Codice di Procedura Penale art. 441 - Svolgimento del giudizio abbreviato 1 .Svolgimento del giudizio abbreviato 1. 1. Nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423. 2. La costituzione di parte civile [76], intervenuta dopo la conoscenza dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato [440] equivale ad accettazione del rito abbreviato. 3. Il giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio; il giudice dispone che il giudizio si svolga in pubblica udienza quando ne fanno richiesta tutti gli imputati. 4. Se la parte civile non accetta il rito abbreviato, non si applica la disposizione di cui all'articolo 75, comma 3. 5. Quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione. Resta salva in tale caso l'applicabilità dell'articolo 423 [441-bis]. 6. All'assunzione delle prove di cui al comma 5 del presente articolo e all'articolo 438, comma 5, si procede nelle forme previste dall'articolo 422, commi 2, 3 e 4. Le prove dichiarative sono documentate nelle forme previste dall'articolo 5102.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 29 l. 16 dicembre 1999, n. 479. [2] Comma così modificato dall'art. 24, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che, dopo il primo periodo, ha aggiunto il periodo: «Le prove dichiarative sono documentate nelle forme previste dall'articolo 510.» InquadramentoL'art. 441 disciplina lo svolgimento del giudizio abbreviato operando un generale richiamo alle disposizioni che governano l'udienza preliminare. Da segnalare, rispetto alla previsione dell'art. 422, comma 1, vigente per l'ordinaria udienza preliminare, come la dimensione inquisitoria risulti dilatata nella sua finalità totalizzante anche se non possa ritenersi infinita e sganciata, nella sostanza, da qualsivoglia parametro: infatti, sebbene il novero dei mezzi possibili sia aperto, la funzionalità alla decisione impone un self-restraint ineludibile, da chiarirsi in via interpretativa, per evitare fughe attuative ingiustificate ed incontrollabili. Il giudice competenteLa competenza funzionale e per territorio L'attività giurisdizionale esercitata dal giudice chiamato a decidere è riconducibile alla nozione di competenza funzionale (Cass. I, n. 43451/2004). Si tratta di un criterio di riparto della giurisdizione non contemplato espressamente dal codice, ma riconosciuto da dottrina e da giurisprudenza, che la definiscono come la competenza a celebrare determinati procedimenti, o a gestire determinate fasi o gradi del giudizio ovvero a compiere specifici atti del processo. Se l'azione penale è stata esercitata nei modi ordinari, sulla richiesta di giudizio abbreviato decide il G.u.p., che deve essere un giudice persona fisica diverso da quello che ha svolto le funzioni di G.i.p. (art. 34, comma 2-bis). Nel procedimento promosso con decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo è competente il giudice del dibattimento. Con riferimento al giudizio immediato e nel procedimento per decreto, il giudice funzionalmente competente è il G.i.p.: anche in questi casi, persona fisica diversa dal giudice che ha emesso il decreto di giudizio immediato e il decreto penale di condanna. La violazione delle disposizioni concernenti la competenza funzionale è sanzionata con la nullità assoluta ed insanabile della sentenza (fattispecie che si verifica quando il P.m. chiede al G.i.p. l'emissione del decreto di giudizio immediato per un reato per il quale si deve procedere con citazione diretta a giudizio: cfr., Cass. IV, n. 41073/2010). La competenza per territorio I rapporti tra rito abbreviato e competenza per territorio sono stati oggetto di contrasti giurisprudenziali oggi – almeno in parte – superati. Secondo un primo indirizzo, con la richiesta di giudizio abbreviato, l'imputato rinuncia a far valere l'eccezione di incompetenza, in ragione degli effetti abdicativi che tale opzione produce (Cass. I, n. 10399/2010; Cass. I, n. 38388/2009). Talora l'esclusione della rilevanza della questione di competenza è desunta dalla mancanza di una fase dedicata alla trattazione e alla risoluzione delle questioni preliminari (Cass. VI, n. 45868/2011; Cass. V, n. 7025/2011; Cass. V, n. 3035/2011). Pertanto, una volta richiesto ed ammesso il giudizio abbreviato, l'eccezione relativa all'incompetenza territoriale, in quanto suscettibile di rinuncia, non è più ammissibile, anche se in precedenza già proposta e decisa in senso negativo (Cass. I, n. 22750/2009; Cass. I, n. 37623/2008; Cass. VI, n. 4125/2006). Altro orientamento sostiene invece che la richiesta di giudizio abbreviato non può assumere il significato di una rinuncia tacita a far valere le eccezioni di rito, ivi compresa l'incompetenza per territorio. Al fine di evitare decadenze, si è peraltro precisato che l'interessato deve eccepire l'incompetenza per territorio sia nel corso dell'udienza preliminare che dopo l'ammissione al rito speciale. Se, infatti, la richiesta di giudizio abbreviato non comporta la rinuncia tacita a far valere detto vizio, tuttavia essa on fa venir meno l'onere della parte di riproporre l'eccezione ai sensi dell'art. 491 (cfr., Cass. II, n. 39756/2011; Cass. I, n. 34686/2011). A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 27996/2012) che hanno aderito al secondo orientamento. Osserva la S.C. come la richiesta di giudizio abbreviato non può assumere il significato di una rinuncia all'eccezione di incompetenza con effetto sanante ai sensi dell'art. 183 lett. a), quando l'imputato abbia proposto e reiterato l'incidente di competenza nel rispetto delle cadenze processuali. A tal fine, la S.C. distingue tra l'abbreviato tipico (che si innesta nell'ambito dell'udienza preliminare) e quello atipico (quest'ultimo è il rito speciale chiesto a seguito dell'emissione di decreto di giudizio immediato o di decreto penale di condanna). Nel primo caso, è necessario che l'imputato eccepisca il difetto di competenza nel corso dell'udienza preliminare e che reiteri tale eccezione dopo l'ammissione al rito speciale; nel secondo caso, l'imputato, dopo aver formulato la richiesta di giudizio abbreviato, potrà sollevare la questione di competenza dopo la formale ammissione al rito e in esordio all'udienza destinata alla trattazione del procedimento. La S.C. non ha preso in considerazione l'ipotesi in cui l'istanza di abbreviato sia presentata per la prima volta davanti al giudice del dibattimento, come accade nel giudizio direttissimo o nel rito a citazione diretta. Si deve ritenere che in siffatte ipotesi, la presenza di una disposizione che espressamente indica il momento processuale nel quale formulare l'eccezione di incompetenza (art. 491), imponga una soluzione analoga a quella prevista per l'udienza preliminare: sarà pertanto onere della difesa eccepire l'incompetenza in sede di questioni preliminari e, in caso di rigetto, riproporre la questione dopo l'ammissione al giudizio abbreviato. In tale scenario, come si è detto, è intervenuta la l. n. 103/2017, la quale, in parziale controtendenza con la conclusione con cui erano giunte le Sezioni Unite, ha stabilito che la richiesta di rito abbreviato impedisca la proposizione di ogni questione sulla competenza territoriale del giudice. Il legislatore ha ritenuto, quindi, di valorizzare l’effetto abdicativo della richiesta di rito alternativo introducendo una preclusione di carattere assoluto: con tale richiesta, infatti, l’imputato rinunzia al proprio diritto di contestare la competenza territoriale del giudice non solo per la prima volta, come già ritenuto unanimemente in giurisprudenza, ma anche di riproporre la medesima eccezione precedentemente respinta (in udienza preliminare o in limine al dibattimento). La preclusione in questione si configura, inoltre, come generale: il diritto di sollevare l’incidenza di competenza territoriale è sempre inibito, con l’unica eccezione dell’ipotesi di abbreviato richiesto a seguito di giudizio immediato. L’assolutezza della preclusione, secondo taluni, impedirebbe anche il possibile sindacato sulla questione attraverso i giudizi di impugnazione, che non potrebbero avere ad oggetto un tema precluso e non oggetto di discussione nel processo di primo grado: la tesi dominante, tuttavia, propende per l’impugnabilità delle ordinanze di rigetto in materia di competenza emesse prima dell’ammissione al rito speciale, quanto meno con riferimento alle ipotesi di abbreviato instaurato in sede dibattimentale, in ottemperanza al dettato di cui all’art. 586, comma 1. L'immutabilità del giudice Secondo il più recente insegnamento della S.C. (Cass. S.U., n. 41736/2019), il principio d’immutabilità del giudice previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, impone che il giudice che provvede alla deberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati. La “portata” della pronuncia travalica gli ambiti del dibattimento ben potendosi estendere al rito abbreviato: invero, con riferimento all’attività istruttoria svolta da precedente “altro” giudice nell’abbreviato condizionato (nessun problema si pone con riguardo all’abbreviato incondizionato, mancando un’attività istruttoria se non quella ipotetica di integrazione ufficiosa), in caso di sostituzione del giudice, il sostituto dovrà procedere all’integrale (o parziale) rinnovazione della stessa, salva la facoltà delle parti di prestare il consenso all’utilizzabilità (totale o parziale) del materiale probatorio acquisito in precedenza. Nel caso di rinnovazione, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite, la parte che intenda chiedere il nuovo esame, dinanzi al giudice subentrato, di un testimone già esaminato dal precedente giudice, sarà gravata dell’onere di chiedere formalmente il nuovo esame del teste ed indicare le circostanze decisive in ordine alle quali la nuova audizione del teste dovrebbe avere luogo: di tal che, risultano conseguentemente legittime sia la mancata rinnovazione dell’esame, in difetto di una richiesta di parte, sia la mancata ammissione della richiesta di rinnovazione dell’esame formulata senza indicare le circostanze decisive in ordine alle quali il nuovo esame dovrebbe avere luogo, ovvero quando le circostanze indicate siano dal giudice ritenute prive di concreto rilievo e, conseguentemente, la rinnovazione dell’esame risulti manifestamente superflua: principi enunciati con riferimento al rito ordinario dibattimentale pienamente estensibili anche al rito speciale de quo. Discussa è invece l'ipotesi in cui il giudice, successivamente mutato, si sia limitato ad ammettere la richiesta di rito abbreviato condizionato senza compiere alcuna attività istruttoria: secondo un primo orientamento prevalente in giurisprudenza, in questo caso, non si determinerebbe alcuna violazione del principio di immutabilità (Cass. III, n. 41527/2017, secondo cui, con il mutamento della persona fisica del giudice per la successiva udienza di celebrazione del rito, non è necessario richiedere al difensore dell'imputato il consenso all'utilizzo degli atti già presenti nel fascicolo processuale: consenso che si giustifica solo in caso in prove che devono formarsi nel corso del dibattimento, in ragione dell'esigenza di salvaguardare il principio di immediatezza dell'assunzione della prova dibattimentale da parte del giudicante, non essendo invece necessario in caso di prove precostituite dove, al contrario, tale adempimento confliggerebbe con il principio di ragionevole durata del processo); secondo altro orientamento, prevalente in dottrina, vi sarebbe — al contrario — violazione del principio atteso che al giudice subentrante deve comunque essere riconosciuta un'ampia autonomia decisionale, comprendente anche la valutazione preliminare di ammissibilità del rito, non potendo il nuovo giudice essere vincolato alla decisione di chi lo ha preceduto. Quest'ultima tesi, trova conforto in una pronuncia della Corte costituzionale (Corte cost. n. 484/1985) la quale, chiamata a scrutinare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 441, comma 1, nella parte in cui, secondo la formulazione antecedente alla novella di cui alla l. n. 479/1999, non prevedeva l'immutabilità del giudice che avesse accolto la richiesta di giudizio abbreviato rispetto a quello davanti al quale le parti erano chiamate a svolgere le rispettive conclusioni, ha ribadito la legittimità dell'estensione analogica del principio de quo ed ha affermato altresì che anche la precedente fase che inerisce alla verifica dei presupposti di ammissibilità del rito non può che ricadere sotto la deliberazione autonoma del magistrato, che quel rito è poi chiamato a celebrare e definire. Lo svolgimento dell'udienzaIl giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio alla presenza dei soli soggetti che hanno titolo per comparirvi (parti, difensori, testimoni, consulenti). Tuttavia, se ne fanno richiesta tutti gli imputati, il procedimento deve essere celebrato in pubblica udienza. La redazione del verbale avviene di regola in forma riassuntiva. In applicazione degli artt. 420-bis e ss., si deve provvedere alla rinnovazione della citazione per accertata o possibile mancata conoscenza della stessa da parte dell'imputato ed al rinvio dell'udienza per impedimento dell'imputato o del suo difensore. Trova applicazione l'istituto della assenza, con il riconoscimento all'imputato del diritto alla notifica della sentenza. L’assente è rappresentato dal difensore munito di procura speciale per la richiesta di formalizzazione del rito (Cass. II, n. 40443/2008). All’imputato assente nell’udienza preliminare, che abbia presentato, per il tramite del difensore munito di procura speciale, richiesta di giudizio abbreviato, non deve essere notificato alcun avviso concernente l’udienza fissata per la celebrazione del rito (Cass. VI, n. 19128/2008). In caso di assenza del difensore senza che sia stato allegato alcun legittimo impedimento, v'è obbligo da parte del giudice di provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio ex art. 97, comma 4. Anche nel rito abbreviato è possibile la sospensione del procedimento, tanto in attesa della risoluzione di una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza, quanto in pendenza di giudizio su altre questioni pregiudiziali civili o amministrative di particolare complessità come previsto dall'art. 479. In ipotesi di esami orali, l’eccezione circa la proposizione di domande suggestive deve essere proposta al giudice innanzi al quale si forma la prova, essendo rimessa al giudice dei successivi gradi di giudizio soltanto la valutazione in ordine alla motivazione del provvedimento di accoglienza o di rigetto dell’eccezione stessa (Cass. V, n. 27159/2018). Le questioni preliminariControversa in giurisprudenza, fino a tempi alquanto recenti, è stata la questione della possibilità di articolare, una volta introdotto il rito, questioni di carattere preliminare. Al riguardo, si è evidenziato come nel giudizio abbreviato manchi il segmento processuale dedicato alla trattazione e alla risoluzione delle questioni preliminari. La conclusione è stata argomentata in parallelo per le nullità non assolute e, un tempo, per le questioni di competenza: il fondamento normativo di tale soluzione è di sistema e trova espressione nell'art. 183, lett. a) che normativizza la sanatoria delle nullità mediante la rinuncia per facta concludentia, che si configura nella esplicita e consapevole richiesta di un rito governato da regole diverse rispetto a quelle dell'ordinario dibattimento e la cui prima deroga è la mancanza del segmento processuale dedicato alla trattazione e risoluzioni delle “questioni preliminari” ex art. 491: regola di sistema che non può che coinvolgere tutte le questioni proponibili o, in ogni caso, dedotte e già decise negativamente nell'udienza preliminare, cui la parte privata con la richiesta formulata nelle stessa udienza e con le forme stabilite per gli atti che esprimono “consenso e rinuncia” a diritti personalissimi, pone. In pratica, il ragionamento si fonda sull'idea di una volontaria rinuncia, espressa attraverso la richiesta di giudizio abbreviato, a far valere tali questioni. Di tale rinuncia, la mancata previsione di una fase dedicata alle « questioni preliminari » costituirebbe il riscontro e al tempo stesso la chiave di lettura: l'imputato sa bene che chiedendo l'accesso al rito non potrà far valere « vizi » che non debbano essere rilevati d'ufficio (o comunque con regime assimilato a quello delle nullità intermedie), e dunque, con la domanda, « rinuncia » alla rilevazione dei « vizi » medesimi; d'altra parte, le norme sullo svolgimento del giudizio abbreviato non scandiscono una fase per le questioni preliminari proprio in quanto, con la richiesta, l'imputato rinuncerebbe a proporle. Ulteriore riprova dell'assunto si ricaverebbe dal consolidato filone giurisprudenziale secondo cui, in sede di udienza preliminare, il giudice non è tenuto a decidere anticipatamente, rispetto alla trattazione del merito, le questioni riguardanti la utilizzabilità degli atti processuali, neppure al fine di consentire all'imputato di valutare l'opportunità di accedere al rito abbreviato, nella piena conoscenza delle prove utilizzabili, in quanto nessun obbligo in tal senso è contemplato dalle disposizioni processuali (Cass. III, n. 40209/2014). In tema di giudizio abbreviato condizionato all'assunzione di una prova testimoniale, la mancata citazione del teste non causa l'automatica decadenza della parte dal diritto alla sua escussione, ma genera in capo al giudice un onere di verifica circa la sua rilevanza per l'accertamento in corso, da compiersi alla stregua della valutazione già effettuata al momento dell'ammissione del rito (Cass. II, n. 25136/2023). Il ruolo della parte civileIntroduzione Al giudizio abbreviato partecipa la parte civile qualora abbia dichiarato di accettare il procedimento speciale. La costituzione di parte civile, se intervenuta dopo la conoscenza del provvedimento che dispone il giudizio abbreviato, equivale alla sua accettazione. Qualora la persona offesa si sia costituita parte civile prima dell'ordinanza ammissiva al rito speciale, si ritiene che l'adesione al rito semplificato possa anche essere tacita (Cass. I, n. 10001/2004). La costituzione può avvenire anche dopo l'emissione dell'ordinanza che lo ha disposto (Cass. III, n. 27274/2010), ma il termine ultimo è quello di apertura della discussione (Cass. III, n. 35700/2010). La dichiarazione di non adesione al giudizio abbreviato equivale alla revoca della costituzione di parte civile, con la conseguenza che in tal caso non opera il disposto dell'art. 75, comma 3. La parte civile non è legittimata ad impugnare il provvedimento con cui il giudice ammette il giudizio abbreviato (Cass. V, n. 539/1991). L'assenza della parte civile all'udienza di discussione non determina revoca tacita della stessa se le conclusioni sono state in precedenza depositate in forma scritta (Cass. III, n. 6249/2011). Non è invece prevista la partecipazione del responsabile civile, la cui esclusione va disposta anche d'ufficio all'atto dell'ammissione al rito; è invece ammessa la partecipazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Il diritto alla prova del danneggiato che si costituisca parte civile La costituzione di parte civile: a) può avvenire in udienza preliminare o nella fase degli atti introduttivi al dibattimento prima che sia avanzata richiesta di giudizio abbreviato. A questo punto la parte civile dovrà dichiarare, ai sensi dell'art. 441, comma 4, se accetta il rito abbreviato; b) può avvenire all'udienza fissata per la celebrazione del rito abbreviato conseguente a decreto di giudizio immediato, di decreto penale di condanna o prima dell'apertura del dibattimento a citazione diretta ma successivamente al deposito della richiesta di rito alternativo. In tal caso la costituzione di parte civile equivale ad accettazione del rito. Questione che rimane “scoperta” è, invece, quella relativa alla possibilità di allegazione probatoria in relazione al profilo del quantum debeatur. Infatti, l'azione risarcitoria può tendere non solo al riconoscimento dell'an della pretesa risarcitoria ma anche della sua quantificazione, ancorché nella forma parziale della provvisionale. Il confronto probatorio che si svolge sul piano del contraddittorio per la prova della responsabilità penale spesso male si presta a soddisfare questo profilo della domanda civile. Mentre in sede di giudizio ordinario l'onere probatorio sul punto è nel dominio della parte interessata, la scelta di un giudizio abbreviato che sopraggiunga imprevista per la parte civile potrebbe finire per pregiudicare la possibilità di contenere nel solo processo penale l'azione giudiziaria da questa promossa. Appare, quindi, necessario che la parte civile — ove lo ritenga — si prefiguri anche l'ipotesi che la vicenda processuale si possa sviluppare nei binari di un rito alternativo e, conseguentemente, «si attrezzi» per tale eventualità. Sotto tale profilo, se si verte in tema di processi con udienza preliminare sarà opportuno che anche la parte civile risponda fattivamente alla richiesta del G.u.p. di trasmissione degli atti d'investigazione compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 419, comma 3, o che provveda al deposito degli stessi nella fase di costituzione all'udienza preliminare. Non v'è dubbio, invero, che dette facoltà debbano essere riconosciute anche alla parte civile, stante la lettera della norma. Analoga facoltà potrebbe riconoscersi per il caso di procedimenti a citazione diretta. Anche in tal caso non apparirebbe contrario al sistema ricostruito dalla Consulta che la parte civile depositi il fascicolo delle investigazioni difensive presso la cancelleria del giudice monocratico, condizionandone l'utilizzabilità alla sola evenienza della presentazione di una richiesta di giudizio abbreviato (incondizionato o condizionato). Il fondamento costituzionale di tale estensione potrebbe, del resto, rinvenirsi nella previsione del secondo comma dell'art. 111 Cost., laddove almeno si voglia considerare il vincolo del contraddittorio fissato nel quarto comma rivolto alla sola formazione della prova della responsabilità penale (come detto, non coinvolgente anche il profilo del quantum della domanda di risarcimento). Diverso è il caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato prevenga la costituzione di parte civile. In tal caso la parte civile è consapevole d'intervenire in un giudizio “a prova contratta” e la sua possibilità di esercizio in sede civile dell'azione (peraltro senza la sospensione del processo civile, esclusa dalla previsione dell'art. 441, comma 4) renderebbe compatibile con il sistema questa scelta di fuoriuscita dalla vicenda processuale penale. Analoga risposta dovrebbe fornirsi nell'ipotesi in cui la modifica dell'imputazione ex art. 441-bis riapra i poteri probatori dell'imputato. I rinvii normativiL'art. 441, comma 1, nel rinviare alle disposizioni che disciplinano l'udienza preliminare fa espressa eccezione per gli artt. 422 e 423. L'esclusione di queste due norme appare di difficile comprensione soprattutto perché l'art. 441, sia al comma 5 che al comma 6, richiama l'applicabilità, sebbene parziale, di entrambe le norme, prima escluse. Invero, l'art. 422 viene richiamato per disciplinare le modalità di assunzione delle prove richieste dall'imputato o disposte d'ufficio dal giudice; l'art. 423 ha applicazione residuale in ipotesi di integrazione probatoria. Incontestabile è invece l'inapplicabilità dell'art. 421-bis attesa la presenza di una specifica disposizione (art. 441, comma 5) che attribuisce al giudice il potere di colmare le eventuali lacune del compendio probatorio (Cass. VI, n. 20549/2010, che definisce abnorme ed immediatamente ricorribile per cassazione l'ordinanza con la quale il giudice dispone la restituzione degli atti al P.m. fissando un termine per lo svolgimento delle indagini). Per le medesime ragioni si ritiene inapplicabile l'art. 430, mentre, al contrario, opera anche nel rito semplificato, il divieto dettato dall'art. 430-bis. Con l'ammissione al rito, l'imputazione si cristallizza e non può essere modificata nemmeno con la contestazione della recidiva o di una circostanza aggravante (Cass. VI, n. 13117/2010). Resta salva tuttavia l'applicabilità dell'art. 521, comma 2: qualora il giudice ritenga che il fatto sia diverso da come contestato, dovrà disporre la restituzione degli atti al P.m. Tuttavia, finché il giudice non pronuncia l'ordinanza con la quale ammette il giudizio abbreviato, il divieto non opera e il P.m. potrà effettuare la contestazione suppletiva, anche se l'imputato ha già formulato la propria richiesta di giudizio abbreviato. In tal caso, è salva la facoltà dell'imputato di revocare l'istanza di ammissione al rito speciale in applicazione analogica dell'art. 441-bis (in questo senso, Cass. V, n. 13882/2012). Peraltro, per effetto del principio dell'irretrattabilità dell'azione penale, al P.m. non è nemmeno consentito escludere un'aggravante già contestata (Cass. IV, n. 26653/2009). Dalla modificazione dell'imputazione, va tenuta distinta la modificazione della qualificazione giuridica del fatto, che il P.m. può promuovere anche nell'abbreviato incondizionato (Cass. II, n. 35350/2010). La discussioneProfili generali Compiuti gli accertamenti sulla costituzione delle parti, raccolte le consentite richieste e/o eccezioni di carattere preliminare, si procede alla discussione. Una volta presentata la richiesta di giudizio abbreviato incondizionato, l'imputato accetta che il procedimento si svolga sulla base degli elementi istruttori acquisiti al fascicolo del P.m.: conseguentemente, lo stesso non può dolersi dell'incompletezza di tale fascicolo per esservi o non esservi inseriti altri atti d'indagine (Cass. II, n. 25659/2009). Quando il giudice dispone d'ufficio l'assunzione d'ufficio di nuove prove dopo le conclusioni delle parti, è opportuno che all'attività di integrazione probatoria ufficiosa segua una nuova discussione, al fine di consentire alle parti di esprimere le proprie valutazioni critiche sul nuovo materiale acquisito agli atti. L'interrogatorio dell'imputato In base a quanto stabilito dall'art. 421, comma 2, l'imputato può chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio e rendere dichiarazioni spontanee. Nessuno di tali mezzi di prova deve essere dedotto con la richiesta di rito abbreviato condizionato, essendo i medesimi compatibili anche il procedimento speciale semplificato (Cass. VI, n. 45806/2008). Secondo la giurisprudenza , a nulla rilevando che detta richiesta non sia stata formulata contestualmente alla scelta del rito, per non alterare le regole del contraddittorio in relazione agli elementi di difesa apportati dall'imputato stesso, sui quali deve essere ammessa la facoltà delle altre parti di prendere la parola (Cass. VI, n. 46785/2017). L'affermazione non convince la dottrina, sia per ragioni di ordine letterale, dal momento che l'art. 421 colloca la richiesta di interrogatorio dopo le conclusioni del P.m., sia per motivi sostanziali, dal momento che la violazione del contraddittorio viene evitata consentendo all'organo dell'accusa, che abbia già svolto la propria requisitoria prima dell'interrogatorio, di riprendere la parola dopo il compimento di tale attività istruttoria. In virtù dell'espresso richiamo all'art. 422, l'imputato ha altresì diritto di essere interrogato anche all'esito dell'integrazione probatoria. Ferma la facoltà di replica del P.m., l'imputato può esercitare tale diritto anche dopo l'assunzione delle prove da lui richieste ed anche successivamente all'acquisizione delle prove indicate dal P.m. in sede di controprova. Su richiesta di parte, l'interrogatorio può svolgersi nelle forme previste dagli artt. 498 e 499, comma 2, ossia secondo lo schema dell'esame, controesame e riesame condotto direttamente dalle parti ed utilizzato nel procedimento ordinario. L'imputato ha altresì diritto di rilasciare dichiarazioni spontanee. Il rigetto della richiesta dell'imputato di rendere dichiarazioni spontanee determina una nullità relativa, e non assoluta, cosicchè la stessa deve essere immediatamente eccepita ai sensi dell'art. 182, comma 2 (Cass. I, n. 50430/2018). Qualora nel corso del giudizio abbreviato debbano essere assunte delle prove dichiarative, chieste dall'imputato o disposte d'ufficio dal giudice, l'art. 441, comma 6, stabilisce che si proceda nelle forme di cui all'art. 422, commi 2, 3 e 4. All'esame procede il giudice che formula alla persona da esaminare le domande, anche se suggerite dalle parti secondo l'ordine previsto dall'art. 421, comma 2, così da prevenire, secondo lo schema tipico del modello inquisitorio, il contatto diretto tra l'esaminato e le parti processuali. L'integrazione probatoriaCon l'ordinanza ammissiva al rito abbreviato, non matura nell'imputato alcun diritto ad essere giudicato senza che il giudice, ricorrendone le condizioni, possa disporre, in qualsiasi momento della fase processuale, un'integrazione probatoria che si rendesse necessaria per acquisire gli elementi indispensabili (con riferimento alla ricostruzione storica del fatto e alla sua attribuibilità all'imputato) ai fini della decisione, nell'ipotesi in cui non fosse appunto possibile, sia ex ante che ex post, decidere allo stato degli atti. Inoltre, l'eventuale inutilizzabilità di una prova, ancorché acquisita ex art. 441, comma 5, di per sé non rende invalida la decisione, se non viene dimostrata (alla luce delle motivazioni addotte) la concreta utilizzazione del materiale “inutilizzabile” ai fini decisori, a nulla rilevando che tale “prova inutilizzabile” sia stata ritenuta precedentemente come assolutamente necessaria nella fase della sua ammissibilità: invero, in sede di ammissione di nuove prove, il giudice formula una mera prognosi di decisività della fonte di cui ordina l'acquisizione, che deve trovare conferma nell'effettivo risultato derivato dalla assunzione della prova stessa (Cass. II, n. 8136/2022). In tema di giudizio abbreviato, l'integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell'art. 441, comma 5, cod. proc. pen. (anche d'ufficio), può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all'imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Cass. VI, n. 17360/2021, nella cui parte motiva la S.C. ha precisato che la scelta unilaterale del rito alternativo da parte dell'imputato non può fondare alcuna aspettativa circa un preteso diritto ad essere giudicati sulla sola base degli atti disponibili al momento dell'ordinanza di ammissione del rito, essendo rimesso al giudice di valutare l'eventuale incompletezza delle indagini e la conseguente impossibilità di decidere allo stato degli atti, disponendo la necessaria integrazione istruttoria. Il potere di integrazione probatoria “ex officio”, sia nell'abbreviato incondizionato che in quello condizionato non necessita di una specifica motivazione e non è soggetto a limiti temporali, potendo intervenire in ogni momento e fase della procedura, anche nel corso della discussione o addirittura dopo il termine di essa, qualora il giudice ravvisi l'indispensabilità di un approfondimento del “thema probandum”, ossia dei fatti oggetto di imputazione (Cass. V, n. 18264/2019, nella quale si è precisato che il “thema probandum” non coincide con i mezzi di prova o di ricerca della stessa attivati dalle parti). Si è ritenuto che il potere ufficioso di integrazione probatoria attribuito al giudice sia preordinato alla tutela dei valori costituzionali che devono presiedere, anche nei giudizi a prova contratta, all'esercizio della funzione giurisdizionale e risponde, pertanto, alle medesime finalità cui è preordinato il potere previsto dall'art. 507 in dibattimento (cfr., Cass. V, n. 2672/2019, in cui si è ritenuta legittima l'acquisizione di documentazione medica necessaria all'accertamento delle lesioni patite dalla persona offesa in relazione al reato di lesioni personali volontarie; nello stesso senso, Cass. VI, n. 2164/2019, in cui si è ritenuta legittima l'acquisizione, da parte del giudice di merito, di documentazione ritenuta indispensabile ai fini della valutazione ai sensi dell'art. 133 c.p.). I presupposti di riferimento per comprenderne ancor meglio la nozione sono dati dall'accettazione da parte dell'imputato di essere giudicato sulla base degli atti d'indagine e dall'utilizzabilità degli stessi ai fini della decisione. Questo contesto — fatte salve le patologie di eventuali atti censurabili in sede di giudizio abbreviato — non è discutibile da parte di colui che chiede l'accesso al rito alternativo e costituisce il limite per l'ingresso di ulteriori apporti dimostrativi (di contro, sarebbe inammissibile condizionare la richiesta di giudizio abbreviato ad una dichiarazione d'inutilizzabilità di un atto contenuto nel fascicolo delle indagini preliminari, come si desume da Cass. IV, n. 21803/2011). Così, ad esempio, si sono ritenute utilizzabili le dichiarazioni spontanee dell'indagato anche se inserite in un verbale di perquisizione o sequestro e non in un autonomo verbale, come pure la trascrizione/traduzione di conversazioni intercettate, depositata successivamente all'ammissione del rito ma prima del giudizio dal momento che la prova utilizzabile è costituita dai nastri registrati e non dalla loro trascrizione (che è mera operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto della prova già acquisita). Allo stesso modo, sono state ritenute utilizzabili le annotazioni e le relazioni di polizia giudiziaria che facciano riferimento al contenuto di tabulati telefonici non ritualmente depositati dal P.m. ai sensi dell'art. 416. Sulla stessa scia, si pone la decisione secondo cui sono utilizzabili le dichiarazioni confidenziali rese alla polizia giudiziaria dalla persona offesa che non abbia inteso verbalizzarle e che siano contenute in annotazioni di polizia giudiziaria. Con la scelta del rito, infatti, l'imputato ha attribuito a questi atti valenza di prova e non ricorre il divieto di testimonianza indiretta stabilito dall'art. 195, comma 4, per la sola fase dibattimentale. Dalle statuizioni della S.C si comprende, di contro, che la richiesta d'integrazione probatoria non potrà di regola avere come oggetto sic et simpliciter la duplicazione (sia pur con sperato esito opposto) di un atto già compiuto nella fase delle indagini preliminari. Non mancano di recente orientamenti parzialmente dissonanti in cui la S.C. ha affermato che è ammissibile la richiesta di giudizio abbreviato condizionata all'acquisizione della testimonianza di persone che già hanno reso sommarie informazioni nel corso delle indagini preliminari, sempre che l'espletamento della prova sia effettivamente utile a verificare i profili di contraddizione e gli elementi carenti della prima deposizione e che la richiesta medesima precisi la rilevanza di tali criticità ai fini della valutazione dei temi di prova riguardanti l'affermazione o l'esclusione della responsabilità, la qualificazione del titolo di reato e la sussistenza delle circostanze. Non v'è dubbio che questa affermazione risente molto della specificità del caso, ma è altrettanto evidente che essa si presti ad un allargamento difficilmente controllabile della nozione d'integrazione probatoria, con conseguenti difficoltà di gestione della istruttoria, onde evitare che il riascolto si trasformi in meccanismi strumentali ad ottenere una ritrattazione di dichiarazioni accusatorie. Di contro, in linea con l'indirizzo nomofilattico prevalente, è l'altro orientamento secondo cui la reiterazione dell'esame di una persona che ha già reso dichiarazioni richiede, a pena d'improponibilità, che l'istanza indichi i temi da integrare e specifichi i fatti e le circostanze, diversi da quelli già oggetto di dichiarazioni, che necessitino di approfondimento. La S.C. (Cass. S.U. , n. 5788/2020) ha affermato che, nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell'art. 438, comma 5 o nel quale l'integrazione probatoria sia stata disposta a norma dell'art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell'imputazione solo per i fatti emergenti dai predetti esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall'art. 423 (in applicazione del principio, la sentenza impugnata è stata annullata limitatamente ad una circostanza aggravante – che è stata eliminata – e ad un reato – in ordine al quale è stata disposta la trasmissione degli atti al P.m. competente per il prosieguo – poiché entrambi emergevano dagli atti d'indagine depositati dal P.m. al momento dell'iniziale esercizio dell'azione penale, e non erano emersi a seguito dell'attività istruttoria suppletiva richiesta dall'imputato, né da quella disposta d'ufficio dal giudice). In tema di giudizio abbreviato instaurato a seguito di richiesta di giudizio immediato, gli atti d'indagine assunti dal pubblico ministero dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, alterando la piattaforma probatoria sulla cui base è stata avanzata la richiesta di abbreviato, sono affetti da inutilizzabilità relativa, sanata ove non dedotta prima dell'ammissione del giudizio abbreviato. (Cass. IV, n. 35896/2023, in cui si è precisato che è onere dell'imputato richiedere, nell'udienza fissata per il rito speciale, l'espunzione degli atti di indagine integrativi sopravvenuti rispetto al momento in cui era stata avanzata la richiesta di rito abbreviato, non essendo legittimato ad avanzare richiesta di revoca della istanza di ammissione a tale rito). Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base del diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, successivamente alla sostituzione del comma 3-bis, dell'art. 603 ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è tenuto a rinnovare, anche d'ufficio, solo l'assunzione della prova ritenuta decisiva oggetto di integrazione istruttoria su richiesta di parte ai sensi dell'art. 438, comma 5 o su iniziativa del giudice ex art. 441, comma 5 (Cass. V, n. 16423/2024). E' stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 603, comma 3-bis, come riformulato dall'art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui, in caso di ribaltamento in appello della sentenza di proscioglimento, non prevede la rinnovazione obbligatoria delle prove dichiarative quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata all'esito di giudizio abbreviato nel quale non si sia proceduto ad integrazione probatoria (Cass. V, n. 49667/2023). L'utilizzabilità degli atti ai fini della decisioneNel giudizio abbreviato sono utilizzabili gli atti legittimamente acquisiti nel corso delle indagini preliminari e noti all'imputato. Resta ferma l'utilizzabilità nel giudizio abbreviato dei risultati delle investigazioni difensive che siano stati prodotti nell'udienza preliminare salvo il diritto delle controparti di esercitare il contraddittorio sulle prove non oggetto di preventiva discovery (cfr., Cass. VI, n. 1561/2019, con riferimento all'utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali acquisite ai sensi dell'art. 327-bis). Dunque, la potenzialità probatoria degli atti d'indagine in sede di abbreviato è ben più ampia di quella delle prove disciplinate per la fase del dibattimento. Come si è visto, il perimetro dell'utilizzabilità si allarga a ricomprendere non solo gli atti delle indagini preliminari ma, nell'ambito degli stessi, anche quei contenuti di dichiarazioni che non sarebbero riproducibili in dibattimento per divieti espressamente sanciti alla loro utilizzazione. Così, ad esempio, è consentito fondare la prova anche sulle dichiarazioni che il consulente o il perito abbia riportato nel proprio elaborato per averle ricevute dalla persona offesa o dall'imputato nel corso dell'esame psicodiagnostico. E' utilizzabile in sede di giudizio abbreviato la relazione tossicologica richiesta in fase di indagini ed acquisita al fascicolo del P.m. dopo l'ammissione al rito (Cass. VI, n. 57241/2017: in motivazione la S.C. ha precisato che la difesa, nel valutare l'opportunità della definizione del processo con il rito abbreviato, era edotta dell'imminente deposito della relazione e, quindi, dell'ampliamento del quadro probatorio, risultando dal fascicolo processuale la richiesta del P.m. tempestivamente avanzata). Invero, una volta adottato il provvedimento di ammissione al rito speciale, il materiale probatorio utilizzabile per la decisione, ulteriore rispetto a quello già contenuto in tale momento nel fascicolo del P.m. e da questo depositato, secondo la previsione di cui all’art. 416, comma 2, nella cancelleria del giudice all’atto della richiesta di rinvio a giudizio, è solo quello acquisito nel contraddittorio delle parti a seguito di integrazione probatoria (Cass. III, n. 23784/2019, nella quale la S.C. ha annullato la sentenza emessa all’esito di rito abbreviato nel quale si era utilizzato, per la decisione, materiale probatorio raccolto dal P.m. dopo l’ammissione al rito e depositato nel corso del giudizio). L'utilizzabilità non è rigorosamente condizionata alla materiale presenza degli atti nel fascicolo del P.m., ben potendosi utilizzare ai fini della decisione atti che, quand'anche validamente acquisiti e pienamente conosciuti o conoscibili dalle parti, non siano materialmente allegati al fascicolo del P.m. per mero errore o caso fortuito (Cass. VI, n. 14884/2017). Allo stesso modo, le Sezioni Unite hanno affermato l'utilizzabilità nel giudizio abbreviato delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare. Tutta la serie di situazioni finora considerate fa comprendere come lo spazio dell'integrazione probatoria finisca per risultare tendenzialmente limitato, dovendosi porre solo come completamento di un quadro probatorio precostituitosi nella fase delle indagini e sottratto al dominio dell'imputato. Ad ulteriore conferma di questo dato, si pongono tutte quelle pronunce che hanno affermato la legittimità del provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad una integrazione probatoria, quando detta integrazione non sia finalizzata al necessario ed oggettivo completamento degli elementi informativi in atti, insufficienti per la decisione, ma miri esclusivamente alla valorizzazione degli elementi favorevoli all'impostazione difensiva. Il problema della «tenuta» dell'interpretazione di legittimità in relazione alla qualità additiva della prova richiesta quale condizione del rito, affrontato expressis verbis nella richiamata sentenza a Sezioni Unite del 2004 si pone particolarmente nel caso in cui l'imputato chieda il riascolto della fonte d'accusa (che rivesta la qualità d'imputato di reato connesso) e, ammessa la richiesta dal giudicante, il dichiarante si avvalga nel giudizio della facoltà di non rispondere. La S.C. è, in più occasioni, intervenuta sull'argomento affermando che, in queste ipotesi, rimangono comunque utilizzabili, in virtù del rito richiesto dall'imputato, anche le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, dal momento che l'art. 526, comma 1-bis, si riferisce esclusivamente al giudizio dibattimentale e non anche a quello a prova contratta. Ciò non contrasterebbe con l'art. 111 Cost. in virtù della deroga contenuta nel comma quinto della disposizione. Inoltre, lo stesso comma 5 dell'art. 438 fa salvi gli atti già acquisiti ed utilizzabili per la valutazione. Dunque, l'integrazione in argomento può incidere sulla valenza probatoria degli elementi acquisiti ma non sulla loro utilizzabilità. Questa soluzione non risolve, tuttavia, il problema del rapporto con il secondo periodo del comma 4 dell'art. 111 Cost. che, nell'anticipare la previsione poi trasfusa nel comma 1-bis dell'art. 526, non restringe l'ambito della regola di esclusione alla fase dibattimentale. Rispetto a questa statuizione appare assai meno rinfrancante la deroga del comma 5 della stessa disposizione costituzionale; deroga che sicuramente si riferisce alla previsione del primo periodo del quarto comma dell'art. 111 Cost. Non può, invece, affermarsi con altrettanta certezza che essa superi anche il divieto del secondo periodo. Su questo profilo, la Corte regolatrice non è intervenuta lasciando aperta la questione che può prestarsi a censure di legittimità costituzionale ove non s'intenda ristretta la valenza probatoria delle dichiarazioni predibattimentali alle sole parti pro reo. La valenza pratica della questione sembrerebbe, ad un primo esame, scemare proprio ove la si rilegga alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 44711/2004) le quali hanno, appunto, affermato che la prova sollecitata dall'imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale già raccolto ed utilizzabile. Da quest'assunto ne discenderebbe che la richiesta di riascolto in contraddittorio del chiamante in correità dovrebbe essere dichiarata inammissibile (con conseguente rigetto della richiesta di rito) ove volta a riprodurre l'oggetto delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini. Ciò indurrebbe a risolvere all'origine il problema di un confronto con la previsione dell'art. 111, comma 4, secondo periodo Cost.; peraltro, anche quest'approdo — per quanto rinfrancante — non può dirsi, in giurisprudenza, del tutto dirimente e definitivo. Le previsioni di cui al d.l. 28 ottobre 2020, n. 137In data 28 ottobre 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie Generale, il decreto legge, 28 ottobre 2020, n. 137 intitolato “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19” convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020 n. 176, contenente disposizioni riguardanti anche il settore della giustizia penale. In particolare, l'art. 23, comma 5 stabilisce che le “udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia”, fermo restando che: a) lo “svolgimento dell'udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti” e prima “dell'udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento”; b) i “difensori attestano l'identità dei soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all'udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore”; c) in “caso di custodia dell'arrestato o del fermato in uno dei luoghi indicati dall'articolo 284, comma 1, del codice di procedura penale (ossia: l'abitazione, un altro luogo di privata dimora ovvero un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, una casa famiglia protetta), la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all'udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile” e in “tal caso, l'identità della persona arrestata o fermata è accertata dall'ufficiale di polizia giudiziaria presente”; d) l'“ausiliario del giudice partecipa all'udienza dall'ufficio giudiziario e dà atto nel verbale d'udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137, comma 2, del codice di procedura penale, o di vistarlo, ai sensi dell'articolo 483, comma 1, del codice di procedura penale”. In deroga al disposto dell'articolo 221, comma 7, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il giudice può partecipare all'udienza anche da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario. Le disposizioni di cui all'art. 23, comma 5 si applicano, qualora le parti vi acconsentano, anche alle udienze preliminari e dibattimentali; dette disposizioni restano invece, in ogni caso, inapplicabili alle udienze in cui devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, ovvero alle ipotesi di cui agli artt. 392, 441 e 523, con conseguente divieto di celebrazione di udienza da remoto. Il legislatore ha infine previsto che le succitate previsioni si applichino dalla data di entrata in vigore del decreto legge (29 ottobre 2020) fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, secondo cui “per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 gennaio 2021, termine dello stato di emergenza, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus”. Successivamente, il d.l. 14 gennaio 2021, n. 2, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore in pari data - ha prorogato dal 31 gennaio 2021 al 30 aprile 2021 il termine dello stato di emergenza di cui all'art. 1, comma 1, del d.l. n. 19/2020, convertito con modificazioni dalla l. 35/2020. Per effetto dei rinvii normativi, sono pertanto prorogate a tale data anche le novità processuali telematiche civili e penali del succitato d.l. n. 137/2020, come convertito dalla legge 176/2020. CasisticaNell'ambito del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, non è consentito al P.m. di procedere a modificazioni dell'imputazione o a contestazioni suppletive, in quanto l'art. 441, nel richiamare le disposizioni previste per l'udienza preliminare, esclude l'applicazione dell'art. 423, con la conseguenza che la violazione della predetta norma determina un'ipotesi di nullità a regime intermedio della sentenza pronunciata all'esito di tale giudizio (Cass. IV, n. 3758/2015). Nel corso del giudizio abbreviato non condizionato, il riconoscimento di una circostanza aggravante oggetto di una contestazione suppletiva, effettuata in violazione del divieto di cui all'art. 441, comma 1, determina una nullità a regime intermedio della sentenza, sanabile ex art. 182, comma 2, non potendo essere dedotto dalla parte che vi ha assistito senza eccepirla (Cass. II, n. 11953/2014). Il giudice, nell'esercizio dei suoi poteri di integrazione probatoria, non può acquisire d'ufficio i verbali di interrogatorio resi in altro procedimento, salvo che l'imputato non abbia espresso il proprio consenso anche attraverso il difensore, in quanto l'art. 441, comma 6, prevede che l'assunzione delle prove deve avvenire in udienza e nel contraddittorio delle parti (Cass. III, n. 16793/2015). BibliografiaAlesci, Le citicità del rinnovato giudizio abbreviato, in Spangher (a cura di), La Riforma Orlando. 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