Codice di Procedura Penale art. 464 quater - Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia 1 .

Andrea Pellegrino

Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia1.

1. Il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona offesa. Si applica l'articolo 127.

2. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell'imputato.

3. La sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. A tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio indicato nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato.

4. Il giudice, anche sulla base delle informazioni acquisite ai sensi del comma 5 dell'articolo 464-bis, e ai fini di cui al comma 3 del presente articolo può integrare o modificare il programma di trattamento, con il consenso dell'imputato.

5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo:

a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.

6. I termini di cui al comma 5 decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell'imputato.

7. Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione non sospende il procedimento.

8. Nel caso di sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica l'articolo 75, comma 3.

9. In caso di reiezione dell'istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 4, l. 28 aprile 2014, n. 67 .

Inquadramento

L'art. 464-quater disciplina il provvedimento del giudice e gli effetti della pronuncia. Nel meccanismo di giustizia ripartiva introdotto dagli artt. 3-5 l. n. 67/2014, particolare attenzione è dedicata alle prescrizioni aventi natura riparatoria o risarcitoria e di riconciliazione con la persona offesa dal reato: si cerca così di dare maggiore dignità alla vittima del reato che diviene protagonista di una tentata apertura verso la mediazione. Sotto questo profilo, il meccanismo di sospensione del procedimento con messa alla prova per imputati maggiorenni realizza, in parte, ciò che, da tempo, la normativa internazionale sollecita riguardo la partecipazione della vittima al processo penale e all'instaurazione di meccanismi conciliativi tra questa e l'autore del fatto.

Il provvedimento del giudice

Introduzione

Sia nel caso in cui il programma di trattamento venga allegato direttamente alla richiesta di sospensione del procedimento, sia quando l'imputato chieda che il programma venga elaborato, così spingendo l'autorità giudiziaria a compulsare l'U.e.p.e., il giudice, per determinare gli obblighi e le prescrizioni, ma anche, e più in generale, per decidere sulla concessione del beneficio può acquisire, a norma dell'art. 464-bis, comma 5, dalla polizia giudiziaria, dai servizi sociali e dagli altri enti pubblici le informazioni necessarie, che devono in ogni caso essere portate a conoscenza delle parti (e ciò impone al giudice di fissare apposita udienza ai sensi dell'art. 127). Se, poi, il giudice intenderà verificare la volontarietà della richiesta, potrà, ai sensi dell'art. 464-quater, comma 2, disporre la comparizione dell'imputato.

La fase della decisione è disciplinata dall'art. 464-quater  ma il giudice, prima ancora di decidere, potrà anche integrare o modificare il programma di trattamento elaborato di intesa con l'U.e.p.e., con l'unico limite di acquisire, sulla integrazione e/o sulla modifica del programma, il consenso dell'imputato.

Il giudice arriverà ad assumere una decisione sulla richiesta sempre che non debba pronunciare sentenza ex art. 129 e dovrà farlo con ordinanza pronunciata in udienza (anche appositamente fissata ai sensi dell'art. 127), sentite le parti, nonché la persona offesa anche se non costituita parte civile.

Il legislatore ha voluto tener conto delle esigenze di tutela della persona offesa predisponendo strumenti adeguati che rimuovano pericoli o minacce per la vittima. L'art. 464-quater, comma 3, invero, contempla tra i parametri alla cui luce deve muoversi il vaglio discrezionale del giudice nel decidere sull'ammissione alla prova la considerazione che il domicilio indicato dall'imputato nel programma di trattamento sia tale da assicurare adeguate garanzie alla persona offesa.

In base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., se il giudice reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, valutata anche la circostanza che il domicilio dell'imputato, indicato nel programma, sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa, concede il beneficio, disponendo, con ordinanza, la sospensione del procedimento con messa alla prova.

In siffatta valutazione prognostica che il giudice è tenuto ad effettuare prima dell'ammissione alla prova dell'imputato adulto, risiede una delle differenze rispetto al “parallelo” meccanismo previsto per i minori. In quest'ultimo caso, infatti, il giudizio sul comportamento che l'imputato potrà tenere un futuro è svolto all'esito del periodo di prova. Nel caso degli adulti, invece, la valutazione prognostica è svolta in un momento antecedente all'ammissione alla prova.

La discrezionalità del giudice

Al giudice spetta decidere sulla concessione o meno della sospensione così come sugli obblighi e sulle prescrizioni da imporre all'imputato: il giudice decide con ordinanza (art. 464-quater) che dovrà essere motivata a pena di nullità (art. 125, comma 3). Si tratta di decisione complessa, ricca di valutazioni e contenuti da estrinsecare nell'ordinanza di sospensione del procedimento..

Al contrario di quanto accade nel processo minorile, la l. n. 67/2014, nella parte in cui introduce il nuovo strumento di sospensione del procedimento e di messa alla prova per gli imputati maggiorenni, fornisce sicuramente più parametri di riferimento, soffermandosi oltre che sui presupposti applicativi della misura anche sugli elementi che dovranno costituire oggetto del pronunciamento, vale a dire idoneità del programma di trattamento e positiva valutazione prognostica circa l'astensione da parte dell'imputato dalla commissione di ulteriori reati.

La prognosi di non recidiva comporta un'indagine riguardante la personalità del soggetto. Invero, mentre la messa alla prova del minore è tutta incentrata sull'evoluzione della personalità, tale concetto appare più sfumato nel probation per imputati maggiorenni. L'art. 29 d.P.R. n. 448/1988, una volta trascorso il periodo di prova, richiama l'attenzione del giudice sulla verifica del comportamento tenuto dall'imputato e sulla sua personalità che deve, nel frattempo, essersi strutturata ed evoluta verso modelli sociali adeguati tali da escludere la devianza. Per gli imputati maggiorenni, invece, l'innovata disciplina non menziona mai la “personalità” dell'individuo da ammettere alla prova, facendosi riferimento al “suo ambiente di vita” e alle “condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica” quali informazioni acquisibili dal giudice.

Il dato della personalità, dunque, non è centrale; pur tuttavia, va anche detto che, sebbene non espressamente citata, la valutazione circa la personalità dell'adulto che chiede la sospensione del procedimento svolgerà, comunque, un ragguardevole ruolo nell'ambito del giudizio di ammissione alla prova. Ciò si verificherà, soprattutto, nella parte di giudizio in cui l'organo giurisdizionale dovrà effettuare la valutazione prognostica su comportamenti devianti futuri: la verifica, in tal caso, dovrà muoversi in base ai parametri fissati dall'art. 133 c.p. e, dunque, secondo i “classici” canoni volti ad individuare un'adeguata sanzione penale, tra cui assume rilievo anche il giudizio “tecnico” sulla personalità dell'imputato.

Inoltre, all'interno della cornice edittale astratta del reato, come delineata dal legislatore quale ambito applicativo del nuovo istituto, il giudice è tenuto a valutare la gravità in concreto del fatto. Ne deriva che, pur sussistendo in astratto la cornice edittale configurata dal legislatore, il giudice non è obbligato a concedere la messa alla prova.

La mancanza di una norma che consenta la visione del fascicolo del P.m

La decisione, dunque, è adottata con ordinanza e la lettura sistematica degli artt. 168-bis c.p. e 464-quater porta ad affermare che la concessione del beneficio, nella sussistenza dei presupposti fissati nell'art. 168-bis c.p., non sia automatica come da una prima lettura si potrebbe ricavare. Ciò si desume dal riferimento, contenuto all'art. 464-quater, comma 3, ai parametri di cui all'art. 133 c.p.: d'altronde la sospensione del procedimento con messa alla prova non è solo un nuovo rito speciale, costituendo essa un beneficio, la cui concessione è dunque frutto di valutazione da parte del giudice.

Se, quindi, il giudice valuta la concessione del beneficio (anche) in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p. e se la procedura per la sua concessione è esperibile, in giudizio, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, occorre individuare gli elementi sulla scorta dei quali va compiuta la valutazione da parte del giudice, il quale non solo non è a conoscenza degli elementi di prova (il dibattimento non è ancora iniziato), ma non ha a propria disposizione gli atti del fascicolo del P.m.

Il problema, naturalmente, non si pone per la fase antecedente al giudizio, avendo il G.i.p. a propria disposizione il fascicolo del P.m. e potendo quindi prenderne visione ed arrivare così ad una decisione più completa in ordine sia alla gravità del fatto, che alla capacità a delinquere del richiedente.

Diverso è il caso della concessione del beneficio nella fase del giudizio.

Nessuna norma della riforma prevede che il giudice, ai (soli) fini della decisione sulla concessione, possa prendere visione degli atti del fascicolo del P.m. (né una norma del genere è prevista per la fase conclusiva, quando il giudice, se l'esito della prova è positivo, pronuncia sentenza) e ciò nonostante quel medesimo giudice, per decidere, deve far ricorso ai parametri di cui all'art. 133 c.p. (ed addirittura, in sede di pronuncia conclusiva, può, se emette sentenza, applicare le sanzioni amministrative), il che appare scarsamente conciliabile, a meno di non ritenere che gli elementi in base ai quali operare la valutazione in esame siano limitati, quanto al fatto, alla imputazione così come formulata dal P.m. e, quanto alla capacità a delinquere, a ciò che emerge dal certificato del casellario giudiziale. Limitare l'analisi, in ordine alla capacità a delinquere dell'indagato, alla sola visione del certificato del casellario giudiziale potrebbe per altro neutralizzare l'intento del legislatore. Si pensi al caso del recidivo che fa richiesta di probation: la legge non considera la recidiva un limite soggettivo all'operatività dell'istituto ed, anzi, se si valorizza la finalità di recupero sociale della messa in prova, probabilmente il delinquente recidivo mostra maggiore necessità di un trattamento «alternativo» alla giustizia ordinaria; d'altro canto, si potrebbe sostenere che il delinquente recidivo, con la sua capacità a delinquere, suscita una maggiore esigenza di difesa sociale, con conseguente esclusione, in sostanza, dall'ambito dell'istituto. La soluzione anche in questo caso non è agevole, né è scontata: se si valorizza la circostanza che nessuna norma prevede che il giudice prenda visione del fascicolo del P.m., mentre vi è una espressa disposizione normativa — art. 141-ter, comma 2, disp. att.- in base alla quale l'imputato che richieda il beneficio è tenuto a depositare in allegato alla richiesta gli atti rilevanti del procedimento penale presso l'U.e.p.e., che finisce pertanto con l'essere l'unico organo che per volontà del legislatore è chiamato a visionarli, e se si considera che la messa alla prova potrebbe avere esito negativo con conseguente ripresa del processo innanzi al giudice che l'aveva ammessa, il quale (ai fini della decisione nel merito) non deve essere a conoscenza degli atti del fascicolo del P.m., allora la risposta alla possibilità per questi di visionare gli atti del fascicolo del P.m., per decidere sulla sospensione, dovrebbe essere negativa.

Se, per converso, si valorizza il disposto dell'art. 464-quater, comma 3, e non si vuole rendere il riferimento all'art. 133 c.p. vuoto di contenuto, tenendo peraltro presente la natura di rito speciale che la procedura in esame ha, allora la risposta dovrebbe essere positiva: a questo punto, qualora la concessione del beneficio sia avvenuta previa visione degli atti del fascicolo del P.m., e l'esito della prova sia stato poi negativo, con conseguente revoca della sospensione e ripresa del processo innanzi al medesimo giudice, verrà in rilievo un concreto profilo di incompatibilità di esso giudice.

L'ordinanza di sospensione, la sua esecuzione e la prescrizione

Una volta che il giudice è comunque arrivato a ritenere che sussistano i presupposti per la concessione del beneficio, egli sarà tenuto a provvedere con ordinanza, da trasmettere subito, in uno al verbale di messa alla prova, all'U.e.p.e., che prenderà in carico l'imputato e che, ai sensi dell'art. 141-ter disp att., lo informerà sull'andamento della messa alla prova: con la pronuncia dell'ordinanza di sospensione del procedimento, scatta automaticamente la sospensione della prescrizione e, nei procedimenti plurisoggettivi, la prescrizione resterà sospesa solo nei confronti del beneficiario, non anche nei confronti dei coindagati/coimputati, e ciò a norma dell'art. 168-ter c.p., che esclude espressamente l'applicazione delle disposizioni di cui al primo comma dell'art. 161 c.p.

Anche questa disposizione è foriera di problematiche applicative: la circostanza, infatti, che il procedimento resti sospeso solo nei confronti di chi abbia richiesto il beneficio, porta a ritenere che nei confronti degli altri il processo debba proseguire, con la conseguenza che esso potrebbe arrivare a definizione nei confronti dei coimputati, con eventuali problemi, anche in siffatta ipotesi, di incompatibilità del giudice chiamato a decidere sull'esito della sospensione del procedimento in favore dell'imputato che abbia terminato la prova.

Quanto alla durata della sospensione, essa a norma dell'art. 464-quater, non può eccedere i due anni per i reati sanzionati con pena detentiva (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria) ed un anno per i reati puniti con pena pecuniaria, decorrenti dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova: naturalmente, è questo il termine massimo, essendo lasciata al giudice, sulla scorta del programma di trattamento elaborato dall'U.e.p.e., ogni determinazione in ordine ai tempi e termini in concreto della messa alla prova (altro ed ulteriore problema è capire a quali parametri il giudice si deve rifare nel decidere tempi e modalità della messa alla prova e, non essendovi una indicazione sul punto, egli non potrà che fare ricorso ancora una volta ai criteri generali fissati dall'art. 133 c.p.).

In ogni caso, quando dispone la sospensione, il giudice stabilisce anche il termine — prorogabile su istanza dell'imputato una sola volta e solo per gravi motivi — entro il quale questi deve provvedere all'adempimento delle condotte riparatorie e risarcitorie e, se intende poi modificare le prescrizioni originarie, deve sentire l'imputato (in questa fase, a differenza di quanto accade prima che il beneficio venga concesso, non è richiesto il suo consenso) ed il P.m.; può altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno (art. 464-quinquies).

Qualora la persona offesa si sia costituita parte civile e abbia in precedenza proposto azione in sede civile nei confronti dell'imputato, il processo civile non resterà sospeso, ma riprenderà il suo corso (tanto si desume dal contenuto dell'art. 464-quater, comma 8, che esclude l'applicazione dell'art. 75, comma 3 nel caso di sospensione del procedimento con messa alla prova).

Durante la sospensione, infine, ed al di là della circostanza che il processo prosegua nei confronti dei coimputati che non abbiano richiesto ed ottenuto il beneficio, vanno acquisite, su richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato (art. 464-sexies).

La reiterazione della richiesta rigettata

Quanto alla possibilità, in corso di indagini preliminari, di reiterare la richiesta rigettata e alle volte in cui essa può essere presentata, non si traggono indicazioni nel testo normativo: l'unico limite in questo senso è fissato dall'art. 464-quater, comma 9, per la sola fase del giudizio ed una interpretazione letterale della disposizione può anche far concludere nel senso che, al di fuori del giudizio — e quindi sostanzialmente nel corso delle indagini preliminari, ma volendo anche nel corso dell'udienza preliminare e sempre che non sia maturato il termine processuale di decadenza — la richiesta di sospensione non incontri questo stesso limite e possa essere proposta più volte (purché, evidentemente, essa sia fondata su un quid novi rispetto alla istanza rigettata).

Richiesta parziale di messa alla prova ed incompatibilità del giudice

Altra rilevante questione attiene alla possibilità per la parte di chiedere di essere ammessa alla prova solo in relazione ad alcuni reati.

È infatti possibile che, nell'ambito di uno stesso procedimento, vengano contestati all'indagato e/o imputato più reati, tra loro connessi, ed è possibile che per alcuni di essi il beneficio — in ragione dei limiti edittali o ratione materiae — possa, in astratto, essere richiesto, mentre per altri i presupposti oggettivi o soggettivi non sussistano; ma potrebbe anche accadere che la parte chieda la messa alla prova per uno o più reati e voglia invece, per le più svariate ragioni, celebrare il giudizio in relazione agli altri.

Nel primo, come nell'altro, caso la criticità non investe tanto l'ammissibilità o meno di una richiesta in questo senso, ma riguarda, più specificamente, il giudice.

La giurisprudenza

La S.C. (Cass. II, n. 14112/2015), ha ritenuto che la sospensione non può essere disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali sia possibile l'accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende alla eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo e sarebbe incompatibile con le finalità dell'istituto una rieducazione «parziale» (Fattispecie relativa a reato associativo connesso ad altri reati, in cui si è ritenuta corretta la decisione con la quale il giudice di merito non aveva disposto la separazione dei processi a seguito della richiesta di messa alla prova per i reati satellitee).

La dottrina

La dottrina, in termini pressoché unanimi, sembra di diverso avviso avendo ritenuto che il legislatore non abbia posto limiti ad una istanza così formulata, non contemplando, ma neanche escludendo, l'ipotesi di una richiesta parziale di messa alla prova, che pertanto potrebbe ritenersi ammissibile.

Tuttavia, il problema che sorge, una volta proposta e quindi ammessa una richiesta parziale, investe il giudice: egli infatti, se intende ammettere alla prova il richiedente solo in relazione ad alcuni reati dovrà rifarsi ai parametri di cui all'art. 133 c.p. (con una valutazione che investe quindi anche il fatto e la sua gravità) e, se l’esito della prova sarà positivo, dovrà pronunciare, in relazione a quei reati, sentenza.

Il problema dell'incompatibilità

A questo punto, occorre tuttavia domandarsi se il giudice, essendosi pronunciato, prima, sulla messa alla prova e, successivamente, sulla estinzione dei reati per il positivo esito della stessa, possa continuare a istruire ed infine a giudicare gli altri reati, non oggetto di messa alla prova. È questo un problema che il legislatore non sembra essersi posto e che tuttavia esiste, non solo quando, come nel caso in esame, i reati siano connessi e la richiesta sia parziale, ma tutte le volte in cui il giudice si pronunci, positivamente (con sentenza) o negativamente (con ordinanza), sull'esito della messa alla prova e contestualmente si trovi (nel primo caso) a dover ancora giudicare reati connessi o, come si vedrà in seguito, debba pronunciarsi sul reato per il quale aveva ammesso la prova, salvo poi aver dovuto revocare l'ordinanza di sospensione.

La soluzione non è affatto semplice o scontata e dipende anche dalla portata della cognizione svolta dal giudice all'atto della ammissione alla prova e al momento della pronuncia della sentenza che dichiara l'estinzione del reato. Se, infatti, si propende per una cognizione sommaria (con tutti i limiti che una cognizione di tal fatta presenta) e se si ritiene che la pronuncia dichiarativa della estinzione del reato non presupponga un vaglio di merito sulla responsabilità (il che, peraltro, non è affatto scontato), allora si potrebbe immaginare l'insussistenza di un profilo di incompatibilità. Diversamente, il giudice che ha ammesso l'imputato alla prova (prendendo eventualmente visione del fascicolo del P.m.) e che poi si è pronunciato sull'esito della stessa (in termini positivi, ma anche negativi) dovrebbe ritenersi incompatibile a giudicare gli altri reati connessi (o quello stesso reato in relazione al quale si era pronunciato ammettendo l'imputato alla prova), con tutte le conseguenze che ne derivano (in termini di separazione di procedimenti o di aggravio del carico dei ruoli), e di tale questione, come in passato nelle ipotesi in cui è stata dichiarata a più riprese l'illegittimità dell'art. 34, comma 2, non potrà che essere investita la Corte costituzionale.

Il verbale di messa alla prova

Il legislatore prevede al comma 6 dell'art. 464-quater che i termini di sospensione del procedimento previsti al comma 5 decorrano “dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell'imputato”.

È questa l'unica disposizione prevista nella normativa in esame in cui si fa riferimento al verbale di messa alla prova e la questione (di non facile, né scontata soluzione) che si pone è se tale verbale debba essere redatto dinanzi al giudice, o dinanzi all'U.e.p.e.

A favore della prima opzione, milita una fondamentale esigenza di certezza: considerando infatti che l'atto in questione costituisce il dies a quo dal quale decorre il termine di sospensione del procedimento, lasciare che esso venga individuato da altro ufficio (che potrebbe redigerlo anche mesi dopo rispetto alla pronuncia di sospensione del procedimento) potrebbe creare incertezze e disfunzioni, non ultima quella di correre il rischio di fissare, nel corpo dell'ordinanza di sospensione del procedimento, una data di udienza per la valutazione della relazione conclusiva che potrebbe rivelarsi antecedente rispetto alla scadenza del periodo di prova e quindi far sorgere la necessità di un'ulteriore fissazione di udienza, con conseguente aggravio per la cancelleria ed eventuale sforamento dei termini di durata della sospensione, se le notifiche non dovessero andare a buon fine.

Peraltro, la sottoscrizione innanzi al giudice del verbale di prova da parte dell'imputato impegna quest'ultimo all'osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impostigli, da un lato, con il programma di trattamento e, dall'altro, dal giudice medesimo con l'ordinanza di sospensione del procedimento, la quale, inoltre, si limita a decidere sull'istanza ed a sospendere il procedimento nei confronti del (solo) richiedente, senza individuare, appunto, il dies a quo da cui far decorrere il periodo di sospensione (ed il termine per adempiere gli obblighi risarcitori e riparatori) e senza che in essa si dia contezza della effettiva messa alla prova dell'imputato.

A favore della seconda opzione, ossia della necessità di sottoscrivere il verbale innanzi all'U.e.p.e. perora per converso la natura meramente “esecutiva” che tale verbale dovrebbe avere e la possibilità offerta all'ufficio che prende materialmente in carico l'imputato di organizzare, secondo le proprie esigenze e quelle dell'ente di affidamento, l'esecuzione della messa alla prova.

La durata della messa alla prova

Quanto alla durata della messa alla prova (e quindi della sospensione della prescrizione) nelle linee guida elaborate da tempo dal Tribunale di Milano, finalizzate a rendere più snello il procedimento di ammissione e a garantire l'effettività dell'esecuzione della messa alla prova, è stato espressamente stabilito che “Al fine di uniformare il più possibile le indicazioni relative alla durata della messa alla prova e fornire a tutti gli operatori un quadro di riferimento dei limiti temporali, si sono suddivisi i reati per fasce facendo riferimento alla pena edittale massima prevista per i reati per i quali l'istituto è applicabile. Il massimo è stato individuato in 18 mesi a fronte di una previsione di legge di 24 per mantenere la possibilità di proroga da parte del giudice ove necessario, così come previsto”. Da qui la previsione di sei fasce di reati e per ognuna di esse un differente periodo di prova: nella fascia A) sono state inserite le contravvenzioni punite con la sola ammenda, per le quali il periodo di messa alla prova è stato fissato in un arco temporale che va da 15 giorni ad 1 mese; nella fascia B) le contravvenzioni punite con pena alternativa o congiunta o i delitti puniti con la sola multa, in relazione ai quali il periodo di messa alla prova è stato fissato in un arco temporale da 1 a 4 mesi; nella fascia C) i delitti puniti con la reclusione non superiore a 2 anni, con un periodo di messa alla prova da 4 a 6 mesi; nella fascia D) i delitti puniti con la reclusione da 2 a 3 anni con un periodo di messa alla prova da 6 a 8 mesi; nella fascia E) i delitti puniti con la reclusione da 3 a 4 anni con un periodo di messa alla prova da 8 a 12 mesi; nella fascia F) i delitti puniti con la reclusione superiore a 4 anni con un periodo di messa alla prova da 12 a 18 mesi.

Trattasi di un’indicazione operativa che ha il pregio di rendere uniforme, a parità di situazioni, la durata della messa alla prova, che non a caso tiene conto della natura del reato e lascia al tempo stesso al giudice quei margini di discrezionalità che gli permettono di adeguare il beneficio/sanzione al caso specifico.

L'impugnazione dell'ordinanza che decide sulla messa alla prova ed il contrasto nella giurisprudenza di legittimità

Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il P.m., anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione non sospende il procedimento.

La S.C., con un primo orientamento ha riconosciuto l'immediata ricorribilità in cassazione contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova sia nell'ipotesi che detta ordinanza, in accoglimento della richiesta, sospenda il procedimento e conceda la messa alla prova sia nell'ipotesi in cui rigetti l'istanza e, conseguentemente, non sospenda il procedimento e non conceda la messa alla prova (cfr., Cass. II, n. 41762/2015).

Di segno opposto, si registrano altre tre sentenze di legittimità (Cass. V, n. 5673/2014; Cass. V, n. 5656/2014; Cass. V, n. 25566/2015), secondo cui l'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento rigetta l'istanza di sospensione del processo per la messa alla prova dell'imputato è impugnabile, ai sensi dell'art. 586, solo unitamente alla sentenza. In particolare, con quest'ultima sentenza, si è affermato che l'impugnazione diretta della suddetta ordinanza prevista dal comma 7 dell'art. 464-quater ha ad oggetto esclusivamente il provvedimento con il quale, in accoglimento dell'istanza dell'imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova, giacché solo in tal caso alle parti non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta. Né il fatto che la legittimazione a ricorrere per cassazione sia attribuita anche all'imputato, può far ritenere che la norma in oggetto si riferisca anche al provvedimento di rigetto della richiesta, giacché questi può avere interesse ad impugnare anche il provvedimento di accoglimento con il quale siano state imposte prescrizioni considerate troppo gravose a comunque eccentriche rispetto al contenuto del programma di trattamento proposto, così come la valutazione in esso compiuta circa l'assenza delle condizioni per una pronunzia ex art. 129, provvedimento avverso al quale non avrebbe altrimenti rimedio.

Ancora, non appare dirimente in senso contrario al principio affermato, la circostanza che il comma 7 dell'art. 464-quater menzioni genericamente «l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova», atteso che tale formula deve essere letta alla luce del complessivo contenuto dei commi precedenti dell'articolo citato, i quali disciplinano l'oggetto e gli effetti del provvedimento di accoglimento, mentre quello di reiezione viene menzionato solo nel successivo nono comma ed all'esclusivo fine di prevedere la facoltà di riproposizione della richiesta.

D'altra parte, in una visione sistematica, si è affermato che la ricorribilità immediata del solo provvedimento di rigetto senza la contestuale previsione del potere del giudice di sospendere il procedimento in attesa della decisione della cassazione sul ricorso, apparirebbe scelta irragionevole. Militerebbe infine a favore di detta conclusione il confronto con l'analoga disciplina dell'istituto della messa alla prova previsto dall'art. 28 d.P.R. n. 448/1988 che, dopo qualche incertezza iniziale, viene oramai interpretata in maniera consolidata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso della ricorribilità dei soli provvedimenti applicativi della misura (cfr., Cass. IV, n. 34169/2002).

Di contro, la tesi maggioritaria riconosce invece la decisività e la insuperabilità del dato testuale che rende imprescindibile l'immediata ricorribilità in cassazione del provvedimento, di qualunque contenuto, e la sostanziale non parificabilità della disciplina della messa alla prova per maggiorenni rispetto all'omologa disciplina relativa ai minorenni.

Sono intervenute sull'argomento le Sezioni Unite  con due distinte sentenze in data 31 marzo 2016. Con la prima (Cass. S.U., n. 36272/2016, cit.) la S.C., chiamata a decidere se l'ordinanza con cui il G.u.p. rigetta la richiesta dell'imputato di ammissione al procedimento con messa alla prova sia autonomamente ricorribile per cassazione ovvero sia impugnabile solo congiuntamente alla sentenza a norma dell'art. 586, ha ritenuto che l'ordinanza in parola non sia immediatamente impugnabile, in quanto la richiesta può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sicché il ricorso immediato e autonomo per cassazione avverso l'ordinanza è inammissibile; nel caso in cui anche la richiesta riproposta sia rigettata, la relativa ordinanza è impugnabile solo congiuntamente alla sentenzaCon la seconda (Cass. S.U., n. 33216/2016), la S.C., chiamata a decidere se l'ordinanza con cui il giudice del dibattimento rigetta la richiesta dell'imputato di ammissione al procedimento con messa alla prova sia autonomamente ricorribile per cassazione ovvero sia impugnabile solo congiuntamente alla sentenza a norma dell'art. 586, del tutto conformemente ha ritenuto che l'ordinanza in parola sia impugnabile solo congiuntamente alla sentenza, sicchè il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza è da ritenersi inammissibile.

Esito negativo della prova, revoca ed incompatibilità del giudice: rinvio

Sia nelle ipotesi di esito negativo della prova, che di revoca della stessa, nonostante il silenzio del legislatore, è verosimile ritenere che sorgerà il problema della incompatibilità del giudice che aveva a suo tempo ammesso la prova e che si ritrova a dovere istruire e quindi giudicare nel merito i medesimi reati: sul punto si rinvia a quanto già analizzato in precedenza nella parte relativa alla richiesta parziale di messa alla prova ed agli annessi problemi di possibile incompatibilità.

Casistica

In tema di messa alla prova, il ricorso per cassazione del P.m. avverso la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato può riguardare esclusivamente censure attinenti alla fase del procedimento successiva all'ordinanza di sospensione, di natura processuale, ovvero "errores in iudicando", anche sotto il profilo dell'illogicità della motivazione, mentre non può sindacare l'ammissibilità della richiesta di accesso al rito speciale, essendo tale profilo precluso dall'avvenuta decorrenza del termine entro cui deve essere proposta l'impugnazione avverso l'ordinanza di cui all'art. 464-quater, commi 3 e 7 ( Cass. VI, n. 21046/2020 ).

E' inammissibile il ricorso in cassazione del P.m. contro la sentenza che dichiari l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell'art. 464-septies, quando denunci vizi afferenti il provvedimento di sospensione del processo, di cui all'art. 464-quater, che avrebbero potuto essere fatti valere contro quest'ultimo ( Cass. V, n. 5093/2020 ). All'udienza del 27/10/2022, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione (ric. P.M. vs. Soc. La Sportiva) chiamate a stabilire “se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova ed, in caso affermativo, per quali motivi”, ed, inoltre, “se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, la sentenza che dichiara l'estinzione del reato, pronunciata ex art. 464-septies”, hanno deciso che “il procuratore generale è legittimato, ai sensi dell'art. 464-quater, comma 7, ad impugnare, con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all'art. 606, l'ordinanza di ammissione alla prova (art. 464-bis), ritualmente comunicatagli ai sensi dell'art. 128; in conformità a quanto previsto dall'art. 586, in caso di omessa comunicazione dell'ordinanza è legittimato ad impugnare quest'ultima insieme con la sentenza al fine di dedurre anche motivi attinenti ai presupposti di ammissione alla prova”.

Bibliografia

Amato, L'impegno è servizi sociali e lavori di pubblica utilità, in Guida dir. 2014, n. 21, 87; Caprioli, Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato maggiorenne e l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cass. pen. 2012, 7 ss.; Colamussi, Adulti messi alla prova seguendo il paradigma della giustizia ripartiva, in Proc. pen. giust. 2012, n. 6, 125 ss.; Della Bella, Approvata in via definitiva la legge sulla sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Al governo due deleghe in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio, in penalecontemporaneo.it, 4 aprile 2014; Gargani, Sicurezza sociale e diritti dei detenuti nell'età del sovraffollamento carcerario, in Dir. pen. e proc. 2012, 633 ss.; Palazzo, Sulla riforma del sistema sanzionatorio e discrezionalità giudiziale, in Dir. pen. proc. 2013, 99 ss.; Zaccaro, La messa alla prova per adulti. Prime considerazioni, Quest. Gius. 2015, n. 3.

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