Codice di Procedura Penale art. 466 - Facoltà dei difensori.Facoltà dei difensori. 1. Durante il termine per comparire [429 3-4, 465 2], le parti e i loro difensori hanno facoltà di prendere visione, nel luogo dove si trovano [259], delle cose sequestrate, di esaminare in cancelleria gli atti e i documenti raccolti nel fascicolo per il dibattimento [431, 432] e di estrarne copia. InquadramentoDurante la pendenza del termine per comparire, i difensori possono, tra l'altro: a ) presentare istanza al presidente del collegio (o al giudice monocratico) perché questi anticipi o differisca l'udienza (art. 465); b ) chiedere l'assunzione di atti urgenti (art. 467); c ) chiedere l'esame, in dibattimento, di testimoni, periti e consulenti tecnici (art. 468); d ) chiedere il proscioglimento prima del dibattimento (art. 469); e ) chiedere la revoca o modifica di misure cautelari personali o reali. L'art. 466 (sicuramente applicabile, poiché compatibile, al dibattimento che si svolga innanzi al tribunale in composizione monocratica, in forza del generale rinvio di cui all'art. 549) non contempla tutte le facoltà dei difensori, ma riguarda soltanto « la facoltà di “visionare” le cose sequestrate e i documenti raccolti nel fascicolo per il dibattimento » (Bonetto, 1991, 35). Si è ritenuto che l'art. 466 non sia dettato allo scopo di consentire alle parti la conoscenza degli atti per predisporre la difesa: la sua funzione è soltanto quella — ben più limitata — di permettere il controllo sul contenuto del fascicolo per il dibattimento, al fine di avanzare le richieste di inserimento o eliminazione degli atti nei modi e nei tempi previsti dall'art. 491, comma 2: « la sua rilevanza è, pertanto, realmente significativa soltanto per i casi in cui si proceda a citazione diretta del p.m., poiché, ove si sia svolta l'udienza preliminare, la formazione del fascicolo per il dibattimento è già avvenuta in contraddittorio » (Beltrani, 105). Nella giurisprudenza di merito, va segnalata Trib. Milano VII, 2 ottobre 1990 che, richiamata la predetta ratio, ha respinto l'eccezione sollevata per mancato rispetto del termine di venti giorni accordato ai difensori per prendere visione del fascicolo per il dibattimento, in conseguenza dell'acquisizione, allo stesso, di atti contenuti nel fascicolo del p.m., ai sensi dell'art. 491, comma 4. Le facoltà conferite alle parti ed ai loro difensori dall'art. 466 possono essere esercitate « durante il termine per comparire »; nulla osta a che l'esercizio di tali facoltà sia consentito non soltanto durante il termine minimo di comparizione (diverso a seconda del procedimento di citazione a giudizio) che precede la prima udienza dibattimentale, ma anche prima, ove il decreto che ha disposto il giudizio (ovvero di citazione diretta a giudizio) sia notificato in anticipo rispetto al termine previsto dalla legge; nondimeno, le parti non potrebbero avanzare alcuna doglianza nel caso in cui tali atti siano in concreto posti a loro disposizione soltanto in pendenza del termine minimo (poiché soltanto ad esso la norma fa riferimento), e non prima. Non sarebbe possibile, ove si proceda con rito direttissimo (artt. 449 ss.), far valere pretese violazioni del diritto di difesa per non avere avuto modo di esaminare le cose sequestrate nei termini di cui all'art. 466, poiché, in detto rito, si osservano le sole disposizioni di cui agli artt. 470 ss., e la fase predibattimentale è soppressa. I soggetti legittimatiI soggetti legittimati all'esercizio delle facoltà de quibus sono le parti ed i loro difensori. Il riferimento alle « parti », naturalmente comprensivo del p.m. (parte pubblica), evidenzia l'improprietà della rubrica dell'art. 466 (che menziona i soli difensori). La ratio del riferimento alle « parti » si spiega con la volontà di rafforzare (quantomeno alla vigilia del dibattimento) le possibilità di autodifesa dei soggetti privati (Rel. testo definit., 190). È, peraltro, evidente che, ai fini dell'utile esercizio delle facoltà in questione, sia necessario che le parti abbiano ricevuto la notificazione del decreto di citazione, poiché, in caso contrario, esse ben potrebbero essere ignare dell'intervenuto rinvio a giudizio; per mero difetto di coordinamento con gli artt. 550 e 429, non si è previsto che, rispettivamente, il decreto di citazione diretta a giudizio reso dal p.m., ed il decreto che dispone il giudizio reso dal g.u.p., debbano contenere l'avviso alle parti delle facoltà di cui all'art. 466. Il riferimento, tra i soggetti legittimati all'esercizio delle facoltà di cui all'art. 466, alle « parti », include anche la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, non anche la persona offesa, né gli enti od associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato a norma dell'art. 91 Nell'ambito dei « difensori delle parti », parte della dottrina (Dubolino, 1205) ricomprende anche i difensori eventualmente nominati dalla persona offesa o dagli enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato a norma dell'art. 91: peraltro, un'interpretazione letterale della norma, che fa riferimento alle parti ed ai loro difensori, id est ai difensori delle parti, dovrebbe portare alla conclusione opposta, non dubitando neanche la citata dottrina del fatto che la persona offesa ed i soggetti menzionati dall'art. 91 non abbiano la qualifica di parte processuale (ex art. 100, comma 1), e non possano rientrare, pertanto, tra i soggetti legittimati all'esercizio della facoltà di cui all'art. 466. Altra dottrina ha, in proposito, osservato che « non sembra irragionevole ritenere, in base all'analogia con quanto previsto dall'art. 131 disp. att. [] per la fase antecedente l'udienza preliminare, che la stessa facoltà sia esercitabile anche dalla persona offesa, che pur non essendo “parte” può avere interesse a conoscere gli atti processuali in vista delle determinazioni da assumere in ordine all'eventuale sua costituzione di parte civile » (Bonetto, 2002, 7). Le facoltà difensive e le relative competenzeLe facoltà previste dall'art. 466 si concretizzano nelle possibilità: - a) di prendere visione delle cose sequestrate (il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, necessarie per l'accertamento dei fatti, ai sensi degli artt. 253 ss.), nel luogo dove esse si trovano (art. 259); b) di esaminare gli atti ed i documenti raccolti nel fascicolo del dibattimento, in cancelleria, ed estrarne copia (nelle forme di cui all'art. 116): il deposito in cancelleria deve, pertanto, avvenire effettivamente, e non essere meramente simbolico o formale (Beltrani, 106). In relaziona a tali possibili attività processuali, vanno distinte due competenze concorrenti: a) al giudice è rimessa la disponibilità giuridica delle res in questione (siano esse allegate al fascicolo per il dibattimento o custodite altrove), con la conseguenza che proprio il giudice dovrà autorizzare l'esame (previo accertamento dei titoli di legittimazione processuale delle parti istanti) e la rimozione e riapposizione dei sigilli (art. 261) che si rendano indispensabili; b) alla cancelleria è rimessa la custodia delle suddette res, oltre all'esecuzione dei provvedimenti che ne autorizzano l'esame ed alla sorveglianza sul corretto svolgersi di quest'ultimo. Le cose sequestrate sono normalmente custodite dal cancelliere in armadi (si auspica) ben chiusi: le parti ed i difensori non possono, pertanto, averle automaticamente a loro disposizione, ma devono farne richiesta al cancelliere depositario, il quale è, conseguentemente, tenuto a metterle a loro disposizione. Una dottrina ha osservato che, « poiché la facoltà delle parti e dei loro difensori è limitata alla “presa in visione”, e dunque all'esame esterno delle cose sequestrate, sembra corretto — e rispondente ad ovvie considerazioni pratiche — che la relativa facoltà possa essere esercitata solo nel dibattimento e non anche, quindi, nel predibattimento, ogniqualvolta la percezione delle cose sequestrate (...) non possa avvenire senza l'impiego di apparecchiature o strumentazioni tecniche e l'intervento dei relativi specialisti (come nel caso di materiale filmato, registrato, e così via) » (Bonetto, 2002, 7). Si è, peraltro, replicato che « non sembra poter essere preclusa alle parti la possibilità di ottenere copia, ai sensi dell'art. 116, di videocassette o di floppy-disks facenti parte del fascicolo del dibattimento (così superando le possibili difficoltà di esame in cancelleria) » (Beltrani, 106). Proprio il ricorso (ormai sempre più diffuso) agli strumenti informatici sta imprimendo una decisa accelerazione, sotto il profilo dell'organizzazione, al lavoro degli uffici giudiziari, tradizionalmente ingolfati da richieste di copie di decine di migliaia di atti, che non è, ormai, ragionevole continuare ad effettuare “all'antica”, pagando un prezzo troppo elevato in termini di tempo ed efficienza. La giurisprudenza ha ritenuto che l'esame dell'hard disk di un computer in sequestro e la conseguente estrazione di copia dei dati ivi contenuti non rientrano tra le attività che le parti possono compiere, ex art. 466, durante il termine per comparire all'udienza dibattimentale, senza contraddittorio ed alla sola presenza del custode, in quanto tali attività implicano accertamenti ed interventi di persone qualificate e l'utilizzo di appositi strumenti, sì che devono essere necessariamente svolte in dibattimento, nel contraddittorio, e sotto la direzione del giudice: non sussiste, pertanto, alcuna violazione del diritto di difesa nel caso in cui il giudice abbia negato il compimento delle predette attività difensive nel corso del predibattimento, differendole al successivo dibattimento (Cass. III, n. 28524/2009). In virtù della parificazione tra accusa e difesa (che costituisce uno dei cardini del «giusto processo»), anche il p.m. deve essere assoggettato alle predette modalità di esercizio delle facoltà di cui all'art. 466. CasisticaLe conseguenze processuali dell'ingiustificato diniego di esercizio delle facoltà di cui all'art. 466 Con riguardo alle conseguenze processuali dell'omesso deposito, durante la pendenza del termine a comparire, delle res di cui all'art. 466, ovvero dell'ingiustificato diniego dell'esercizio delle facoltà di cui all'art. 466 alle parti ed ai difensori, l'abrogato codice di rito conteneva un'espressa sanzione di nullità del decreto di citazione (cfr. art. 412 in relazione all'art. 410, comma 2): ciò aveva indotto la dottrina (cfr. per tutti Cordero, 467; Conso, 631) a ritenere che il legislatore, nel richiedere che il deposito avesse luogo « durante il termine per comparire », avesse effettuato una valutazione generale e preventiva del periodo necessario per un'idonea preparazione della difesa, tanto da rendere superflua ogni ulteriore considerazione: eventuali argomentazioni (pur assolutamente dominanti nella giurisprudenza di legittimità dell'epoca) circa la sufficienza, per un'adeguata difesa, di un tempo inferiore rispetto all'intero termine a comparire, avrebbero portato a conclusioni in contrasto con il dettato legislativo. Analoga previsione di nullità con riguardo alle violazioni dell'art. 466 manca nel codice di rito vigente: si pone, pertanto, il problema di stabilire, caso per caso, se si sia verificata una situazione tale da integrare un difetto di assistenza (dell'imputato o delle altre parti private), previsto quale fonte di nullità di ordine generale dall'art. 178, comma 1, lett. c) (giacché appare chiaro che, ove non sia garantito l'esercizio della facoltà di esaminare le cose sequestrate, i difensori si troverebbero nell'impossibilità di assistere l'imputato o le altre parti, e queste ultime non potrebbero esplicare un'utile attività di autodifesa) ed, in caso affermativo, se tale nullità, non assoluta (e quindi non insanabile, ex art. 179), risulti sanata nel caso in cui la parte abbia avuto comunque modo di avvalersi delle facoltà in questione. In proposito, richiamata la già identificata ratio dell'art. 466 (consentire alle parti il controllo del contenuto del fascicolo per il dibattimento, giacché la conoscenza, nel merito ed ai fini della difesa, delle cose in sequestro e degli atti e documenti è già garantita da altre norme), in dottrina si è ritenuto (Beltrani, 106 s.) che possano « assumere rilievo soltanto situazioni nelle quali la facoltà delle parti sia assolutamente negata per tutto il termine a comparire (avendosi, con ciò, un'inequivocabile compressione del diritto di assistenza) ». Non potrebbe, pertanto, configurarsi una compressione del diritto di assistenza e, conseguentemente, del diritto di difesa, ove gli atti restino depositati in cancelleria per un tempo inferiore rispetto a quello previsto dalla legge, ma risulti comunque assicurato il contraddittorio, come, ad esempio: a) nel caso in cui il fascicolo del dibattimento (e/o le cose sequestrate) sia stato temporaneamente portato nell'ufficio del presidente o di un giudice, oppure del p.m., ed il cancelliere non abbia materialmente gli atti presso di sé, ma possa, non appena il difensore si ripresenti in cancelleria, metterli immediatamente, o quasi, a disposizione dell'instante; b) nel caso in cui le res si trovino in un ufficio di cancelleria diverso da quello del giudice del dibattimento, ma, nondimeno, possano essere in breve tempo messe a disposizione degli interessati, mediante un rapidissimo “trasferimento” da un ufficio all'altro. Al contrario, la violazione del diritto di assistenza risulterebbe effettivamente configurabile: a) nel caso in cui il cancelliere opponga reiteratamente un immotivato rifiuto all'istanza di esame degli atti o, comunque, per problemi organizzativi interni, di fatto, non metta a disposizione dell'instante, prima dell'udienza dibattimentale, quanto richiesto; b) nel caso in cui le res siano custodite in luogo molto lontano da quello dove si celebra il processo (il che può avvenire, ad esempio, nei casi di rimessione del processo ex artt. 45 ss. ad altro giudice). Con riferimento al caso in cui il personale delle cancellerie sia in sciopero, occorre osservare che non necessariamente tutti i funzionari aderiscono ad esso e che, comunque, generalmente i capi degli uffici giudiziari si avvalgono dei poteri loro conferiti dalla legge per sostituire i funzionari in astensione e garantire i servizi indispensabili: non potrebbe, pertanto, ritenersi che, per il solo fatto della pendenza di uno sciopero di categoria, tutte le cancellerie siano inoperanti. Tuttavia, nel caso in cui la parte od il difensore dimostri l'impossibilità di esaminare gli atti processuali e le cose in sequestro (in ipotesi, per la contemporanea adesione all'astensione di tutti i cancellieri e la mancata adozione, da parte del capo dell'ufficio, delle opportune misure idonee a garantire il funzionamento dei servizi di cancelleria essenziali), e quindi di aver subito una concreta ed effettiva menomazione dei suoi diritti, il difetto di assistenza risulterà realmente sussistente. In dottrina si è anche ritenuto che, ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. b), all'inosservanza del termine prescritto per il deposito degli atti e documenti e delle cose sequestrate, nei casi in cui essa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio per la difesa, sia possibile porre rimedio attraverso la concessione di un congruo (ma mai superiore a quello minimo a comparire assegnato dalla legge) termine a difesa: la situazione potrebbe legittimare (se fatta valere tempestivamente) il differimento dell'udienza ai sensi dell'art. 465, od anche il rinvio del dibattimento ad udienza fissa, in fase preliminare (prima della dichiarazione di apertura) (Beltrani, 108). La nullità per difetto di assistenza potrà, in conclusione, ritenersi sussistente, e non sanata, soltanto se vi sia stato un pregiudizio effettivo per i diritti della difesa, cosa che non potrebbe dirsi verificata nel caso in cui, pur essendo stato omesso il deposito in cancelleria degli atti, dei documenti e delle cose sequestrate per tutta la durata del termine a comparire, nondimeno le parti ed i loro difensori siano stati messi in condizione di effettuare l'effettivo e completo esame delle suddette res prima che la fase predibattimentale sia esaurita, attraverso la concessione di un congruo termine, che risulti in concreto idoneo ad assicurare l'integrale esercizio dei diritti e delle facoltà di cui all'art. 466. BibliografiaBeltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; Bonetto, Sub art. 466, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, Torino, V, 1991, 36; Bonetto, Il predibattimento, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da Chiavario- Marzaduri, Torino, 2002, 35; Conso, Nota a Cass. pen., sez. III, sent. 5 febbraio 1962, Ivancick, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1962, 631; Cordero, Nullità per inosservanza del termine e bisogno di tutela giuridica, in Scuola pos. 1961, 467; D'Andria, Sub art. 466, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. Lattanzi-E. Lupo, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di D'Andria- Fidelbo- Gallucci, Milano, 2008, 3; Dubolino, Il nuovo codice di procedura penale, Piacenza, 1992, 1205. |