Codice di Procedura Penale art. 438 - Presupposti del giudizio abbreviato 1 .Presupposti del giudizio abbreviato1. 1. L'imputato [60] può chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 del presente articolo e all'articolo 441, comma 5. 1-bis. Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo.2 2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422. 3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore3. 4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato. Quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta4. 5. L'imputato, ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell'articolo 442, comma 1-bis, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili, l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e il giudizio abbreviato realizza comunque una economia processuale, in relazione all'istruzione dibattimentale. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria. Resta salva l'applicabilità dell'articolo 423 [441-bis]5. 5-bis. Con la richiesta presentata ai sensi del comma 5 può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di cui al comma 1, oppure quella di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 4446. 6. In caso di dichiarazione di inammissibilità o di rigetto, ai sensi, rispettivamente, dei commi 1-bis e 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 27. 6-bis. La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice8. 6-ter. Qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all'esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell'articolo 442, comma 2. In ogni altro caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, l'imputato può riproporre la richiesta prima dell'apertura del dibattimento e il giudice, se ritiene illegittima la dichiarazione di inammissibilità o ingiustificato il rigetto, ammette il giudizio abbreviato 9.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 27 l. 16 dicembre 1999, n. 479. Il combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442, nel loro testo originario, era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost. 15 febbraio 1991, n. 81, nella parte in cui non prevedeva che il pubblico ministero, in caso di dissenso, fosse tenuto ad enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevedeva che il giudice, quando, a dibattimento concluso, riteneva ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, potesse applicare la riduzione di pena di cui all'art. 442, comma 2; nonché da Corte cost. 31 gennaio 1992, n. 23, nella parte in cui non prevedeva che il giudice, all'esito del dibattimento ritenendo che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari, potesse applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, comma 2. [2] Comma inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a), l. 12 aprile 2019, n. 33. L'art. 5 l. n. 33, cit. prevede che: «1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge. 2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.» ( 20 aprile 2019). [3] Comma così modificato dall'art. 24, comma 1, lett. a), n. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito le parole: «da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore» alle parole: «nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3». [4] Comma sostituito dall’art. 1, comma 41, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1,comma 95, l. n. 103,cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). Il testo del comma era il seguente: «4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato.». [5] Comma modificato dall'art. 24, comma 1, lett. a), n. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha inserito, dopo le parole: «il giudizio abbreviato se», le parole: «, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili,» e ha sostituito le parole: «il giudizio abbreviato realizza comunque una economia processuale, in relazione ai prevedibili tempi dell'istruzione dibattimentale» alle parole «compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili». Da ultimo il presente comma è stato modificato dall'art. 2, comma 1, lett. p) d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31. [6] Comma inserito dall’art. 1, comma 42, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). [7] Comma così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. b), l. 12 aprile 2019, n. 33. L'art. 5 l. n. 33, cit. prevede che: «1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge. 2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.». ( 20 aprile 2019). Il testo del comma era il seguente: «In caso di rigetto ai sensi del comma 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2». Relativamente al testo previgente la Corte cost., con sentenza 23 maggio 2003, n. 169, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma parte in cui «non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l'imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato». Cfr. anche Corte cost., 21 giugno 2021, n. 127. [8] Comma aggiunto dall’art. 1, comma 43, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). [9] Comma così modificato dall'art. 24, comma 1, lett. a), n. 3), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che, dopo il primo periodo, ha aggiunto il periodo: «In ogni altro caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, l'imputato può riproporre la richiesta prima dell'apertura del dibattimento e il giudice, se ritiene illegittima la dichiarazione di inammissibilità o ingiustificato il rigetto, ammette il giudizio abbreviato.». Precedentemente, il comma era stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), l. 12 aprile 2019, n. 33. L'art. 5 l. n. 33, cit. prevede che: «1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge. 2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.» ( 20 aprile 2019). InquadramentoIl giudizio abbreviato ha rappresentato una delle principali novità del codice del 1988 e, nel corso degli anni, è stato oggetto di una vera e propria “mutazione genetica” in cui le tracce della struttura originaria si percepiscono ormai solo nell'atto introduttivo del rito (richiesta dell'imputato) e nel permanere del suo carattere premiale (riduzione di un terzo della pena in caso di condanna). Il superamento della logica dello «stato degli atti» ed il nuovo accesso al rito, soggetto unicamente alla scelta potestativa dell'imputato, sono stati ritenuti coerenti agli invocati principi costituzionali (artt. 3, 24, 27, 97, 101, 102 e 111 Cost.), così confermandosi la linea tracciata dalla stessa Corte costituzionale che ha riconosciuto come non costituisca irragionevole discriminazione tra le parti la mancata attribuzione all'organo dell'accusa di uno specifico potere di iniziativa probatoria per controbilanciare il diritto dell'imputato al giudizio abbreviato. Nel testo di riforma del processo penale (l. 23 giugno 2017, n. 103, c.d. legge Orlando), l’originaria formulazione dell’art. 438, comma 4 è stata modificata con l’inserimento di previsioni che disciplinano le scansioni temporali in presenza di richiesta di giudizio abbreviato formalizzata immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive; la riforma, inoltre, ha inserito i commi 5-bis e 6-bis. La riforma Cartabia tenta ancora una volta di rendere maggiormente appetibile il rito nella prospettiva di realizzare lo sperato effetto deflattivo del rito dibattimentale. La nascita e la trasformazione dell'istituto
La sintesi storica e gli interventi del legislatore Il punto di partenza è costituito dalla direttiva n. 53 contenuta nell'art. 2 l. delega 16 febbraio 1987, n. 81, che demandava al Governo di attuare, nel futuro codice di procedura penale, la previsione del «potere del giudice di pronunciare nell'udienza preliminare anche sentenza di merito, se vi è richiesta dell'imputato e consenso del P.m. a che il processo venga definito nell'udienza preliminare stessa e se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti; previsione di una riduzione di pena in caso di condanna e limiti all'appellabilità della sentenza; possibilità che la sentenza faccia stato nel giudizio civile soltanto quando la parte civile consenta all'abbreviazione del rito. I requisiti originari del rito, in attuazione della descritta delega, erano rappresentati dalla richiesta dell'imputato, dal consenso del P.m. e dall'ordinanza ammissiva del giudice che ritenesse il processo decidibile « allo stato degli atti ». La Consulta fu coinvolta, da subito, nella lettura costituzionale del giudizio abbreviato e con le sue pronunce avviò un primo significativo intervento di adeguamento della disciplina codicistica. Dapprima, con la sentenza Corte cost. n. 66/1990 con cui, occupandosi della disciplina transitoria, dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 247, comma 1, 2 e 3, trans. — per contrasto con l'art. 3 Cost. — nella parte in cui non prevedeva che in caso di dissenso, il P.m. dovesse enunciarne le ragioni nonché nella parte in cui la norma citata non prevedeva che dopo la chiusura del dibattimento, il giudice potesse, per il caso di condanna, applicare la riduzione di pena ricompresa nel duplice rinvio all'art. 442 del codice, quando fosse da ritenere ingiustificato il dissenso del P.m. Analogo intervento venne poco più tardi richiesto anche per gli artt. 438, 439,440 e 442 del nuovo codice di procedura penale che furono censurati d'illegittimità costituzionale con la sentenza Corte cost. n. 81/1991, per gli stessi profili ora enunciati. Sulle sollecitazioni della Corte delle Leggi si sono, poi, inseriti — a distanza di quasi un decennio — plurimi interventi normativi. Il primo, e più importante, quello compiuto con la cd. legge Carotti, cui è seguito dapprima quello riequilibratore attuato con il d.l. n. 82/2000, conv. con modif., nella l. n. 144/2000, poi la successiva normativa (d.l. n. 341/2000, conv. nella l. n. 4/2001) che ha riscritto la disciplina dell'abbreviato con riguardo ai delitti puniti con l'ergastolo; quindi, dapprima la riforma approvata con l. n. 103/2017, poi quella approvata con l. n. 33/2019 e, da ultimo, il d.lgs. n. 31/2024, c.d. “collegato Cartabia”. L'ammissione al rito
La volontà dell'imputato La richiesta di giudizio abbreviato è espressione di un diritto personalissimo dell'imputato, che può esercitarlo direttamente od a mezzo di procuratore speciale, a ciò espressamente facultizzato per iscritto con atto autenticato da notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore. La procura speciale per la richiesta di rito abbreviato, ancorché conferita al difensore contestualmente nominato, è atto distinto dalla nomina del medesimo a patrocinatore; ne consegue che la revoca del mandato fiduciario non comporta l'automatica revoca della procura speciale, che può essere effettuata soltanto con un atto avente una delle forme prescritte per il conferimento dei poteri, da depositarsi presso la cancelleria del giudice o la segreteria del P.m. procedente (Cass. I, n. 35703/2019, nella quale si è anche precisato che, in caso di dubbio, il giudice potrà, comunque, verificare l'effettiva persistenza della volontà dell'imputato di farsi rappresentare da colui che non è più suo difensore). La richiesta, se formulata per iscritto, potrà essere depositata anche prima dell'udienza preliminare nella cancelleria del G.i.p. In caso di prospettazione orale dovrà, invece, essere avanzata necessariamente in udienza fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422. La S.C. ha chiarito che nell'udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato può essere presentata dopo la formulazione delle conclusioni da parte del P.m. e deve essere formulata da ciascun imputato al più tardi nel momento in cui il proprio difensore, prendendo la parola, formuli le proprie conclusioni definitive (Cass. S.U., n. 20214/2014). Abrogati gli artt. 439, comma 1 e 440, commi 2 e 3 che stabilivano anche un termine iniziale per la richiesta di giudizio abbreviato, oggi il codice nulla dice in ordine all'eventuale facoltà dell'imputato di promuovere il rito speciale con una domanda depositata nella cancelleria del giudice prima dell'udienza preliminare, come previsto dalle disposizioni abrogate. La questione non è puramente teorica dal momento che l'art. 419, comma 3 consente al P.m. di svolgere indagini suppletive anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio. Mentre da un lato si è affermato che la soppressione degli artt. 439 e 440, non può avere altro significato che quello di negare all'imputato il potere di formulare la richiesta di giudizio abbreviato prima dell'udienza preliminare, cosi che al P.m. non può essere precluso il compimento delle indagini suppletive che fossero ritenute necessarie e l'eventuale richiesta anticipata di giudizio abbreviato dovrebbe essere dichiarata inammissibile dal giudice salva la facoltà dell'imputato di riproporla in udienza preliminare, dall'altro si è sostenuto che anche nel nuovo assetto normativo l'imputato può avanzare istanza di giudizio abbreviato prima dell'udienza preliminare. Peraltro, non sembra si possa porre in discussione il potere del P.m. di svolgere indagini suppletive ai sensi dell'art. 419, comma 3 in assenza di una specifica disposizione derogatoria. Inoltre, se da un lato è vero che, con la richiesta di giudizio abbreviato, l'imputato aspira a “congelare” il materiale probatorio esistente al momento in cui l'istanza è formulata, dall'altro non si può non rilevare come la struttura del procedimento speciale delineata dalla l. n. 479/1999 abbia fortemente incrinato la vocazione dell'abbreviato ad assumere la veste di procedimento allo stato degli atti, ove si tenga conto dei poteri istruttori riconosciuti al giudice. In ogni caso, se non si può negare all'organo dell'accusa di svolgere indagini suppletive, non si potrà nemmeno impedire all'imputato di revocare la propria istanza — e ciò anche nel caso in cui fosse stata nel frattempo accolta dal giudice — qualora la parte privata ritenesse non più opportuna la scelta del rito speciale alla luce dei nuovi atti di indagine svolti dal P.m. Nel procedimento ordinario promosso con il decreto di citazione diretta a giudizio, l'abbreviato può essere chiesto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Ai sensi dell'art. 552, comma 1, lett. f) e comma 2, il decreto di citazione deve contenere, a pena di nullità, l'avviso all'imputato della facoltà di chiedere l'abbreviato. Si è ritenuto che tale vizio integri una nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178 lett. c) derivante dalla violazione di una norma concernente l'intervento dell'imputato ma diversa da quelle tassativamente indicate nell'art. 179: la sua rilevabilità è pertanto preclusa se non viene dedotta entro i termini dell'art. 180 (Cass. V, n. 44017/2005). In caso di giudizio direttissimo, l'istanza deve essere formulata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento nel procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale ovvero subito dopo l'udienza di convalida nel procedimento direttissimo celebrato davanti al tribunale in composizione monocratica. Il giudizio abbreviato può inoltre essere chiesto, a pena di decadenza, entro il termine di 15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato. Il codice prescrive che entro tale termine la richiesta di rito abbreviato sia depositata nella cancelleria del G.i.p.: tale modalità di accesso al rito speciale è tassativa e non sono ammesse forme equipollenti (Cass. III, n. 44068/2011). Il difetto di notifica all’imputato del decreto di giudizio immediato non rende invalidi gli atti successivi del giudizio abbreviatosi incardinatosi, su richiesta del procuratore speciale, su tale procedimento, non essendovi reciproca dipendenza tra i decreti da cui promanano i relativi riti ai fini dell’art. 185 e restando il giudizio di primo grado insensibile alla validità delle vicende intervenute tra l’esercizio dell’azione penale e la richiesta di rito alternativo (Cass. V, n. 11222/2019). Nel procedimento per decreto penale di condanna, l'imputato ha l'onere, a pena di decadenza, di formulare l'istanza di ammissione al rito speciale con l'atto di opposizione. Le forme dell'istanza Sebbene non sia stata prevista, è frequente — ed ormai legittimata anche dal pronunciamento delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 9977/2008) — l'eventualità che la richiesta sia formulata oralmente in udienza dal difensore (non munito di procura speciale) alla presenza dell'imputato silente. Assume necessariamente forma scritta, invece, la richiesta di giudizio abbreviato che s'innesti all'esito dell'emissione di decreto di giudizio immediato o di decreto penale di condanna. In entrambi i casi essa andrà presentata presso la cancelleria del G.i.p. nel termine decadenziale di quindici giorni dalla data della notifica all'imputato o al difensore (ultima, in ordine di tempo), dell'atto di esercizio dell'azione penale. Nel caso di richiesta formulata in sede di opposizione a decreto penale, la dichiarazione potrà pure essere depositata, personalmente od a mezzo di difensore all'uopo nominato, presso la cancelleria del tribunale o del giudice penale del luogo in cui si trova l'opponente (art. 461). L'imputato può presentare una richiesta con la quale formula contestualmente più istanze subordinate. In particolare, è consentito presentare un'istanza di abbreviato condizionato e, in via subordinata, con il medesimo atto, una richiesta di abbreviato semplice o condizionato un diverso e/o minor numero di mezzi di prova. Analogamente, argomentando dal tenore dell'art. 438, comma 6, l'imputato può proporre una nuova domanda di abbreviato dopo il rigetto della prima istanza entro i termini stabiliti al comma 2 del predetto articolo. La facoltà di proporre una nuova istanza di ammissione al procedimento speciale successivamente al rigetto della precedente viene meno quando sia decorso il termine di scadenza per la presentazione della richiesta. La richiesta di giudizio abbreviato è revocabile fino all’adozione del provvedimento del giudice che dispone il rito quando è proposta ai sensi dell’art. 438, mentre laddove è presentata a seguito di decreto di giudizio immediato, può essere revocata fino al momento della fissazione dell’udienza per la ammissione del procedimento speciale (Cass. VI, n. 33908/2017).
Le forme del provvedimento L'ammissione al rito, così come il provvedimento di inammissibilità o di rigetto, assume le forme dell'ordinanza. Sebbene non manchino nella giurisprudenza di legittimità pronunce tendenti a ritenere incorporato nel decreto di fissazione dell'udienza il provvedimento di ammissione del rito quando sia stata avanzata richiesta di giudizio abbreviato incondizionato (Cass. VI, n. 37022/2010), appare preferibile il diverso orientamento che sostiene la distinzione tra i due provvedimenti anche nell'ipotesi siffatta, dal momento che anche in caso di richiesta di abbreviato cd. «incondizionato», il giudice è tenuto a compiere un vaglio di ammissibilità dell'istanza, cioè quello sulla legittimazione a proporre la richiesta e, ove questa sia sottoposta al rispetto di un termine decadenziale, sulla tempestività della sua proposizione. Un importante avallo a quest'orientamento lo si ricava dall'affermazione contenuta in una pronuncia della S.C. (Cass. S.U., n. 30200/2011), secondo cui i termini di durata massima della custodia cautelare per la fase del giudizio abbreviato, anche nella ipotesi di rito non subordinato ad integrazione probatoria e disposto a seguito di richiesta di giudizio immediato, decorrono dall'ordinanza con cui si dispone il giudizio abbreviato e non dall'emissione del decreto di fissazione dell'udienza di cui all'art. 458, comma 2. È evidente che la distinzione tra i due momenti non può essere assunta o meno a seconda dello status libertatis dell'imputato. Pertanto, sarà sempre e solo l'ordinanza ammissiva del rito, pronunciata nel contraddittorio tra le parti, a segnare il momento iniziale del giudizio abbreviato. In precedenza si segnala, sia pur con richiamo limitato alle ipotesi di rito abbreviato condizionato, una pronuncia della S.C. (Cass. I, n. 39157/2001) secondo cui una volta emesso decreto di giudizio immediato e proposta dall'imputato tempestiva richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria, la fissazione, da parte del giudice, della relativa udienza non può essere intesa come atto di per sé introduttivo di quest'ultimo giudizio, ma equivale solo a una decisione positiva sull'ammissibilità del rito (sotto il profilo formale e dell'osservanza dei termini), che non preclude il rigetto dell'istanza, qualora, all'esito dell'udienza, l'integrazione probatoria risulti non necessaria o non compatibile con l'esigenza di semplificazione propria del rito medesimo. Su questi profili, attesa la forma-provvedimento a base dialogica, il P.m. avrà titolo ad interloquire. In ogni caso, l'ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria non è revocabile nel caso in cui l'acquisizione della prova dedotta in condizione divenga impossibile per circostanze imprevedibili e sopraggiunte, atteso che il vincolo di subordinazione insito nella richiesta condizionata è utilmente assolto con l'instaurazione del rito e con l'ammissione della prova sollecitata dall'imputato (Cass. S.U., n. 41461/2012). Le novità introdotte dalla l. n. 103/2017 L'art. 438, comma 4, seconda parte, nella sua nuova formulazione, introdotta dalla l. n. 103/2017, disciplina l'ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato sia successiva al deposito delle investigazioni difensive; alla richiesta non può seguire il provvedimento che dispone direttamente il rito ovvero che fissa l'udienza per l'ammissione al rito dal momento che il provvedimento interverrà solo dopo la decorrenza del termine, non superiore a sessanta giorni, che sarà eventualmente richiesto dal P.m. ai fini dello svolgimento delle indagini suppletive limitatamente ai temi di investigazione introdotti dalla difesa; in detta ipotesi, l'imputato avrà la facoltà di revocare la richiesta. Diversi problemi sembrano porsi, ed in particolare: a) quale soggetto notizierà il P.m. della richiesta di rito abbreviato incondizionato conseguita al deposito delle investigazioni difensive (il richiedente o il giudice); b) quale sarà la forma e la tempistica dell'informazione; c) che termine avrà il P.m. per determinarsi e comunicare la propria intenzione di compiere ulteriori indagini; d) se il termine assegnato sarà perentorio o meno; e) se lo stesso potrà essere prorogato per una giusta causa; f) se, all'esito delle investigazioni suppletive del P.m., quest'ultimo potrà modificare l'imputazione; g) se il P.m. potrà anche eventualmente richiedere l'archiviazione; h) cosa succederà delle investigazioni suppletive compiute dal P.m. nell'ipotesi di revoca della richiesta dell'imputato di accedere al rito abbreviato. Con il nuovo art. 438, comma 4, si è disciplinata quella particolare modalità di accesso al giudizio abbreviato che consente in udienza preliminare la formulazione della richiesta semplice immediatamente dopo il deposito delle indagini difensive, ai sensi dell'art. 391-octies, con una integrazione probatoria unilaterale, effettuata subito prima della richiesta stessa. A seguito della modifica, il giudice si dovrà pronunciare sull'ammissibilità del rito «solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal P.m., per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l'imputato ha facoltà di revocare la richiesta». La novella, così, introduce una indagine suppletiva dell'Accusa, per consentirle l'esercizio del diritto alla controprova su elementi dimostrativi introdotti “a sorpresa” dall'imputato prima di chiedere il giudizio abbreviato “allo stato degli atti”. In questo modo, il P.m. può interloquire sui risultati dell'investigazione difensiva che, per effetto della scelta del rito, assurgono al rango di prove utilizzabili per la decisione. Il legislatore del 2017 fa proprio quel consolidato indirizzo giurisprudenziale che aveva ravvisato, nella procedura richiamata, una compromissione della simmetria imposta dal principio del contraddittorio come metodo dialettico di accertamento dei fatti e la conseguente violazione del principio della parità tra le parti a discapito del P.m., situazione che avrebbe costretto il giudice a fondare il proprio giudizio tenendo conto anche di una serie di elementi probatori unilateralmente introdotti nel processo, a fronte di una contestuale richiesta dell'imputato ad essere giudicato anche in forza di atti del tutto sottratti al confronto critico con la parte pubblica. La richiesta dell'imputato formulata immediatamente dopo il disvelamento dei risultati delle indagini difensive avrebbe determinato, così, uno stato degli atti in grado di “bloccare” eventuali iniziative dell'organo d'accusa sui fatti addotti dalla difesa, in violazione dell'art. 111, comma 2 Cost. Non va dimenticato che, nei casi di giudizio abbreviato con richiesta semplice, l'accoglimento è praticamente de plano, potendo provvedere il giudice a controlli meramente formali: se l'istanza è stata depositata nei termini, da chi vi era legittimato e secondo le forme previste. Per recuperare il gap conoscitivo del P.m. e riequilibrare, dunque, il rapporto di parità tra i contraddittori, dottrina e giurisprudenza avevano suggerito diversi percorsi integrativi: riconoscere all'organo d'accusa il diritto alla controprova anche sugli elementi “a sorpresa” depositati dall'imputato prima della richiesta, estendendo la portata dell'art. 438, comma 5; attribuirgli un congruo termine per svolgere investigazioni suppletive, posto che, come affermato anche dalla Corte costituzionale in più occasioni, sarebbe immanente al sistema un principio di continuità investigativa; o concedergli di sollecitare il giudice nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 441, comma 5. Effetto riequilibratore solo apparentemente realizzato (Caraceni, 2018, 1), a cui si aggiungono questioni esegetiche di non facile soluzione. Vi è da chiedersi, innanzitutto, quale sia il significato da attribuire al riferimento cronologico contenuto nell'espressione «immediatamente dopo», al contempo troppo vaga per favorire applicazioni uniformi della disciplina e troppo connotativa per ricomprendervi l'ipotesi di contestualità tra deposito delle indagini difensive e richiesta di giudizio abbreviato “allo stato degli atti”. Invero, l'avverbio «immediatamente» non permette di fissare il “ragionevole” limite oltre il quale non si giustifica la concessione di un termine al P.m. per lo svolgimento di investigazioni suppletive a cagione della compromissione dei suoi diritti processuali. Ma quale sia questo lasso temporale ragionevole, ancora una volta è un problema affidato alle determinazioni del giudice, una discrezionalità, per la verità, che può sfociare in arbitrio, se si guarda all'assenza di ogni parametro oggettivo che la guidi. Se un parametro di ponderazione della concedibilità del termine di sessanta giorni può ricavarsi dalla lettera della legge, probabilmente va individuato nella locuzione «limitatamente ai temi introdotti dalla difesa». Con questa espressione, parrebbe configurarsi un diritto del P.m. ad ottenere un lasso di tempo per svolgere un'indagine supplementare, a condizione che l'imputato abbia introdotto temi di prova nuovi, “sconosciuti” fino a questo momento (da cui deriverebbe l'effetto “sorpresa” del deposito). Peraltro, difficilmente questo riferimento ai temi introdotti dalla difesa avrà la forza di contenere una dilatazione “a tutto campo” dei poteri investigativi dell'Accusa, con la conseguente determinazione di un nuovo squilibrio nelle prerogative processuali delle parti, questa volta in danno dell'imputato. Del resto, dalle scansioni processuali prefigurate dalla nuova disposizione, prive di ogni riferimento cronologico, non sembra possibile ricavare un lasso di tempo congruo per valutare se la richiesta del termine e sia giustificata dai temi di prova introdotti dalla difesa, con la conseguenza che il giudice la dovrà concedere in ogni caso e, conseguentemente, sarà il P.m. a valutare la necessità di una integrazione, riguadagnando quella posizione di potere che ha assunto e mantenuto per tutta l'indagine preliminare. Una volta concessa detta autorizzazione, il potere del P.m. si riespanderebbe nel segno della continuità investigativa e nulla impedirebbe un'inchiesta che, a sua volta, introducesse temi assolutamente inediti. Di fronte a questa eventualità, l'imputato potrà esercitare la «facoltà di revocare la richiesta» di giudizio abbreviato, ove a seguito dell'integrazione dello stato degli atti valuti per lui non più conveniente la celebrazione del rito. L'inciso, nella sua laconicità, crea non pochi dubbi interpretativi, a cominciare dai tempi in cui l'istanza di revoca può essere proposta: non è ben chiaro se fin dal momento in cui il P.m. chiede il termine per le ulteriori indagini o soltanto una volta che le abbia svolte. Volendo ammettere (e avrebbe una maggiore coerenza sistematica) che la facoltà di revoca possa essere esercitata a seguito del mutamento dello stato degli atti, l'imputato si troverebbe di fronte ad una scelta “al buio”, poiché la disposizione (ancora una volta priva di riferimenti cronologici) non concede un termine a difesa per ponderare i contenuti dell'investigazione suppletiva dell'accusa e determinarsi di conseguenza. La possibilità di un termine a difesa può essere prospettata soltanto se, prima della decisione del giudice sulla richiesta, il P.m. proceda ad una modifica dell'imputazione, ai sensi dell'art. 423 comma 1, nel qual caso, in analogia con quanto previsto dall'art. 441-bis comma 3, avrebbe diritto ad un massimo di dieci giorni di tempo per formulare l'istanza di revoca ovvero per «l'integrazione della difesa». È stata a lungo osteggiata dalla giurisprudenza la possibilità per l'imputato di presentare, unitamente alla richiesta condizionata di giudizio abbreviato e in caso di suo rigetto, un'istanza subordinata di applicazione della pena a richiesta delle parti. A quest'ultimo proposito, più di un argomento è stato addotto per giustificare la non convertibilità del patteggiamento “sul rito” in patteggiamento “sulla pena”. E, il primo, sarebbe proprio la diversità ontologica tra i due, a cui si aggiungono la eterogeneità di struttura (l'uno ha un epilogo imprevedibile, mentre l'altro nasce da un accordo sulla sanzione da applicare), i diversi effetti delle sentenze emesse al loro esito ed il differente regime di impugnazione. Una lettura confermata dall'assenza – fino ad oggi – di disposizioni che ne consentivano la trasformazione. La novella rimedia a tale lacuna autorizzando l'imputato, con una richiesta condizionata, a proporre subordinatamente, in caso di suo mancato accoglimento, un'istanza di abbreviato “allo stato degli atti” o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444. Evidenti gli scopi deflativi cui la novella mira: la possibilità per l'imputato di precostituirsi valida alternativa al rigetto della richiesta di abbreviato condizionato è strumentale ad evitare il passaggio al rito ordinario. In ultima analisi, si vuole favorire quanto più possibile la definizione del giudizio con queste procedure alternative, anche quando si tratta di scelte di rito tra loro apparentemente incompatibili. La nuova disciplina che vieta il giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo Il nuovo comma 1-bis dell'art. 438, introdotto dalla l. 12 aprile 2019, n. 33, esclude il rito abbreviato per “i delitti puniti con la pena dell'ergastolo”. La ratio della nuova disposizione normativa è quella di garantire una risposta sanzionatoria severa in presenza di fatti di particolare gravità e allarme sociale. La Corte cost., n. 260 del 2020 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla legge n. 33 del 2019 dalla Corte d'assise di Napoli e dal Tribunale di Piacenza sull'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell'ergastolo. Il giudice delle leggi ha ritenuto che le finalità perseguite dal legislatore nell'escludere il rito abbreviato per gli imputati di reati punibili con l'ergastolo “possono essere o meno condivise; ma né le finalità in sé né i mezzi individuati dal legislatore per raggiungerle appaiono a questa Corte connotabili in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà”. Rientra, invero, nell'ambito della discrezionalità del legislatore l'introduzione di limiti all'accesso ai riti premiali rispetto a reati il cui trattamento sanzionatorio è indice di massimo disvalore per l'ordinamento, fermo restando il divieto di irretroattività di previsioni che incidono sul trattamento sanzionatorio. La Corte, inoltre, ha preso atto che, con la legge esaminata, il legislatore ha voluto assicurare, per i reati più gravi previsti dall'ordinamento, la celebrazione di un processo pubblico davanti a una corte d'assise e non a un giudice monocratico, nel quale anche le vittime hanno la possibilità di essere ascoltate. Quest'obiettivo comporta certamente - spiega la sentenza - una dilatazione dei tempi di definizione dei processi per i reati punibili con l'ergastolo, e in particolare per gli omicidi aggravati. Tuttavia, l'individuazione delle soluzioni più idonee ad assicurare un processo in grado di raggiungere, in tempi ragionevoli, il suo scopo naturale – l'accertamento del fatto e delle relative responsabilità, nel rispetto dei diritti della difesa – rientra anch'essa nella discrezionalità del legislatore, cui non può essere sovrapposta una diversa autonoma valutazione da parte della Corte costituzionale. La Consulta ha inoltre affermato che la disciplina esaminata non viola il diritto costituzionale di difesa, ben potendo il legislatore escludere l'accesso a determinati riti alternativi agli imputati di reati particolarmente gravi, come quelli puniti con l'ergastolo. D'altra parte, la Corte ha osservato che non esiste un diritto dell'imputato a ottenere la celebrazione del processo “a porte chiuse” a tutela della sua dignità e riservatezza. Il principio della pubblicità del processo, specialmente per i reati più gravi, costituisce infatti non solo una garanzia soggettiva per l'imputato, ma anche un connotato identitario dello Stato di diritto, a tutela dell'imparzialità e obiettività dell'amministrazione della giustizia, sotto il controllo dell'opinione pubblica. La sentenza sottolinea in ogni caso che la riforma non comporta necessariamente l'effettiva condanna all'ergastolo dell'imputato giudicato colpevole in esito al dibattimento, dal momento che la corte d'assise ha sempre la possibilità di riconoscere in suo favore l'esistenza di circostanze attenuanti che possono comportare l'applicazione di una pena inferiore. La Corte cost. n. 270/2022 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d'assise di Bologna in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 Cost. - dell'art. 438, comma 1-bis, come inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a), della legge n. 33 del 2019, nella parte in cui non prevede che l'imputato seminfermo di mente per delitti puniti con l'ergastolo, riconosciuto parzialmente incapace di intendere o di volere al momento del fatto con perizia svolta in incidente probatorio, sia ammesso al rito abbreviato. Si è ritenuto che il divieto di giudizio abbreviato previsto dalla disposizione censurata è collegato alla comminatoria astratta della pena dell'ergastolo, mentre nessuna incidenza determina la circostanza che il giudice ritenga concretamente inapplicabile tale pena in seguito al giudizio di bilanciamento. Da qui la ritenuta insussistenza della denunciata disparità di trattamento, perché l'elemento che vale ad impedire all'imputato seminfermo di mente, e non anche all'imputato minorenne, l'accesso al rito abbreviato non è da rinvenirsi nelle diverse conseguenze che discendono dalle rispettive attenuanti, quanto nella diversa regola di sistema - scaturente dalla sentenza n. 168 del 1994 - che impedisce di infliggere la pena perpetua al solo imputato minorenne. Non fondate sono state dichiarate anche le censure di violazione della finalità rieducativa della pena e della tutela della salute dell'imputato affetto da vizio parziale di mente, le quali si apprezzano non nell'ottica dell'accesso più o meno ampio al rito speciale, ma alla luce delle modalità di esecuzione della pena, posto che la misura di sicurezza deve essere conformata in modo da assicurare adeguati trattamenti e fattivo sostegno al riadattamento sociale del soggetto. A margine della nuova disciplina, si è evidenziato che: -la contrazione degli spazi applicativi per il giudizio abbreviato potrebbe avere significative ripercussioni sul complessivo assetto del sistema giudiziario, ed in particolare sul carico di lavoro delle Corti di assise, anche in considerazione del fatto che un sistema accusatorio, per essere efficace, necessita del massimo spazio possibile per i riti alternativi; -l'impossibilità di accesso al rito abbreviato da parte dei collaboratori di giustizia in presenza di una preclusione che, così come configurata, rimane ancorata all'imputazione, potrebbe finire per condizionare in negativo la scelta di accedere alla collaborazione con la giustizia; -rimane dubbia l'accessibilità al rito in presenza di imputazioni cumulative, in cui cioè coesistono contestazioni preclusive del rito abbreviato e contestazioni davanti alle quali lo stesso è ammissibile: peraltro, quand'anche si accedesse alla tesi favorevole ad una richiesta “parziale” di abbreviato (relativa, cioè, ai soli reati per i quali lo stesso è ammissibile), così garantendo il trattamento premiale per l'imputato, si determinerebbe come effetto la celebrazione di due distinti processi e, quindi, un aggravio del carico di lavoro degli uffici giudiziari, con sostanziale vanificazione in concreto dei considerati effetti di economia processuale. La più recente giurisprudenza ha ritenuto tuttavia inammissibile la richiesta di rito speciale formulata con riguardo a taluni soltanto dei reati contestati al medesimo imputato, nel caso in cui tra di essi compresi reati puniti con la pena dell'ergastolo, preclusivi dell'accesso a tale rito, nonché reati sanzionati con pena diversa, che, viceversa, lo consentono, ostando alla separazione delle imputazioni il disposto degli artt. 438, comma 1 e 440, comma 1 e la finalità deflattiva del rito (Cass. I, n. 7686/2024). Sulla base della nuova normativa, la possibilità di reiterare una richiesta di accesso, evidentemente in base a mutamenti della contestazione, è accordata all'imputato fino a che non siano formulate per la prima volta, nell'udienza preliminare, le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 (nuovo testo del comma 6 dell'art. 438); inoltre, il legislatore ha finalmente previsto una norma di diritto positivo circa il sindacato della dichiarazione di inammissibilità operata dal giudice, inserendo nell'art. 438 anche un comma 6-ter: il giudice dibattimentale, all'esito del processo, potrà diminuire la pena (ovviamente quella temporanea) di un terzo se valuterà che per il fatto accertato sarebbe stato ammissibile l'accesso al rito. In tema di giudizio abbreviato, la riduzione di pena all'esito del dibattimento, ex art. 438, comma 6-ter, è applicabile nei soli casi in cui la diversa qualificazione giuridica o il mancato riconoscimento di un'aggravante rendano il fatto non più punibile con la pena dell'ergastolo e non in quello in cui l'aggravante implicante, in astratto, la pena perpetua sia riconosciuta sussistente, ma sottoposta al giudizio di bilanciamento con una o più attenuanti, con la conseguenza che la richiesta di definizione con rito alternativo resta inammissibile anche con giudizio "ex post" (Cass. I, n. 26020/2023). Inoltre, nell'ipotesi in cui il G.u.p. riqualifichi il fatto con il provvedimento conclusivo dell'udienza medesima, configurando un delitto punibile solo con pena temporanea, la nuova previsione normativa introdotta con il comma 2-bis dell'art. 429 prescrive che il decreto di rinvio a giudizio conterrà anche l'avviso per l'imputato della possibilità di chiedere, entro quindici giorni, la definizione del giudizio con il rito abbreviato. L'ultimo periodo della norma stabilisce, per questa ipotesi, l'applicazione dell'art. 458, cioè della procedura prevista per la richiesta di rito abbreviato conseguente alla notifica del decreto di giudizio immediato, a significare che la domanda innestata sul decreto di rinvio a giudizio dovrebbe essere valutata dallo stesso G.i.p., pur se come persona fisica diversa da quella che abbia deliberato il decreto ex art. 429. Nel verso in certo senso opposto – quello cioè della modifica della imputazione in guisa che, per la sopravvenuta applicabilità della pena perpetua, divenga inammissibile il rito speciale – il nuovo comma 1-bis dell'art. 441-bis prevede invece la retrocessione del rito medesimo nell'ambito della udienza preliminare. La Corte cost., n. 2/2025 ha nuovamente ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera a) della legge 12 aprile 2019, n. 33, sollevate in riferimento agli artt. 3,24,27 e 111 della Costituzione. Già nel 1992, spiegano i giudici, si è ritenuto che «l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell'ergastolo, non è in sé irragionevole, né l'esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l'ergastolo, in ragione della maggiore gravità di essi, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee». La preclusione all'accesso al giudizio abbreviato costituisce, pertanto, «null'altro che il riflesso processuale della previsione edittale della pena dell'ergastolo per quelle ipotesi criminose, previsione che non è oggetto di censura da parte del rimettente». Contrariamente a quanto assume la Corte rimettente, infatti, non v'è ragione per negare alla regola incorporata nell'art. 438, comma 1-bis, una solida ragionevolezza: la scelta legislativa di far dipendere l'accesso al giudizio abbreviato dalla sussistenza di una circostanza a effetto speciale «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna». Il principio di proporzionalità inoltre, nel caso del trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio ha una connotazione specifica, la quale necessita di una graduazione anche significativa del trattamento poiché l'ipotesi di omicidio volontaria abbraccia condotte dal valore differente tanto da richiedere una graduazione quoad poenam, unitamente alla considerazione per i caratteri del fatto di reato contestato all'imputato nel giudizio a quo. L'omicidio infatti, nei casi concreti, può essere connotato da «livelli di gravità notevolmente differenziati», che possono aver riguardo tanto al profilo oggettivo – in relazione, in particolare, alla tipologia e alle modalità della condotta – quanto a quelli soggettivi, attinenti al diverso grado di manifestazione dell'intento omicidiario. Infine, in armonia con quanto statuito dalla sentenza n. 260 del 2020, la preclusione all'accesso al giudizio abbreviato dipende solo nella fase iniziale dalla valutazione del pubblico ministero sull'oggetto della contestazione. Tale valutazione «è poi oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito, come accade rispetto a ogni altro rito alternativo». Per cui, nel pieno rispetto del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., viene garantito il recupero dei vantaggi sul piano sanzionatorio che l'accesso tempestivo al rito avrebbe consentito «ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato per effetto di un errore del pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza nella medesima vicenda processuale, ovvero di una modifica dell'imputazione nel corso del processo». Va evidenziato come il mutamento del regime processuale è stato riservato ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della novella, ad evitare problemi di retroattività in peius per una disciplina che, da sempre, vede una commistione tra riflessi di diritto sostanziale e regole del diritto processuale. In tema di giudizio abbreviato, la mancata reiterazione, in fase predibattimentale, della richiesta condizionata ad integrazione probatoria, dichiarata inammissibile in ragione della contestazione di aggravanti che rendevano il delitto punibile con la pena dell'ergastolo, non fa venir meno il diritto dell'imputato alla riduzione della pena di un terzo laddove, in esito al dibattimento, le suddette aggravanti siano state escluse (Cass. I, n. 41870/2024, nella quale si è precisato che il disposto della prima parte dell'art. 438, comma 6-ter, è applicabile anche alle richieste di giudizio abbreviato condizionato, qualora l'inammissibilità sia stata motivata dalla sola ostatività del reato). L'oggetto della richiesta ed i rapporti tra il giudizio abbreviato e gli altri procedimenti speciali Il nuovo testo del comma 5-bis dell'art. 438, inserito dalla l. n. 103/2017, codifica una prassi abbondantemente sperimentata che prevede una richiesta principale (ammissione all'abbreviato condizionato), una subordinata (ammissione all'abbreviato incondizionato), una ulteriormente subordinata (applicazione della pena su richiesta). Le richieste subordinate debbono intervenire nei termini (inizio della discussione se formulate in sede di udienza preliminare); discutibile invece se una medesima decadenza possa intervenire se detta formalizzazione “completa” (ossia con la specifica indicazione delle richieste subordinate) non si verifichi all'atto della proposizione dell'opposizione ad altro rito speciale (decreto penale, giudizio immediato). Da tempo in giurisprudenza si afferma che la richiesta di procedere nelle forme del rito abbreviato deve necessariamente riguardare tutti i reati ascritti all'imputato, non essendo ammessa la possibilità di una definizione parziale del procedimento. L'unica ipotesi di contemperamento consiste nella richiesta contemporanea di abbreviato per alcuni reati e di patteggiamento per altri (Cass. VI, n. 2251/2010), non venendo. In questo modo frustrata la finalità deflattiva giustificativa del rito speciale. In passato, la S.C. ha sostenuto che la facoltà di chiedere il rito abbreviato in via subordinata è preclusa qualora il giudice abbia rigettato l'istanza di patteggiamento proposta concordemente dalle parti, affermando che l'imputato non può proporre istanza di abbreviato una volta che il P.m. abbia prestato il proprio consenso alla richiesta di applicazione della pena (Cass. VI, n. 41120/2008). Si deve altresì precisare che qualora si sia proceduto con decreto di giudizio immediato, la possibilità di promuovere il rito abbreviato in caso di rigetto della domanda principale di patteggiamento implica che anche la prima istanza sia stata formulata, seppure in via subordinata, con la stessa richiesta di patteggiamento, altrimenti essa, se proposta successivamente, deve essere rigettata perché tardiva (Cass. II, n. 2765/2010). Permane invece un atteggiamento restrittivo circa la possibilità di un innesto del patteggiamento sul giudizio abbreviato, dopo che questo è stato emesso dal giudice. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, i due procedimenti speciali sono incompatibili e tra loro “non convertibili”, di talché una volta promosso il giudizio abbreviato, le parti non possono più formulare una proposta di applicazione della pena. Tale incompatibilità viene fatta derivare dalla differenza strutturale dei due riti, dai diversi termini di durata dell'eventuale custodia cautelare, dai diversi effetti delle sentenze emesse e dal differente regime di impugnazione in cui queste sono sottoposte. Si è inoltre osservato che nessuna disposizione disciplina la trasformazione del giudizio abbreviato nel patteggiamento, la cui alternatività evidenziata da quelle norme che, regolando la facoltà dell'imputato di operare una scelta tra i possibili giudizi speciali, gli impongono un'esplicita opzione tra l'uno o l'altro procedimento (Cass. I, n. 15451/2010). Analoga soluzione viene prospettata anche quando, ammesso il giudizio abbreviato, l'imputato avanzi una richiesta di oblazione. Non è consentita infatti la trasformazione del giudizio abbreviato nel procedimento di oblazione: la locuzione “prima dell'apertura del dibattimento” contenuta negli artt. 162 e 162-bis c.p., va intesa nel senso che la relativa domanda deve essere presentata prima che abbia luogo il giudizio, si svolga esso con il rito ordinario ovvero con il rito abbreviato (Cass. III, n. 40694/2002). Anche con la nuova previsione del comma 6-bis dell'art. 438 introdotto dalla l. n. 103/2017, si è verificata una sostanziale normativizzazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale in punto sanatoria delle nullità non assolute conseguente alla proposizione di rito abbreviato. E lo stesso dicasi per le inutilizzabilità non derivanti dalla violazione di un divieto probatorio e la competenza territoriale. Senza dubbio uno dei ritocchi più significativi all'art. 438 è rappresentato dall'introduzione del comma 6-bis che riconosce alla richiesta di giudizio abbreviato presentata nell'udienza preliminare efficacia preclusiva alla deducibilità, sia delle « nullità, sempre che non siano assolute », sia delle « inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio ». Allo stesso modo, la scelta del rito speciale preclude « ogni questione sulla competenza per territorio del giudice ». Si tratta del pedissequo recepimento di esegesi più che consolidate in giurisprudenza+. Il legislatore ha fatto propri gli approdi delle Sezioni Unite, le quali, dopo un lungo dibattito giurisprudenziale e già all'indomani delle modifiche introdotte dalla l. n. 479/1999, avevano stabilito che la richiesta di giudizio abbreviato non rappresenta una rinuncia a dolersi dell'invalidità degli atti probatori formati contra legem e su cui il giudice può fondare la decisione. È vero che l'abbreviato è un giudizio “a prova contratta”, un patteggiamento sul rito che definisce la res iudicanda in una fase diversa da quella dibattimentale e sulla base di atti normalmente sprovvisti di valore probatorio; nondimeno, per il giudice di legittimità, la portata abdicativa di tale negozio processuale non può investire quegli elementi di conoscenza formati in violazione di divieti stabiliti dalla legge (la c.d. inutilizzabilità patologica desumibile dall'art. 191, comma 1) e che in nessuna delle fasi processuali sarebbero in grado di sorreggere una decisione giurisdizionale, di qualunque tipo essa sia. Il riferimento agli « atti utilizzabili », quale base conoscitiva del giudice per le sue determinazioni, è espressione del principio di legalità della prova, un principio di portata generale, valido anche in caso di richiesta semplice, applicabile ad ogni « situazione patologica che non debba intendersi sanata in virtù dell'ordinario regime giuridico ». L'assunto, di conseguenza, porta a concludere che, ai sensi del nuovo comma 6-bis dell'art. 438, l'istanza di giudizio abbreviato determina l'indeducibilità della sola inutilizzabilità fisiologica della prova, quella funzionale « ai peculiari connotati del processo accusatorio in forza dei quali il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526 ». In verità, le conseguenze derivanti dal nuovo comma 6-bis sono tutt'altro che scontate; Il recepimento della deducibilità delle sole inutilizzabilità « derivanti dalla violazione di un divieto probatorio » serve solo a spostare la querelle sull'estensione da assegnare al concetto di inutilizzabilità patologica. È innegabile, ad esempio, che accedendo ad una lettura che riconducesse la violazione non soltanto all'ammissione delle prove, ma anche al rispetto delle regole per la loro formazione (come parrebbe desumersi dall'art. 191 comma 1 che impiega il participio « acquisite »), si avrebbe un proliferare di inutilizzabilità; così come analogo epilogo produrrebbe l'accoglimento di un concetto di divieto non soltanto posto in modo esplicito, ma altresì desumibile, in via indiretta, da una disposizione che non fosse formulata in chiave di interdizione. La stessa scelta delle Sezioni Unite Tammaro di affermare che l'inutilizzabilità patologica sarebbe a presidio della legalità del procedimento probatorio, ha rappresentato il pretesto per il riaffermarsi di indirizzi giurisprudenziali volti a “degradare” gravi invalidità dell'atto a patologie sanabili per effetto della scelta del rito speciale, in tal modo determinando un “aggiramento” delle prerogative difensive proprio in tema di legalità della procedura di formazione della prova. Secondo tale orientamento, sarebbero sempre deducibili soltanto le inutilizzabilità « estreme e residuali », derivanti dalla violazione di norme poste a tutela di interessi di rango costituzionale o che compromettono in maniera grave ed irreparabile il diritto di difesa dell'imputato; un'impostazione che rischia di trovare un avallo proprio nella nuova disposizione codicistica. In sostanza, l'art. 438 comma 6-bis può facilmente prestarsi a nuove manipolazioni, finendo per allargare a dismisura l'efficacia taumaturgica del rito abbreviato nei confronti dell'inutilizzabilità. Peraltro, le prospettate criticità interpretative riguardano anche un diverso aspetto della questione, attinente alla mancata differenziazione tra nullità che investono gli atti probatori e quelle riguardanti gli atti propulsivi o introduttivi del giudizio. La giurisprudenza ha già chiarito che sono tutte invalidità sanate dalla richiesta di giudizio abbreviato, la quale rappresenterebbe una rinuncia implicita a dedurle, trattandosi di nullità rimesse alla disponibilità della parte, con conseguente sanatoria per accettazione degli effetti dell'atto nullo. Ora, pur ammettendo che la richiesta di giudizio abbreviato possa assurgere a sanatoria per acquiescenza dei vizi meno gravi degli atti probatori, certamente l'operazione esegetica non convince rispetto alle invalidità che colpiscono gli atti di impulso processuale: solo per fare qualche esempio, ci si riferisce all'omessa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari che si ripercuote sulla validità della richiesta di rinvio a giudizio, all'omesso interrogatorio richiesto ai sensi dell'art. 415-bis, alla genericità e all'indeterminatezza del capo di imputazione, alla mancata traduzione in una lingua conosciuta dall'indagato dell'avviso ex art. 415-bis. La scelta legislativa in punto di nullità, è vero che fa suoi i principi espressi dalle Sezioni Unite, ma non tiene conto del fatto che in più di un passaggio argomentativo della sentenza è piuttosto evidente il riferimento alle invalidità (sia nullità che inutilizzabilità) insanabili che attengono ai soli atti probatori. In tema di giudizio abbreviato, non possono formare oggetto di valutazione gli atti affetti da nullità assoluta e da inutilizzabilità patologica, non essendo prevista alcuna deroga alla rilevabilità di ufficio ed alla insanabilità di tali vizi (Cass. I, n. 20834/2023, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inutilizzabile "erga omnes" la deposizione resa dal soggetto escusso dalla polizia giudiziaria in qualità di persona informata sui fatti, che, invece, avrebbe dovuto essere sentito, sin dall'inizio, in veste di indagato). In definitiva, forme del rito e valida instaurazione del processo devono considerarsi profili perfettamente autonomi: se così non fosse, verrebbero attribuiti alla richiesta di giudizio abbreviato effetti del tutto estranei alle esigenze che con essa si mirano a salvaguardare (economia processuale e deflazione), oltretutto correndo il rischio di pregiudicare anche «le regole positive che presiedono alla disciplina degli atti. E il primo effetto eccentrico sarebbe proprio quello di introdurre una nuova ipotesi di sanatoria delle nullità che difficilmente potrà essere ricondotta all'interno del sistema delineato dagli artt. 177 ss. Nemmeno ricorrendo all'art. 183, comma 1, lett. a (sanatoria per acquiescenza), come fa la giurisprudenza, sembra possibile rendere coerente con il sistema delle invalidità l'effetto sanante assegnato alla richiesta di abbreviato: questa, stante la sua ratio, difficilmente può identificarsi, con quei comportamenti inequivocabili ed univoci dell'interessato essenziali perché si possa parlare di accettazione implicita degli effetti dell'atto. La volontà dell'imputato di accedere al rito speciale può risultare «del tutto compatibile con il diritto a far valere il vizio di un determinato atto, così da renderlo processualmente privo di effetti». E la questione acquista tutto il suo peso se si considera il paradosso a cui si andrebbe incontro ove, per qualche ragione, il rito speciale non dovesse celebrarsi: ricollegare la sanatoria per facta concludentia alla semplice richiesta del giudizio abbreviato determinerebbe l'indeducibilità degli eventuali vizi anche nel caso in cui l'accertamento penale non dovesse svolgersi nell'udienza preliminare e le successive cadenze procedimentali seguissero le regole del rito ordinario. Anche la questione della proponibilità dell'eccezione di incompetenza territoriale, che a lungo ha contrapposto la giurisprudenza, ha trovato una sua codificazione: il legislatore ha aderito alla più rigorosa esegesi, seppur negata dalle Sezioni Unite, che riconosce alla richiesta di giudizio abbreviato formulata nell'udienza preliminare effetto preclusivo alla proposizione di ogni eccezione di incompetenza per territorio del giudice che procede. Si è ritenuto che nel giudizio abbreviato chiesto in udienza preliminare, l'istanza generi un effetto preclusivo nei confronti delle sole eccezioni di incompetenza territoriale non proposte precedentemente (operando, in tal modo, il regime generale di cui all'art. 21, comma 2, che autorizza la presentazione di dette questioni fino alla chiusura dell'udienza preliminare, momento che coincide esattamente con la richiesta di rito speciale). Peraltro, l'assenza di qualunque riferimento all'eventualità che l'imputato abbia manifestato precedentemente l'interesse ad avere l'individuazione di un giudice conforme all'art. 25, comma 1 Cost., determinerà il riproporsi di nuove contese, oltre ad esporre la norma a qualche rilievo di incostituzionalità, a cominciare dall'ingiustificata compressione delle prerogative difensive dell'accusato. Infatti, atteso che l'indeducibilità dell'incidente di competenza è legata alla richiesta di giudizio abbreviato (e non al suo accoglimento), l'imputato, secondo la formulazione dell'art. 438, comma 6-bis ult. parte, è posto di fronte ad una decisione tranchant: a fronte di una eccezione di incompetenza per territorio rigettata, o sceglie di insistere nel riproporla, rischiando di non poter più chiedere il giudizio abbreviato, ma se vuole avvalersi dei vantaggi connessi alla scelta del rito deve sacrificare il suo diritto ad essere giudicato dal giudice naturale, non essendoci spazio, nella disposizione codicistica, per la reiterazione dell'eccezione di incompetenza una volta richiesta la speciale procedura. Anche dal punto di vista della ragionevolezza la disposizione presenta qualche cedimento costituzionale, poiché la mancanza di una espressa e inequivocabile rinuncia a far valere il vizio di competenza, determinerebbe ingiustificabili effetti discriminatori per l'imputato e per la sua possibilità di contestare la scelta del giudice [naturale] effettuata dal P.m. con l'esercizio dell'azione penale. Ulteriori problemi rimangono irrisolti sul tavolo. Invero, in via esemplificativa, vi sarebbe da chiedersi: ma che succede se il rito abbreviato condizionato non viene ammesso? Rimane la proponibilità delle nullità relative per le quali non si intervenuta altra causa di decadenza? E tale facoltà rimane integra anche per le inutilizzabilità e per l'eccezione di incompetenza territoriale? Pare di poter dire che le decadenze di cui sopra sono legate non solo alla semplice richiesta ma anche all'ammissione (ed alla conseguente celebrazione) del rito speciale perché se così non fosse verrebbe a ledersi in modo del tutto ingiustificato il diritto di difesa astrattamente comprimibile anche nelle successive fasi del giudizio di merito. Le forme del rito
Il rito abbreviato semplice o incondizionato La conservata originaria versione del rito prevede che, sottratto al veto del P.m. ed alla valutazione del giudice sulla decidibilità della causa, è divenuto una scelta «blindata» ed incontestabile dell'imputato: in altri termini, un vero e proprio diritto. Ogni qual volta la richiesta pervenga da soggetto legittimato e sia tempestiva l'ordinanza del giudice avrà il contenuto obbligato dell'accoglimento, dovendosi ritenere abnorme il provvedimento reiettivo (cfr. Cass. II, n. 7497/2018 , secondo cui vi sarebbe abnormità sia per il contenuto atipico del provvedimento che lo fa divergere radicalmente dallo schema legale determinando il distorto sviluppo del rapporto processuale in dipendenza del non previsto passaggio del processo alla fase del giudizio ordinario, sia perché la nuova disciplina del giudizio abbreviato, contenente una norma attributiva di competenza funzionale ed esclusiva, ha inderogabilmente investito il G.u.p. della potestà giurisdizionale in ordine alla cognizione della regiudicanda sulla base di elementi obiettivi predeterminati; ritiene invece che si tratti di provvedimento illegittimo ma non abnorme, Cass. I, n. 1405/2000). La richiesta di giudizio abbreviato determina una cristallizzazione dell'imputazione da cui l'imputato ha scelto di difendersi; ne consegue l'impossibilità per quest'ultimo di eccepirne l'indeterminatezza, salvo che dimostri che la genericità o l'indeterminatezza dell'imputazione gli abbia impedito di esercitare la sua difesa (Cass. V, n. 33870/2017; nello stesso senso, Cass. IV, n. 18776/2017). La forma base del rito abbreviato non esclude, però, la possibilità di interventi di completamento del quadro probatorio. Infatti l'art. 441, comma 5, prevede anche in tali ipotesi che il giudice, ove ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, assuma anche d'ufficio «gli elementi necessari alla decisione». Quello demandato al giudice, in vista dell'esito neutro del raggiungimento di una soglia di decidibilità del processo, è un potere d'integrazione probatoria non preorientato (come, invece, quello descritto dall'art. 422). Pur potendo attivarsi su sollecitazione di parte, non si piega, tuttavia, ad assecondare qualsivoglia opzione investigativa o difensiva, bensì appare finalizzato a consentire un corretto esercizio dello ius dicere. In questo si differenzia pure dalla previsione contenuta nell'art. 507 che definisce un potere probatorio che interviene «una volta terminata l'acquisizione delle prove [...] se... l'assunzione di nuovi mezzi di prova [...] risulta assolutamente necessaria». Il rito abbreviato condizionato ad integrazione probatoria Accanto alla forma semplice, o incondizionata, il legislatore del 1999 ha affiancato una seconda importante previsione: la facoltà dell'imputato di accedere al rito condizionando la propria richiesta ad un'integrazione probatoria del materiale utilizzabile per la decisione. L'abbreviato condizionato non costituisce un procedimento distinto rispetto all'abbreviato semplice, ma un modello differenziato del medesimo procedimento speciale (Cass. I, n. 38595/2003). La richiesta di abbreviato condizionato presenta i medesimi requisiti di forma e di legittimazione dell'istanza di abbreviato incondizionato e richiede altresì l'osservanza dei medesimi termini e modalità di presentazione previsti per il rito semplificato. Questa modifica, se valutata unitamente agli altri interventi di arricchimento delle risultanze contenute nel fascicolo del P.m. (il riferimento è sia alle investigazioni difensive che alle ordinanze istruttorie di cui agli artt. 421-bis e 422 che, infine, ai poteri probatori di adeguamento di cui all'art. 441, comma 5), dà il senso della forte opzione verso questo rito speciale effettuata dal legislatore. La novella del rito è stata inserita nei commi 5 e 6 dell'art. 438 con richiami, di adeguamento della disciplina generale, negli artt. 441 e 441-bis. La facoltà (non il diritto) dell'imputato consiste nella subordinazione della richiesta di giudizio abbreviato all'ammissione da parte del giudice di un'integrazione probatoria (già formatasi o da realizzarsi) che sia necessaria per la decisione. Può trattarsi di prove tipiche ma anche di mezzi atipici come previsto dall'art. 189. È invece sicuramente irrituale l'istanza condizionata al compimento di un diverso adempimento ovvero all'adozione di un determinato provvedimento da parte del giudice. In particolare, la S.C. ha ritenuto abnorme l'ordinanza con cui il tribunale, investito di una richiesta di rito abbreviato condizionata alla dichiarazione di inutilizzabilità di un atto allegato al fascicolo del dibattimento, aveva ammesso l'imputato al rito abbreviato incondizionato in luogo di rigettare l'istanza (Cass. IV, n. 21803/2011). Ai fini dell'ammissione al giudizio abbreviato condizionato, la necessità dell'integrazione probatoria non deve essere valutata facendo riferimento ai criteri indicati nell'art. 190, ovvero alla complessità o alla lunghezza dei tempi dell'accertamento probatorio, né si identifica con l'assoluta impossibilità di decidere o con l'incertezza della prova, ma presuppone, da un lato, l'incompletezza di un'informazione probatoria in atti, e, dall'altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilità, o idoneità, del probabile risultato dell'attività istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio (Cass. V, n. 600/2014); di tal che, quando è presentata richiesta di giudizio abbreviato condizionato, al giudice è demandato il controllo sulla fondatezza della domanda al fine di verificare se l'integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale del rito, ma, all'esito di tale controllo, non gli è riconosciuta soluzione diversa dall'accoglimento o dal rigetto dell'istanza (Cass. II, n. 19619/2014, nella quale si è affermato che sarebbe viziata dalla nullità di cui agli artt. 178, lett. c) e 180 la decisione del giudice, che, investito di una istanza di abbreviato condizionato, ammettesse soltanto il supplemento istruttorio reputato sufficiente, ovvero, sul presupposto che l'integrazione probatoria richiesta sia errata, impossibile o inesistente giuridicamente, il rito abbreviato semplice). La richiesta di giudizio abbreviato condizionata ad un'integrazione probatoria, quando ha ad oggetto la rinnovazione dell'esame di una persona che ha già reso dichiarazioni in fase di indagini, deve contenere, a pena di improponibilità, la specificazione dei temi e delle circostanze di fatto da verificare, che debbono differenziarsi da quelli oggetto delle informazioni già rese, in quanto la formulazione testuale del comma 5 dell'art. 438, postula che l'attività istruttoria abbia carattere integrativo, ossia vada a completare gli elementi informativi acquisiti, in quanto parziali o insufficienti e non, invece, soltanto a rinnovarli nel contraddittorio delle parti (Cass. II, n. 9955/2025; Cass. II, n. 2919/2020). E’ legittima la trattazione cumulativa di riti abbreviati diversamente condizionati richiesti dagli imputati in un medesimo processo, purchè il giudice selezioni per ciascun imputato le prove utilizzabili in base alle regole proprie del rito condizionato dallo stesso prescelto (Cass. III, n. 42124/2019, nella quale la S.C. ha chiarito che, se nello stesso processo, gli imputati abbiano subordinato la richiesta di rito abbreviato all’assunzione della testimonianza, rispettivamente, di soggetti tra loro diversi, ciascun imputato può partecipare all’assunzione delle prove ammesse in via integrativa su sua richiesta e utilizzarne i risultati, senza avere diritto a partecipare all’assunzione delle prove richiesta da altri, né all’utilizzazione dei risultati delle stesse). Nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell'art. 438, comma 5 o nel quale l'integrazione probatoria sia stata disposta a norma dell'art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell'imputazione solo per i fatti emergenti dai predetti esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall'art. 423 (Cass. S.U., n. 5788/2020). La giurisprudenza Analogamente, la giurisprudenza ritiene che l'istanza di rito abbreviato non possa essere condizionata alla trascrizione di intercettazioni telefoniche, poiché essa non costituisce un mezzo di prova, ma soltanto un'operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto della prova acquisita mediante registrazione delle conversazioni (Cass. I, n. 32851/2008). Il giudice accoglierà la richiesta (e conseguentemente pronuncerà ordinanza ammissiva del rito) se l'attività d'integrazione probatoria richiesta, oltre ad essere effettivamente necessaria per la decisione, risulti «compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili»; non sarà invece consentito al giudice “frazionare” la richiesta ritenendola accoglibile solo in parte ovvero “integrare” la stessa, in via preventiva, con incombenti ulteriori non richiesti (Cass. VI, n. 17661/2015, secondo cui è abnorme ed è quindi ricorribile per cassazione, l'ordinanza con la quale il G.u.p. accoglie solo in parte la richiesta di integrazione probatoria posta quale condizione dell'istanza di rito abbreviato, potendo il giudice solo accogliere o respingere l'istanza negli esatti termini nei quali è formulata, sulla scorta delle valutazioni indicate nell'art. 438, comma 5, mentre una diversa decisione rispetto a tale alternativa incide in maniera impropria ed irreversibile sulle strategie difensive). Quanto al primo requisito della domanda, si sostiene che le prove sono necessarie alla decisione quando esse colmano una lacuna delle indagini preliminari. Il carattere di novità è, dunque, un requisito delle prove indicate dall'imputato (Cass. S.U., n. 44711/2004): ne consegue che, al fine di valutare l'ammissibilità dell'istanza, il giudice, come si è accennato in precedenza, deve utilizzare un parametro più circoscritto rispetto a quello generale di pertinenza, rilevanza e non superfluità della prova stabilito dall'art. 190, dovendo accogliere la richiesta quando le prove indicate siano indispensabili ai fini della decisione. Pertanto, è inammissibile un'istanza tesa a riassumere una prova già acquisita nel corso delle indagini preliminari, poiché si tratta di una prova priva del requisito della novità; ma, anche una prova diversa da quelle già in atti è incompatibile con il rito perché priva del medesimo carattere se essa è destinata a provare un fatto che già risulta incontestabilmente dimostrato in base alle prove contenute nel fascicolo del P.m. D'altra parte, poiché con la richiesta di giudizio abbreviato l'imputato rinuncia al contraddittorio, non potrebbe egli chiedere l'assunzione di una prova dichiarativa soltanto per sottoporre a verifica l'attendibilità del dichiarante o per veder confermate dichiarazioni a sé favorevoli (Cass. IV, n. 19733/2009). Pertanto, è da ritenersi pienamente legittimo il provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad una integrazione probatoria, quando detta integrazione non sia finalizzata al necessario ed oggettivo completamento degli elementi informativi in atti, in quanto insufficienti per la decisione, ma miri esclusivamente alla valorizzazione degli elementi favorevoli all'impostazione difensiva (Cass. VI, n. 44634/2013). E’ ritenuta legittima la decisione con cui il giudice del dibattimento neghi la riduzione di pena prevista per il giudizio abbreviato, nel caso in cui venga disposta, ai sensi dell’art. 507, la stessa perizia cui era stata condizionata la richiesta – respinta dal G.u.p. – di rito alternativo, attesa la natura neutra dell’accertamento peritale, il cui espletamento è rimesso al prudente apprezzamento del giudice e rimane del tutto svincolato dai presupposti e dalle esigenze di celerità del rito abbreviato (Cass. VI, n. 16102/2016). La dinamica della prova L'integrazione probatoria compatibile con il giudizio abbreviato è, quindi, solo quella che serve a completare il quadro degli elementi informativi acquisiti, ma insufficienti per la decisione, mentre non è ammissibile l'istanza con la quale l'imputato miri alla sostituzione del materiale già raccolto, così da promuovere un vero e proprio dibattimento davanti al giudice, in contrasto con gli obiettivi di speditezza e di semplificazione (Cass. VI, n. 8738/2009). In sostanza, le prove richieste sono necessarie quando siano idonee ad offrire un indispensabile contributo logico-valutativo riferibile a qualsiasi aspetto della vicenda oggetto dell'accertamento del giudice: si è parlato, in tal senso, di prova integrativa e non sostitutiva del materiale probatorio già acquisito. Sarà così consentito chiedere un nuovo esame di persona già sentita nel corso delle indagini qualora l'oggetto dell'audizione richiesta verta su circostanze nuove (Cass. I, n. 29669/2010). In ogni caso, in presenza di pluralità di imputazioni la prova necessaria ai sensi di cui al comma 3 dell'art. 438 è solo quella che incide in modo decisivo sulla complessiva situazione fattuale che dà origine alle contestazioni medesime (cfr., Cass. V, n. 12458/2014, nella quale si è ritenuta corretta la decisione impugnata nella parte in cui aveva rigettato la richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad esame testimoniale incidente sulla delibazione di uno solo dei diversi capi di imputazione oggetto della regiudicanda). Quanto al parametro della compatibilità con le esigenze di economia processuale, esse non implicano affatto un apprezzamento sulla quantità delle prove di cui si chiede l'acquisizione. Al riguardo la Corte costituzionale (Corte cost. n. 115/2001) ha chiarito che “[...] ove si debbano compiere valutazioni in termini di economia processuale, il nuovo giudizio abbreviato va posto a raffronto con l'ordinario giudizio dibattimentale e non con il rito esclusivamente e rigorosamente limitato allo stato degli atti previsto dalla precedente disciplina”. La compatibilità dell'integrazione probatoria con le finalità di economia processuale va valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta del rito e non ex post, in base ai tempi, particolarmente celeri, del dibattimento tenutosi a seguito del rigetto della stessa (Cass. III, n. 7961/2011). Peraltro, nel verificare la compatibilità della richiesta dell'imputato con le predette finalità, il giudice deve valutare la complessità qualitativa e quantitativa non solo delle prove richieste dall'imputato, ma anche di quelle a controprova che, presumibilmente, il P.m. sarà indotto a richiedere; non può invece tener conto delle prove che egli stesso potrebbe decidere di assumere ai sensi dell'art. 441, comma 5, trattandosi di una complicazione istruttoria meramente eventuale, non pronosticabile al momento della decisione sull'ammissibilità del giudizio abbreviato e dipendente non dalle richieste probatorie dell'imputato, ma dall'esito delle prove assunte (Cass. I, n. 5942/2009). L'esito positivo dell'istanza di abbreviato condizionato prevede dei contrappesi. Infatti, è riconosciuta al P.m. la facoltà di richiedere l'ammissione di prova contraria e, laddove consegua alle risultanze probatorie così introdotte, il potere di modificare l'imputazione. Il potere di controprova del P.m. non è «aperto» ma speculare a quello esercitato dall'imputato. Dunque, esso sarà bilanciato e perimetrato dai temi di prova ulteriori introdotti dall'integrazione probatoria sollecitata dalla difesa ma, ovviamente, non dovrà a sua volta essere sottoposto al vaglio di compatibilità con le finalità del rito e di necessità ai fini della decisione già esercitato sulla domanda probatoria di controparte. Il provvedimento di ammissione o di rigetto della richiesta d'integrazione probatoria non è suscettibile di autonoma impugnativa, non essendo estensibili al giudizio abbreviato «i meccanismi di doglianza di cui all'art. 586 (impugnazione delle ordinanze) e 606, comma 1, lett. d) (ricorso per cassazione contro la mancata assunzione di una prova decisiva) c.p.p.» predisposti per la sola fase dibattimentale. Gli interventi della Corte costituzionale Al fine di colmare questo vuoto normativo è intervenuta la Corte costituzionale, con due pronunce (Corte cost. n. 54/2002 e Corte cost. n. 169/2003) con le quali si è introdotta la possibilità di sindacato, attraverso una rivalutazione in limine al dibattimento, del rigetto da parte del G.i.p., della richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Invero, il rigetto o la dichiarazione d'inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato non subordinata a integrazioni istruttorie, quando deliberati illegittimamente, pregiudicano, oltre alla scelta difensiva dell'imputato, la sua aspettativa di una riduzione premiale della pena: ne consegue il diritto dell'imputato, che abbia vanamente rinnovato la richiesta del rito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, di recuperare lo sconto sanzionatorio all'esito del giudizio (Cass. S.U., n. 20214/2014). Cosicché il giudice del dibattimento, ove non ritenga giustificato quel diniego, dovrà disporre e celebrare il giudizio abbreviato nel caso in cui la medesima richiesta gli venga ripresentata dall'imputato prima dell'apertura del dibattimento (non sarà pertanto possibile in questa sede né rimodulare la richiesta d'integrazione probatoria né richiedere l'ammissione al rito abbreviato incondizionato: cfr., Cass. II, n. 18745/2013, secondo cui il giudice del dibattimento che abbia respinto in limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato — «rinnovata» dopo il precedente rigetto del G.i.p. ovvero proposta per la prima volta, in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta — deve applicare anche d'ufficio la riduzione premiale di pena, se riconosca pure alla luce dell'istruttoria espletata che quel rito si sarebbe dovuto invece celebrare; v. anche, Cass. II, n. 47409/2014, secondo cui il dovere di sindacato, sollecitato dalla richiesta, richiede solo la reiterazione della richiesta negli stessi termini già precedentemente proposti). In ogni caso, come già accennato, la valutazione della fondatezza del rigetto della richiesta da parte del giudice deve essere effettuata con giudizio «ex ante», con riferimento alle condizioni probatorie esistenti al momento della decisione sul rito non dovendosi tenere conto degli accertamenti e degli elementi emersi successivamente a tale decisione (Cass. VI, n. 48642/2014, secondo la quale un rigetto può risultare giustificato anche se la concreta assunzione della prova aggiuntiva nel dibattimento abbia poi dato risultati rilevanti, qualora lo sviluppo istruttorio non fosse ragionevolmente prevedibile e, nel contempo, l'esito irrilevante della stessa prova aggiuntiva non implica necessariamente che la domanda di assumerla nel rito abbreviato fosse ingiustificata, quando fosse ragionevolmente prevedibile un esito diverso e decisivo. Nell'uno e nell'altro caso, però, il concreto andamento dell'istruttoria dibattimentale concorre quale strumento di misurazione e verifica di ragionevolezza della decisione sindacata). Qualora l'imputato, a seguito del rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ma chieda, invece, di definire il processo con giudizio abbreviato non condizionato, la mancata ammissione della prova cui era subordinata l'iniziale richiesta non può essere dedotta come motivo di gravame, ferma restando la facoltà di sollecitare l'esercizio dei poteri di integrazione istruttoria « ex officio » ai sensi dell'art. 603, comma 3 (Cass. I, n. 12818/2020). È precluso in sede di giudizio abbreviato il vaglio del precedente rigetto di richiesta di applicazione della pena (Cass. II, n. 22386/2013). La reiterazione del rigetto darà, a questo punto, la possibilità d'impugnare l'ordinanza ai sensi dell'art. 586, con la conseguente recuperabilità dei benefici dell'abbreviato. L'assunzione delle prove, comunque introdotte nel giudizio abbreviato, avverrà secondo le modalità previste dall'art. 422, commi 3, 4 e 5: sarà, dunque, il giudice a svolgere l'esame dei testimoni, consulenti periti e soggetti citati ex art. 210 e le parti dovranno far filtrare le proprie domande attraverso il vaglio del decidente. Soltanto l'esame dell'imputato (che sarà consentito senza necessità di richiesta d'integrazione probatoria), sarà condotto nelle forme della cross examination ove vi sia una richiesta di parte (art. 422, comma 4). Con la sentenza Corte cost. n. 127 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Lecce, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono che, nel caso in cui il G.i.p. rigetti la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l'imputato possa tempestivamente, nella fase dedicata alle questioni preliminari, riproporre la richiesta di rito alternativo al giudice del dibattimento, e che questo possa sindacare la decisione del G.i.p. e ammettere il rito chiesto dall'imputato. La Corte ha inoltre ordinato la trasmissione degli atti del giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per gli eventuali provvedimenti di competenza, per aver il giudice procedente disposto la prosecuzione del giudizio a quo, nonostante la pendenza dell'incidente di costituzionalità. La Consulta ha ritenuto le questioni inammissibili, in ragione della erroneità delle premesse interpretative da cui ha mosso il rimettente, il quale lamenta una lacuna in realtà non sussistente, stante la perdurante operatività della sentenza n. 169 del 2003 in relazione alle disposizioni censurate, con la quale il giudice delle leggi aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 438, comma 6 «nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l'imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato». Con la medesima decisione, e in relazione ad analoga censura, era stato dichiarato illegittimo anche l'art. 458, comma 2, attribuendo così all'imputato, in sede di giudizio immediato, la facoltà di riproporre nelle fasi preliminari del dibattimento la richiesta di rito abbreviato già respinta dal G.i.p. Le leggi successive alla sentenza n. 169 del 2003, secondo i Giudici costituzionali, hanno introdotto soltanto “modificazioni aggiuntive” alle norme previgenti e dunque non possono essere interpretate come espressive di una volontà del legislatore di derogare al decisum della sentenza medesima. La pronuncia costituzionale del 2003 – ha ribadito la Corte – continua a spiegare i propri effetti anche dopo le modifiche apportate agli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, rispettivamente, dalla legge n. 33 del 2019 e dalla legge n. 103 del 2017. Con la sentenza, Corte cost. n. 208 del 2021, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a), L. 12 aprile 2019, n. 33, sollevata in riferimento all'art. 111, comma 2, Cost., dal G.u.p. del Tribunale ordinario di Rimini, là dove non prevede che l'imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo. Secondo il giudice rimettente, nel caso in cui il prevedibile esito del processo sia l'assoluzione dell'imputato per vizio totale di mente, la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in corte d'assise non avrebbe alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali, neppure funzionale alle esigenze difensive dell'imputato. Sulla scorta della sentenza n. 260 del 2020, la Corte ha ritenuto che rientra tra le scelte discrezionali del legislatore la previsione di una disciplina mirante a imporre in ogni caso, per i delitti più gravi puniti con l'ergastolo, lo svolgimento di un processo pubblico innanzi alla corte d'assise e non a un giudice monocratico, con la partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia (art. 102, comma 3, Cost.) e con le piene garanzie sia per l'imputato, sia per le vittime. Questa finalità ispiratrice della l. n. 33 del 2019 – secondo la Corte – non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l'imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile, perché non imputabile. La Consulta, pertanto, ha affermato come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità» (Corte cost. n. 260 del 2020), ferma restando la possibilità per la corte d'assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell'eventuale consenso dell'imputato all'acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento. Con l'ordinanza n. 214 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a), L. 12 aprile 2019, n. 33, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia, quanto meno nella parte in cui non consente all'imputato di un delitto astrattamente punibile con l'ergastolo di essere giudicato con rito abbreviato quando sia possibile ipotizzare, sulla base di dati certi relativi al fatto o alla persona dell'imputato, l'irrogazione di una pena diversa dall'ergastolo in caso di condanna. Sulla scorta della sentenza n. 260 del 2020, la Consulta ha ribadito che rientra tra le scelte discrezionali del legislatore la previsione di una disciplina che riconnette il divieto di giudizio abbreviato alla comminatoria astratta della pena dell'ergastolo. Nella pronuncia n. 260 del 2020 si era rimarcata, infatti, la non manifesta irragionevolezza e la non arbitrarietà della scelta legislativa di ancorare la preclusione del rito speciale alla pena edittale più grave prevista nel nostro ordinamento (v., in precedenza, ord. cost. n. 163 del 1992). In questa ordinanza, in particolare, la Corte ha ritenuto che la scelta legislativa censurata non può essere considerata manifestamente irragionevole o arbitraria nemmeno nell'ipotesi in cui la circostanza aggravante dalla quale dipende l'applicabilità dell'ergastolo sia ritenuta equivalente o soccombente rispetto a una circostanza attenuante, come il vizio parziale di mente, con conseguente irrogazione in concreto di una pena detentiva temporanea. Concorrenza tra rito condizionato e rito incondizionatoAltra questione rilevante è quella relativa alla proposizione, nell'ambito dello stesso procedimento, di richieste, per così dire cumulative, di giudizio abbreviato «semplice» da parte di alcuni imputati e di giudizio abbreviato «condizionato» da parte di altri. In questa ipotesi, si deve ritenere che il giudice non debba separare procedimenti proprio in vista del carattere unitario del giudizio abbreviato. Nondimeno, sebbene sia legittima la trattazione in un unico procedimento del rito abbreviato condizionato e di quello non condizionato richiesti da imputati diversi, il regime di assunzione e utilizzazione delle prove deve seguire le regole specifiche previste per ciascun rito, non potendo la disciplina del simultaneus processus modificare la disciplina imposta per legge per ogni singolo rapporto processuale: ne consegue che la parte giudicata con rito abbreviato incondizionato non ha diritto né a partecipare all'assunzione delle prove ammesse in via integrativa nel rito abbreviato condizionato né ad utilizzare (o, a subire) i risultati delle stesse. Da qui la necessità che il giudice selezioni per ciascuna parte le prove utilizzabili in base al rito prescelto da ognuna di essi (Cass. II, n. 1783/2025; Cass. IV, n. 7284/2009). Sulla base di tale premessa, la S.C. ha confermato la correttezza della decisione del giudice di merito il quale aveva dichiarato inutilizzabile, nei confronti dell'imputato che aveva promosso l'abbreviato non condizionato, la prova testimoniale richiesta dal coimputato ai sensi dell'art. 438, comma 5 (Cass. III, n. 4983/2008). Ad analoga soluzione si deve pervenire anche quando siano stati promossi riti diversi, come accade quando l'imputato abbia scelto il giudizio abbreviato e un altro il rito ordinario o un diverso procedimento speciale: in tale ipotesi, infatti, stante la diversità strutturale dei procedimenti, il giudice deve separare le relative posizioni processuali, che vanno definite con distinte sentenze. Conseguentemente, è abnorme la sentenza con la quale il giudice abbia deciso la posizione processuale di plurimi imputati che hanno scelto riti di diversa natura, accomunando riti e posizioni processuali in un unico provvedimento (Cass. VI, n. 45586/2001). La revoca della richiesta di giudizio abbreviatoIl codice prevede espressamente la facoltà dell'imputato di revocare la richiesta di giudizio abbreviato quando, all'esito dell'integrazione istruttoria, da lui stesso promossa o disposta d'ufficio del giudice, il P.m. abbia modificato l'imputazione. Ci si è chiesti se, al di fuori di tale ipotesi, l'imputato possa revocare la richiesta di accesso al rito speciale precedentemente formulata. Una parte della dottrina ritiene che l'istanza di ammissione al rito abbreviato sia revocabile dell'imputato fino a quando sull'istanza medesima non sia intervenuto il provvedimento del giudice. Si è sostenuto altresì che la volontà contraria deve essere manifestata nelle forme stabilite dall'art. 438, posto che se l'istanza di ammissione al rito ha natura di atto personalissimo, il medesimo carattere deve essere riconosciuto anche alla revoca. Tale soluzione trova conferma anche nell'orientamento prevalente della S.C. (cfr., Cass. I, n. 27578/2010). Si è altresì sostenuto che la richiesta dell'imputato, una volta manifestata, non sia più revocabile perché, dopo la sua formulazione, tutte le valutazioni inerenti a tale richiesta sono rimesse al giudice ed egli diviene arbitro dell'ammissibilità del giudizio abbreviato, sia che venga richiesto nella forma semplice che in quella condizionata (Cass. VI, n. 28355/2004; in senso contrario, Cass. VI, n. 22480/2013, secondo cui la richiesta di giudizio abbreviato è revocabile fino al provvedimento del giudice che lo dispone, con la conseguenza che è da ritenersi abnorme l'ordinanza con cui egli revoca l'ammissione al rito abbreviato, se pronunciata al di fuori delle eccezionali ipotesi di cui all'art. 441-bis). Un'ipotesi di revoca della richiesta riconosciuta dalla giurisprudenza si ha quando il P.m., prima che il giudice si sia pronunciato sull'istanza di ammissione al rito speciale abbia effettuato una modifica della contestazione ai sensi dell'art. 423: in siffatta ipotesi, infatti, l'eccezione di illegittimità della contestazione suppletiva non sarebbe fondata, poiché non essendo ancora intervenuto un formale provvedimento di ammissione al rito speciale, non è applicabile la disciplina di cui all'art. 441, comma 1, che espressamente esclude l'applicabilità dell'art. 423. Secondo la S.C., tuttavia, in siffatta ipotesi, si deve riconoscere all'imputato la facoltà di revocare la richiesta di rito abbreviato, in applicazione analogica dell'art. 441-bis (Cass. V, n. 13882/2012). Parte della dottrina ritiene che nell'abbreviato condizionato dovrebbe essere riconosciuto all'imputato potere di revocare la propria richiesta anche fuori dei limiti stabiliti dall'art. 441-bis, quando l'atto istruttorio richiesto non possa essere acquisito ovvero quando il terzo dichiarante, comparso davanti al giudice su richiesta dell'imputato, si sottragga al contraddittorio. Di opinione contraria è la giurisprudenza che afferma che l'ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria non sia revocabile nel caso in cui la condizione alla quale il rito è stato subordinato si riveli non realizzabile per circostanze imprevedibili e sopraggiunte, tra cui deve essere ricompreso anche il comportamento della parte che volontariamente ometta di effettuare gli adempimenti necessari all'integrazione probatoria cui aveva espressamente condizionato la scelta del rito (Cass. II, n. 43876/2014, nella quale si è ritenuto che alla intenzionale mancata citazione di un teste può essere attribuito, per fatti concludenti, il significato di rinuncia alla condizione dell'integrazione probatoria). La medesima giurisprudenza ritiene che all'imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato «secco», sia preclusa la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria deve essere equiparata al mancato rinnovo in limine litis, ai sensi dell'art. 438, comma 6, della richiesta, necessariamente rinunciata, di accesso al rito subordinata all'assunzione di prove integrative (Cass. II, n. 13368/2020). Non è abnorme la revoca dell'ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato disposta in ragione del dubbio sulla fonte di provenienza della relativa richiesta e sulla ritualità della procura speciale da parte dell'imputato (Cass. V, n. 1871/2022). Non è abnorme la revoca dell'ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato disposta in ragione del dubbio sulla fonte di provenienza della relativa richiesta e sulla ritualità della procura speciale da parte dell'imputato (Cass. V, n. 1871/2022). Il problema del coordinamento con la Convenzione europea dei diritti dell'uomoA seguito della modifica dell'art. 117 Cost. — l'architettura del sistema delle fonti prevede ora la Convenzione europea dei diritti dell'uomo come disciplina interposta (sul punto si ricordano le sentenze Corte cost. n. 348/2007 e Corte cost. n. 349/2007) che integra, appunto, il comma primo della citata disposizione. L'art. 46, § 1, CEDU fissa, poi, l'obbligo delle parti contraenti di conformarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo. Orbene, anche le soluzioni giurisprudenziali ora richiamate devono essere sottoposte alla “prova di resistenza” dell'art. 6 CEDU ed è notorio che spesso l'Italia si trovi ad essere condannata per “processo iniquo” dalla Corte EDU. Un caso esaminato dalla Corte sovranazionale potrebbe mettere in crisi la validità del ragionamento giurisprudenziale ora riportato (Corte Edu 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia). La Corte EDU — richiamando il precedente della causa Craxi contro Italia — ha affermato che la possibilità prevista dall'art. 512 non può privare l'imputato del diritto (riconosciuto dall'art. 6 § 3d) di esaminare o far esaminare in contraddittorio ogni elemento di prova sostanziale a carico. Come ha precisato la Corte di Strasburgo «nella presente causa, non è stato possibile procedere ad un confronto diretto tra il ricorrente ed il suo accusatore né durante il processo pubblico, né durante le indagini preliminari. In particolare, nel corso di queste ultime, le autorità giudiziarie interne hanno rigettato la domanda del ricorrente, volta ad ottenere la fissazione di una udienza ad hoc dinanzi al G.i.p., in presenza degli avvocati della difesa (incidente probatorio), al fine di interrogare la fonte d'accusa e di procedere ad una ricognizione personale. In seguito, il teste rientrava in Albania e si rendeva irreperibile. D'altronde, poiché la Convenzione impone di concedere all'imputato occasione adeguata e sufficiente di contestare una testimonianza a carico e di interrogarne l'autore, la Corte non può formulare a priori ipotesi sull'esito dell'eventuale confronto». In queste condizioni, la Corte EDU ha ritenuto che i giudici nazionali avessero basato la condanna del ricorrente esclusivamente o almeno in misura determinante sulle dichiarazioni rese dall'accusante prima del processo (si vedano, mutatis mutandis, Corte EDU Jerinò c. Italia; Corte EDU Bracci c. Italia, §§ 57 e 58; Corte EDU Majadallah c. Italia, cit.; a contrario, Corte EDU Carta c. Italia, n. 4548/02, 20 aprile 2006, § 52). Alla stregua di queste considerazioni, la Corte è giunta alla conclusione che il ricorrente non avesse beneficiato di un equo processo in violazione dell'art. 6 §§ 1 e 3 d) CEDU. Non sfugge l'influenza che sicuramente la peculiarità del caso può aver esercitato sulla sensibilità dei giudici della corte sovranazionale; tuttavia, il punto nodale è l'affermazione dell'ineludibilità della garanzia di un confronto diretto con la propria fonte d'accusa. Se, quindi, questo confronto venisse assunto come condizione per la richiesta di giudizio abbreviato, sorge quanto meno il dubbio che il principio enunciato dalle sezioni unite nella riportata sentenza del 2004 possa dirsi ancora invocabile. Invero, il principio generale affermato dalla corte di Strasburgo sembrerebbe destinato a prevalere nonostante la natura del rito e il consenso dell'imputato all'utilizzazione degli atti d'indagine; se così fosse, la richiesta di rinnovazione dell'esame della fonte d'accusa in contraddittorio ben difficilmente potrebbe essere rigettata perché ritenuta sostitutiva e non innovativa delle risultanze già utilizzabili per la decisione. La riforma CartabiaIl decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, di attuazione della l. 27 settembre 2021, n. 134 recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, con l'art. 24 ha introdotto modificazioni all'art. 438, innanzitutto con riferimento alla modifica delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad un supplemento istruttorio: si prevede, infatti, che detta forma di abbreviato possa essere ammessa se l'integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e se il procedimento speciale produce un'economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale. Ne consegue che, mentre rimane inalterato il primo presupposto per l'accesso al rito abbreviato condizionato (necessità del supplemento istruttorio ai fini della decisione), viene modificato il secondo presupposto, sostituendo il parametro della compatibilità “con le finalità di economia processuale proprie del rito” con il criterio, relativistico, che il rito speciale consenta di ottenere, per la giustizia, un risparmio dei tempi processuali rispetto a quelli occorrenti rispetto al giudizio ordinario. L'innovazione codifica un principio già affermato nel diritto vivente (Corte cost. sent. del 7 maggio 2001, n. 115) ove si era evidenziato che, ai fini della valutazione sulla compatibilità con le esigenze di economia processuale, il nuovo giudizio abbreviato “va posto a raffronto con l'ordinario giudizio dibattimentale, e non con il rito esclusivamente e rigorosamente limitato allo stato degli atti previsto dalla precedente disciplina”. E, nella medesima prospettiva, nella successiva pronuncia del Giudice delle leggi n. 169 del 2003 si era nuovamente evidenziato come non fosse “producente” il confronto tra il giudizio abbreviato puro, accompagnato dalla mera eventualità di integrazione probatoria disposta ex officio, ed il giudizio condizionato dalla richiesta dell'imputato di integrazione probatoria, e si era nuovamente ribadito che il giudizio abbreviato, anche con un'integrazione probatoria, realizza comunque un “minor dispendio di tempo e di energie processuali rispetto al procedimento ordinario”. Si prevede, inoltre, accanto al sindacato devoluto al giudice del dibattimento in ordine all'inammissibilità della richiesta proposta nell'udienza preliminare, attributiva del potere di riconoscere l'ammissibilità della richiesta anche all'esito del giudizio con conseguente riduzione di pena, la possibilità per l'imputato, la cui istanza in udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ovvero sia stata rigettata, di riproporre la stessa prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, con conseguente ammissione al rito abbreviato in ipotesi di accertata illegittimità della dichiarazione di inammissibilità ovvero di ingiustificato rigetto. Profili di diritto intertemporale In mancanza di diversa disposizione, trattandosi di norma processuale, si applica il principio del “tempus regit actum”. Senonché il richiamo a tale canone generale non basta all'interprete per risolvere la complessità delle problematiche che, con l'entrata in vigore della riforma, si ricollegano alla successione delle leggi processual-penali nel tempo. I principali problemi interpretativi derivano dalla connotazione del processo come fenomeno non istantaneo, ma destinato a svilupparsi nel tempo: che le modifiche debbano valere per tutto ciò che non è ancora “sorto”, ovvero “ha da venire” è indubbio; più problematico è, invece, comprendere se ed in quale misura lo ius novum incida su atti procedimentali o processuali già compiuti nella vigenza della vecchia regola, cosicché è l'”avvenire”, a volte, cosa difficile da separare dall'”avvenuto”, essendo il processo (e prima il procedimento) penale concatenazione di atti – e di fasi – tutti tra loro legati dal perseguimento di un unico fine, l'accertamento definitivo dei fatti. Nel caso in cui la nuova legge processuale penale non rechi alcuna previsione circa i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in vigore, non è dato riscontrare una lacuna nel sistema, poiché vale il principio generale di irretroattività sancito dall'art. 11 disp. prel. c.c., ai sensi del quale: “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tale disposizione può essere letta sotto due profili simmetrici: da un lato, sancisce l'efficacia immediata della nuova disciplina; dall'altro lato, ne prevede l'irretroattività. La norma succitata, riportata alla materia penal-processuale, è condensata – come noto – nel suddetto canone del “tempus regit actum”, formula decisiva ai fini del criterio regolatore del conflitto di diritto intertemporale che, tuttavia, non sempre è immediatamente “spendibile” ai fini pratico-operativi, essendo peraltro da sempre oggetto di accese discussioni dottrinarie circa la corretta definizione dei concetti di tempus e di actus. Variegate sono situazioni in fieri sulle quali può “incombere” una modifica legislativa (ius superveniens) non accompagnata da disposizioni transitorie, per ciascuna delle quali vi sono soluzioni più o meno desumibili dal principio tempus regit actum, per altre occorre ragionare in termini dubitativi e procedere per gradi per comprendere con certezza il tempus che regebat actum. Orbene, la corretta applicazione del parametro intertemporale espresso dal brocardo tempus regit actum impone l'esatta individuazione dell'actus, che va focalizzato e isolato, sì da cristallizzare la disciplina ad esso riferibile. Come ha affermato autorevole dottrina, intendendo per actum il singolo atto via via compiuto, il principio comporterebbe che, in tutti i processi ancora in corso, ai nuovi atti siano da applicare le nuove norme: subito, sempre e comunque. All'opposto, intendendo per actum il processo nel suo insieme, nel senso, cioè, che non si possono cambiare le regole del gioco finché il “gioco” non sia finito, il principio comporterebbe che ai vecchi processi ancora in corso si debbano continuare ad appplicare, fino all'epilogo, le norme del tempo in cui quei processi hanno avuto inizio. Basta enunciare l'una o l'altra versione per rendersi conto che, proprio per la loro drasticità, né l'una né l'altra può essere accettata, sicché esiste una gamma di soluzioni intermedie. Al riguardo la giurisprudenza ha statuito che “per actus non può intendersi l'intero processo, che è concatenazione di atti – e di fasi – tutti tra loro legati dal perseguimento del fine ultimo dell'accertamento definitivo dei fatti; una tale concatenazione comporterebbe la conseguenza che il processo continuerebbe ad essere regolato sempre e soltanto dalle norme vigenti al momento della sua instaurazione, il che contrasterebbe con l'immediata operatività del novum prescritta dall'art. 1, comma 1, prel. Il concetto deve essere rapportato, come precisato dalla dottrina, “allo stesso grado di atomizzazione che presentano le concrete e specifiche vicende disciplinate dalla norma procedurale coinvolta nella successione”. L'atto cioè va considerato nel suo porsi in termini di “autonomia” rispetto agli altri atti nello stesso processo” (così, Cass. S.U., n. 27614/2007). La regola del tempus regit actum non può tenere conto della variegata tipologia degli atti processuali e va modulata in relazione alla differente situazione sulla quale questi incidono e che occorre di volta in volta governare. Utile, al riguardo, è allora la tradizionale distinzione elaborata da risalente dottrina tra “atti processuali a carattere istantaneo” ed “atti processuali a carattere non istantaneo”: mentre per i primi non sorgono particolari difficoltà applicative circa l'operatività del principio tempus regit actum, per i secondi la questione si pone in termini più problematici visto che si ha a che fare con attività processuali che richiedono per il loro compimento un certo lasso di tempo ovvero che, seppur di esecuzione istantanea, comportano, a favore del soggetto che ha diritto di esercitarle, uno ius deliberandi entro termini più o meno lunghi. Tale distinzione in taluni casi è stata ripresa dalla giurisprudenza nomofilattica che, ai fini della successione di leggi processuali nel tempo, ha distinto tra due specie di atti: quelli che si esauriscono nel loro compimento e quelli che hanno carattere strumentale ripsetto ad una successiva attività del procedimento. Sulla base dell'impostazione proposta dalla dottrina circa l'annessa definizione di tempus, le situazioni processuali potrebbero essere così sintetizzate: a ) atti futuri, per i quali lo ius novum, in vigore dal 30 dicembre 2022; b ) atti già compiuti e istantanei, vale a dire i cui effetti si saranno già esauriti alla data del 29 dicembre 2022, per i quali vale la normativa previgente al momento in cui quegli atti sono stati compiuti; c ) atti in corso di compimento alla data di entrata in vigore della nuova disciplina; d ) atti compiuti ma non istantanei, con effetti non ancora esauriti. Queste ultime due situazioni appaiono più complesse poiché richiedono una specifica ponderazione tra quelle due contrapposte esigenze che nella successione di leggi nel tempo trovano il loro terreno elettivo di scontro: da un lato, l'immediata operatività delle nuove regole regole e, di conseguenza, delle ragioni che hanno improntato e determinato la novella legislativa; dall'altro lato, il rispetto e la salvaguardia per l'affidamento fatto dalle parti sugli atti compiuti nel vigore della vecchia normativa, unitamente al principio di conservazione di quegli atti. La scelta tra queste due opzioni non è mai neutrale; di volta in volta, la scelta operata dall'interprete in mancanza di norme transitorie ad hoc, può portare a far prevalere un interesse diverso. Va, tuttavia, segnalato, tra le prime applicazioni in sede di merito della riforma Cartabia in relazione al giudizio abbreviato, il provvedimento pronunciato dal Tribunale di Perugia in composizione monocratica in data 18 gennaio 2023. In quella sede, la difesa dell'imputato depositava istanza con la quale veniva fatta richiesta di rimessione nel termine per presentare giudizio abbreviato a seguito delle modifiche intervenute con l'entrata in vigore del d.lgs. 150/2022. La difesa motivava l'istanza ritenendo la norma di carattere sostanziale, con conseguente applicazione del principio di retroattività favorevole ex art. 2, comma 2, c.p. Il Tribunale ha ritenuto che la questione sottoposta al suo esame debba essere risolta nel solco di precedenti arresti di legittimità che, rispetto ad analoghi mutamenti in melius degli effetti connessi alla scelta del rito abbreviato, hanno applicato il principio per cui il regime premiale sancito dall'art. 442, pur avendo carattere processuale, ha tuttavia effetti sostanziali in quanto comporta un trattamento sanzionatorio più favorevole (cfr., Cass. IV, n. 12881/2019; Cass. IV, n. 832/2018). In quel contesto, è stato peraltro ricordato come l'art. 442, comma 2, determinando effetti sostanziali, deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7, p. 1, CEDU, cosi come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell'art. 25, comma 2, Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa, precisandosi, altresì che, sebbene l'art. 442 si inserisca nell'ambito della disciplina processuale e non di quella sostanziale e preveda, in modo peculiare, un più favorevole trattamento penale in considerazione di una condotta dell'imputato successiva al reato, da un lato, la diminuzione o sostituzione della pena è senz'altro un aspetto sostanziale, che ricade, dunque, nell'ambito applicativo dell'art. 25, comma 2, Cost., sicché ne consegue che i profili processuali sono intimamente ed inscindibilmente connessi a quelli sostanziali. Tali principi, nonostante il contrario avviso del P.m. (non esplicitate nel verbale d'udienza ma verosimilmente desumibili dal fatto che la prima udienza dibattimentale durante la quale erano state formulate le richieste istruttorie era già stata celebrata il giorno 15 giugno 2022 e il difensore dell'imputato aveva presentato una lista testi ritenuta inammissibile in quanto tardiva), sono stati ritenuti dal Tribunale applicabili anche in relazione al neo-introdotto art. 442, comma 2-bis, in quanto la norma, pur collegando l'effetto di favore alla mancata impugnazione della sentenza emessa a seguito del rito, si connette comunque a una scelta processuale dell'imputato avente ricadute sostanziali sulla pena irrogata: da qui l'accoglimento dell'istanza di restituzione nei termini per proporre richiesta di rito alternativo. Pare dunque potersi affermare che il Tribunale di Perugia, per motivi “sostanziali”, abbia voluto “anticipare” alla fase del “merito” quella in cui è possibile fare applicazione della riduzione di pena previsa dal comma 2-bis all'art. 442 espressamente riservata dal legislatore della Riforma a quella dell'“esecuzione”. CasisticaNel caso in cui il procedimento venga definito nelle forme del giudizio abbreviato, il risarcimento del danno ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. deve avere luogo prima dell'inizio della discussione (Cass. III, n. 10490/2014). È legittimo il rigetto di richiesta di accesso al rito abbreviato condizionata all'esame di un collaboratore di giustizia, la cui audizione, debba riferirsi ad una quantità rilevante di vicende coinvolgenti una pluralità di soggetti, in quanto l'integrazione probatoria demandata è tale da rendere il giudizio incompatibile con le esigenze di economia processuale proprie del procedimento speciale (Cass. III, n. 6175/2015). Nel giudizio abbreviato, ove si riconosca l'esistenza del vincolo della continuazione fra il reato per cui si procede ed altro reato ritenuto più grave e precedentemente giudicato anch'esso con rito abbreviato, il giudice deve applicare la riduzione di pena ex art. 442 sull'aumento di pena determinato ai sensi dell'art. 81 c.p. per il reato «satellite», fornendo esplicita indicazione delle modalità di calcolo seguite per operare tale aumento (Cass. V, n. 45505/2014). Ai fini della decisione del giudizio abbreviato, la querela può essere utilizzata come mezzo di prova anche in relazione al suo contenuto, in quanto la scelta dell'imputato di procedere con tale rito alternativo rende utilizzabili tutti gli atti, legalmente compiuti o formati, che siano stati acquisiti al fascicolo del P.m. (Cass. V, n. 46473/2014). Ai fini della decisione del giudizio abbreviato, il giudice può legittimamente servirsi dei verbali di sommarie informazioni testimoniali che riferiscono fatti appresi da altre fonti, nonché delle trascrizioni e delle registrazioni effettuate direttamente dal denunciante in relazione ai contatti telefonici ed al contenuto di “sms” intercorsi con l'imputato, in quanto la scelta di quest'ultimo di procedere con tale rito alternativo rende utilizzabili tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del P.m. (Cass. II, n. 9103/2021, ove si precisa che l'utilizzo per la decisione degli sms trascritti dalla persona offesa e richiamati nella sua deposizione non appare soggetto ad alcuna sanzione processuale e può concorrere a formare il libero convincimento del giudice, avendo sostanzialmente lo stesso peso della prova dichiarativa, resa in forma indiretta; e, la provenienza diretta di detti elementi dalla parte denunciante, non significa illegittimità della loro inclusione nel fascicolo del P.m.). L'estromissione del responsabile civile nel giudizio abbreviato consegue direttamente all'accoglimento della richiesta di instaurazione del rito alternativo, anche in assenza di un apposito provvedimento del giudice che la dichiari (Cass. II, n. 44571/2014). In tema di reato permanente, l'imputazione di associazione di tipo mafioso, exart. 416-bis c.p., limitata temporalmente con l'espressione “fino a data odierna” si estende fino alla data del decreto che dispone il giudizio e, ove questo manchi, trattandosi di rito abbreviato, fino alla data della richiesta di rinvio a giudizio (Cass. V, n. 21294/2014). È illegittima la decisione del giudice che, al termine del giudizio di primo grado o del successivo giudizio di impugnazione, espressamente richiesto dall'imputato, neghi la riduzione della pena derivante dalla mancata instaurazione del rito abbreviato condizionato all'espletamento di una perizia finalizzata all'accertamento dell'incapacità di intendere e di volere, laddove quello stesso giudice, sulla base degli elementi di prova utilizzabili, riconosca in sentenza la configurabilità del vizio parziale di mente (Cass. VI, n. 17687/2014). L'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi sulla scelta da parte dell'imputato di definire il processo nelle forme del rito abbreviato, che implica «ex lege» l'applicazione di una predeterminata riduzione della pena, poiché in caso contrario la stessa circostanza comporterebbe due distinte determinazioni favorevoli all'imputato (Cass. II, n. 24312/2014). Anche a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 32/2014, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull'assistenza linguistica, la omessa traduzione in una lingua nota all'imputato delle dichiarazioni rese da una persona informata sui fatti determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, non deducibile nel giudizio abbreviato quando l'imputato abbia chiesto la definizione del processo nelle forme di rito speciale consapevolmente astenendosi dal formulare eccezioni (Cass. II, n. 18781/2014). Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili, anche contro chi le rende, le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da soggetto che non ha ancora assunto la qualità di indagato (Cass. IV, n. 5619/2014). In sede di giudizio abbreviato, il giudice può valutare le trascrizioni sommarie compiute dalla polizia giudiziaria sul contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, essendo utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del P.m. (Cass. V, n. 20005/2013). In tema di ricusazione, non può ravvisarsi una indebita manifestazione del convincimento del giudice nel caso in cui il G.u.p. – chiamato a decidere su una richiesta di giudizio abbreviato condizionato – abbia ritenuto l'esaustività del compendio probatorio già acquisito e la superfluità della chiesta integrazione probatoria (Cass. II, n. 46066/2012, nella specie, si trattava dell'ammissione di una consulenza tecnica). Nella ipotesi di integrazione probatoria officiosa, la facoltà del P.m. di effettuare nuova contestazione della recidiva è limitata alle nuove acquisizioni e non può, pertanto, basarsi su dati preesistenti alla integrazione promossa dal giudice (Cass. I, n. 9400/2013). Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili le relazioni di servizio redatte da ufficiali di polizia giudiziaria che riportino il contenuto di informazioni apprese da colleghi stranieri nel corso di colloqui con finalità investigative (Cass. VI, n. 115/2013). La richiesta di giudizio abbreviato condizionato non esonera la parte instante dal rispetto dei termini previsti per il caso in cui, a seguito di rigetto della stessa, sia necessario procedere al giudizio ordinario (Cass. II, n. 25307/2012). Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato nei confronti dei chiamati in reità o in correità(Cass. VI, n. 21265/2012). La domanda dell'imputato di definizione del processo con il rito abbreviato, subordinata alla audizione di un chiamante in correità, non fa venir meno, qualora costui si sia avvalso della facoltà di non rispondere, l'utilizzabilità delle dichiarazioni precedentemente da lui rese nel corso delle indagini preliminari (Cass. VI, n. 13184/2012). Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, anche se inserite in un verbale di perquisizione o sequestro e non in un altro autonomo verbale (Cass. VI, n. 8675/2012). Nel giudizio abbreviato è utilizzabile la trascrizione/ traduzione di intercettazioni di conversazioni (nella specie, «ambientali») depositata successivamente all'ammissione, ma prima del giudizio, poiché la prova processualmente utilizzabile è costituita dai nastri registrati, non già dalla loro trascrizione, che costituisce operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto della prova già acquisita attraverso la registrazione fonica; d'altro canto, anche l'attività di traduzione non presenta carattere additivo o manipolativo rispetto alla fonte probatoria originaria (Cass. II, n. 4243/2012). È utilizzabile nel giudizio abbreviato l'annotazione di polizia giudiziaria nella quale si riporta il contenuto delle dichiarazioni rese agli operanti in via confidenziale dalla persona offesa che non ha voluto verbalizzarle, costituendo la stessa atto di indagine alla quale la scelta dell'imputato di accedere al rito alternativo ha attribuito valenza probatoria e non essendo operante nel medesimo rito il divieto di testimonianza indiretta dell'ufficiale e dell'agente di polizia giudiziaria dettato esclusivamente in relazione alla deposizione dibattimentale degli stessi (Cass. V, n. 8376/2014). Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria da soggetto che non abbia ancora formalmente assunto la qualità di indagato (Cass. V, n. 6346/2014). In tema di intercettazioni, la situazione di obiettiva incertezza sul luogo di effettivo svolgimento delle operazioni di registrazione, nonché sugli impianti concretamente utilizzati, integra gli estremi della inutilizzabilità patologica deducibile dall'imputato nel giudizio abbreviato (Cass. III, n. 40209/2014, in fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto inutilizzabili talune intercettazioni in relazione alle quali risultava la mancanza dei verbali di inizio delle operazioni ed il contrasto tra i verbali di chiusura delle medesime operazioni, nei quali si dava atto della avvenuta registrazione delle conversazioni presso la caserma dei Carabinieri, e la certificazione del funzionario responsabile nella quale si attestava che le attività di captazione erano state eseguite presso la Procura della Repubblica). L'imputato ha diritto di accedere al giudizio abbreviato quando chieda il rinvio per produrre documentazione a suo favore e l'Agenzia delle entrate ritardi la consegna della predetta documentazione (Cass. III, n. 37100/2015). Esiste contrasto di giurisprudenza sulla compatibilità o meno dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova con la richiesta di giudizio abbreviato. Alla tesi dell'alternatività dell'istanza di sospensione rispetto alla richiesta di rito abbreviato, con conseguente tardività della prima qualora la stessa sia presentata dopo la formalizzazione della seconda e segnatamente al momento dell'udienza fissata per la discussione conseguente all'avvenuta ammissione al rito (Cass. V, n. 9398/2018; nello stesso sostanziale senso, Cass. II, n. 36672/2017, secondo cui l'istanza di sospensione del procedimento per messa alla prova è incompatibile con la richiesta di giudizio abbreviato, in quanto entrambe le istanze, rimesse alla libera volontà dell'imputato, sono soggette ai medesimi sbarramenti temporali, che, per la messa alla prova, sono indicati dall'art. 464-bis, comma 2), si contrappone altra tesi che riconosce la compatibilità tra i due riti ed ammette la proponibilità dell'istanza di sospensione del processo con messa alla prova anche nel giudizio abbreviato, con la conseguenza che, nell'ipotesi di rigetto della prima, il processo debba proseguire nelle forme del rito speciale in ossequio al principio costituzionale di ragionevole durata dei processi che favorisce l'accesso a modalità alternative di definizione dei procedimenti che riducono i tempi processuali di trattazione rispetto alle forme ordinarie (Cass. V, n. 2736/2020). L'omesso deposito di atti d'indagine preliminare contestualmente alla notifica dell'avviso di cui all'art. 415-bis, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio – e non una inutilizzabilità – che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 (Cass. II, n. 20125/2018, in cui si da atto del contrasto giurisprudenziale esistente: a favore dell'inutilizzabilità degli atti stessi ma non della nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto dispositivo, v. Cass. IV, n. 7597/2014). Nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, le parti non possono far valere il diritto alla rinnovazione dell'istruzione per l'assunzione di prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, spettando in ogni caso al giudice la valutazione in ordine all'assoluta necessità della loro acquisizione (Cass. VI, n. 37901/2019). I riconoscimenti di persona effettuati durante le indagini di polizia, così come quelli informali dell'imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono accertamenti in fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice. È frequente l'ipotesi in cui una prima individuazione (spesso fotografica, a breve distanza dal fatto) sia seguita da un successivo riconoscimento effettuato sempre nelle indagini, confermativo del primo esito e che i relativi verbali confluiscano nella piattaforma probatoria utilizzabile ai fini del giudizio abbreviato. Diversa, ed astrattamente problematica, è l'ipotesi in cui, ad una prima individuazione fotografica di carattere positivo svolta nelle indagini, segua un'altra individuazione o una ricognizione come atto tipico (magari disposta in sede di incidente probatorio) di segno negativo, ed il successivo giudizio venga celebrato con giudizio abbreviato. In una fattispecie del genere, non si determina alcuna prevalenza dell'atto tipico su quello atipico, dovendo entrambi gli atti soggiacere alle regole ordinarie di valutazione probatoria; e la medesima conclusione vale anche nel caso in cui la ricognizione di persona venga effettuata in sede di giudizio abbreviato condizionato, stante il carattere integrativo e non sostitutivo che l'art. 438, comma 5 attribuisce all'attività istruttoria nel contraddittorio delle parti (Cass. II, n. 11964/2021). Nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento con le forme del rito abbreviato del giudizio di primo grado, è consentito al giudice disporre "ex officio", ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p., i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti costituenti oggetto di decisione, potendo le parti solo sollecitare i poteri suppletivi di iniziativa probatoria allo stesso spettanti (Cass. II, n. 30776/2023). L'omessa pronuncia da parte del G.i.p. sulla richiesta di ammissione al rito abbreviato, ritualmente e tempestivamente presentata dall'imputato a seguito della notificazione del decreto di giudizio immediato, equivale ad un'ordinanza di rigetto, di guisa che, in caso di mancata riproposizione della richiesta al giudice del dibattimento in “limine litis”, ricorre un'ipotesi di sanatoria della nullità di ordine generale a regime intermedio venutasi a determinare (Cass. I, n. 15131/2021). Nel caso di riunione di più procedimenti nei confronti di imputati ammessi, in tempi diversi, al giudizio abbreviato, il giudice, ai fini della decisione, deve tener distinto “lo stato degli atti” per ciascuno di essi al momento della rispettiva ammissione al rito speciale (Cass. I, n. 14230/2022). Le modifiche introdotte dal “collegato Cartabia”Il d.lgs. n. 31/2024, c.d. “collegato Cartabia”, interpolando, il comma 5 dell'art. 438, ha mutato il parametro di giudizio per l'ammissione al rito abbreviato condizionato ancorandolo alla valutazione complessiva della situazione in fatto, giudizio, pertanto, non più legato solo ai tempi processuali di prevedibile durata dell'istruzione dibattimentale. In altre parole, il rito abbreviato può ora essere ammesso laddove l'integrazione probatoria oggetto del condizionamento, oltre ad essere necessaria ai fini della decisione, realizzi anche una economia processuale da rapportarsi all'istruttoria dibattimentale, come complessivamente considerata. La modifica è intesa ad assicurare “maggiore effettività all'istituto” (v. Rel. illustrativa al d.lgs. n. 31/2024, par. 2.6, pag. 27), ossia ad ampliarne i confini di applicabilità, rendendo più ampio l'oggetto della valutazione, nel senso che d'ora in poi il giudice dovrà valutare il profilo dell'economia processuale della scelta del rito rispetto alla maggiore complessità del dibattimento, e non solo, dunque, rispetto ai prevedibili tempi dell'istruzione. Appare, pertanto, venuta meno la necessità di una valutazione di prevedibilità dell'istruzione, nel senso che si ritiene sufficiente che il giudizio abbreviato, nonostante l'integrazione probatoria, realizzi un'economia processuale rispetto all'istruzione probatoria del dibattimento; in questo senso, anche l'odierna riscrittura normativa si sarebbe riallineata al dictum della Corte costituzionale (sent. n. 115 del 2001), che aveva già chiarito come, rispetto al dibattimento, il risparmio di tempo v'è sempre perché l'istruttoria è integrativa e non sostitutiva degli atti di indagine e poiché le prove sono assunte nelle forme semplificate dell'art. 422. Peraltro, non si è mancato di far notare che, quello della maggiore complessità del dibattimento, o si assume come un tratto costante legato all'assunzione di tutte le prove nel contraddittorio, e allora diviene un dato indefettibile del dibattimento, o resta una nozione indeterminata nella sua portata selettiva, tant'è che taluno ha escluso che il nuovo parametro di accesso presenti una particolare capacità di incentivare l'accesso al rito alternativo, valendo solo a ribadire che il criterio effettivo di ammissione del rito abbreviato ‘condizionato' è solo quello rappresentato dalla necessità della prova ai fini del decidere, costituente finora il secondo presupposto. In senso decisamente più critico sulla novella in disamina si è espresso il C.S.M. secondo il quale, se, ora, “il parametro di riferimento è rappresentato dalla istruzione dibattimentale e non più dalla sua «prevedibile durata », sembrerebbe scontata, almeno sotto questo profilo, l'ammissione al rito abbreviato, atteso che anche un'integrazione probatoria assai complessa, laddove assistita dal requisito della sua necessità «ai fini del decidere» – impedendo lo svolgersi di una ulteriore fase processuale, appunto quella dibattimentale –, risulterebbe sempre idonea a determinare una economia processuale”. Al riguardo, si è, in particolare, affermato che tale lettura, ove accolta dalla futura giurisprudenza e non accompagnata da una rigorosa valutazione in punto di necessità dell'integrazione probatoria, “avrebbe verosimilmente l'effetto di rendere scontata l'ammissione del rito abbreviato” – ha avvertito il C.S.M. – realizzando così l'obiettivo deflattivo perseguito dal legislatore delegato, “ma al contempo potrebbe determinare un non irrilevante aggravio della fase dell'udienza preliminare (e di quella pre-dibattimentale), sulla quale finirebbero per confluire le medesime attività processuali proprie della fase dibattimentale. Ciò imporrebbe presumibilmente anche la necessità di ripensare l'attuale ripartizione delle risorse di organico all'interno degli uffici giudicanti”. Il C.S.M. ha, inoltre, rilevato che “la disciplina introdotta sembra discostarsi significativamente dal principio di delega” poiché l'art. 1, comma 10, legge n. 134 del 2021 chiamava il legislatore delegato a modificare le condizioni per l'accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato condizionato al ricorrere del duplice presupposto rappresentato da una integrazione «necessaria ai fini della decisione» e da un'economia processuale valutata «in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale »: l'odierna soppressione, nel precludere una valutazione in concreto della durata “prevedibile” della predetta istruttoria, “appare non esattamente sovrapponibile rispetto alla formulazione dal principio di delega, la quale richiamava, appunto, la valutazione anche dei “tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale”. BibliografiaAngeletti, Il giudizio abbreviato riformato, Torino, 2005; Bonetti, Il giudizio abbreviato, in Pisani (a cura di), I procedimenti speciali in materia penale, Milano, 2003; Bassi, Le modifiche in tema di abbreviato, in Parodi (a cura di), Riforma Orlando: tutte le novità, Milano, 2017, 63; Bricchetti, Abbreviato: sconto anche d’ufficio se la sentenza non viene impugnata, in Guida al diritto, 2024, n. 13, 99 e ss.; Caraceni, La legge 103/2017 e i significativi ritocchi alla disciplina del giudizio abbreviato, in La legislazione penale, fondata da Chiavario e Padovani, 19.02.2018; Costantini, Il giudizio abbreviato, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da Chiavario e Marzaduri, Riti camerali e speciali, coordinato da Nosengo, Torino, 2006; Giarda - Varraso, L’aggiornamento del giudizio abbreviato, in Baccari - Bonzano - La Regina - Mancuso, Le recenti riforme in materia penale, Padova, 294; Leo, Con l'intervento delle Sezioni Unite evitati nuovi incidenti di costituzionalità, in Guida dir. 2004, n. 49, 85; Lozzi, Il giudizio abbreviato, in Riv. it. dir. proc. pen. 2000, 449; Lupo, Il giudizio abbreviato, in Cass. pen. 1989, 1857; Maffeo, Il giudizio abbreviato, in Le recenti modifiche al codice di procedura penale. Le innovazioni in tema di riti alternativi, (a cura di) Normando, (a cura di), Milano, 2000; Marandola; Il giudizio abbreviato, in Studium iuris 2000, 1332; Potetti, Mutazioni del giudizio abbreviato, in Cass. pen. 2001, 331; Russo, Sulla richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, in Giust. pen. 2206, III, 146; Siracusano, La completezza delle indagini nel processo penale, Torino, 2005; Velani, Sindacabile in dibattimento la decisione del giudice che in precedenza abbia rigettato l'istanza di giudizio abbreviato subordinato all'integrazione probatoria, in Giur. cost. 2003, 3134; Zappalà, I procedimenti speciali, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, Diritto processuale penale, II, Milano, 2006. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sistema penale, 15 ottobre 2021; Varraso, La “legge Cartabia” e l’apporto dei procedimenti speciali al recupero dell’efficienza processuale, in Sistema penale, 2/2022, 29 e ss.; Conte, L’immediatezza nella riforma Cartabia, in Giur. pen. web, 2022, 6; Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Politica del diritto, 4/2021, 591 e ss.; Bassi, I riti speciali nella riforma Cartabia: un’occasione mancata ?, in Il Penalista, 25 ottobre 2021; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 60/2021, 3 novembre 2021; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 68/2022, 7 novembre 2022; Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della Riforma Cartabia, in Sistema penale, 2 novembre 2022; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 2/2023, 5 gennaio 2023; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 15/2024, 16 aprile 2024. |