddittorio anticipato in ordine alla consistenza e qualità degli elementi probatori raccolti (In motivazione, la Corte ha evidenziato che la necessità di rinnovare l'avviso ricorre solo nel caso in cui il pubblico ministero, destinatario degli atti, ritenga di compiere ulteriori attività investigative ovvero contesti altri reati o circostanze aggravanti diverse, onde consentire all'indagato di esercitare le proprie difese: Cass. II, n. 16079/2019). La notifica dell'avviso di conclusione delle indagini deve, invece, essere rinnovata ove la trasmissione degli atti al pubblico ministero, consegua ad una decisione del giudice che dichiari la propria incompetenza, anche se ritualmente effettuata in precedenza, solo quando siano svolte ulteriori indagini o vengano contestati altri reati o circostanze aggravanti diverse e non, invece, nell'ipotesi in cui il pubblico ministero si limiti ad attribuire al medesimo fatto una qualificazione giuridica diversa (Cass. V, n. 10288/2019).

L'esercizio del diritto di difesa a seguito della notifica dell'avviso

Si è già detto che, in base al disposto dell'art. 415-bis, comma 3, l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

Se peraltro l'indagato chiede di essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero deve procedervi.

La disciplina introdotta dalla c.d. riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022) ha peraltro previsto che, con l'avviso ex art. 415-bis, c.p.p., l'indagato e la persona offesa alla quale lo stesso è notificato sono altresì informati che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

Premesso che deve ritenersi inammissibile, in conformità del principio di tassatività delle impugnazioni, il ricorso per cassazione avverso l'avviso di cui all'art. 415-bis di conclusione delle indagini preliminari, in quanto nessun mezzo di impugnazione è previsto avverso tale provvedimento, dal quale non deriva alcun effetto sulla posizione soggettiva dell'indagato (Cass. VI, n. 8007/2003), secondo l'interpretazione giurisprudenziale, anzitutto, da luogo ad una mera irregolarità il tardivo rilascio al difensore di copia degli atti depositati in segreteria in conclusione delle indagini preliminari, non essendo prevista dalla legge alcuna nullità o altra sanzione processuale ed essendo comunque la parte sempre in condizione di potere esercitare il diritto di difesa, prendendo conoscenza diretta e personale in cancelleria degli atti ivi depositati (Cass. I, n. 37052/2011).

Come anticipato, la legge processuale obbliga il p.m. ha dar corso unicamente alla richiesta di interrogatorio dell'indagato. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ai fini dell'utilizzabilità del contenuto delle nuove indagini disposte dal P.M. in seguito a richiesta dell'indagato formulata a norma dell'art. 415-bis, comma 4, non è necessario che l'istanza sia esplicita, ma è sufficiente che essa emerga implicitamente dal contesto delle altre difese dispiegate dallo stesso indagato in esito alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (Cass. III, n. 8131/2004).

Infine, si è ritenuto legittimo l'atto di indagine (nella specie, l'emissione del decreto di sequestro probatorio) compiuto successivamente alla spedizione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, a condizione che non sia scaduto il termine per la conclusione delle indagini e che del deposito del relativo provvedimento sia data comunicazione all'interessato sì che possa esercitare le facoltà riconosciutegli per legge (Cass. III, n. 35311/2011).

In particolare, l'obbligo del p.m. di procedere ad interrogatorio se richiesto

Come anticipato, l'avviso di conclusione delle investigazioni contiene l'avvertimento che l'indagato «ha facoltà, entro il termine di venti giorni» di richiedere «di essere sottoposto ad interrogatorio» ed il p.m. «deve procedervi», pena la nullità della richiesta di rinvio a giudizio (art. 416) ovvero del decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552), se non preceduti dall'invito a comparire ex art. 373 dell'indagato che ha richiesto l'interrogatorio nel termine di venti giorni dalla notifica dell'avviso.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'obbligo del confronto preventivo tra accusa e difesa, imposto dall'art. 416, comma 1, (il quale — in quanto atto propedeutico alla effettuazione dell'interrogatorio prima della chiusura delle indagini preliminari — prevede la nullità della richiesta predetta, quando essa non sia preceduta, tra l'altro, dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio) non può ritenersi soddisfatto dalla emissione di un invito a comparire per una data posteriore a quella figurante sulla richiesta di rinvio a giudizio (Cass. VI, n. 164/2001).

Si è poi chiarito che il tardivo svolgimento dell'interrogatorio dell'indagato, oltre il trentesimo giorno dalla richiesta fatta dallo stesso a seguito della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, non comporta la nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione a giudizio (Cass. I, n. 404/2009). Per lo stesso motivo, la dichiarazione di nullità del decreto di citazione a giudizio per omesso espletamento dell'interrogatorio tempestivamente richiesto dall'indagato ai sensi dell'art. 415-bis, non inficia gli atti procedimentali precedenti, e, pertanto, non richiede il rinnovo dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari (Cass. I, n. 24062/2009).

L'avviso ex art. 415-bis non ammette equipollenti (laddove, invece l'avvertimento circa il deposito della documentazione relativa alle indagini, contenuto nell'avviso ex art. 415-bis deve ritenersi equipollente all'avviso di cui all'art. 268, comma 6: Cass. III, n. 33587/2015). Per tale ragione, la giurisprudenza afferma che il pubblico ministero, a cui viene richiesto dall'indagato l'interrogatorio a seguito dell'avviso di conclusione delle indagini, ha l'obbligo di procedervi a pena di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, anche se è stato espletato un precedente interrogatorio a seguito di emissione di ordinanza cautelare (Cass. II, n. 21416/2011; contra, però, Cass. V, n. 32030/2014, ha ritenuto non affetta da nullità la richiesta di rinvio a giudizio che non sia stata preceduta dall'invito a rendere interrogatorio a conclusione delle indagini, allorquando l'imputato abbia già ricevuto, con atto equipollente — nella fattispecie, con l'interrogatorio in sede cautelare —, la contestazione degli addebiti e sempre che la rinnovazione dell'atto non si renda necessaria per contestare elementi ulteriori).

La sanzione dell'inutilizzabilità per gli atti “tardivamente” compiuti

La disciplina vigente prevede che quando il pubblico ministero, a seguito delle richieste dell'indagato, dispone nuove indagini, queste devono essere compiute entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta. Il termine può essere prorogato dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, per una sola volta e per non più di sessanta giorni. Si precisa, inoltre, che le dichiarazioni rilasciate dall'indagato, l'interrogatorio del medesimo ed i nuovi atti di indagine del pubblico ministero, c.s. previsti, sono utilizzabili se compiuti entro il termine di trenta giorni, ancorché sia decorso il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice.

Il tema dell'inutilizzabilità è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza. In particolare, si è anzitutto affermato che una misura restrittiva della libertà personale può essere applicata o mantenuta anche sulla base di acquisizioni probatorie successive all'invio dell'avviso di cui all'art. 415-bis, in quanto tale comunicazione non comporta limitazioni o decadenze rispetto al procedimento cautelare, che mantiene la sua autonomia (Cass. I, n. 23491/2003).

Si è poi aggiunto che non è abnorme il provvedimento del G.i.p. il quale dichiari non luogo a provvedere in ordine alla richiesta di proroga delle indagini inoltrata dal P.M. successivamente all'invio da parte dello stesso P.M. dell'avviso della loro conclusione ai sensi dell'art. 415-bis, sul presupposto che, una volta chiuse le indagini, la norma prevede solo il termine di trenta giorni per l'espletamento di nuove indagini conseguenti alla richiesta dell'indagato, atteso che non si tratta di un provvedimento che si pone al di fuori dell'ordinamento processuale o che determina una stasi processuale (Cass. V, n. 37760/2001).

Diversamente, si è qualificato come abnorme, sotto il profilo funzionale, poiché determina una irreversibile stasi del processo, il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare dichiari, ex art. 178, comma 1, lett. c), la nullità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari perché il difensore di ufficio, presso il quale l'imputato senza fissa dimora aveva eletto domicilio, non aveva manifestato il proprio assenso ex art. 162, comma 4-bis, e disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché provveda a disporre le ricerche ai sensi dell'art. 157, atteso che il rifiuto di ricevere l'atto espresso dalla persona indicata quale domiciliataria rende l'elezione inidonea a perseguire il suo scopo e costituisce proprio il presupposto per la notifica mediante consegna al difensore ai sensi dell'art. 161, comma 4 (Cass. V, n. 37323/2019). Non è invece stato considerato come abnorme, e come tale non è dunque immediatamente ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell'avviso ex art. 415-bis e del successivo decreto di citazione a giudizio disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero sul presupposto che non tutti gli atti delle indagini preliminari siano stati indicati nell'avviso di conclusione delle indagini, trattandosi di atto che costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e non determina la stasi del procedimento, potendo il pubblico ministero disporre la rinnovazione degli atti che il giudice ha ritenuto viziati (Cass. II, n. 10640/2020).

Circa la natura di tale inutilizzabilità, la giurisprudenza ha chiarito che l'inutilizzabilità degli atti di indagine, tempestivamente effettuati ma trasmessi e depositati in data successiva alla notifica dell'avviso di cui all'art. 415-bis ed antecedente alla celebrazione dell'udienza preliminare ha natura "fisiologica", non determinando alcuna violazione del diritto di difesa, ed è sanata dalla successiva e corretta acquisizione dell'atto nel corso dell'istruttoria dibattimentale (Cass. II,  n. 43927/2019).

Quanto al rapporto tra indagini “prorogate” ex art. 415-bis e proroga della custodia cautelare, la giurisprudenza è dell'avviso che la proroga della custodia cautelare, nel caso in cui siano state disposte indagini integrative a seguito della richiesta dell'indagato (art. 415-bis, comma 4), può essere concessa dal giudice ove ricorrano i seguenti requisiti: 1) esigenze cautelari la cui gravità renda indispensabile il protrarsi della cautela; 2) prossimità del termine di scadenza della misura cautelare detentiva; 3) impossibilità di compimento delle indagini richieste prima della scadenza dei termini di fase (Cass. III, n. 28719/2011).

Sulla questione dell'inutilizzabilità, si è ancora affermato che il mancato deposito, contestualmente all'avviso di conclusione delle indagini preliminari, degli atti relativi alle intercettazioni telefoniche non determina l'inutilizzabilità delle stesse, allorché si tratti di intercettazioni disposte in un procedimento diverso, poiché le limitazioni temporali di cui agli art. 415-bis e 416, sono operative solo con riguardo alle indagini espletate nell'ambito dello stesso procedimento (Cass. VI, n. 30966/2002).

Non ricorre peraltro alcuna ipotesi di inutilizzabilità per gli atti compiuti dopo la notifica dell'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis) se il P.M. provveda successivamente a rinnovare l'avviso (Cass. III, n. 34417/2006). Parimenti, si è esclusa l'inutilizzabilità degli atti di indagine quando si tratti di attività integrativa successiva all'emissione dell'avviso di cui all'art. 415-bis - ancorché espletata prima della emissione del decreto che dispone il giudizio - se la relativa documentazione sia depositata e posta immediatamente a disposizione degli indagati, non essendo ravvisabile, in tal caso, alcuna violazione dei diritti di difesa (Cass. IV, n. 8085/2019).

L'inutilizzabilità, una volta dichiarata, non consente più il recupero dell'atto in una fase processuale successiva. La Cassazione ha infatti affermato che non è consentito l'esercizio del potere istruttorio del giudice, di cui all'art. 507, al fine di recuperare al fascicolo del dibattimento un atto ontologicamente irripetibile del medesimo procedimento (nella specie, una conversazione telefonica intercettata), dichiarato inutilizzabile a causa del suo omesso deposito nei termini di cui agli artt. 415-bis e 416 (Cass. I, n. 27879/2014).

L’operatività dei meccanismi di discovery introdotti dalla riforma Cartabia

Dopo aver disciplinato, con maggior rigore temporale, il tema della durata delle indagini preliminari, il Legislatore delegato (art. 22, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 150/2022), era conseguentemente intervenuto sulla fase conclusiva delle indagini, al precipuo fine di sollecitare le determinazioni effettive del pubblico ministero, una volta scaduti i suddetti termini, ordinari o prorogati, di loro durata e una volta che, scadute le indagini, abbia notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., norma che era stata ampiamente rimaneggiata, mediante l'introduzione dei commi da 5-bis e 5-sexies, abrogati tuttavia, a far data dal 4 aprile 2024, dal d.lgs. n. 31/2024.

Nell'attuare la delega, dal momento che in parte qua l'intervento di modifica era destinato a operare nell'ipotesi (fisiologica) di discovery conseguente alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari prim'ancora che in quella (patologica) da rimediarsi con una serie di «meccanismi procedurali», era parso necessario collocare le nuove disposizioni innanzitutto nell'ambito dell'art. 415-bis c.p.p. e, quindi, operare ad esse rinvio in sede di disciplina delle nuove misure. La previgente disciplina, di cui ai commi 5-bis e seguenti dell'art. 415-bis, prevedeva infatti che il PM si rivolgesse al Procuratore generale presso la corte d'appello per presentare richiesta motivata di differimento della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari.

L'intervento correttivo introdotto con il c.d. collegato Cartabia (d.lgs. 31/2024), in materia di indagini preliminari, è consistito nella eliminazione dei commi da 5-bis a 5-quinquies dell'articolo 415-bis e nella concentrazione della disciplina della risoluzione della stasi nell'articolo 415-ter, complessivamente riformulato. Si tratta di un correttivo volto a dare piena attuazione ai principi e criteri direttivi della legge delega (art 1, comma 4, legge 27 settembre 2021, n. 134) e motivato dalla osservazione che la disciplina già dettata ai commi da 5-bis a 5-quinquies dell'articolo 415-bis eccederebbe i criteri di delega, i quali attengono soltanto alla "stasi patologica" (come peraltro risulta confermato dalla introduzione dell'art. 407-bis, comma 2, che definisce la "stasi patologica" anche nei casi in cui vi sia stata emissione dell'avviso ex art. 415-bis). Inoltre, non era ravvisabile alcuna esigenza - né nella delega era previsto - di effettuare interventi diretti a consentire/imporre al pubblico ministero un percorso (tradottosi in un articolato quanto inutile sub-procedimento) volto a giustificare la mancata emissione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. prima della scadenza del termine di conclusione delle indagini, circostanza in esito alla quale non è prevista, peraltro, alcuna sanzione processuale (non vi è infatti materia di inutilizzabilità, che riguarda semmai solo le indagini svolte dopo la scadenza dei termini). L'intervento con le disposizioni correttive introdotte dal collegato “Cartabia” mira, pertanto, ad eliminare tale rilevata incoerenza nella vigente disposizione. Risulta, infatti, asistematico imporre un controllo sulla scelta del pubblico ministero di ritardare la notifica dell'avviso ex 415-bis c.p.p. motivata dalla tutela del segreto investigativo, in una fase che non integra una stasi patologica. L'intervento proposto di tipo correttivo mira, dunque, a garantire il pieno rispetto dei criteri di delega e, al contempo, opera una complessiva semplificazione del meccanismo di risoluzione della stasi, sempre mantenendo ferme le garanzie per le parti ed anzi prevedendo un più incisivo controllo da parte del giudice per le indagini preliminari, che, con la nuova formulazione, viene esteso anche nella fase dell'autorizzazione al ritardato deposito degli atti (così la Relazione ministeriale al collegato “Cartabia”, pag. 5).

Le modifiche apportate agli artt. 415-bis e 415-ter, c.p.p. dal collegato “Cartabia” (d.lgs. 31/2024), hanno reso necessario anche l'intervento sugli artt. 412 c.p.p. e 127 disp. att. c.p.p., consequenziali alla semplificazione del meccanismo della stasi realizzata con i correttivi alle predette norma processuali, prevedendosi, peraltro, anche una estensione (da trenta a novanta giorni) del termine per lo svolgimento delle indagini da parte del procuratore generale, quando questi ne abbia disposto l'avocazione: termine da ritenersi quello minimo idoneo a consentire l'efficacia dell'azione investigativa, avuto riguardo alla circostanza che l'esercizio del potere di avocazione può riguardare (e, di fatto, spesso riguarda) procedimenti di particolare complessità.

La disciplina transitoria in materia di indagini preliminari relativa alla riforma Cartabia

L'art. 98, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022 ha previsto una disciplina transitoria. Si è posto infatti il problema – di rilevantissimo impatto pratico, perché involge centinaia di migliaia di fascicoli pendenti presso gli uffici requirenti ed involge aspetti organizzativo-gestionali delle Procure e del personale dell'amministrazione da impiegare per il disbrigo degli adempimenti – dell'individuazione dell'esatto momento temporale di applicazione della nuova disciplina de qua. Per quanto concerne la disciplina transitoria della riforma “Cartabia” l'immediata applicazione, nei procedimenti pendenti, delle nuove disposizioni in materia di termini di durata delle indagini preliminari e di termini per l'esercizio dell'azione penale, nonché delle disposizioni concernenti i rimedi introdotti al fine di garantire l'effettivo rispetto dei termini suddetti, è suscettibile di sollevare consistenti problematiche sia in sede interpretativa sia sotto il profilo pratico-operativo. Infatti, in più sedi sono stati sollevati dubbi in merito alla possibilità di considerare immediatamente operative le nuove regole sulla durata delle indagini preliminari, tanto in relazione alla (asserita) novità della definizione di notizia di reato, quanto con riferimento alla più breve durata del termine per i reati contravvenzionali e alla limitazione ad una soltanto delle proroghe assentibili dal GIP. Allo stesso modo, appare oggettivamente opinabile che i nuovi rimedi alla stasi del procedimento possano immediatamente operare nei procedimenti in cui i termini di indagine (o, addirittura, i termini per l'assunzione delle determinazioni inerente l'azione penale) siano già scaduti alla data di entrata in vigore del d.lgs. 150/2022: ciò anche e soprattutto in quanto, da un lato, il funzionamento di detti rimedi si fonda pure su flussi comunicativi, intercorrenti tra le segreterie dei pubblici ministeri e le procure generali, che hanno ad oggetto dati da acquisirsi, elaborarsi e trasmettersi in forma automatizzata; dall'altro, occorre scongiurare la possibilità che il pubblico ministero procedente si trovi costretto alla discovery degli atti senza averne potuto ottenere il differimento in presenza di esigenze ostative. Al fine di risolvere le incertezze interpretative e le altre problematiche prospettate è intervenuto l'art. 88-bis (Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari), d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199, con cui si è ritenuto opportuno escludere d'll'applicazione delle disposizioni in tema di indagini preliminari, dettate dagli articoli 335-quater, 407-bis e 415-ter, c.p.p. Il co. 2 dell'art. 88-bis, in particolare, ha previsto che “Nei procedimenti di cui al comma 1 continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 405,406,407,412 e 415-bis del codice di procedura penale e dell'articolo 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto”.

Nel senso di una circoscritta ultrattività delle norme vigenti, hanno avuto rilievo dirimente sia la necessità di scongiurare le evidenti complicazioni di natura pratica derivanti dalla contestuale applicazione di regimi diversi nell'ambito d'un medesimo procedimento, sia la considerazione delle possibili ricadute negative sulle indagini in corso dell'attivazione – rispetto alle notitiae criminis connesse o collegate – dei nuovi rimedi introdotti e, segnatamente, dei meccanismi di discovery forzosa degli atti di indagine. L'intervento sulla materia de qua, rigorosamente circoscritto alla risoluzione delle problematiche di diritto transitorio, prescinde dagli esiti delle verifiche in corso circa eventuali correzioni da apportarsi al contenuto delle nuove norme in tema di indagini preliminari, anche con riferimento all'assetto delle competenze previste dalla riforma per l'adozione dei provvedimenti di autorizzazione al differimento del deposito di atti e delle connesse notifiche, alla conclusione delle indagini. L'avvenuta sterilizzazione di alcuni effetti problematici della riforma sui procedimenti di indagine in corso consente, nell'ottica del Legislatore, di portare a compimento le verifiche su menzionate ed elaborare eventuali modifiche della novella normativa entro un orizzonte temporale adeguato alla complessità e alla delicatezza delle tematiche che ne sono oggetto.

Le modifiche introdotte dal "collegato Cartabia"

Il d.lgs. 31/2024 (c.d. collegato “Cartabia”) è intervenuto sull'art. 415-bis, c.p.p., realizzando una complessiva semplificazione del meccanismo di risoluzione della stasi e dei connessi strumenti dell'avocazione delle indagini da parte del procuratore generale presso la corte di appello, nonché della cadenza e composizione dell'elenco da trasmettersi periodicamente a quest'ultimo da parte del procuratore della Repubblica ai sensi dell'art. 127 disp. att. c.p.p. L'intervento è consistito nella eliminazione dei commi da 5-bis a 5-quinquies dell'art. 415-bis e nella concentrazione della disciplina della risoluzione della stasi nell'articolo 415-ter, complessivamente riformulato. Al riguardo, si è ritenuto possibile intervenire con una sostanziosa semplificazione a partire dall'osservazione che i criteri di delega si limitavano ad imporre un intervento che risolvesse la cd. “stasi patologica” (come peraltro risulta confermato dalla introduzione dell'art. 407-bis, comma 2, che definisce la “stasi patologica” anche nei casi in cui vi sia stata emissione dell'avviso ex art. 415-bis). Per questo motivo, in primo luogo, è stata eliminata la disciplina dettata ai commi 5-bis a 5-quinquies dell'art. 415-bis, diretta a consentire/imporre al pubblico ministero un percorso (tradottosi in un articolato sub-procedimento) volto a giustificare la mancata emissione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. prima della scadenza del termine di conclusione delle indagini, che non realizza, di per sé, alcuna stasi. Infatti, è lo stesso art. 407-bis, comma 2, c.p.p., a prevedere un termine ulteriore, rispetto a quello di scadenza delle indagini preliminari, per effettuare le scelte più opportune al fine dell'assunzione delle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, ivi compresa la scelta di notificare l'avviso di conclusione delle indagini. Di converso, la delega imponeva: 1) di prevedere “idonei meccanismi procedurali” volti a consentire alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, scaduto il termine dopo il quale la stasi diventa patologica, di avere cognizione degli atti di indagine, contemperando il diritto alla discovery con le “esigenze di tutela del segreto investigativo nelle indagini relative ai reati di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale e di eventuali ulteriori esigenze di cui all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012”; 2) di dettare “una disciplina che, in ogni caso, rimedi alla stasi del procedimento, mediante un intervento del giudice per le indagini preliminari”. In buona sostanza, dai criteri di delega emerge: a) che l'intervento del giudice per le indagini preliminari è previsto come rimedio alla stasi patologica: cioè, come rimedio al fatto che, decorsi i termini di durata delle indagini, il pubblico ministero, entro l'ulteriore termine (c.d. termine di riflessione) normativamente fissato in base alla gravità del reato e alla complessità delle indagini preliminari, non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione; b) che le esigenze di tutela delle indagini devono essere considerate come limite rispetto all'obbligo di discovery. L'intervento introdotto come il collegato “Cartabia” mira, dunque, a garantire il pieno rispetto dei criteri di delega, ma, al contempo, operando una complessiva semplificazione, sempre mantenendo ferme le garanzie per le parti ed anzi prevedendo un più incisivo controllo da parte del giudice per le indagini preliminari, che, con la nuova formulazione, viene esteso anche nella fase dell'autorizzazione al ritardato deposito degli atti. In tal modo anche la valutazione dei presupposti per il differimento richiesto dal procuratore della Repubblica acquista carattere pienamente giurisdizionale, piuttosto che collocarsi – com'era originariamente previsto, con l'attribuzione al procuratore generale – all'interno del circuito del pubblico ministero: in coerenza, quindi, con l'accentuazione delle garanzie che costituisce la linea d'indirizzo della legge-delega.

Le correlate modifiche agli articoli 412 c.p.p. e 127 disp. att. c.p.p. sono, con evidenza, consequenziali alla semplificazione del meccanismo della stasi realizzata con i correttivi agli articoli 415-bis e 415-ter c.p.p., prevedendosi, peraltro, anche una estensione (da trenta a novanta giorni) del termine per lo svolgimento delle indagini da parte del procuratore generale, quando questi ne abbia disposto l'avocazione: termine da ritenersi quello minimo idoneo a consentire l'efficacia dell'azione investigativa, avuto riguardo alla circostanza che l'esercizio del potere di avocazione può riguardare (e, di fatto, spesso riguarda) procedimenti di particolare complessità.

Come è stato osservato dai primi commentatori (Gialuz), “appare certamente positiva la riscrittura che semplifica, almeno apparentemente, la disciplina: in particolare, risulta condivisibile l'alleggerimento dell'art. 415-bis c.p.p., che era divenuto una sorta di norma omnibus. Se a tale disposizione viene affidata la disciplina della fisiologia della chiusura delle indagini, le ipotesi patologiche trovano regolamentazione e rimedi nel solo art. 415-ter, che viene integralmente riscritto. Giova anticipare che anche l'attribuzione al giudice per le indagini preliminari, in luogo del procuratore generale, dell'autorizzazione alla proroga del deposito degli atti va salutata positivamente”.

Casistica

 

L’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari

Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 415-bis, la stessa può così sintetizzarsi:

a ) L'avviso di conclusione delle indagini preliminari non va notificato se il p.m. intende richiedere l'archiviazione;

b ) nel caso in cui intenda chiedere il rinvio a giudizio, il p.m. deve procedere alla notifica dell'avviso;

c ) il termine è indicato dalla legge (“prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'articolo 405, anche se prorogato”);

d ) destinatari della notifica sono la persona sottoposta alle indagini e il difensore;

e ) solo quando si procede per il reato di maltrattamenti e atti persecutori, la notifica va fatta anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa;

f ) il contenuto dell'avviso è predeterminato per legge (sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede; norme di legge che si assumono violate; data e luogo del fatto);

g ) devono essere inseriti nell'avviso due avvertimenti obbligatori ed uno eventuale. I due obbligatori sono i seguenti:  1) la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero, con facoltà dell'indagato e del suo difensore di prenderne visione ed estrarne copia; 2) l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Quello eventuale è l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore: a) hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche; b) hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Tale avvertimento è eventuale, poiché deve essere dato se non si è già provveduto a norma dell'art. 268, commi da 3 a 5;

h ) l'obbligatorietà riguarda solo l'interrogatorio, in quanto il p.m. deve procedervi;

i ) se il p.m., a seguito delle richieste dell'indagato, dispone nuove indagini, queste devono essere compiute entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta, salvo proroga del G.i.p. su richiesta del pubblico ministero, che tuttavia è limitata ad una sola volta e non può superare i sessanta giorni;

l ) è prevista la sanzione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate dall'indagato, dell'interrogatorio del medesimo e dei nuovi atti di indagine del p.m. se compiuti oltre il termine stabilito di trenta giorni, ancorché sia decorso il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice per l'esercizio dell'azione penale o per la richiesta di archiviazione.

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